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Economia

Il collasso energetico italiano continua. Nessuno ne vuole parlare

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Continua, senza che nessun politico o giornale ne voglia parlare, il collasso dei consumi energetici italiani. Siamo quasi a maggio, e un quarto dell’anno è passato: quello più importante, insieme ai tre mesi da ottobre a dicembre, per la produzione industriale. Renovatio 21 è quindi tornata a sentire il professor Mario Pagliaro, l’accademico che già nell’estate del 2021 previde proprio su Renovatio 21 l’arrivo di una crisi dei prezzi energetici per l’Italia senza precedenti.

 

Professore, i prezzi del gas sono crollati. Dunque, i consumi saranno finalmente tornati ad aumentare. È così?

Non è così. A marzo l’Italia ha fatto registrare il minimo storico dei consumi. È sufficiente consultare i dati resi pubblici ogni mese da Snam. Per la prima volta, a marzo il consumo industriale è sceso sotto 1 miliardo di metri cubi, a 991 milioni. Nemmeno nel marzo 2020, in pieno lockdown, l’industria italiana ha consumato meno di un miliardo di metri cubi. Non era mai accaduto. Il valore più basso era quello registrato nel marzo 2009, in piena crisi indotta dal fallimento nel settembre precedente di una grande banca d’affari americana: ma anche allora l’industria consumò oltre 1 miliardo di metri cubi. Il calo, sul marzo 2022 è del 20%. Crolla anche il consumo di gas per la generazione termoelettrica, che fa registrare -37%: da 2,56 a 1,6 miliardi di metri cubi. E quello per il riscaldamento degli edifici sceso, in proporzione al marzo 2022, del 35%: da 4,34 a 2,8 miliardi di metri cubi.

 

Che significato possono avere questi dati?

Due cose. La prima è che in Italia la produzione industriale, dove il gas è utilizzato per produrre calore di processo e in alcune aziende dotate di co-generatori, anche elettricità, è rimasta ai minimi anche a marzo. Altrimenti, se le aziende fossero piene di ordini, sarebbero rapidamente tornate a bruciare gas per aumentare i volumi produttivi. La seconda, è che le aziende termoelettriche nonostante il crollo del prezzo del gas hanno quasi dimezzato il volume di gas nonostante l’enorme parco termoelettrico a gas naturale italiano, che ha una potenza pari a 42 GW (miliardi di Watt) che da solo, nel 2019, produceva il 70% dell’intera produzione da combustibili fossili in Italia pur lasciando funzionare le centrali solo 3200 ore annue.

 

E perché lo fanno?

Forse perché in ingresso al Tarvisio, proveniente dalla Russia, a marzo sono arrivati appena 219 milioni di metri cubi di gas a fronte dei 1,9 miliardi del marzo 2022. Ovvero un calo del 90%, che significa sostanzialmente la fine delle forniture dalla Russia. In queste condizioni, non è possibile assicurare la fornitura del gas in grandi quantità per periodi prolungati come quella necessaria alle aziende termoelettriche che devono necessariamente ridurre la produzione da gas e far ricorso a tutte le altre possibilità per immettere energia elettrica in rete, incluso l’aumento delle importazioni di corrente dall’estero e quello della produzione da carbone, che in Italia fino al 2019 copriva il 10% della produzione elettrica da fonti fossili.

 

Ma almeno i consumi elettrici aumentano?

Sono in costante calo, mese dopo mese, dall’agosto 2022. Anche qui, primo responsabile del crollo della domanda elettrica è l’industria, dove l’energia elettrica è utilizzata in enormi quantità. Se gli impianti industriali sono fermi o girano al minimo, la domanda di elettricità crolla. Nella settimana appena passata, la 15ª dell’anno, i consumi sono tornati sotto quota 5 miliardi di kWh (chilowattora). Ma il crollo continua inesorabile, settimana dopo settimana, nonostante il prezzo dell’energia elettrica sia quasi dimezzato rispetto alle stesse settimane del 2022. Siamo passati da 230 a 134 €/MWh, e i consumi scendono quasi del 10%. L’Italia è un Paese unico in Europa: la quasi totalità dei consumi elettrici avviene in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna. Se c’è un crollo della domanda, è un crollo della domanda proprio da quelle regioni dove si concentra ormai la quasi totalità di ciò che resta della produzione industriale italiana.

