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Immigrazione

Il numero di immigrati morti nel Mediterraneo aumenta. In attesa della guerra panafricana

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Il numero di morti è in aumento tra i migranti che tentano di effettuare la pericolosa traversata del Mediterraneo dall’Africa o dall’Asia occidentale per raggiungere l’Europa.

 

Lo riporta il quotidiano francese Le Monde, con i dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (OIM), l’aumento dei decessi.

 

Nel 2023 i decessi sono stati finora 2.063, rispetto ai 1.963 dell’intero 2022. Il totale dei decessi da allora 2014, quando l’OIM ha iniziato a tenere le statistiche, è di 27.364 persone.

 

Secondo l’Alto Consiglio delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), l’Italia è il principale punto di arrivo dei migranti che attraversano il Mediterraneo verso l’Europa. Lampedusa ospita un centro di accoglienza per migranti che attualmente ospita 2.500 migranti.

 

Si stima che finora per il 2023 ci siano stati 90.763 arrivi, rispetto ai 105.131 dell’intero anno 2022. La maggior parte dei migranti proviene dall’Africa sub-sahariana.

 

Un’eventuale guerra in Niger, che coinvolgerebbe gli altri Paesi dell’Africa occidentale, aumenterebbe vertiginosamente gli sbarchi, e garantirebbe agli africani che attraversano il mediterraneo ancora più assistenzialismo e magari, con ulteriore esborso del contribuente, uno status di rifugiato immediato.

 

Come riportato da Renovatio 21, a fine 2022 si poté calcolare che l’immigrazione in Europa aveva raggiunto il picco massimo della sua storia, nel 2016.

 

Bisogna, a questo punto, sfatare un mito.

 

Le motivazioni per cui i giovani africani escono dal loro Paese non sono la guerra (che, al momento, non vi è), o la povertà (vengono da Paesi che crescono più di quelli europei), o – come dice ottusamente il mondialismo buonista con i suoi pontefici – disastri ambientali causati dal cambiamento climatico (il culmine delle eco-balle con cui ci rifilano sacrifici e angherie).

 

«L’Africa subsahariana trabocca di giovani» scriveva padre Giorgio Licini nell’edizione di gennaio 2017 di Mondo e Missione, rivista del Pontificio Istituto per le Missioni Estere (PIME). «Instabilità politica e conflitti etnici acuiscono il fenomeno, ma i motivi principali della partenza sono la noia, la mancanza di lavoro, la ricerca di opportunità».

 

I telefonini, elargiti copiosamente ai nuovi arrivati, a questo servono: richiamare, con videocall e foto sui social, altri annoiati.

 

Lo spostamento di questa massa è ad ogni modo a carico di un progetto che non è quello personale dei migranti, ma un progetto profondo ingeneratosi nelle élite europee, il Piano Kalergi, con cui ridefinire anche biologicamente la popolazione europea (e nordamericana) per riformulare anche l’autorità e lo Stato, infliggendo ai cittadini autoctoni un’esistenza sotto l’anarco-tirannia.

 

Chi non crede a quanto stiamo dicendo, si riguardi le immagini delle rivolte francesi (e svizzere, belghe) nelle banlieue afro-islamiche dello scorso luglio.

 

Cosa serve ancora per aprire gli occhi?

 

Difficile dirlo quando al governo ci sarebbe, in teoria, un partito di destra-destra che ha preso voti per decadi e decadi sulla questione dello stop all’immigrazione, e ora si impaurisce per gli attacchi del mainstream goscista al punto di rimangiarsi la teoria della sostituzione etnica.

 

 

 

 

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Immigrazione

Orban promette di sfidare le «scandalose» quote di migranti dell’UE

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Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha annunciato che il suo paese non adempirà agli obblighi europei sull’accoglienza dei migranti a partire dal prossimo anno, accusando Bruxelles di aver sferrato «un attacco assurdo e ingiusto» contro l’Ungheria.

 

Il Patto UE sulla migrazione e l’asilo, approvato lunedì e previsto in vigore da luglio 2026, stabilisce che ciascun Stato membro partecipi in proporzione alla popolazione e al PIL. Lo scopo è ridurre il carico sui paesi più esposti – Cipro, Grecia, Italia e Spagna –, come ha precisato la Commissione Europea.

