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Geopolitica

I sauditi temono un attacco iraniano. Mentre il rapporto tra Ryadh e Washington precipita

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L’Intelligence saudita starebbe temendo un attacco da parte dell’Iran al Regno dei Saud ma anche all’Iraq. Lo riporta, citando fonti americane nella regione, il Wall Street Journal.

 

L’attacco sferrato da Teheran sarebbe imminente, sostengono le fonti del giornale di Nuova York.

 

L’Arabia Saudita avrebbe condiviso informazioni con gli Stati Uniti avvertendo dell’imminente attacco della Repubblica Islamica d’Iran, la quale sarebbe pronta a compiere attacchi nel tentativo di distrarre l’attenzione dalle proteste interne che hanno agitato il Paese dallo scorso settembre.

 

Lo sviluppo arriva pochi giorni dopo che i sauditi hanno espresso interesse ad entrare a far parte dei BRICS, ma mossa piuttosto sconvolgente per storia e geopolitica del Paese.

 

L’allarlme coincide altresì anche con le frizioni tra Ryadh e Washington, dopo che l’amministrazione Biden aveva cercato di convincere Riyadh a ritirarsi dalla decisione dell’OPEC+ di tagliare la produzione di petrolio di 2 milioni di barili al giorno, ovvero aumentare i prezzi. Come noto, il recente viaggio in Arabia Saudita del vecchio presidente americano è stato un totale fallimento, con un’impennata dei prezzi del petrolio al ritorno del presidente USA in patria.

 

Analisi pubblicate da Renovatio 21 giù un anno fa mostravano la situazione di scacco della Casa Bianca in Arabia, con l’avanzata dell’idea che gli USA stessero perdendo il principale alleato della regione nonché fulcro della loro politica economico-energetica globale, l’Arabia Saudita.

 

In questa direzione andrebbero letti segni come gli strani macro-investimenti del principe saudita al-Walid in Russia pochi giorni prima dello scoppio della guerra, e la volontà ripetuta di Ryadh di aprire allo scambio petrolifero anche con yuan cinesi, aprendo allo spettro, catastrofico per Washington, della dedollarizzazione dell’economia globale.

 

I funzionari sauditi si sarebbero effettivamente risentiti con la Casa Bianca per l’evidente volontà di ficcare il naso nelle politiche saudite. Ora, con l’avvertimento, l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti e diversi stati vicini hanno alzato il livello di allerta per le loro forze militari, hanno detto i funzionari anonimi sentiti dal WSJ.

 

«Siamo preoccupati per il quadro della minaccia e rimaniamo in costante contatto con i sauditi attraverso i canali militari e di Intelligence», ha detto al Journal un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale. «Non esiteremo ad agire in difesa dei nostri interessi e partner nella regione».

 

Secondo quanto riportato, apparentemente Teheran sarebbe  agitata per quella che dice essere un’interferenza saudita nella situazione dell’Iran. Il mese scorso, afferma il Journal, il comandante del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche iraniane ha pubblicamente avvertito Riyadh di tenere a freno la copertura delle proteste in Iran dai canali di notizie satellitari in lingua farsi, tra cui Iran International, un canale televisivo satellitare sostenuto dall’Arabia Saudita con sede a Londra popolare fra gli iraniani.

 

«Questo è il nostro ultimo avvertimento, perché state interferendo nei nostri affari interni attraverso questi media», aveva affermato il Magg. Gen. Hossein Salami nelle osservazioni riportate dai media statali durante le esercitazioni militari nella provincia iraniana dell’Azerbaigian orientale. «Siete coinvolti in questa faccenda e sapete di essere vulnerabili».

 

Come riportato da Renovatio 21, quelle al confine dell’Azerbaigian sono per l’esercito iraniano esercitazioni di grande proporzioni e, viste le tensioni che perdurano nell’area, di profondo significato geopolitico.

 

È emerso in questi mesi come l’Iran abbia reagito contro un altro Stato che si immischiava nei suoi affari interni, l’Albania, colpevole di ospitare una base dei dissidente iraniani del MEK. Tirana è stata quindi colpita da un attacco informatico che si è fatto risalire a Teheran, con conseguente crisi diplomatica totale tra i due Paesi.

 

La situazione sembra molto mutata da quanto solo dieci mesi fa si vociferava di un ripristino delle relazioni tra Iran e Arabia Saudita. Del resto, è tutto il quadro globale ad essere totalmente mutato.

 

La settimana scorsa  il Wall Street Journal riporta che il principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS), de facto uomo di potere nel Regno, in privato prenderebbe in giro Biden alla grande.

 

«Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, il 37enne sovrano quotidiano del regno, prende in giro il presidente Biden in privato, prendendo in giro le gaffe del 79enne e mettendo in dubbio la sua acutezza mentale, secondo le persone all’interno del governo saudita» scrive il WSJ, secondo il quale MbS «ha detto ai consiglieri che non è stato colpito dal signor Biden dai suoi giorni come vicepresidente e che preferiva di gran lunga l’ex presidente Donald Trump».

