Sorveglianza
Il green pass preparato prima del COVID. Per la tirannia digitale UE

Il green pass era stato preparato prima del COVID, della pandemia, del green pass.
Proprio così, il green pass c’era ancora prima che ci fosse il green pass. Il green pass precede Wuhan e il mondo pandemico.
I giornalisti de La Verità Claudio Antonelli e Giulia Aranguena hanno pubblicato un altro articolo di capitale importanza che scandaglia la questione dell’app verde, i suoi database, i suoi impieghi futuri – e l’oceano di politica e burocrazia europea (sempre opaca, melmosa) che ne hanno visto la nascita. E ben prima che la gente cominciasse a tossire in Cina.
Il green pass sta «consentendo per la prima volta nella storia italiana ed europea di formare una base dati utente (trasformare i cittadini in account digitali) lungo un’autostrada che si basa sugli algoritmi della blockchain».
Non si tratta di analisi o ipotesi: sono fatti. Il circuito elettronico del green pass è stato creato prima del COVID-19 per gli stessi scopi per cui sarà impiegato ora – scopi che ci viene detto sono stati suscitati dalla pandemia.
Invece, l’impressione è che la digitalizzazione della cittadinanza europea – cioè l’installazione di una piattaforma di controllo dell’individuo con dematerializzazioni di tante attività – fosse preordinata.
Il green pass, scrivono i due reporter, sta «consentendo per la prima volta nella storia italiana ed europea di formare una base dati utente (trasformare i cittadini in account digitali) lungo un’autostrada che si basa sugli algoritmi della blockchain».
Come abbiamo sottolineato varie volte, il primo grande step che sarà permesso dal processo digitalizzazione di cui il green pass è il kickstarter, sarù il cosiddetto «euro digitale». Una moneta interamente elettronica gestita nei portafogli virtuali dei cittadini su database del superstato Europeo.
Quella del green pass è «la stessa tecnologia che servirà a introdurre l’euro digitale o sviluppare funzioni di pagamento e tracciabilità online
Quella del green pass, infatti, è «la stessa tecnologia che servirà a introdurre l’euro digitale o sviluppare funzioni di pagamento e tracciabilità online. Infatti, in quanto tale, il green pass è proprio il fattore decisivo per l’accelerazione della digitalizzazione intensiva decisa dalle politiche di Bruxelles già prima della dichiarazione della pandemia da parte dell’OMSnel marzo del 2020».
La strategia emergerebbe da un documento strategico intitolato cioè Plasmare il futuro digitale dell’Europa del 19 febbraio 2020. Il testo di avvale di uno studio uscito poi nel secondo semestre 2020, Shaping the digital transformation, redatto da McKinsey Global Institute, un ente che studia le tendenze economiche globali ed è stato fondato nel 1990 ed è ovvia emanazione di McKinsey, multinazionale della consulenza coinvolta in vari scandali, da Enron alle persecuzioni dei dissidenti sauditi, etc. È un uomo di McKinsey l’attuale segretario dei Trasporti USA, il bizzarro Pete Buttigieg, omosessuale affitatore di uteri figlio del traduttore americano di Gramsci: dopo essere stato nella grande azienda divenne ufficiale per l’Intelligence della marina USA, tornando in Afghanistan dove era in realtà già stato a lavorare per il colosso miliardario.
Torniamo al documento. In Plasmare il futuro digitale dell’Europa – ribadiamo, uscito prima del pipistrello cinese – «si possono trovare le radici stesse dell’attuale green pass».
«L’UE già a febbraio 2020 prevedeva il ricorso a una vera “identità elettronica (eID) pubblica universalmente accettata”, poggiata su un robusto sistema infrastrutturale, sviluppata secondo un chiaro principio di interoperabilità degli standard informatici dei dati e rafforzata dall’estensione, al di fuori dai servizi finanziari, di quei presidi tipici del mondo finanziario della cosiddetta Psd2 (o Direttiva sui Pagamenti), come i fattori di autenticazione».
