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Essere genitori

Il lockdown ha danneggiato i bambini: ora lo ammettono, ma è troppo tardi

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Anche il maggiore quotidiano del pianeta, il New York Times, ora ammette il danno procurato dai lockdown ai bambini. L’articolo, pubblicato a metà novembre, si intitola «Ecco le prove sorprendenti della perdita di apprendimento».

 

Il pezzo si inscrive in una tendenza recentemente diffusa, da parte di medici, giornalisti ed «esperti» vari, di fare retromarcia, talvolta pure professando la propria innocenza: hanno sbagliato quando dichiaravano che il lockdown faceva bene e i suoi nemici erano mostri, ma non potevano fare altri.

 

Ora perfino la grey lady, il giornale più letto del mondo, viene investito dalla tremenda realtà della catastrofe inflitta alla popolazione con le restrizioni pandemiche.

 

«Le prove sono ora disponibili e sono sorprendenti. La chiusura delle scuole, che ha portato 50 milioni di bambini fuori dalle aule scolastiche all’inizio della pandemia, potrebbe rivelarsi l’interruzione più dannosa nella storia dell’istruzione americana. Ha anche fissato i progressi degli studenti in matematica e lettura indietro di due decenni e ha ampliato il divario nei risultati che separa i bambini poveri da quelli ricchi».

 

Interessante l’uso della parola «sorprendenti». Sorprendenti, per chi? Non per noi, non per i lettori di Renovatio 21, che per anni ha registrato i danni semplicemente mostruosi cagionati ad un’intera generazione di bimbi.

 

C’erano le ricerche che dimostravano che i bimbi nati in lockdown hanno meno probabilità di parlare prima di compiere un anno.

 

C’era stato lo studio britannico che aveva rilevato che molti bambini che iniziano la scuola elementare hanno abilità verbali gravemente sottosviluppate, e molti non sono nemmeno in grado di pronunciare il proprio nome.

 

C’era la canadese York University che aveva scoperto che i bambini ora «hanno difficoltà di riconoscere i volti a causa della mascherina».

 

C’era quella logopedista statunitense che asseriva già due anni fa di aver osservato un aumento del 364% delle segnalazioni di pazienti neonati e bambini piccoli che abbisognano di aiuto per il linguaggio non sviluppato.

 

C’era il rapporto Ofsted che parlava della creazione, causa lockdown, di un’intera generazione di bambini con problemi nel linguaggio e nelle relazioni.

 

C’era quell’altro studio della Brown University che rivelava come i punteggi medi di quoziente intellettivo tra bambini nati durante la pandemia siano crollati di ben 22 punti mentre le prestazioni verbali, motorie e cognitive hanno tutte sofferto a causa del lockdown.

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C’era la ricerca dell’agenzia tedesca per la protezione dei consumatori che sottolineava la dannosità delle mascherine a livello respiratorio

 

Poi, la questione, ancora inspiegata del sistema immunitario dei bambini che sembrava reagire in modo strano: bambini venivano colpiti, fuori stagione, da tre virus contemporaneamente – qualcosa di assolutamente raro, prima. Qualcuno quindi proponeva la connessione tra l’inusuale aumento delle epatiti fra i bambini e le restrizioni pandemiche.

 

C’era stato il caso, segnalato da Renovatio 21, del boom dei contagi di streptococco tra i bambini sette mesi fa, di cui nessuno dei soloni pediatrici è riuscito a dare una spiegazioni, avvenuto peraltro in un momento in cui stavano sparando gli antibiotici.

 

C’era lo studio condotto da ricercatori dell’Università di Sydney ha evidenziato le tendenze relative all’aumento del tempo davanti allo schermo, al consumo di alcol e al sonno scarso per gli adolescenti a causa della pandemia COVID-19

 

E poi, qualcuno ricorda i disegni disturbati dei bambini imprigionati in casa?

 

C’erano statistiche spaventose pubblicate sulla rivista Royal Society Open Science, i lockdown hanno portato 60.000 bambini britannici alla depressione clinica. Un analogo aumento della depressione giovanile è stata rilevata in Italia dall’ISS.

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E ancora, l’aumento, visibile in Italia ad occhio nudo, della violenza giovanile, con casi sempre più efferati, immotivati, inspiegabili.

