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Il conflitto ucraino divide la Chiesa Ortodossa

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La situazione venutasi a verificare in seguito al recente avvio di un’operazione militare speciale volta a demilitarizzare e denazificare l’Ucraina da parte del presidente russo Vladimir Putin è stata latrice di pesanti conseguenze in tutto l’orbe, tanto che oggi si minaccia apertamente lo spettro di una nuova guerra mondiale; la Chiesa Ortodossa, prevalente nei territori interessati dalle operazioni belliche, non è stata esente da questi esiti, che ora rischiano di spaccarla ulteriormente.

 

Allo scoppio della guerra, quasi tutti i primati delle varie Chiese Ortodosse hanno mandato un messaggio ai loro fedeli.

 

Particolarmente duri quello del Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, del Patriarca Teodoro di Alessandria e dell’Arcivescovo Geronimo di Atene, i quali hanno condannato l’azione russa e invocato il fermo immediato delle operazioni. Ciò non stupisce, dal momento che questi tre gerarchi stanno da ormai tre anni conducendo una guerra aperta contro il Patriarcato di Mosca – e dunque contro la Russia – sfruttando uno scisma proprio in Ucraina .

 

Più moderato, ma comunque diretto, il messaggio del Metropolita Tikhon di Washington, che ha chiesto a Putin di sospendere le operazioni per evitare ulteriori vittime innocenti.

 

Più generici gli appelli del Patriarca Neofito di Sofia, del Metropolita Sabba di Varsavia e del Metropolita Rostislav di Prešov (Slovacchia), i quali hanno richiesto al loro gregge di pregare per il popolo ucraino senza entrare nel merito degli attori delle operazioni.

 

Similmente richieste di preghiere sono giunte dai Patriarchi Teofilo di Gerusalemme e Giovanni di Antiochia.

 

Di tutt’altro tenore gl’interventi dei vescovi della ROCOR (Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia, spesso indicata come «Chiesa russa tradizionalista», che cura molte parrocchie di tradizione slava fuori dai territori dell’ex URSS): il Metropolita Marco di Berlino e il Vescovo Ireneo di Londra, in un comunicato congiunto, hanno denunciato l’inaffidabilità dei mezzi di comunicazione occidentali sulla questione ucraina, invitando comunque a pregare per la situazione difficile.

 

Similmente il Metropolita Ilarione di Nuova York ha chiesto ai propri fedeli di non badare alla propaganda americana, e concentrarsi sulla preghiera.

 

Il nodo cruciale, tuttavia, è la posizione della Chiesa Russa. Subito dopo l’inizio del conflitto, il metropolita Onofrio di Kiev e di tutta l’Ucraina (Patriarcato di Mosca) ha rilasciato un videomessaggio – significativamente in lingua ucraina e non in russo – in cui accusava l’aggressione russa come un grave peccato, e si dichiarava al fianco dei suoi fedeli che in quel momento si trovavano a subire l’attacco.

 

In questo senso, inaspettatamente, la Chiesa Ortodossa Ucraina si è schierata insieme alle altre due compagini religiose del Paese, la «Chiesa Ortodossa dell’Ucraina», soggetto autoproclamato ortodosso sostenuto dall’ex presidente Poroshenko, e la Chiesa greco-cattolica ucraina: queste ultime due, però, a differenza della COU, non erano nuove a posizioni apertamente ultranazionaliste, banderiste e antirusse.

 

Il Patriarca Cirillo di Mosca ha atteso, e dopo qualche giorno ha fatto uscire un breve comunicato, in cui invitava a pregare perché si evitino vittime civili, senza approfondire le tematiche del conflitto, ma insistendo per mantenere l’unità della Rus’ (Russia, Ucraina, Bielorussia).

 

Simili messaggi sono stati inviati da altri primati di chiese autonome rispondenti al Patriarcato di Mosca, come la Moldavia e la Bielorussia. Durante la predica domenicale nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, tuttavia, il Patriarca è stato ben più esplicito: «Dio non voglia che l’attuale situazione politica nella fraterna Ucraina, miri a far prevalere le forze del male che hanno sempre combattuto contro l’unità della Russia e della Chiesa russa».

 

Con queste parole, ha di fatto richiamato l’espressione «Impero del male» utilizzata da Putin per descrivere l’Occidente; ma secondo alcuni analisti (anche di parte contraria), gli attacchi del Patriarca sarebbero stati ancora più profondi, diretti contro i poteri che controllano l’Occidente.

 

Queste dichiarazioni non sono piaciute a molti preti, fedeli e vescovi della Chiesa Ortodossa Ucraina.

 

I vescovi hanno firmato un appello congiunto per chiedere a Zelenskij, a Putin e a Cirillo di fare il possibile per fermare la guerra.