«L’UE già a febbraio 2020 prevedeva il ricorso a una vera “identità elettronica (eID) pubblica universalmente accettata”, poggiata su un robusto sistema infrastrutturale, sviluppata secondo un chiaro principio di interoperabilità degli standard informatici dei dati»
«Essa rappresenta il pilastro di tutta una serie azioni ritenute necessarie per guidare la “transizione verso un pianeta in salute e un nuovo mondo digitale”» scrive La Verità. Insomma, un piano per computerizzare il mondo, a partire da un sistema di ID elettronico che sia «pubblico universalmente accettato», e sottolineiamo soprattutto «universalmente accettato».
Nel documento UE viene dichiarato che bisogna migliorare le «competenze digitali dei cittadini», lavorare per un «aumento della connettività», addirittura garantire «la sovranità tecnologica europea attraverso un’espressa politica di controllo dei dati», che detto da quelli che trattano con Google, Facebook, Amazon, Apple e pure Huawei e soci fa un po’ ridere – specie se pensiamo alla verde Irlanda. (verde come certi dollari americani)
Ad ogni modo, nel documento programmatico UE si dice anche che verranno intraprese di azioni per:
1) «Migliorare il processo decisionale pubblico e privato» – qui il significato ci sfugge. Significa che la UE vuole stabilire come i privati devono prendere le decisioni? Magari, con che tecnologia? E il processo decisionale pubblico, deve essere stabilito parimenti dalla UE? Parlano delle elezioni…?
Il cittadino diviene utente. Il governo diviene «piattaforma». Questa è la digitalizzazione finale. La democrazia diviene computer. Le leggi, la Costituzione sostituite dal «codice». E, se avete visto il film Elysium, potete immaginare la conseguenza: chi controlla il sistema operativo controlla il Paese, controlla la realtà.
2) «Evitare «tentativi di manipolazione dello spazio dell’informazione» – stanno, per caso, parlando di purga delle fake news? Hacker russi? Troll farm in Macedonia? Renovatio 21 chiusa definitamente?
3) «Supportare il green deal «monitorando dove e quando c’è maggiore domanda di energia elettrica» – qui si innesta il discorso del green deal europeo, sul quale stiamo pubblicando tanti articoli. Per fare una sintesi, vi basta guardare quanti fiumi di inchiostro, e incontri politici di altissimo livello, siano dati alla creatura artificiale Greta Thunberg: stringendo ulteriormente, vi garantiamo che il prossimo lockdown, ora che abbiamo dato il nostro assenso su quello pandemico, sarà un lockdown «climatico».
4) «Modernizzare la struttura economica e finanziaria, e avere uno “spazio europeo dei dati sanitari”» – cioè, ci par di capire, di creare un grande database dei dati biologici e al contempo velocizzare l’infrastruttura delle transazioni, rendendo ancora più fluido, veloce, trasparente il circuito del danaro.
«Il nocciolo della questione sta nella potenzialità dirompente della trasformazione dell’identità personale in identità pubblica digitale»
Ma non solo. La UE si pone vari piani di azione, come per esempio «”per la democrazia europea volto a migliorare la resilienza dei nostri sistemi democratici”, sostenere il pluralismo dei media, affrontare le minacce di interventi esterni nelle elezioni europee applicando il voto elettronico».
Resilienza dei sistemi democratici, voto elettronico, pluralismo dei media… sì, Bruxelles vuole dirci come votare. Vuole mettere le mani, elettronicamente, sulla democrazia.
E così la Commissione ha preparato il piano digitale del prossimo decennio – chiamato «2030 digital compass» – che riformerà le norme sull’identificazione elettronica, che il contesto europeo si chiama eIDAS.
L’eIDAS «sarà il perno principale di azioni di massiccia informatizzazione che andranno fatte a tutti i livelli, specie nei servizi pubblici, tutti da digitalizzare».