 

C’erano, sempre nel nostro Paese, i dati impressionanti sull’incremento dei disturbi alimentari, con l’anoressia delle bambine che ha cominciato a partire dai 10-12 agli 8 anni.

 

E poi ancora, i suicidi, aumentati del 30% durante il COVID in USA, secondo dati del Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Il 30% delle ragazze delle scuole superiori negli Stati Uniti che sono state intervistate a inizio anno dal CDC aveva affermato di aver «seriamente preso in considerazione il tentativo di suicidio» nel 2021, rispetto al 19% nel 2011.

 

C’era lo studio di FAIR Health che rilevava come un bambino avesse 10 volte più probabilità di morire per suicidio che non per COVID; l’anno prima era emerso che forse 25 erano morti di COVID, centinaia erano morti invece per suicidio e traumi.

 

Come dimenticare anche il caso dell’Italia, con un +75% di casi di tentato suicidio di bimbi rilevati dall’ospedale Bambin Gesù, e gli scioccanti i multipli casi di suicidio pediatrico riusciti, lo stesso giorno, e senza correlazione tra le giovani vittime avvenuti durante il primo giorno di scuola.

 

Sapevamo la verità, da subito: perché essa era evidente, in modo empirico, diretto, perfino con dati scientifici. I lockdown hanno distrutto i nostri figli. E in cambio, cosa abbiamo avuto? Siamo stati demonizzati, censurati talvolta anche – per quelli che andavano in piazza, fino a che è stato possibile — picchiati.

 

Ci hanno tolto il lavoro, e hanno fatto ammalare i nostri figli. Come dovremmo sentirci?

 

La cosa snervante, nel leggere un articolo come questo, è vedere che i soloni pandemici non riescono a riconoscere la propria complicità nell’estendere e promuovere la clausura e la repressione, le imposizioni al proprio volto e alle proprie cellule, l’apartheid biotica, la rovina professionale e famigliare. Nemmeno riescono a riconoscere il disastro causato dalla chiusura delle scuole, per cui essi stessi hanno fatto il tifo in maniera oscena.

 

«I bambini sono più resilienti di quanto non pensiamo», avevano assicurato i ripetitori psicopandemici, usando proprio questa parola, stupida e sputtanata: «resilienti». I bambini hanno questa caratteristica, ci assicuravano: la caratteristica per cui rarissimamente si ammalavano gravemente di COVID invece non è stata in alcun modo spiegata e ripetuta.

 

Del resto, il fine era quello di terrorizzare tutti, noi e i bimbi, e sottometterci, perfino a livello biomolecolare. Il progetto era quello di inoculare il siero genico sperimentale negli adulti, e far sì che accettassero la terapia mRNA anche per i figli – mentre, lo sapete, si preparava l’arrivo della società della biosorveglianza totale, il danaro programmabile, il rovesciamento della relazione tra cittadino e Stato (e il significato delle Costituzioni), in una parola si caricava il Nuovo Ordine Mondiale, l’umanità riformata secondo la Necrocultura – il Regno sociale di Satana.

 

Ora, abbiamo già avuto modo di dirlo: inutile che si sveglino ora, inutile perfino che chiedano scusa. Noi ricordiamo tutto, e al momento non siamo tanto disposti a perdonare: non avrebbe senso, visto che i veri mostri pandemici non hanno imparato nulla, minacciando di ripetere la follia altre volte.

 

Per cui, capite bene: non lasciar correre nulla, ora, è un atto non solo giusto, ma necessario.

 

Perché, e questo forse iniziano a capirlo anche loro, non ci siamo di mezzo solo noi, c’è di mezzo l’esistenza della nostra prole.

 

Non osate toccarcela più.

 

Roberto Dal Bosco

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Epidemie

I lockdown COVID collegati a cambiamenti duraturi nel cervello degli adolescenti

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Un nuovo studio rivela che lo stress causato dai lockdown dovuti al COVID-19 ha causato cambiamenti duraturi nel cervello degli adolescenti .   Lo studio, pubblicato sulla rivista Translational Psychiatry, ha scoperto che la pandemia ha avuto effetti a lungo termine sugli adolescenti e sui sistemi biologici dei loro corpi correlati allo stress.   «Studi precedenti hanno dimostrato che lo stress precoce può alterare l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), aumentare l’infiammazione e alterare lo sviluppo cerebrale, effetti che aumentano il rischio a lungo termine di problemi di salute mentale e fisica. In questo contesto, i ricercatori hanno mirato a verificare se la pandemia di COVID-19 abbia avuto effetti misurabili su questi stessi sistemi biologici» scrive il sito di informazione di scienza psicologica Psypost.   Lo studio si basa su uno studio a lungo termine condotto dal 2013 presso la Stanford University. I ricercatori hanno preso in esame gruppi di centinaia di adolescenti prima e durante la pandemia.