 

Può spiegarlo meglio con un esempio?

Certo. Sono dati pubblici facilmente accessibile sul sito del Gestore pubblico del mercato elettrico. A marzo sono stati venduti sul mercato elettrico italiano 23,7 miliardi di kWh. Di questi, ben 13,4 sono stati venduti al Nord, pari al 57%. Tutte le altre 6 aree zonali del Paese in cui è suddiviso il mercato elettrico – che includono il Centro Nord, il Centro Sud, il Sud, Calabria, Sicilia e Sardegna – assorbono poco più del 40%. Per avere un’idea del divario industriale ormai esistente in Italia, la seconda area zonale per consumi, il Centro Sud, a marzo ha consumato solo 4 miliardi di kWh. Questi dati ci dicono che i trent’anni di Seconda Repubblica hanno trasformato gran parte dell’Italia in un Paese agricolo.

 

Perché continua il crollo della produzione industriale. Dopo i vari lockdown e le varie restrizioni, ci si sarebbe attesi un boom della domanda di tutto, e quindi anche della produzione industriale?

È stato così fino all’Estate del 2021, quando alla domanda euforica per le riaperture si è accompagnato il boom del superbonus edilizio. Il forte aumento della domanda e la carenza di semilavorati in arrivo dalla Cina hanno anche portato ad aumenti mai visti, con i preventivi industriali che duravano 24 ore, per essere sostituiti subito da altri con prezzi maggiorati. Poi, l’aumento repentino del costo dell’energia registrato fra agosto 2021 e l’avvio della guerra nei territori europei dell’ex Unione Sovietica, ha fatto letteralmente fermare migliaia di aziende che, a quei prezzi, non avevano convenienza economica a produrre. La fine del superbonus con la cancellazione del libero trasferimento dei relativi crediti fiscali ha fatto il resto, portando ad un crollo della domanda interna che si accompagna a quello della domanda estera, con la gran parte dei Paesi occidentali alle prese con valori elevati dell’inflazione, e la crisi delle bilance commerciali dovuti ai costi delle importazioni delle materie prime energetiche. L’Italia nel 2022 ha registrato un deficit della bilancia commerciale pari a 31 miliardi di euro dovuto solo in parte allo storico aumento del costo delle importazioni energetiche.

 

In che senso?

Nel senso che nel 2022 il deficit della bilancia commerciale per i prodotti energetici è stato pari a -111 miliardi dai -48 miliardi del 2021. Ma l’avanzo dovuto all’interscambio dei prodotti italiani non energetici pari a 80 miliardi è stato in forte calo rispetto agli 89 miliardi del 2021, indice chiaro della frenata della domanda internazionale. Calo che nel 2023 si è accentuato di molto. Il che spiega perché le aziende italiane abbiano tenuto fermi o al minimo gli impianti nei primi 4 mesi del 2023 nonostante la significativa diminuzione dei costi energetici e il perdurare degli aiuti governativi sotto forma di crediti fiscali sui consumi energetici: la domanda, interna ed estera, è bassa. E la produzione deve calare, per evitare di riempire i magazzini di merci che nessuno acquista nonostante il loro pregio riconosciuto.

 

 

 

 

Economia

Trump grazia l’ex CEO del gigante delle cripto Binance

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Il presidente statunitense Donald Trump ha concesso la grazia presidenziale a Changpeng Zhao, noto come «CZ», fondatore ed ex amministratore delegato di Binance, la principale piattaforma di scambio di criptovalute a livello globale. Lo riporta il Wall Street Journal.

 

L’annuncio, proveniente dalla Casa Bianca, giunge dopo mesi di vigorose attività di lobbying e rappresenta un cambiamento significativo nella politica americana verso il settore delle criptovalute, con chiare ripercussioni sugli interessi familiari di Trump.