«Si sta introducendo quindi «la riduzione dei cittadini a meri utilizzatori di servizi pubblici o privati erogati, con i medesimi meccanismi del Web service, da piattaforme nazionali a stretto controllo pubblico su cui, con il modello del Governament as platform»
Ma non è finita: «il parallelo con il green pass si scopre anche nelle caratteristiche del nuovo sistema di identità elettronica eIDAS, incentrato sulla creazione di portafogli europei di identità digitale, cioè certificazioni di credenziali personali da conservare su wallet dotati di firme crittografiche sotto forma di QR Code – in grado di collegare le identità digitali nazionali degli utilizzatori con la prova di altri attributi personali (per esempio il conto bancario, titoli di studio), a consentirne la perfetta sovrapponibilità con la sostanza informatica e giuridica del green pass».
Antonelli e Aranguena indicano che uno dei problemi (probabilmente, il motivo per cui nessuno si è accorto di nulla) è la volontaria ostinazione a tenere basso il livello della discussione pubblica. «Il nocciolo della questione sta nella potenzialità dirompente della trasformazione dell’identità personale in identità pubblica digitale».
Si sta introducendo quindi «la riduzione dei cittadini a meri utilizzatori di servizi pubblici o privati erogati, con i medesimi meccanismi del Web service, da piattaforme nazionali a stretto controllo pubblico su cui, con il modello del Governament as platform, per alcuni settori ritenuti strategici, vi potrà essere una condivisione di dati sanitari e relativa identificazione personale anche per altre “forme di impiego” (trasporto, servizi finanziari, istruzione)».
Grazie a virus, vaccini e tamponi, la piattaforma della tirannide elettronica corre sui nostri telefonini.
Il cittadino diviene utente (e per questo da tempo vi ripetiamo che Facebook è un anteprima della società distopica che ci aspetta).
Il governo diviene «piattaforma». Questa è la digitalizzazione finale. La democrazia diviene computer. Le leggi, la Costituzione sostituite dal «codice». E, se avete visto il film Elysium, potete immaginare la conseguenza: chi controlla il sistema operativo controlla il Paese, controlla la realtà.
L’incubo digitale del green pass non riguarda il COVID, ma un piano ben precedente. La pandemia ha solo accelerato i tempi. La cosa giusta al momento giusto, per il Grande Reset della democrazia, l’installazione della tecnocrazia totalitaria più spaventosa mai vista.
Grazie a virus, vaccini e tamponi, la piattaforma della tirannide elettronica corre sui nostri telefonini.
Roberto Dal Bosco
Intelligenza Artificiale
Apple Siri accusata di intercettare gli utenti: indagine penale in Francia

La procura francese ha avviato un’indagine penale contro Apple per le accuse secondo cui il suo assistente vocale Siri avrebbe raccolto e analizzato registrazioni degli utenti senza il loro consenso. L’inchiesta è stata assegnata all’agenzia francese per la criminalità informatica, come comunicato dalla procura di Parigi e riportato dal sito Politico e dall’agenzia Reuters.
L’indagine è scaturita da una denuncia presentata a febbraio da un’ONG francese, basata sulla testimonianza della «gola profonda» Thomas Le Bonniec, ex dipendente di un subappaltatore di Apple, che ha dichiarato di aver ascoltato migliaia di registrazioni di Siri nel 2019 durante un’attività di controllo qualità.
Le Bonniec avrebbe lavorato per Globe Technical Services in Irlanda, dove revisionava e annotava clip audio per migliorare l’accuratezza di Siri. Ha riferito a Politico che il materiale rivelava a volte «momenti intimi e informazioni riservate», che potevano consentire l’identificazione degli utenti.
L’informatore ha accolto con favore l’indagine, affermando che dovrebbe permettere di «rispondere a domande urgenti», come il numero di registrazioni effettuate dal lancio di Siri e il luogo in cui i dati sono archiviati.
Un portavoce di Apple in Francia ha dichiarato a Politico che l’azienda «non ha mai utilizzato i dati di Siri per creare profili di marketing, non li ha mai resi disponibili per scopi pubblicitari e non li ha mai venduti a nessuno per nessun motivo».