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Per valutare la fisiologia dello stress, i partecipanti hanno fornito campioni di saliva quattro volte al giorno per due giorni. Questi campioni sono stati utilizzati per calcolare la produzione giornaliera totale di cortisolo, nonché la risposta al risveglio del cortisolo (CAR), che riflette il forte aumento del cortisolo subito dopo il risveglio. L’infiammazione sistemica è stata valutata tramite campioni di sangue essiccato analizzati per i livelli di PCR. La funzione cerebrale è stata misurata tramite risonanza magnetica funzionale (fMRI) mentre i partecipanti completavano due compiti: un compito di incentivo monetario che indaga l’elaborazione della ricompensa e un compito di etichettatura degli affetti che attinge alla regolazione implicita delle emozioni.   Gli adolescenti valutati durante la pandemia hanno mostrato notevoli differenze rispetto agli adolescenti valutati prima. Gli adolescenti valutati durante la pandemia hanno mostrato cambiamenti associati allo stress cronico e all’esposizione prolungata alle avversità, nonché infiammazione sistemica cronica e ridotta attivazione nelle aree del cervello associate al comportamento di ricompensa, alla regolazione emotiva e alla motivazione.   «I nostri risultati indicano che gli adolescenti hanno attraversato un periodo di profondo stress durante la pandemia, e questo sembra aver influito negativamente sul loro funzionamento biologico, tra cui lo sviluppo del cervello, dell’asse HPA e del sistema immunitario», ha detto uno dei ricercatori a PsyPost.   «Siamo rimasti sorpresi da quanto gli adolescenti che hanno vissuto i lockdown dovuti al COVID-19 assomigliassero biologicamente a persone esposte a stress o traumi significativi nella prima infanzia. Queste esperienze traumatiche (chiamate anche esperienze infantili avverse, o ACE) possono avere un impatto duraturo sul corpo e sul cervello. Ci ha colpito il fatto che i giovani che hanno vissuto i lockdown dovuti alla pandemia, durati un periodo di tempo relativamente breve, presentassero modelli di funzionamento biologico simili a quelli delle persone esposte a stress nella prima infanzia».   Gli adolescenti valutati durante la pandemia hanno mostrato notevoli differenze rispetto agli adolescenti valutati prima. Gli adolescenti valutati durante la pandemia hanno mostrato cambiamenti associati allo stress cronico e all’esposizione prolungata alle avversità, nonché infiammazione sistemica cronica e ridotta attivazione nelle aree del cervello associate al comportamento di ricompensa, alla regolazione emotiva e alla motivazione.   «I nostri risultati indicano che gli adolescenti hanno attraversato un periodo di profondo stress durante la pandemia, e questo sembra aver influito negativamente sul loro funzionamento biologico, tra cui lo sviluppo del cervello, dell’asse HPA e del sistema immunitario», ha detto uno dei ricercatori a PsyPost.   «Siamo rimasti sorpresi da quanto gli adolescenti che hanno vissuto i lockdown dovuti al COVID-19 assomigliassero biologicamente a persone esposte a stress o traumi significativi nella prima infanzia. Queste esperienze traumatiche (chiamate anche esperienze infantili avverse, o ACE) possono avere un impatto duraturo sul corpo e sul cervello. Ci ha colpito il fatto che i giovani che hanno vissuto i lockdown dovuti alla pandemia, durati un periodo di tempo relativamente breve, presentassero modelli di funzionamento biologico simili a quelli delle persone esposte a stress nella prima infanzia».   Come riportato da Renovatio 21, ulteriori studi hanno dimostrato che le restrizioni sociali dovute al COVID-19 hanno causato cambiamenti significativi nello sviluppo dei bambini di età pari o inferiore a sei anni, ritardando l’acquisizione di un’abilità sociale fondamentale.   Anche il maggiore quotidiano del pianeta, il New York Times, già tre anni fa ammise il danno procurato dai lockdown ai bambini. L’articolo, pubblicato a metà novembre, si intitola «Ecco le prove sorprendenti della perdita di apprendimento».   La lista dei danni dei lockdown sui bambini studiati dall’accademia è oramai imponenti. Il danno è autoevidente, a partire dal chiaro ritardo nell’apprendimento di alcuni a certi disegni disturbanti emersi.   Uno studio britannico aveva rilevato che molti bambini che iniziano la scuola elementare hanno abilità verbali gravemente sottosviluppate, e molti non sono nemmeno in grado di pronunciare il proprio nome.   La canadese York University ha rilevato in uno studio che i bambini ora «hanno difficoltà di riconoscere i volti a causa della mascherina».   Come riportato da Renovatio 21, una logopedista statunitense ha asserito di aver osservato un aumento del 364% delle segnalazioni di pazienti neonati e bambini piccoli che abbisognano di aiuto per il linguaggio non sviluppato.   Un altro studio ha rivelato come i punteggi medi di quoziente intellettivo tra bambini nati durante la pandemia siano crollati di ben 22 punti mentre le prestazioni verbali, motorie e cognitive hanno tutte sofferto a causa del lockdown. La dannosità delle mascherine a livello respiratorio è stata sottolineata anche dall’agenzia tedesca per la protezione dei consumatori.