 

Un altro appello, però, firmato da oltre 230 sacerdoti e diaconi della Chiesa Russa (principalmente ucraini) e rilanciato dai media vaticani, avrebbe chiesto apertamente al Patriarca Cirillo di condannare la guerra fratricida e di attivarsi per fermarla.

 

Nessun vescovo ha sottoscritto questo appello, però nel pomeriggio di martedì il metropolita Eulogio di Sumy (Ucraina)  ha benedetto i sacerdoti della propria diocesi a cessare la commemorazione liturgica del Patriarca Cirillo durante i sacri uffici.

 

Alla decisione si sono uniti i vescovi di Mukachevo, Rivna, Volodimir-Volyn, Zhitomir, Khmelnitskij, Lvov e Volin; i sacerdoti della diocesi di Vinnitsa hanno chiesto di poter fare lo stesso, ma il loro vescovo non ha risposto.

 

 

L’interruzione della commemorazione liturgica (in questo caso, di una delle tre che tutti i sacerdoti ucraini debbono fare, pregando essi a ogni liturgia per il Patriarca di Mosca, per il Metropolita di Kiev e per il vescovo locale) è una prassi consentita dal diritto canonico ortodosso come forma di protesta e richiamo contro vescovi che violano i sacri canoni o professano affermazioni eretiche (in Grecia e Romania, per esempio, molti chierici hanno interrotto la commemorazione dei  propri vescovi in seguito alla partecipazione di questi ultimi al Sinodo di Creta del 2016, considerato ecumenista; recentemente, due preti ortodossi italiani dell’Esarcato dell’Emigrazione Russa di Parigi hanno interrotto la commemorazione dell’Arcivescovo Giovanni di Dubna per alcune sue azioni anticanoniche nei confronti di preti sanzionati da un’altra chiesa locale e da lui accolti, questione di recente risolta: nel caso di Cirillo però, quantunque questi vescovi possano non concordare con le sue posizioni sulla guerra, non si ravvisano violazioni di canoni né tantomeno eresie che possano indurre a una simile azione.

 

Gli stessi vescovi hanno poi rilasciato delle dichiarazioni in cui chiedevano di sollevare il tema dell’autocefalia (totale indipendenza) della Chiesa Ucraina da Mosca.

 

Anche se non tutti i vescovi ucraini sostengono queste prese di posizione (si pensi al metropolita Luca di Zaporozhe, o a Longino di Bancheni, che hanno invece invitato a non farsi prendere da emozioni e discussioni vane), la faccenda rischia di creare una seria spaccatura nella Chiesa Ortodossa Russa: uno dei maggiori argomenti propagandistici di Mosca contro la pseudo-chiesa ucraina creata da Bartolomeo nel 2018 era che il popolo ucraino non voleva l’autocefalia, ma restare sotto Mosca.

 

Questi nuovi fatti rischiano di indebolire il Patriarcato, mettendo in dubbio la sua autorità su una delle regioni con più fedeli della sua giurisdizione, e compromettendo anche la decisa azione che Mosca sta compiendo da mesi per contrastare le azioni dei vescovi greci, caduti nello scisma, e implementare la presenza della Chiesa Russa nel mondo, particolarmente in Africa (dove circa metà del clero del Patriarcato di Alessandria è passato al nuovo Esarcato d’Africa della Chiesa Russa, in piena e febbrile attività).

 

Sicuramente questi fatti renderanno ancor più significativo il Concilio dei Vescovi della Chiesa Russa che si terrà a Mosca probabilmente a maggio (se le condizioni lo permetteranno), che oltre alla condanna dell’eresia di Bartolomeo dovrà prendere in considerazione questo tema.

 

 

Nicolò Ghigi

 

 

Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Filippine: le sette evangeliche riscuotono un successo clamoroso

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Sebbene il cattolicesimo rimanga la religione dominante nelle Filippine, un numero crescente di filippini si sta ora rivolgendo alle comunità protestanti, appartenenti al cosiddetto movimento «evangelico». Diverse ragioni spiegano questa crescente disaffezione nei confronti della Chiesa.

 

Nell’arcipelago filippino, la Chiesa cattolica permea tutti gli aspetti della vita: le arterie urbane, le feste popolari, i dibattiti politici e perfino gli scambi quotidiani spesso rimandano alle grandi devozioni cattoliche.

 

Il cattolicesimo, vestigia della dominazione spagnola e pilastro dell’unità nazionale, era sembrato fino ad allora incrollabile: ma questo significava dimenticare che anche il colosso a volte ha i piedi d’argilla. Mentre all’inizio degli anni 2000 circa l’82,3% della popolazione si identificava come cattolico, due decenni dopo questa percentuale era scesa al 78,6%.