Apple ha inoltre comunicato a Reuters di aver rafforzato le misure sulla privacy di Siri dal 2019, con ulteriori miglioramenti effettuati quest’anno. L’azienda ha precisato che le conversazioni con Siri «non sono mai state condivise con i marketer né vendute agli inserzionisti».
A gennaio, Apple ha anche sottolineato che non avrebbe conservato «registrazioni audio delle interazioni con Siri, a meno che l’utente non acconsenta esplicitamente».
Come riportato da Renovatio 21, negli Stati Uniti, Apple ha affrontato una class action simile, in cui Siri è stato accusato di aver registrato involontariamente conversazioni private, poi esaminate da appaltatori terzi per il controllo qualità.
All’inizio di quest’anno, l’azienda ha raggiunto un accordo da 95 milioni di dollari, approvato da un giudice federale il mese scorso. L’accordo prevede risarcimenti fino a 20 dollari per dispositivo con Siri abilitato per gli utenti che hanno posseduto prodotti Apple tra il 2014 e il 2024. Inoltre, Apple è stata obbligata a eliminare le vecchie registrazioni di Siri entro sei mesi.
Come riportato da Renovatio 21, ad inizio anno era emerso che il governo britannico aveva una technical capability notice («avviso di capacità tecnica») ad Apple, costringendo l’azienda a creare una backdoor per il suo servizio iCloud criptato. Tale manovra consentirebbe alle forze dell’ordine e alle agenzie di sicurezza britanniche di accedere ai dati criptati archiviati dagli utenti Apple in tutto il mondo, secondo il giornale.
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Immagine di Kārlis Dambrāns via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
Sorveglianza
Perfino le aziende legate alla CIA Palantir e Signal lamentano la spinta alla sorveglianza nell’UE

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Sanità
«Momento spartiacque»: Kennedy rifiuta gli obiettivi sanitari delle Nazioni Unite che «ignorano» l’aumento globale delle malattie croniche

Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Gli Stati Uniti hanno respinto la dichiarazione delle Nazioni Unite sulle malattie non trasmissibili, sostenendo che i suoi obiettivi sono deboli e insufficienti. In un discorso tenuto la scorsa settimana all’ONU, il Segretario alla Salute statunitense Robert F. Kennedy Jr. ha avvertito che la dichiarazione ignora il ruolo degli alimenti ultra-processati nell’aumento globale delle malattie croniche e lascia l’industria franca.
La scorsa settimana gli Stati Uniti hanno respinto la dichiarazione politica delle Nazioni Unite (ONU) sulle malattie non trasmissibili, una proposta che non è sufficientemente efficace nel contrastare il «flagello» delle malattie croniche, ha dichiarato giovedì il Segretario alla Salute degli Stati Uniti Robert F. Kennedy Jr. all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
La dichiarazione non vincolante stabilisce «obiettivi specifici ma modesti per la riduzione delle malattie croniche entro il 2030», ha riportato The Hill.
Gli obiettivi includono la riduzione del consumo di tabacco e del numero di persone affette da ipertensione di 150 milioni a livello globale entro il 2030, l’aumento del numero di persone con accesso all’assistenza sanitaria mentale dello stesso numero e la risposta all’aumento globale di malattie non trasmissibili come cancro, diabete e malattie cardiache.
Kennedy ha definito gli obiettivi insufficienti perché ignorano il contributo degli alimenti ultraprocessati all’aumento globale delle malattie croniche.
«Le malattie croniche sono più che raddoppiate in una sola generazione», ha affermato Kennedy. «Milioni di bambini ora perdono anni di salute prima di raggiungere l’età adulta”, ha aggiunto Kennedy. “Questa crisi non si ferma ai confini dell’America».
The United States will walk away from the Declaration on Non-Communicable Diseases, but we will never walk away from the world—or our commitment to end chronic disease. pic.twitter.com/bxQbfzMbrb
— Secretary Kennedy (@SecKennedy) September 26, 2025
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Kennedy ha affermato che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump «vuole guidare lo sforzo globale contro gli alimenti ultra-processati e le malattie mediche e fisiche a essi associate».
