Politica
Il Colorado vieta di mettere sulla scheda elettorale il nome di Trump

Martedì la Corte Suprema del Colorado ha stabilito che l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump non può partecipare alle elezioni primarie in quello Stato. Il favorito repubblicano ha promesso di ricorrere in appello.
Il caso è stato portato avanti da attivisti democratici sostenendo che Trump è stato squalificato dalla candidatura alla Casa Bianca perché si era impegnato in una «insurrezione» contro il governo degli Stati Uniti, citando una sezione del 14° emendamento della Costituzione degli Stati Uniti approvata dopo la guerra civile. nel 1865.
I democratici hanno usato il termine «insurrezione» per descrivere la rivolta del 6 gennaio 2021 al Campidoglio degli Stati Uniti, sebbene nessuno – incluso Trump – sia stato accusato di quel particolare crimine.
Quattro giudici della Corte Suprema del Colorado, tutti democratici, hanno convenuto che Trump non era idoneo a partecipare alle primarie nello stato, ma hanno sospeso la loro sentenza fino al 4 gennaio 2024, in attesa degli appelli.
In reazione alla sentenza, la campagna di Trump ha definito la decisione «completamente errata» e il prodotto di «un piano di un gruppo di sinistra finanziato da Soros per interferire in un’elezione per conto del corrotto Joe Biden», secondo il portavoce Steven Cheung.
«I leader del Partito Democratico sono in uno stato di paranoia per la crescente e dominante leadership che il presidente Trump ha accumulato nei sondaggi», ha detto Cheung. «Hanno perso la fiducia nella fallita presidenza Biden e ora stanno facendo tutto il possibile per impedire agli elettori americani di cacciarli dall’incarico il prossimo novembre».
La campagna di Trump si appellerà alla Corte Suprema degli Stati Uniti e ha «piena fiducia» che «si pronuncerà rapidamente a nostro favore e metterà finalmente fine a queste cause antiamericane», ha aggiunto Cheung.
La protesta del 6 gennaio ha fatto seguito alle affermazioni di Trump secondo cui le elezioni presidenziali del 2020 – che hanno visto l’uso diffuso di schede elettorali per corrispondenza e hanno portato il democratico Joe Biden a ottenere il maggior numero di voti di sempre nella storia degli Stati Uniti – sono state «truccate» e rovinate da irregolarità.
Da allora, i democratici hanno cercato di escludere il 45esimo presidente dalla candidatura per una nuova carica. A tal fine, diversi gruppi di attivisti hanno presentato ricorsi legali in diversi stati degli Stati Uniti citando la clausola «insurrezionale» del 14° emendamento, la quale dice che una persona non può candidarsi per una carica elettiva se si è «impegnata in un’insurrezione o ribellione» contro la Costituzione degli Stati Uniti dopo aver prestato giuramento di sostenerla, ed è stata creata appositamente per impedire ai Confederati sconfitti di tornare alla carica elettiva dopo il conflitto 1861-65, cioè la Guerra di Secessione americana.
Trump è attualmente in testa nei sondaggi tra i repubblicani in lizza per la nomina del partito, con un vantaggio di ben 50 punti su tutti gli altri contendenti.
L’episodio va aggiungersi ai fremiti di una situazione sociopolitica irreversibilmente polarizzata, dove tanti, perfino i film di Hollywood, predicono il possibile scoppio di una guerra civile.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il primo ministro giapponese ha annunciato ieri le dimissioni dopo settimane di tensioni con i membri del Partito Liberaldemocratico, in difficoltà di fronte alla perdita di consenso tra gli elettori conservatori. Diversi candidati si sono già fatti avanti segnalando la volontà di succedere a Ishiba nella presidenza del partito, ma resta il nodo della guida del governo senza la maggioranza in parlamento.
A meno di un anno dal suo insediamento, il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba ha annunciato ieri le dimissioni, aprendo una nuova fase di incertezza politica. La decisione è una conseguenza delle crescenti pressioni all’interno del suo stesso partito, il Partito Liberaldemocratico (LDP), che alle ultime elezioni ha subito significative sconfitte, arrivando a perdere la maggioranza in entrambe le Camere.
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Ishiba si è assunto la responsabilità per i pessimi risultati dell’LDP alle elezioni della Camera dei Consiglieri a luglio e ha sottolineato che le sue dimissioni servono a prevenire un’ulteriore spaccatura all’interno del partito. Già a luglio, il quotidiano giapponese Mainichi aveva per primo riportato che Ishiba si sarebbe dimesso, basandosi su informazioni raccolte tra il premier e i suoi più stretti collaboratori.