 

La grazia corona una serie di iniziative prolungate da parte di Zhao e della sua azienda per ottenere indulgenza, tra cui il sostegno attivo a World Liberty Financial, la piattaforma crypto associata alla famiglia Trump. Questa iniziativa, promossa dai figli del presidente Eric e Donald Jr., ha registrato un’impennata di valore – valutata in oltre 5 miliardi di dollari di ricchezza teorica – grazie a collaborazioni con entità legate a Binance, come un’intesa da 2 miliardi di dollari con un fondo degli Emirati Arabi Uniti che ha impiegato lo stablecoin USD1 di World Liberty per investimenti azionari.

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Zhao, un tempo tra i leader più influenti nel panorama degli asset digitali, era stato condannato nell’aprile 2024 a quattro mesi di detenzione dopo un accordo con il Dipartimento di Giustizia statunitense nel 2023. L’intesa prevedeva un’ammissione di responsabilità per violazioni antiriciclaggio, una sanzione record di 4,3 miliardi di dollari per Binance e una multa personale di 50 milioni per CZ, che aveva lasciato la carica di CEO.

 

Gli inquirenti federali avevano imputato alla piattaforma di aver favorito operazioni illecite con soggetti sanzionati, inclusi gruppi terroristici, e di non aver adottato misure sufficienti contro il riciclaggio di denaro. Il procedimento contro Zhao è stato uno dei casi più rappresentativi della campagna dell’amministrazione Biden contro le grandi exchange crypto, vista da molti come un’eccessiva stretta repressiva.

 

Completata la pena in una prigione federale a bassa sicurezza in California e poi in un centro di reinserimento, Zhao era stato liberato nel settembre 2024. Ci sono voluti quasi dodici mesi di sforzi per ottenere la grazia: all’inizio del 2025, l’azienda ha assunto il lobbista Ches McDowell, legato a Donald Trump Jr., per influenzare i decisori a Washington.

 

Fonti informate indicano che il team di Trump ha colto nel caso di Zhao l’occasione per avviare una «nuova era» nelle normative sulle criptovalute, favorendo l’innovazione anziché la repressione. Numerosi collaboratori del presidente considerano le imputazioni come motivazioni politiche, tipiche della più ampia «guerra alle crypto» promossa da Biden.

 

La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha giustificato la scelta con toni decisi: «il presidente Trump ha esercitato il suo potere costituzionale concedendo la grazia al signor Zhao, perseguitato dall’amministrazione Biden nella sua guerra alle criptovalute». E ha proseguito: «la guerra dell’amministrazione Biden contro le criptovalute è terminata». Interrogato dalla stampa, Trump ha sminuito l’importanza: «Molte persone sostengono che non avesse commesso alcun illecito. L’ho graziato su indicazione di persone affidabili, pur non conoscendolo di persona».

 

La decisione non manca di polemiche. Critici come la senatrice democratica Elizabeth Warren l’hanno bollata come un «evidente conflitto di interessi»: «Prima CZ si dichiara colpevole di riciclaggio, poi sostiene un’impresa crypto di Trump e fa lobbying per la grazia. Oggi Trump ricambia il favore».

 

Binance, che aveva visto prelievi per un miliardo dopo che CZ si era dichiarato colpevole, ha accolto la notizia come «incredibile» e ha espresso gratitudine a Trump per il suo impegno a trasformare gli Stati Uniti nella «capitale mondiale delle crypto».

 

Zhao, azionista di maggioranza di Binance fondata nel 2017, ha scritto sui social: «Profondamente grato per la grazia di oggi e al presidente Trump per aver difeso equità, innovazione e giustizia. Ci impegneremo al massimo per fare dell’America la capitale delle crypto».

 

Questa grazia non è solo una rivalsa personale per CZ, che ora potrebbe riprendere il controllo attivo di Binance, ma un segnale politico netto: l’amministrazione Trump mira a favorire il settore del Bitcoin e delle criptovalute, dissipando le ombre del passato.