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Secondo un rapporto di Ofsted, istituzione governativa britannica, la mascherina ha creato una generazione di bambini con problemi nel linguaggio e nelle relazioni.   Vi sarebbero poi problemi al sistema immunitario dei piccoli costretti alla clausura. Pochi mesi fa è emerso come bambini venivano colpiti, fuori stagione, da tre virus contemporaneamente – qualcosa di assolutamente raro, prima.   Qualcuno così propone una connessione tra l’inusuale aumento delle epatiti fra i bambini e le restrizioni pandemiche.   Inoltre, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Royal Society Open Science, i lockdown hanno portato 60.000 bambini britannici alla depressione clinica. Un’analogo aumento della depressione giovanile è stata rilevata in Italia dall’ISS.   In Italia si sta assistendo anche al fluire di un’aneddotica significativa sull’aumento della violenza fra i giovani.

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Essere genitori

Una percentuale impressionante di adolescenti afferma che parlare con l’AI è meglio che con gli amici nella vita reale

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Un sondaggio ha scoperto che oltre la metà degli adolescenti americani utilizza regolarmente dispositivi di Intelligenza artificiale antropomorfa come Character.AI e Replika.

 

I compagni immaginari AI sono diventati parte integrante della vita degli adolescenti. Il dato sconvolgente vede il 31% degli adolescenti intervistati che ha affermato che le proprie interazioni con i compagni IA erano altrettanto o più soddisfacenti delle conversazioni con gli amici nella vita reale. 

 

Il sondaggio, pubblicato dall’organizzazione no-profit per la responsabilità tecnologica e l’alfabetizzazione digitale Common Sense Media, ha intervistato 1.060 adolescenti di età compresa tra 13 e 17 anni negli Stati Uniti, rilevando che circa tre ragazzi su quattro hanno utilizzato amici di intelligenza artificiale, definiti da Common Sense come strumenti di AI emotiva progettati per assumere una personalità o un carattere specifico, a differenza di un chatbot di assistenza di uso generale come ChatGPT.

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Oltre la metà degli adolescenti intervistati si qualifica come utente abituale di compagni di intelligenza artificiale, il che significa che si collega per parlare con i bot almeno un paio di volte al mese.

 

Secondo il rapporto, mentre circa il 46% degli adolescenti ha dichiarato di essersi rivolto principalmente a questi bot come strumenti, circa il trentatré percento ha detto di utilizzare i bot di compagnia per «interazioni e relazioni sociali, tra cui esercitazioni di conversazione, supporto emotivo, giochi di ruolo, amicizia o interazioni romantiche».

 

«La scoperta più sorprendente per me è stata quanto i dispositivi di intelligenza artificiale siano diventati di uso comune tra molti adolescenti», ha affermato il dottor Michael Robb, responsabile della ricerca di Common Sense, in un’intervista con il sito Futurism. «E oltre la metà di loro afferma di usarli più volte al mese, il che è ciò che definirei un utilizzo regolare. Quindi, solo questo mi ha lasciato senza parole».