Le prime indiscrezioni indicavano che i preparativi per la corsa alla presidenza dell’LDP sarebbero iniziati entro agosto. Ishiba, tuttavia, aveva pubblicamente smentito queste notizie e nelle sue affermazioni aveva sottolineato l’importanza di portare a termine le trattative sui dazi con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che aveva imposto il primo agosto come scadenza ultima.
Nel suo discorso di ieri, Ishiba ha spiegato che l’annuncio delle dimissioni a luglio avrebbe indebolito la posizione del Giappone: «chi negozierebbe seriamente con un governo che dice “ci dimettiamo”?», ha detto.
Ishiba ha poi cercato di placare le pressioni interne all’LDP minacciando di sciogliere la Camera dei Rappresentanti e indire elezioni anticipate, una mossa che ha esacerbato le divisioni e spinto il principale partner di coalizione, il partito Komeito, a ritenere inaccettabile la decisione. Secondo l’agenzia di stampa Kyodo, l’ex primo ministro Yoshihide Suga e il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi entrambi tenuto colloqui con il premier sabato, evitando una scissione all’interno del partito e aprendo la strada all’annuncio delle dimissioni di ieri.
Ora l’attenzione si sposta sulla scelta del prossimo leader dell’LDP, che potrebbe assumere anche la carica di primo ministro se ci fosse una qualche forma di sostegno o di accordo anche con le opposizioni. Tra i principali contendenti ci sono membri del partito che avevano già sfidato Ishiba in passato, tra cui Sanae Takaichi, ex ministra per la sicurezza economica, che ha ricevuto il 23% dei consensi in un recente sondaggio di Nikkei. Takaichi fa parte dell’ala conservatrice e ha una forte base di sostegno tra i fedelissimi dell’ex primo ministro Shinzo Abe, di cui è considerata l’erede, soprattutto per quanto riguarda le politiche economiche, che potrebbero favorire una ripresa dei mercati azionari. Takaichi ha inoltre la reputazione di andare d’accordo con il presidente Donald Trump.
Anche Shinjiro Koizumi, attuale ministro dell’Agricoltura e figlio dell’ex leader Junichiro Koizumi, è un altro papabile candidato, dopo essere riuscito ad abbassare i prezzi del riso appena entrato in carica. Il sondaggio di Nikkei ha registrato un 22% dei consensi nei suoi confronti.
Altri membri del partito hanno segnalato la volontà di candidarsi, tra cui Yoshimasa Hayashi, attuale segretario capo del Gabinetto e portavoce principale del governo Ishiba, che si è classificato quarto nella corsa per la leadership del partito del 2024. Tra gli altri contendenti figurano Takayuki Kobayashi, un altro ex ministro per la sicurezza economica che gode di un maggiore sostegno all’interno dell’ala centrista, e Toshimitsu Motegi, ex segretario generale dell’LDP e il più anziano tra i candidati con i suoi 69 anni.
L’LDP oggi si trova in una posizione di forte debolezza. Molti elettori conservatori alle ultime elezioni hanno preferito il partito di estrema destra Sanseito anche a causa dell’allontanamento di Ishiba dall’ala conservatrice.
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Secondo un sondaggio di Kyodo, condotto prima che fossero riportate le dimissioni di Ishiba, l’83% degli intervistati ha dichiarato che un chiarimento pubblico del partito sulle ultime sconfitte non avrebbe comunque aumentato la fiducia degli elettori. È chiaro, quindi, che il compito del prossimo presidente di partito sarà quello di ripristinare la credibilità del centrodestra.
Chiunque verrà scelto si troverà davanti a un’importante decisione: se indire elezioni anticipate per cercare di riconquistare la maggioranza alla Camera bassa o rischiare di perdere il potere del tutto. Quest’ultima scelta rischierebbe di aprire una nuova fase di instabilità politica senza precedenti, che richiederebbe la ricerca di sostegno anche tra i partiti dell’opposizione per approvare le leggi e i bilanci.
Secondo diversi commentatori, il prossimo leader dovrà prima di tutto godere di una genuina popolarità sia all’interno che all’esterno del partito per affrontare sfide come l’invecchiamento della società, la forza lavoro in calo, l’inflazione e i timori che gli Stati Uniti possano abbandonare il loro ruolo di garanti della sicurezza nella regione asiatica.
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