 

Allo stesso tempo, le comunità evangeliche hanno conosciuto una crescita spettacolare, con la loro quota aumentata dal 4,1% all’8,2% in tempi record, al punto che si può parlare senza esagerare di una vera e propria ondata evangelica che continua a generare credenti «rinati», coloro che credono, come Nicodemo, di essere nati una seconda volta grazie al loro ingresso in questo nuovo tipo di protestantesimo.

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A questo declino hanno contribuito in larga parte le carenze che hanno scosso la Chiesa cattolica locale: si potrebbe citare il posizionamento politico dei vescovi filippini che, tra il 2016 e il 2022, sono entrati in guerra contro l’allora capo dello Stato, Rodrigo Duterte, in particolare a causa dei metodi rapidi di quest’ultimo contro i narcotrafficanti.

 

L’uomo forte dell’arcipelago non ha esitato a insultare a sua volta i prelati, contribuendo così a normalizzare gli attacchi contro la gerarchia ecclesiastica. Ma si potrebbero anche menzionare sospetti di irregolarità finanziarie e altri casi di abusi che hanno offuscato la reputazione dell’istituzione.

 

Il declino del cattolicesimo nella regione – come altrove nel mondo – si spiega anche con il fenomeno della «modernità psicologica», per cui la crescente domanda di autonomia, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, si è spostata dal registro politico a quello intimo, per affermarsi anche nelle scelte spirituali e religiose.

 

In questo contesto, il credente ritiene che ora spetti a lui trovare le risorse personali che possano autenticare la propria fede ai propri occhi, piuttosto che affidarsi alle credenze prescritte dall’istituzione. Ciò porta a un cambiamento nell’adesione religiosa che mette in risalto la figura del convertito. Il credente tende a presentarsi come un «ritornante», un cristiano rinato che costruisce la propria appartenenza attraverso le proprie scelte.

 

Questa prospettiva risiede in una decisione personale. Testimoniare la propria conversione significa produrre una narrazione di sé come credente autonomo: significa introdurre l’individuo egocentrico nella mentalità cattolica. A questo si aggiunge la retorica dell’autenticità e dell’autorealizzazione, che spiega perché le sette evangeliche prediligano servizi intrisi di danze e lodi ritmiche, instillando un’atmosfera presumibilmente conviviale e immersiva.

 

In breve, è la conseguenza logica delle celebrazioni piatte e orizzontali delle animazioni liturgiche apparse sulla scia del Nuovo Ordo Missae.

 

Ma sarebbe esagerato prevedere la scomparsa del cattolicesimo o il soffocamento delle comunità locali sul suolo filippino: la fede cattolica resta viva, ma dovrà attingere più che mai in futuro alle radici della sua Tradizione per non vedersi rubare definitivamente la pretesa di vitalità e dinamismo.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Immagine di Nepespellogo via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Mons. Viganò: la chiesa sinodale è un «customer service»

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha pubblicato su X un’ulteriore condanna della chiesa sinodale auspicata prima da papa Bergoglio ed ora da papa Prevost.   «Nostro Signore, Verbo eterno del Padre, ha detto: “In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato ha vita eterna” (Gv 5, 24). Così vale per la Chiesa, Suo mistico Corpo: essa è maestra e le si deve ascolto e filiale obbedienza» scrive monsignore.   «La chiesa sinodale non proclama la Parola di Dio: ascolta il vociare confuso del mondo, “i tuoi pensieri, i tuoi dubbi, le tue domande”; perché secondo Leone “nessuno possiede la verità tutta intera”. Ed è perfettamente coerente nella sua inutilità, nel suo continuo e patetico cercare di compiacere il mondo».   «Quando cerca di sembrare à la page, il massimo che sanno proporre le sue fervide menti è allestire postazioni da “Customer Service” di una società immobiliare al posto del tradizionale confessionale» accusa Sua Eccellenza.  

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Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi mesi monsignor Viganò aveva parlato di una «chiesa sinodale» che si «spaccia per cattolica». Un anno fa Viganò, in occasione del Sinodo sulla Sinodalità, disse che «il papato cattolico non esiste più» e la «nuova chiesa sinodale» richiama «la fiaccola della ribellione di Lucifero».   Il prelato ha accusato questa «chiesa conciliare-sinodale» di essere schierata con i nemici della Chiesa cattolica. L’arcivescovo ha altresì parlato di «sinagoga di Satana, l’antichiesa conciliare e sinodale» fatta da «corrotti ministri» della «setta di traditori e rinnegati».   L’anno passato, in occasione dell’anniversario della battaglia di Lepanto, monsignor Viganò invocò la Madonna nella lotta contro il «Leviatano globalista» e i «servi della Setta Sinodale».   Come riportato da Renovatio 21, tre settimane fa Sua Eccellenza ha dichiarato che «chi aderisce al Concilio si rende responsabile della demolizione della Chiesa». Monsignor ha quindi parlato di una chiesa ridotta a simulacro con un unico dogma irrinunziabile, cioè il riconoscimento del Concilio Vaticano II.   In un messaggio di fine estate, Viganò aveva detto che il sacerdozio conciliare e la sua mediocrità fanno gioire Satana.  