 

Queste amicizie virtuali sono state oggetto di un attento esame nei mesi successivi alla presentazione di due distinte cause legali contro Character.AI di Google, per accuse secondo cui l’azienda avrebbe rilasciato una tecnologia negligente e sconsiderata che avrebbe abusato emotivamente e sessualmente di diversi minori, causando danni fisici e psicologici.

 

Uno dei giovani al centro di queste cause legali, un quattordicenne della Florida di nome Sewell Setzer III, si è suicidato dopo aver interagito a lungo con i bot di Character.AI, con i quali l’adolescente aveva avuto conversazioni intime e sessualmente esplicite.

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Alcuni ricercatori di Common Sense e del laboratorio Brainstorm della Stanford University hanno avvertito che nessun compagno di AI era sicuro per i bambini di età inferiore ai diciotto anni. 

 

«La società è alle prese con l’integrazione degli strumenti di Intelligenza Artificiale in molti aspetti diversi della vita delle persone», ha affermato il Robb. «Penso che molti strumenti vengano sviluppati senza pensare ai bambini, anche se sono utilizzati da utenti di età inferiore ai 18 anni con una certa frequenza… ma, ad oggi, non sono state condotte molte ricerche su cosa rappresenti l’ambiente di supporto dell’intelligenza artificiale per i bambini».

 

Il caso d’uso più ampiamente segnalato dagli adolescenti è quello dell’intrattenimento, mentre molti altri hanno affermato di utilizzare questi software AI come «strumenti o programmi» anziché come amici, partner o confidenti. Circa l’ottanta percento degli adolescenti in questione ha poi dichiarato di trascorrere più tempo con veri amici umani rispetto a qualsiasi compagno di intelligenza artificiale, e circa la metà degli adolescenti ha espresso scetticismo sull’accuratezza e l’affidabilità dei risultati dei chatbot. 

 

«Non credo che gli adolescenti stiano semplicemente sostituendo le relazioni umane con compagni di intelligenza artificiale; credo che molti adolescenti si stiano avvicinando a loro in modo piuttosto pragmatico», ha chiarito il Robb. «Molti ragazzi dicono di usarli per divertirsi e soddisfare la propria curiosità, e la maggior parte trascorre ancora molto più tempo con veri amici e afferma di trovare le conversazioni umane più appaganti».

 

«Ma allo stesso tempo si vedono ancora piccoli indizi sotto la superficie che potrebbero essere problematici, soprattutto quando queste cose diventano più radicate nella vita dei bambini», ha proseguito.

 

Il gruppo più preoccupante del sondaggio potrebbe essere quello degli adolescenti che non trovano l’interazione sociale umana soddisfacente quanto le interazioni con l’intelligenza artificiale. Il ventuno percento dei ragazzi ha fatto sapere che le loro conversazioni con i bot erano altrettanto soddisfacenti delle interazioni umane, e il dieci percento ha detto che erano migliori delle loro esperienze umane.

 

Circa un terzo dei minorenni ha anche dichiarato di aver scelto di discutere di questioni serie o delicate con i bot invece che con i propri coetanei.

 

«C’è una buona fetta di utenti adolescenti che sceglie di discutere di questioni serie con l’intelligenza artificiale invece che con persone reali, o di condividere informazioni personali con le piattaforme», ha affermato Robb, i cui risultati, a suo dire, «sollevano preoccupazioni sulla volontà degli adolescenti di condividere le proprie informazioni personali con le aziende di Intelligenza Artificiale».

 

«I termini di servizio di molte di queste piattaforme garantiscono loro diritti molto ampi, spesso perpetui, sulle informazioni personali condivise dai ragazzi», ha affermato il ricercatore. «Tutto ciò che un adolescente condivide – i suoi dati personali, il suo nome, la sua posizione, le sue fotografie… e anche i pensieri più intimi che vi inserisce – diventa materiale che le aziende possono utilizzare a loro piacimento».

 

Sebbene la maggior parte di queste piattaforme vieti l’accesso ai minori, queste sono di facile accesso per un ragazzo. Le verifiche dell’età si limitano generalmente a fornire un indirizzo email valido e all’auto-segnalazione della propria data di nascita. 

 

«Dovrebbe esserci una maggiore responsabilità per le piattaforme tecnologiche», ha continuato Robb, aggiungendo che «dovremmo avere una regolamentazione più significativa per regolamentare il modo in cui le piattaforme possono fornire prodotti ai bambini».