«Chiediamo alla comunità internazionale di unirsi per combattere questo flagello. Siamo pronti a guidare, collaborare e innovare con ogni nazione impegnata per un futuro più sano», ha affermato Kennedy.
Sayer Ji, presidente del Global Wellness Forum e fondatore di GreenMedInfo, ha applaudito la decisione di Kennedy di respingere la dichiarazione, che ha definito un «momento spartiacque nella difesa della sovranità e della verità».
«Questa è stata la mossa giusta, anzi, l’unica che potesse onorare sia la Costituzione che la salute dei cittadini. La dichiarazione è un cavallo di Troia. Non nomina mai i veri colpevoli della crisi globale delle malattie croniche: i cartelli degli alimenti ultra-processati, le industrie chimiche tossiche e le pratiche aziendali predatorie» ha aggiunto.
Kennedy non ha semplicemente respinto una dichiarazione. Ha tracciato un confine di cui il mondo ha disperatamente bisogno: l’ONU può consigliare, ma non dettare. Può coordinare, ma non può costringere. Questa distinzione è la sottile linea tra democrazia e tecnocrazia. Il fatto che un funzionario americano abbia finalmente avuto il coraggio di dirlo – in modo chiaro, inequivocabile, sulla scena mondiale – segna l’inizio di un nuovo capitolo.
Prendere di mira gli alimenti ultra-processati è uno degli elementi chiave del programma Make America Healthy Again (MAHA) di Kennedy, che mira a invertire l’epidemia di malattie croniche.
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La dichiarazione porterebbe a una «gestione oppressiva» da parte degli organismi internazionali
Kennedy ha affermato che, invece di concentrarsi sui rischi che gli alimenti ultra-processati pongono alla salute umana, la dichiarazione delle Nazioni Unite conteneva «disposizioni su tutto, dalle tasse alla gestione oppressiva», ha riportato The Hill.
Secondo Kennedy, queste disposizioni, se promulgate, limiterebbero la sovranità nazionale, dando luogo a una «gestione oppressiva da parte degli organismi internazionali» delle questioni di salute pubblica globale.
Kennedy ha messo in discussione il ruolo delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – un’agenzia delle Nazioni Unite – nella leadership sanitaria globale. «La bozza di dichiarazione non avrebbe dovuto essere inclusa nell’ordine del giorno di oggi».
«L’approccio delle Nazioni Unite è mal indirizzato. Tenta di fare sia troppo poco che troppo. Va oltre il ruolo che spetta alle Nazioni Unite, ignorando i problemi sanitari più urgenti. Ed è per questo che gli Stati Uniti lo respingeranno. L’OMS non potrà rivendicare credibilità o leadership finché non subirà una riforma radicale» ha aggiunto.
Gli Stati Uniti avevano già criticato la dichiarazione proposta. In un promemoria del 18 settembre, la Missione statunitense presso le Nazioni Unite ha affermato che la bozza di dichiarazione «non è stata concordata in anticipo per consenso» e pertanto «non dovrebbe essere sottoposta all’approvazione della riunione ad alto livello».
L’avvocato olandese Meike Terhorst, attiva su questioni di salute e sovranità medica, ha affermato: «la salute dovrebbe essere affrontata a livello nazionale, non a livello di ONU o OMS», ha affermato Terhorst. «Mi oppongo all’acquisizione di maggiori diritti da parte di organismi indipendenti basati su trattati come ONU e OMS, senza alcun sistema di controlli e contrappesi».
Shabnam Palesa Mohamed, direttore esecutivo di Children’s Health Defense Africa e fondatore di Transformative Health Justice, ha sottolineato la necessità di contestare gli sforzi delle Nazioni Unite per ampliare la propria autorità.
«È importante mettere in discussione l’estensione dell’attenzione delle Nazioni Unite oltre il suo mandato ufficiale», ha affermato. «L’allargamento delle missioni, senza la conoscenza e il consenso dell’opinione pubblica, rappresenta una minaccia per la salute, la sovranità nazionale e la cooperazione internazionale».
Secondo la National Public Radio (NPR), Kennedy non fu il solo a mettere in discussione le proposte della dichiarazione.