 

In un contesto in cui Trump ha già graziato figure come Ross Ulbricht (come aveva promesso in campagna elettorale), ideatore della piattaforma di scambio del dark web Silk Road, il messaggio è inequivocabile: Washington è disposta a puntare sulle criptovalutea anche a costo di controversie.

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Come riportato da Renovatio 21, tre mesi fa la società Trump Media aveva investito 2 miliardi in bitcoini. Il bitcoin in quelle settimane toccava il record di 120.000 dollari.

 

In primavera i figli di Trump con il vicepresidente USA JD Vance avevano presenziato alla conferenza Bitcoin di Las Vegas esaltano le criptovalute. Eric Trump, figlio di Donald, ha avuto a dichiarare che con cripto e blockchain in dieci anni potremmo assistere all’estinzione degli istituti bancari.

 

Trump – che ha nominato le criptovalute come riserva strategica nazionale – aveva ospitato, sotto gli auspici del suo zar per l’AI e le crypto Davis Sacks, un grande evento per le monete elettroniche alla Casa Bianca praticamente appena insediatosi. Tra i primi decreti esecutivi firmati da Trump vi è quello che vieta le CBDC, cioè le valute digitali delle Banche centrali.

 

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Immagine di Web Summit via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Picco del prezzo del petrolio dopo le sanzioni statunitensi alla Russia

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I prezzi del petrolio sono aumentati notevolmente in seguito all’annuncio da parte degli Stati Uniti di sanzioni contro i colossi russi Rosneft e Lukoil.   I future sul greggio Brent, benchmark globale, sono saliti di oltre il 5% a 65,99 dollari al barile, mentre il West Texas Intermediate (WTI) statunitense è salito del 5,6% a 61,79 dollari giovedì.   Nonostante i prezzi siano leggermente scesi nelle prime contrattazioni di venerdì, entrambi i benchmark sono rimasti sulla buona strada per un aumento settimanale del 7%, il più grande dall’inizio di giugno.   La Casa Bianca ha descritto le ultime sanzioni come un passo per «incoraggiare Mosca ad accettare un cessate il fuoco». La Russia afferma di rimanere aperta alla diplomazia, ma insiste sul fatto che qualsiasi accordo di pace debba affrontare le cause profonde del conflitto. Ha accusato Kiev e i suoi sostenitori occidentali di rifiutarsi di negoziare in buona fede e di minare gli sforzi di pace attraverso le sanzioni.

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Secondo quanto riportato dai media, che citano fonti commerciali, le sanzioni hanno spinto le principali compagnie petrolifere statali cinesi a sospendere gli acquisti di greggio russo via mare a breve termine. Fonti del settore hanno inoltre avvertito che le raffinerie in India, il maggiore acquirente di petrolio russo via mare, e in Turchia, il terzo, potrebbero ridurre le importazioni nelle prossime settimane.   «I flussi verso l’India sono a rischio in particolare… le sfide per le raffinerie cinesi sarebbero più contenute, considerando la diversificazione delle fonti di greggio e la disponibilità delle scorte», ha detto a Reuters Janiv Shah, vicepresidente dell’analisi dei mercati petroliferi presso Rystad Energy.   Si prevede che le misure avranno ripercussioni sul mercato, poiché gli acquirenti di greggio russo cercheranno alternative finché non ci sarà chiarezza sull’applicazione delle misure, ha dichiarato al Wall Street Journal Richard Bronze, responsabile geopolitica di Energy Aspects. Bronze prevede che il Brent potrebbe avvicinarsi ai 70 dollari al barile nei prossimi giorni. «Solo la decisione di fare questo annuncio provocherà un’onda d’urto notevole sul mercato», ha affermato.   La Russia ha da tempo avvertito che le sanzioni sono illegali e si ritorcono contro chi le impone. Commentando le nuove restrizioni giovedì, il presidente Vladimir Putin le ha definite una «mossa ostile», ma ha affermato che non avrebbero avuto un impatto significativo sull’economia russa. Ha aggiunto che le sanzioni rappresentano un altro tentativo di Washington di fare pressione su Mosca, sottolineando che «nessun Paese che si rispetti agisce mai sotto pressione».  