 

Quando si parla dell’uso di dispositivi di intelligenza artificiale da parte degli adolescenti, il peso del vuoto normativo del settore dell’IA ricade pesantemente sui genitori, molti dei quali fanno fatica a tenere il passo con le nuove tecnologie e con ciò che potrebbero significare per i loro figli.

«Non esiste un piano perfetto per i genitori, perché si trovano a dover competere con grandi aziende che investono molto nel far usare questi prodotti ai loro figli. Molti genitori non sanno nemmeno che queste piattaforme esistono… come primo passo, parlatene apertamente, senza giudizi», ha chiosato Robb.

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Come riportato da Renovatio 21, il colosso dei social, Meta, per bocca del suo CEO Mark Zuckerberg ha affermato che più persone dovrebbero connettersi con i chatbot a livello sociale, perché non hanno abbastanza amici nella vita reale.

 

La recente storia ci insegna che le amicizie virtuali non hanno vita lunga, bensì le finalità, sul lungo periodo, sono ben altre. Il social dello Zuckerberg aveva fatto irruzione nel mondo web con il motto, reso pubblico nel 2008, secondo cui «Facebook ti aiuta a connetterti e condividere con le persone nella tua vita». Una bella trovata che riuscì a far convergere all’interno della piattaforma moltissimi utenti di tutte le età che, nel primo periodo, si divertivano non poco a ritrovare persone sparse per il mondo conosciute in qualche viaggio o in qualche condivisione di esperienza di vita chissà dove.

 

Questo slogan pare sia un lontano ricordo, tanto che secondo Zuckerberg stesso, lo scopo principale di Facebook «non era più davvero quello di connettersi con gli amici».

 

«La parte degli amici è andata giù un bel po’», ha detto il CEO di Meta, secondo Business Insider. Invece, dice che la piattaforma si è evoluta lontano da quel modello, diventando «più di un ampio spazio di scoperta e intrattenimento».

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I nitrati nell’acqua, anche molto al di sotto dei livelli «sicuri», aumentano i rischi per la salute dei neonati

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I nitrati, che entrano nell’acqua potabile principalmente attraverso il deflusso di fertilizzanti chimici e il letame animale proveniente dagli allevamenti, sono invisibili, inodori e insapori. Anche a una concentrazione pari a solo l’1% della soglia di sicurezza stabilita dal governo federale, i nitrati possono aumentare significativamente il rischio di parto prematuro e basso peso alla nascita, secondo un nuovo studio condotto su 350.000 certificati di nascita.   Secondo un nuovo studio, anche livelli molto bassi di nitrati nell’acqua potabile, ben al di sotto della soglia di sicurezza stabilita dal governo federale, possono aumentare significativamente il rischio di parto prematuro e di basso peso alla nascita.   Il nitrato, una sostanza chimica diffusa che entra nell’acqua potabile principalmente attraverso il deflusso dei fertilizzanti chimici e il letame animale proveniente dalle fattorie, è invisibile, inodore e insapore, il che fa sì che molte persone non si accorgano di assumerlo.   I ricercatori hanno analizzato più di 350.000 certificati di nascita in Iowa dal 1970 al 1988 e hanno scoperto che anche 0,1 milligrammi di nitrato per litro (mg/L), ovvero appena l’1% del livello che l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) degli Stati Uniti considera attualmente «sicuro», era collegato a rischi più elevati di nascita prematura o di bambini troppo piccoli.   La prematurità e il basso peso alla nascita sono le principali cause di morte nei neonati e nei bambini sotto i 5 anni. Aumentano inoltre il rischio di disturbi dello sviluppo come la paralisi cerebrale e le probabilità di malattie croniche come l’obesità e il diabete in età adulta.   «La posta in gioco è chiara. Nessun livello di nitrato nell’acqua potabile sembra sicuro durante la gravidanza», ha affermato Jason Semprini, professore associato di economia della salute pubblica presso la Des Moines University e autore principale dello studio, pubblicato il 25 giugno su PLOS Water.   «Per decenni, abbiamo conosciuto i meccanismi biologici che suggeriscono potenziali danni derivanti dall’esposizione ai nitrati in utero. Ora, abbiamo prove coerenti derivanti da rigorose ricerche condotte in diversi studi che dimostrano questo potenziale danno nei nati vivi».