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Programma del primo viaggio apostolico di Papa Leone XIV

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Questo viaggio, che porterà papa Leone XIV in Turchia e Libano, è previsto dal 27 novembre al 2 dicembre 2025. Include un pellegrinaggio a Iznik, l’attuale Nicea, per commemorare il 1700° anniversario del primo concilio ecumenico della storia.

 

La Santa Sede ha svelato il 27 ottobre il programma ufficiale del primo viaggio apostolico di papa Leone XIV in Turchia e Libano. Il programma comprenderà numerosi discorsi, incontri istituzionali, celebrazioni ecumeniche, momenti di preghiera nei siti archeologici di Nicea, una visita alla Moschea Blu di Istanbul e una sosta al porto di Beirut.

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Incontri speciali

Ankara, Istanbul, Iznik, poi Beirut, Annaya, Harissa, Bkerké accoglieranno il papa che, secondo le sue spiegazioni, si recherà nei due Paesi mediorientali per esaudire il desiderio del suo predecessore Francesco e portare un messaggio di pace in questa regione del mondo colpita da guerre e tragedie di vario genere.

 

È previsto un incontro ecumenico a Iznik, fulcro delle celebrazioni per il 1700° anniversario del Concilio di Nicea. L’incontro prevede la firma di una dichiarazione congiunta con il Patriarca di Costantinopoli a Istanbul e una visita alla Moschea Blu, che in passato ha ospitato Benedetto XVI e Francesco. In Libano, è prevista una sosta al porto di Beirut e una preghiera sulla tomba di Charbel Makhlouf nel monastero di Annaya.

 

Turchia

Dopo l’arrivo in Turchia, Papa Leone XIV visiterà il mausoleo di Atatürk, fondatore del moderno stato laico che abolì il califfato ottomano con la Costituzione del 1937, e poi il palazzo presidenziale per un incontro con il presidente Recep Tayyip Erdoğan. Si recherà quindi a Istanbul.

 

Il secondo giorno incontrerà vescovi, sacerdoti, diaconi, persone consacrate e operatori pastorali presso la Cattedrale dello Spirito Santo, quindi visiterà la Casa delle Piccole Sorelle dei Poveri, presente in Turchia da oltre 120 anni, prima di recarsi a Iznik per una celebrazione ecumenica. Ritornerà quindi a Istanbul.

 

Il giorno seguente, ha visitato la Moschea Blu, poi ha incontrato i capi delle Chiese non cattoliche. Ha poi incontrato Bartolomeo al Palazzo Patriarcale: hanno firmato una dichiarazione congiunta, prima che il Papa si recasse a celebrare la Messa alla Volkswagen Arena.

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Libano

Domenica 30 novembre, Papa Leone XIV parteciperà alla Divina Liturgia (ortodossa…) presso la Chiesa Patriarcale di San Giorgio, seguita da una benedizione ecumenica. Il successore di Pietro si recherà poi a Beirut, dove incontrerà il Presidente Joseph Aoun e altre autorità civili.

 

Il 1° dicembre, visita al Monastero di San Marone e preghiera sulla tomba di Charbel Makhlouf. Poi, visita al Santuario di Nostra Signora del Libano ad Harissa, dove Léon incontrerà il clero locale, seguito da un’udienza privata con i patriarchi cattolici. È previsto anche un incontro ecumenico e interreligioso.

 

L’ultimo giorno prevede una visita agli operatori sanitari e ai pazienti dell’ospedale De La Croix, seguita da una preghiera silenziosa al porto di Beirut, luogo dell’esplosione che, il 4 agosto 2020, ha ucciso più di 200 persone e ne ha ferite 7.000. La messa verrà poi celebrata sul lungomare.

 

Questa visita «sulle orme di Francesco», che contiene tutte le caratteristiche dei viaggi degli ultimi papi dopo Giovanni Paolo II, in particolare i ripetuti incontri ecumenici, inserisce chiaramente papa Leone XIV nel solco scavato da questi papi del Vaticano II, e non è certo un segno favorevole per il resto del pontificato.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News.

 

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Immagine di OneArmedMan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported


 

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