 

I governi dovranno ospitare un numero prefissato di migranti provenienti dagli hotspot o versare 20.000 euro per ciascun rifiuto.

 

«Finché l’Ungheria avrà un governo nazionale, non metteremo in atto questa decisione scandalosa», ha postato martedì su X Orban, da sempre oppositore delle politiche migratorie di Bruxelles.

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La Commissione ha inoltre classificato Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia e Polonia tra i paesi esposti a una «significativa pressione migratoria». L’Ungheria, però, non figura in questa lista.

 

Orbsn ha contestato l’idea che il suo paese sia immune dalla crisi migratoria, definendola «completamente slegata dalla realtà». Ha ricordato che ogni anno decine di migliaia di individui tentano ingressi illegali, intercettati dalle guardie di frontiera e dal sistema di barriere ungheresi.

 

Nel giugno 2024, la Corte di giustizia dell’UE ha condannato l’Ungheria a una multa forfettaria di 200 milioni di euro, più 1 milione di euro al giorno, per il mancato rispetto delle norme comunitarie sull’asilo.

 

Il mese scorso Orban aveva ribadito che preferirebbe versare la sanzione giornaliera di 1 milione di euro piuttosto che aprire le porte ai migranti irregolari, asserendo che pagare è «meglio che vivere nella paura» e garantendo ai cittadini un’estate di vacanze in sicurezza. I mercatini natalizi sono stati bersaglio di attacchi jihadisti in vari episodi di rilievo negli ultimi anni.

 

L’UE affronta da oltre vent’anni un’intensa pressione migratoria. L’impegno dei Paesi NATO europei nel collasso di Libia e Siria, unito al loro appoggio all’Ucraina nel confronto con la Russia, ha indotto milioni di individui a dirigersi verso l’Unione.

 

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Immagine di Belgian Presidency of the Council of the EU 2024 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Immigrazione

Trump: persone «deboli» guidano un’Europa «in decadenza»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha bollato l’Europa occidentale come un insieme di Stati «in decadenza» diretti da capi di governo «deboli», rimproverando i loro esecutivi per la gestione fallimentare dei flussi migratori e per l’incapacità di contribuire alla risoluzione della crisi ucraina.   In un colloquio concesso a Politico e reso pubblico martedì, Trump ha dipinto l’élite politica del Vecchio Continente come inadeguata e intrappolata in un eccesso di «correttezza politica».   «Penso che siano deboli», ha sentenziato riguardo ai vertici della zona, proseguendo: «L’Europa non sa cosa fare».   Sollecitato sul contributo dell’Europa occidentale ai negoziati per la pace in Ucraina, il tycoon ha replicato che i suoi dirigenti «parlano troppo», lasciando intendere che, se persistono nel credere a una vittoria di Kiev, possono proseguire nel finanziamento illimitato.

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Il presidente statunitense negato di nutrire autentici avversari nel continente, vantando legami cordiali con la maggioranza dei suoi leader, ma ha asserito di saper distinguere «i buoni leader», «i cattivi leader», «quelli intelligenti» e «quelli stupidi».   «Anche se ve ne sono di davvero stupidi», ha chiosato Trump.   L’imprenditore ha argomentato che le strategie sull’immigrazione stanno trascinando vari Paesi verso il tracollo. «Se continua così, secondo me l’Europa non esisterà più, molti di quei paesi non saranno più sostenibili», ha pronosticato. «La loro politica sull’immigrazione è un disastro. Quello che stanno facendo con l’immigrazione è un disastro».   Trump accusato numerosi governi europei di autorizzare ingressi «senza controlli e senza essere controllati» e di ostinarsi a non espellere gli immigrati irregolari.   «Vogliono essere politicamente corretti… e non vogliono rimandarli da dove sono venuti», ha spiegato Trump, che ha lodato l’approccio di Ungheria e Polonia alla difesa dei confini, contrapponendole ad altre nazioni europee – in special modo Germania e Svezia –, che a suo avviso hanno smarrito il dominio sui movimenti migratori.