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I limiti dell’EPA non affrontano i principali rischi per la salute durante la gravidanza

I risultati dello studio giungono mentre l’Iowa si trova ad affrontare una crisi idrica senza precedenti a causa della contaminazione da nitrati.   Contribuiscono inoltre alle crescenti preoccupazioni circa gli effetti sulla salute dell’inquinamento agricolo causato dall’industria, nelle regioni rurali e agricole di stati come Kansas, Nebraska, Minnesota, California e Pennsylvania, e persino in grandi città come Los Angeles e Chicago.   L’EPA ha fissato il limite attuale per i nitrati nell’acqua potabile a 10 mg/L, ovvero 10 parti per milione, per prevenire la metaemoglobinemia o «sindrome del bambino blu», una malattia del sangue potenzialmente fatale che priva il corpo di ossigeno.   Semprini e altri sostengono che lo standard, stabilito nel 1992, non rispecchia la scienza attuale e non tiene conto degli esiti delle nascite e di altri potenziali rischi per la salute.   Sebbene la tanto attesa valutazione dell’EPA sia ancora in stallo, il nitrato è stato collegato al cancro del colon-retto , alle malattie della tiroide e a gravi difetti congeniti del cervello e del midollo spinale.   L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro classifica i nitrati presenti negli alimenti e nell’acqua come «probabilmente cancerogeni» per l’uomo, mentre un rapporto pubblicato l’anno scorso suggerisce che il rischio di morte è più alto del 73% rispetto all’acqua priva di nitrati, anche a bassi livelli.   L’Iowa, dove è stato condotto il nuovo studio, presenta alcune delle più alte concentrazioni di nitrati nelle falde acquifere degli Stati Uniti, come dimostra lo studio. È inoltre al secondo posto a livello nazionale per nuove diagnosi di cancro.

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L’esposizione precoce alla gravidanza è considerata la più dannosa

Per stimare l’esposizione ai nitrati, Semprini ha confrontato i dati relativi all’acqua potabile con i dati relativi alle nascite entro 30 giorni dal concepimento, periodo in cui il feto è particolarmente vulnerabile. Ha inoltre testato l’esposizione oltre 90 giorni prima del concepimento e non ha riscontrato alcun collegamento con esiti negativi, suggerendo che l’esposizione precoce alla gravidanza è ciò che conta di più.   Lo studio ha rilevato che i livelli di nitrati nell’acqua potabile pubblica dello Stato sono aumentati dell’8% ogni anno durante il periodo di studio, attestandosi in media a 4,2 mg/L per tutte le nascite.   Oltre l’80% dei neonati studiati è stato esposto a una certa quantità di nitrati e 1 su 10 è stato esposto a livelli superiori al limite federale. Complessivamente, il 5% è nato sottopeso e il 7,5% è nato pretermine.   I risultati principali includono:
  • L’esposizione a più di 0,1 mg/L di nitrato è stata associata a un aumento dello 0,66% del rischio di parto pretermine, ovvero un aumento del 9% rispetto alla media.
 
  • L’esposizione a più di 5 mg/L è stata associata a un aumento dello 0,33% del rischio di basso peso alla nascita (inferiore a 5,8 libbre, ovvero 2.500 grammi).
 
  • Anche le gravidanze esposte a bassi livelli di nitrati erano leggermente più brevi, in media di circa 0,25-0,5 giorni.
 
  • Esposizioni più elevate al di sopra del limite EPA non hanno mostrato effetti più marcati, il che suggerisce che la soglia attuale potrebbe non essere sufficientemente protettiva.
  Lo studio invita l’agenzia ad agire e sollecita l’aggiornamento del limite federale per i nitrati. Raccomanda inoltre agli stati di adottare una supervisione più rigorosa, che includa test frequenti, rendicontazioni pubbliche trasparenti e politiche volte a ridurre il deflusso di nitrati attraverso la riforma agricola.   «Non si tratta solo di normative ambientali, ma anche della salute dei bambini e delle madri», ha affermato Semprini. «Se non aggiorniamo i nostri standard per adeguarli alla scienza attuale, potremmo danneggiare silenziosamente migliaia di gravidanze ogni anno».   Pamela Ferdinand  
Pamela Ferdinand è una giornalista pluripremiata ed ex borsista del Massachusetts Institute of Technology Knight Science Journalism, che si occupa dei determinanti commerciali della salute pubblica.

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