«Alcuni paesi e sostenitori hanno espresso preoccupazioni riguardo al testo, come il fatto che il documento non tratti delle bevande zuccherate nonostante il ruolo che svolgono nell’aumento dei tassi di obesità infantile», ha riferito NPR.
«La posizione di Kennedy ha aperto la porta ad altri», ha detto Ji. «Molte nazioni, soprattutto nel Sud del mondo, sanno in prima persona quanto queste istituzioni le abbiano deluse. Forse non lo diranno ancora apertamente, ma trarranno conforto dal fatto che l’America abbia tracciato una linea rossa».
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La dichiarazione darebbe il via a «infrastrutture per una biosorveglianza completa»
Scrivendo su Substack, Ji ha affermato che la dichiarazione conteneva diversi «meccanismi progettati per trasferire l’autorità dalle nazioni alle istituzioni globali».
Sarebbe necessario lo sviluppo di quella che Ji ha descritto come una «infrastruttura di sorveglianza digitale». Ha affermato che i paragrafi 61 e 73-74 della dichiarazione propongono una «sorveglianza integrata» con «interoperabilità tra piattaforme sanitarie digitali».
Questa proposta creerebbe «un’infrastruttura per una biosorveglianza completa», ha scritto Ji.
La dichiarazione chiede inoltre ai paesi di «introdurre o aumentare le tasse», anche su prodotti come tabacco e alcol, cosa che Ji ha descritto come una rinuncia alla sovranità fiscale nazionale.
L’appello della dichiarazione a un approccio che coinvolga «l’intera società» minerebbe ulteriormente la sovranità nazionale, creando strutture di «governance parallela» in cui organizzazioni non governative, aziende e altre organizzazioni internazionali «plasmano la politica nazionale senza mandato democratico, aggirando la responsabilità dei cittadini», ha scritto Ji.
Secondo Ji, Kennedy non ha avuto altra scelta che rifiutare la dichiarazione.
«Le implicazioni vanno ben oltre la politica sanitaria. La posizione di Kennedy segnala che l’America non subordinerà più la sua Costituzione, i suoi processi democratici o i diritti dei suoi cittadini a organismi internazionali non eletti, indipendentemente dal linguaggio umanitario utilizzato per giustificare tale subordinazione» ha scritto.
La dichiarazione “introduce di nascosto mandati di sorveglianza generalizzata, controlli fiscali e schemi di ingegneria comportamentale che concentrano il potere in mani non elette, fingendo di ‘salvare vite'”, ha detto Ji a The Defender.
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Il rifiuto della dichiarazione da parte degli Stati Uniti impone il voto all’Assemblea generale
Il rifiuto della dichiarazione proposta da parte degli Stati Uniti significa che, invece di essere approvata per consenso, ovvero senza votazione, la proposta dovrà essere sottoposta a votazione dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Secondo Health Policy Watch, questa votazione si terrà «molto probabilmente» il mese prossimo. Il Guardian ha riportato che la dichiarazione dovrebbe essere concordata «nelle prossime settimane», nonostante il rifiuto degli Stati Uniti.
In alcune dichiarazioni citate da NPR, la presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite Annalena Baerbock, che ha ricoperto la carica di ministro degli Esteri della Germania come membro del Partito Verde tra il 2021 e il 2025, ha affermato che «gli altri governi andranno avanti, agiranno e porteranno avanti il loro impegno».
«C’è la determinazione di non lasciare che questo ostacoli l’azione urgentemente necessaria», ha affermato Baerbock.
Health Policy Watch ha riferito che la dichiarazione, che è stata «negoziata con grande impegno», ha il sostegno della maggior parte degli stati membri delle Nazioni Unite, comprese coalizioni chiave come il Gruppo dei 77, che comprende la Cina e comprende 130 economie emergenti.