 

Il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, ha smentito l’articolo, affermando che «queste accuse fatte da fonti anonime sono del tutto false». «I leader del regno hanno sempre tenuto il massimo rispetto per i presidenti degli Stati Uniti, sulla base della convinzione del regno nell’importanza di avere un rapporto basato sul rispetto reciproco».

 

Tuttavia, la situazione più imbarazzante tra i due Paesi si è avuta quando i sauditi hanno guidato l’OPEC+ in un taglio della produzione nonostante gli Stati Uniti avessero chiesto loro di ritardare la decisione fino a dopo le elezioni midterm – cosa che i sauditi hanno rivelato in una feroce  lettera feroce due settimane fa.

 

Ciò potrebbe portare ad «un’opzione drastica sul tavolo: i funzionari sauditi hanno detto in privato che il regno potrebbe vendere i buoni del Tesoro statunitensi che detiene se il Congresso dovesse approvare una legislazione anti-OPEC, secondo persone che hanno familiarità con la questione. Secondo i dati del Tesoro degli Stati Uniti, le partecipazioni saudite di titoli del Tesoro statunitensi sono aumentate a 119,2 miliardi di dollari a giugno dai 114,7 miliardi di dollari di maggio. L’Arabia Saudita è il 16° detentore di titoli del Tesoro statunitensi, secondo i dati federali».

 

In pratica, le ritorsioni dei sauditi possono davvero ferire Washington, azzoppando ancor di più la sua economia.

 

Non è chiaro quindi quale sia la prossima mossa americana. Sempre che la facciano loro e non altri Paesi dell’area.

 

 

 

 

 

Immagine di Hosein Velayati via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

 

 

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Geopolitica

La Von der Leyen lancia un ultimatum alla Serbia

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La Serbia non potrà entrare nell’UE senza un pieno allineamento alla politica estera del blocco, incluse tutte le sanzioni contro la Russia, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

 

La Serbia, che ha richiesto l’adesione all’UE nel 2009 e ha ottenuto lo status di paese candidato nel 2012, è tra i pochi stati europei a non aver imposto restrizioni a Mosca. Belgrado ha sottolineato i suoi storici legami con la Russia e la dipendenza dalle sue forniture energetiche.

 

Mercoledì, durante una conferenza stampa a Belgrado accanto al presidente serbo Aleksandar Vucic, von der Leyen ha ribadito che la Serbia deve compiere «passi concreti» verso l’adesione e mostrare un «maggiore allineamento» con le posizioni dell’UE, incluse le sanzioni, evidenziando che l’attuale livello di conformità della Serbia alla politica estera dell’UE è del 61%, ma ha insistito che «serve fare di più», sottolineando il desiderio di Bruxelles di vedere Belgrado come un «partner affidabile».

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Vucic ha più volte dichiarato che la Serbia non imporrà sanzioni alla Russia, definendo la sua posizione «indipendente e sovrana». Tuttavia, il rifiuto di Belgrado ha attirato crescenti pressioni da parte di Bruxelles e Washington.

 

La settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla Petroleum Industry of Serbia (NIS), parzialmente controllata dalla russa Gazprom Neft, spingendo la Croazia a interrompere le forniture di greggio. Vucic ha avvertito che tali misure potrebbero portare alla chiusura dell’unica raffineria petrolifera serba entro novembre, mettendo a rischio l’approvvigionamento di benzina e carburante per aerei.

 

Come riportato da Renovatio 21proteste sempre più violente si susseguono nel Paese, che Belgrado attribuisce a influenze occidentali volte a destabilizzare il governo.

 

Le proteste hanno già portato alle dimissioni del primo ministro Milos Vucevic e all’arresto di diversi funzionari, tra cui un ex ministro del Commercio, con l’accusa di corruzione.

 

Il presidente Aleksandar Vucic ha affermato che i disordini sono stati fomentati dall’estero e ha denunciato quella che ha definito «violenza mascherata da attivismo»: «mancano pochi giorni prima che inizino a uccidere per le strade» aveva detto lo scorso agosto davanti all’ennesima ondata di proteste violente.

 

Come riportato da Renovatio 21, le grandi manifestazioni contro Vucic di marzo erano seguite la visita pubblica del figlio del presidente USA Don Trump jr. al premier di Belgrado.

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Come riportato da Renovatio 21, lo scorso mese il servizio di Intelligence estero russo (SVR) ha sostenuto che l’UE starebbe cercando di orchestrare un «Maidan serbo» per insediare un governo filo-Bruxelles. Belgrado nel dicembre 2023 produsse evidenti segni di «maidanizzazione» in corso. Già allora presidente serbo accusò le potenze occidentali di tentare di «ricattare» la Serbia affinché sostenga le sanzioni e di tentare di orchestrare una «rivoluzione colorata» – una sorta di Maidan belgradese –contro il suo governo a dicembre.