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Economia

La Volkswagen affronta la crisi dei chip dopo chel’Olanda ha sequestrato la fabbrica cinese

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La principale casa automobilistica tedesca, Volkswagen, rischia di sospendere la produzione in un importante stabilimento a causa della carenza di semiconduttori, provocata dal sequestro di un produttore di chip di proprietà cinese da parte dei Paesi Bassi. Lo riporta il tabloide tedesco Bild, citando fonti anonime.

 

A fine settembre, il governo olandese ha preso il controllo dello stabilimento Nexperia di Nimega, adducendo problemi legati alla proprietà intellettuale e alla sicurezza. La settimana scorsa, il New York Times, dopo aver esaminato documenti di un tribunale di Amsterdam, ha rivelato che la decisione è stata influenzata dalle pressioni di funzionari statunitensi.

 

Wingtech, la società madre di Nexperia, è stata inserita nella lista nera di Washington nel 2024, nell’ambito della guerra commerciale con la Cina.

 

All’inizio di ottobre, Pechino ha reagito vietando a Nexperia l’esportazione di chip finiti dalla Cina, componenti essenziali per le centraline elettroniche dei veicoli Volkswagen.

 

Mercoledì la Bild ha riferito che Volkswagen, proprietaria anche di Skoda, Seat, Audi, Porsche, Lamborghini e Bentley, non sembra avere attualmente alternative ai chip di Nexperia. Fonti interne hanno indicato che, a causa della carenza di semiconduttori, la produzione nello stabilimento di Volsburgo potrebbe essere interrotta a partire da mercoledì prossimo, iniziando con la Volkswagen Golf e poi estendendosi ad altri modelli.

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Se la situazione non dovesse migliorare, la sospensione della produzione potrebbe riguardare anche gli stabilimenti di Emden, Hannover, Zwickau e altri, secondo una fonte informata.

 

Secondo il rapporto, Volkswagen ha avviato negoziati con le autorità tedesche per un programma di riduzione dell’orario di lavoro, sostenuto dallo Stato, per decine di migliaia di dipendenti.

 

Bild ha avvertito che la crisi dei chip potrebbe colpire anche altre case automobilistiche tedesche. Rappresentanti di BMW e Mercedes hanno dichiarato al giornale di stare monitorando la situazione. L’industria automobilistica tedesca è già in difficoltà a causa degli elevati costi energetici, legati alle sanzioni dell’UE contro la Russia per il conflitto in Ucraina, e all’aumento dei dazi americani.

 

Un portavoce dello stabilimento Volkswagen di Zwickau ha definito «errato» il rapporto di Bild, secondo quanto riferito all’agenzia AFP. Tuttavia, una lettera interna visionata dalla stampa ha ammesso che «non si possono escludere ripercussioni sulla produzione a breve termine» a causa della carenza di semiconduttori.

 

La tensione nelle relazioni Washington-Pechino, in ispecie con riguardo i microchip – che costituiscono, almeno per il momento, lo «scudo» contro l’invasione di Taiwan da parte dell’Esercito di Liberazione del Popolo della Repubblica Popolare Cinese – tocca sempre più apertamente non solo Cina e USA, ma l’intera economia mondiale, con effetti devastanti sull’Europa, che non è riuscita, nonostante i tentativi, di crearsi una sua autonomia sovrana sulla produzione di questo componente essenziale.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso era emerso che le fabbriche di semiconduttori con tecnologia avanzata olandese presenti a Taiwan potrebbero essere spente da remoto nel caso di invasione dell’isola da parte di Pechino. In particolare si tratterebbe delle fabbriche del colosso Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), che impiega tecnologie ultraviolette di estrema precisione (chiamate in gergo EUV) fornite da un’azienda olandese, la ASML. Tali macchine, grandi come un autobus e dal costo di circa 217 milioni di dollari cadauna, utilizzano onde luminose ad alta frequenza per stampare i chip più avanzati al mondo.

 

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Immagine di Michael Barera via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

 

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