Jeremy Farrar, Ph.D., vicedirettore generale dell’OMS, ha affermato che la dichiarazione ha ancora slancio tra gli Stati membri delle Nazioni Unite. Ha dichiarato a Health Policy Watch:
«Anche se dobbiamo dire che nessuno è contento, tutti stanno andando avanti. E in definitiva, a qualcuno a Ho Chi Minh City, a Giacarta o a Londra importa davvero cosa c’è in quella dichiarazione? Ciò che conta è ciò che i governi ora tornano a fare nella propria giurisdizione, ed è questo che conta davvero».
Farrar ha già avuto un ruolo nello sviluppo di politiche chiave durante la pandemia di COVID-19, tra cui la vaccinazione di massa.
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L’opinione pubblica riconosce i «pericoli della cessione della sovranità alle istituzioni catturate»
Gli Stati membri dell’ONU si trovano ora di fronte a una «scelta binaria» tra accettare la dichiarazione e rinunciare alla propria sovranità nazionale oppure unirsi agli Stati Uniti nel rifiutare la dichiarazione, ha scritto Ji.
Rifiutando la dichiarazione, i paesi «manterrebbero la sovranità nazionale, affronterebbero le cause profonde (cibo ultra-processato), rifiuterebbero la cattura delle multinazionali, chiederebbero una riforma dell’OMS e darebbero priorità alla salute rispetto alla burocrazia», ha scritto Ji.
La decisione di respingere la dichiarazione arriva solo pochi mesi dopo altre decisioni dell’amministrazione Trump che mettono in discussione il ruolo delle Nazioni Unite e dell’OMS nella governance sanitaria globale.
A gennaio, Trump ha ordinato agli Stati Uniti di ritirarsi dall’OMS, citando la «cattiva gestione della pandemia di COVID-19» da parte dell’organizzazione. Il processo di ritiro sarà completato l’anno prossimo.
A luglio, gli Stati Uniti hanno respinto gli emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale (RSI) dell’OMS. Kennedy affermò all’epoca che gli emendamenti avrebbero conferito un’autorità senza precedenti a «un’organizzazione internazionale non eletta che potrebbe ordinare lockdown, restrizioni di viaggio o qualsiasi altra misura che riterrà opportuna».
Per quanto riguarda la proposta delle Nazioni Unite, Ji ha affermato: «Questo documento rispecchia lo stesso schema di erosione della sovranità che abbiamo visto con gli emendamenti al RSI dell’OMS e il trattato sulla pandemia: burocrati e i loro partner aziendali che costruiscono il consenso, per poi imporre quadri di conformità alle nazioni senza mandato democratico».
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A giugno, il governo degli Stati Uniti ha ritirato i finanziamenti a GAVI, The Vaccine Alliance, la principale organizzazione globale per la promozione delle vaccinazioni. La Fondazione Bill & Melinda Gates ha co-fondato GAVI nel 2000 ed è uno dei membri permanenti del suo consiglio di amministrazione e il suo maggiore donatore. GAVI è il terzo maggiore donatore dell’OMS.
L’UNICEF, la Banca Mondiale e l’OMS – il cui secondo maggiore donatore è la Fondazione Gates – detengono gli altri seggi permanenti. Anche la Clinton Health Access Initiative fa parte del consiglio di amministrazione.
Mohamed ha detto:
«Questo ecosistema di dichiarazioni, emendamenti e accordi funge da sofisticata distrazione. Crea l’illusione di progresso, consentendo al contempo alle aziende che hanno dominato l’ultima pandemia, come i progetti guidati e finanziati da Gates, di preservare l’architettura che consentirà loro di dominare altre presunte emergenze».
Secondo Ji, la decisione di respingere gli sforzi globali di sanità pubblica guidati dalle Nazioni Unite gode di un ampio sostegno pubblico negli Stati Uniti. Ha affermato:
«Solo sulla piattaforma di advocacy digitale di Stand For Health Freedom, mezzo milione di attivisti americani hanno già preso iniziative nell’ultimo anno per chiedere agli Stati Uniti di uscire dall’OMS proprio per queste ragioni: la gente ha riconosciuto i pericoli di cedere la sovranità a istituzioni sottomesse».
Michael Nevradakis
Ph.D.
© 29 settembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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