 

Vucic giorni fa ha accusato le potenze occidentali di aver cercato di orchestrare il suo rovesciamento. In un’intervista su Pink TV trasmessa lunedì, il presidente serbo aveva affermato che le «potenze straniere» hanno speso circa 3 miliardi di euro nell’ultimo decennio nel tentativo di estrometterlo dal potere.

 

Come riportato da Renovatio 21, il ministro degli Esteri Pietro Szijjarto ha dichiarato che l’Unione Europea sta tentando di rovesciare i governi di Ungheria, Slovacchia e Serbia perché danno priorità agli interessi nazionali rispetto all’allineamento con Bruxelles.

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Immagine di © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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Geopolitica

Pakistan e Afghanistan concordano il cessate il fuoco

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Afghanistan e Pakistan hanno dichiarato un cessate il fuoco temporaneo, mettendo fine agli scontri iniziati mercoledì mattina tra le loro forze. Più di una dozzina di civili sono stati uccisi nell’ultimo conflitto armato tra i due paesi vicini.   Il ministero degli Esteri pakistano ha comunicato, alcune ore dopo lo scontro, che Kabul e Islamabad hanno concordato una tregua di 48 ore, con inizio alle 18:00 ora locale di mercoledì.   Nella sua nota, il ministero ha sottolineato che entrambe le parti «si impegneranno sinceramente attraverso il dialogo per trovare una soluzione positiva ai loro problemi complessi ma risolvibili».   In precedenza, il portavoce dei talebani afghani Zabihullah Mujahid aveva scritto su X che le forze pakistane avevano avviato un attacco, utilizzando «armi leggere e pesanti», causando la morte di 12 civili e il ferimento di oltre 100 persone.

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Il portavoce aggiunto che le forze afghane hanno risposto al fuoco, uccidendo un «gran numero» di soldati, confiscando armi e carri armati pakistani e distruggendo installazioni militari.   Ali Mohammad Haqmal, portavoce del distretto di Spin Boldak, in Afghanistan, luogo dello scontro, ha stimato che le vittime civili siano state 15. Secondo l’AFP, un funzionario dell’ospedale locale ha riferito che tra i feriti ci sarebbero 80 donne e bambini.   Islamabad ha definito le accuse «oltraggiose» e «palesi menzogne», sostenendo che i talebani afghani abbiano iniziato le ostilità attaccando una postazione militare pakistana e altre aree vicino al confine. L’esercito pakistano ha dichiarato di aver respinto l’assalto, uccidendo 37 combattenti talebani in due operazioni distinte.   Secondo l’agenzia Reuters, che cita fonti di sicurezza anonime, lo scontro sarebbe durato circa cinque ore.   Il conflitto segue un’escalation di scontri avvenuta nel fine settimana, durante la quale Afghanistan e Pakistan si sono accusati a vicenda per le vittime. I talebani hanno affermato di aver ucciso 58 soldati pakistani, mentre Islamabad ha dichiarato di aver conquistato 19 posti di frontiera afghani.   Le tensioni transfrontaliere tra Afghanistan e Pakistan sono aumentate negli ultimi anni, con entrambe le parti che si accusano ripetutamente di ospitare militanti.  

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Geopolitica

Israele accusa Hamas di aver restituito il corpo sbagliato

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Uno dei corpi restituiti martedì da Hamas non appartiene a nessuno degli ostaggi tenuti prigionieri dal gruppo armato palestinese a Gaza, hanno affermato le Forze di difesa israeliane (IDF).

 

Lunedì Hamas ha liberato gli ultimi 20 ostaggi israeliani ancora in vita in cambio del rilascio di quasi 2.000 prigionieri palestinesi, nell’ambito di un accordo mediato da Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia. Martedì, il gruppo ha iniziato a consegnare i cadaveri dei prigionieri deceduti a Israele, restituendone sette in due lotti tramite la Croce Rossa.

 

Tuttavia, le IDF hanno dichiarato mercoledì in una dichiarazione su X che un esame presso l’istituto forense Abu Kabir ha rivelato che uno dei quattro corpi del secondo lotto «non appartiene a nessuno degli ostaggi». Si ritiene che i resti appartengano a un palestinese, hanno aggiunto.

 

 

Gli altri tre corpi sono stati confermati come appartenenti ai prigionieri. Sono stati identificati come il sergente maggiore Tamir Nimrodi, 18 anni, Uriel Baruch, 35 anni, ed Eitan Levy, 53 anni, si legge nel comunicato.

 

Il capo di stato maggiore delle IDF, tenente generale Eyal Zamir, ha dichiarato in precedenza che Israele «non avrà pace finché non restituiremo tutti [gli ostaggi]. Questo è il nostro dovere morale, nazionale ed ebraico». Hamas detiene ancora i corpi di 21 prigionieri deceduti.

 

Questa settimana, rifugiati palestinesi e combattenti di Hamas sono tornati a Gaza City e in altre aree dell’enclave, dopo il ritiro parziale delle forze dell’IDF, in linea con l’accordo. A Gaza sono stati segnalati scontri sporadici tra Hamas e fazioni rivali.

 

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Immagine di Chenspec via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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