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Immigrazione

Trump definisce gli immigrati somali «spazzatura»

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Il presidente statunitense Donald Trump ha espresso contrarietà all’accoglienza di immigrati somali negli Usa, invitandoli a rimpatriare nella loro terra d’origine – l’Africa orientale, «a stento una nazione» – e a «mettere ordine laggiù».

 

Le sue parole si inseriscono in un più ampio affondo contro la comunità somalo-americana, in particolare nel Minnesota, sede della più numerosa diaspora somala negli Stati Uniti. L’uscita segue la determinazione di Washington di sospendere le procedure di asilo, in replica alla sparatoria di due militari della Guardia Nazionale nei pressi della Casa Bianca la settimana scorsa.

 

Nel corso di una sessione governativa martedì, Trump ha bacchettato gli immigrati somali, tra cui la deputata democratica Ilhan Omar, accusandoli di «non recare alcun beneficio» alla società americana.

 

«Se proseguiamo a importare rifiuti nella nostra Patria, imboccheremo la strada del declino. Ilhan Omar è immondizia, è immondizia. I suoi amici sono immondizia», ha tuonato, aggiungendo che la Somalia «è un fallimento per un valido motivo».

 

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«Queste non sono persone che lavorano. Non sono persone che dicono: “Andiamo, forza. Rendiamo questo posto fantastico”. Queste sono persone che non fanno altro che lamentarsi» ha tuonato il presidente USA. «Quando vengono dall’inferno e si lamentano e non fanno altro che lagnarsi non li vogliamo nel nostro Paese. Lasciamo che tornino da dove sono venuti e risolvano la situazione».

 

Omar, nata in Somalia e naturalizzata statunitense, è la prima donna di origini africane a sedere al Congresso, eletta nel quinto distretto del Minnesota e membro della «squad» progressista democratica, spesso in rotta di collisione con i repubblicani.

 

Come riportato da Renovatio 21, Trump l’aveva già bollata come «feccia» a settembre, dopo che era scampata per un soffio a una mozione di censura alla Camera per commenti sprezzanti sull’attivista conservatore Charlie Kirk, assassinato. Aveva pure rilanciato illazioni su un presunto matrimonio con il fratello per ottenere «illecitamente» la cittadinanza americana.

 

In un messaggio su X diramato martedì, Omar ha tacciato di «inquietante» l’«ossessione» del presidente \nei suoi confronti. «Spero ottenga l’assistenza di cui abbisogna urgentemente», ha commentato.

 


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La Somalia versa in una cronica instabilità e minaccia terroristica da decenni, alimentata dal gruppo qaidista Al-Shabaab e da altre frange estremiste. Molti somali approdarono negli USA negli anni Novanta, in piena guerra civile. Altri ancora arrivarono con Obama.

La scorsa settimana, Trump ha annunciato l’intenzione di estromettere i somali dal programma di Temporary Protected Status (TPS), che autorizza immigrati da nazioni in crisi a soggiornare e lavorare negli USA, denunziando «brigate» di rifugiati somali che «hanno invaso» il Minnesota, «un tempo uno Stato magnifico», seminando terrore e facendo evaporare miliardi di dollari.

 

Il governatore del Minnesota Tim Walz – da Trump etichettato come un capo «ritardato» per non aver «mosso un dito» contro il fenomeno – ha stigmatizzato la revoca del TPS come «discriminatoria e lesiva».

 

La comunità somala negli Stati Uniti, stimata tra 150.000 e 200.000 persone, è una delle più grandi diaspore somale al mondo. Lo Stato del Minnesota ospita la popolazione più numerosa, con circa 86.000 Somali, concentrati a Minneapolis, soprannominata «Little Mogadishu», o Piccola Mogadiscio. Altre comunità significative si trovano a Columbus (Ohio), Seattle (Washington) e San Diego (California). La migrazione, iniziata negli anni Novanta per la guerra civile in Somalia, è stata guidata da opportunità lavorative e supporto di agenzie di reinsediamento.

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Immagine di pubblico dominio Cc0 via Flickr

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