Economia
I sauditi minacciano di vendere obbligazioni europee se i beni russi vengono confiscati
L’Arabia Saudita ha lasciato intendere privatamente all’inizio di quest’anno che avrebbe venduto una parte (o la totalità) dei suoi titoli di debito europei se il G7 avesse confiscato i beni congelati della Russia. Lo riporta la testata economica statunitense Bloomberg.
A maggio l’Unione Europea aveva approvato un piano sostenuto dagli USA per utilizzare i profitti e gli interessi generati dagli asset russi per aiutare ad armare l’Ucraina. Tuttavia, si è trattato di un netto cambiamento rispetto al piano precedentemente proposto, fortemente promosso da Zelens’kyj e dall’Ucraina, di confiscare circa 300 miliardi di dollari in asset russi.
In tanti si erano chiesti cosa avesse spinto i vertici occidentali a cambiare idea, ora probabilmente abbiamo la risposta. Come nota Bloomberg, «il ministero delle finanze del Regno ha detto ad alcune controparti del G7 della sua opposizione all’idea, che era intesa a sostenere l’Ucraina, con una persona che l’ha descritta come una minaccia velata».
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I sauditi hanno menzionato specificamente il debito emesso dal Tesoro francese, hanno detto due delle persone sentite dalla testata neoeboracena.
La maggior parte dei 300 miliardi di dollari di asset russi congelati sono detenuti in Europa, in particolare in Francia, Germania e Belgio. Ciò rende l’articolo di Bloomberg ancora più interessante dal punto di vista delle fratture geopolitiche, poiché significa che, come risultato della sua capacità di scatenare un panico da liquidazione nell’instabile mercato obbligazionario europeo, ha molta più leva dell’Ucraina e dei media occidentali intenti a passare per virtuosi nelle loro continue condanne alla Russia.
Nel caso della Francia, abbiamo visto Macron indire le elezioni anticipate vinte incredibilmente dall’estrema sinistra. Tuttavia, da quando sono avvenuti questi «colloqui» con i sauditi, lo spread sui rendimenti dei titoli di Stato francesi rispetto alla Germania è aumentato vertiginosamente… Questo panico da vendite, che si verifica in un momento in cui i sauditi stanno usando i titoli di Stato francesi come leva politica, è stata solo una coincidenza, scrive Zerohedge.
L’Arabia Saudita ha mantenuto forti relazioni con Mosca, ma ha anche costruito legami con l’Ucraina. E tuttavia, è chiaro che quando si arriva al dunque, il principe ereditario è saldamente dall’angolo di Putin, come dimostrano le immagini di calore viste nelle ultime visite ufficiali e la stessa volontà di integrazione di Ryadh nei BRICS, mossa contro la quale i big USA stanno molto adoperandosi.
Come riportato da Renovatio 21, si osserva che il principe Mohammed bin Salman ha disertato il G7 nella masseria pugliese della Meloni.
Bloomberg conclude osservando che, qualunque ne sia il motivo, la mossa dell’Arabia Saudita sottolinea la sua crescente influenza sulla scena mondiale e la difficoltà del G7 nell’ottenere il sostegno delle cosiddette nazioni del Sud del mondo per l’Ucraina.
Gli Stati Uniti conoscono il peso di un veto posto dalla casa reale dei Saud: nell’aprile 2016 il New York Times ha riferito che l’Arabia Saudita aveva minacciato l’allora presidente Barack Obama di liquidare i 750 miliardi di dollari in titoli del Tesoro USA che possedeva all’epoca (una mossa che avrebbe generato un crollo del mercato obbligazionario) se fosse stata ritenuta responsabile degli attacchi dell’11 settembre.
Anche se il petrodollaro non è ancora del tutto morto (nonostante i sauditi non abbiano fatto mistero, perfino sul palco del WEF a Davos, di avere piani per uscirne), la sua leva finanziaria è solo una pallida ombra di quella di un tempo; infatti, l’unica leva finanziaria è a disposizione di coloro che possiedono ancora titoli statunitensi e possono minacciare di sbarazzarsene immediatamente.
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Utilizzare il dollaro USA come arma contro la Russia è stata una decisione catastrofica che avrà ripercussioni per anni e anni.
Alcuni sostengono che nel disastro delle ramificazioni di questa scelta, la Fed, cioè la Banca Centrale USA, sarà costretta ad acquistare tutto il debito statunitense che gli ex detentori di titoli del Tesoro venderanno in un modo o nell’altro.
Come riportato da Renovatio 21, in quello che il Financial Times definì come il primo atto di guerra economica della storia umana, cioè il congelamento dei capitali della Banca Centrale Russa detenuti all’estero in altra valuta, partecipò, oltre alla presidente della Commissione UE Ursula Von der Leyen, anche Mario Draghi, allora presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, che, grazie alla ragnatela di relazioni creata da presidente BCE, tirò dentro anche il segretario del Tesoro USA Janet Yellen.
Era chiaro a chiunque che davanti a questa dimostrazione di arbitrio economico e geopolitico aggressivo ed inedito, ogni possibile investitore internazionale è stato portato a pensare che a medio o lungo termine bisogna mollare gli investimenti americani e pure il dollaro: chi vuole lasciare il danaro allo Zio Sam, sapendo che questo può decidere di tenerselo? Non i capitali arabi, né cinesi, né indiani, europei, africani, sudamericani. Nessuno.
Gli USA del senile e demente Biden hanno decretato con tracotanza la loro stessa autodistruzione finanziaria.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Economia
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Economia
Picco del prezzo del petrolio dopo le sanzioni statunitensi alla Russia
I prezzi del petrolio sono aumentati notevolmente in seguito all’annuncio da parte degli Stati Uniti di sanzioni contro i colossi russi Rosneft e Lukoil.
I future sul greggio Brent, benchmark globale, sono saliti di oltre il 5% a 65,99 dollari al barile, mentre il West Texas Intermediate (WTI) statunitense è salito del 5,6% a 61,79 dollari giovedì.
Nonostante i prezzi siano leggermente scesi nelle prime contrattazioni di venerdì, entrambi i benchmark sono rimasti sulla buona strada per un aumento settimanale del 7%, il più grande dall’inizio di giugno.
La Casa Bianca ha descritto le ultime sanzioni come un passo per «incoraggiare Mosca ad accettare un cessate il fuoco». La Russia afferma di rimanere aperta alla diplomazia, ma insiste sul fatto che qualsiasi accordo di pace debba affrontare le cause profonde del conflitto. Ha accusato Kiev e i suoi sostenitori occidentali di rifiutarsi di negoziare in buona fede e di minare gli sforzi di pace attraverso le sanzioni.
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Secondo quanto riportato dai media, che citano fonti commerciali, le sanzioni hanno spinto le principali compagnie petrolifere statali cinesi a sospendere gli acquisti di greggio russo via mare a breve termine. Fonti del settore hanno inoltre avvertito che le raffinerie in India, il maggiore acquirente di petrolio russo via mare, e in Turchia, il terzo, potrebbero ridurre le importazioni nelle prossime settimane.
«I flussi verso l’India sono a rischio in particolare… le sfide per le raffinerie cinesi sarebbero più contenute, considerando la diversificazione delle fonti di greggio e la disponibilità delle scorte», ha detto a Reuters Janiv Shah, vicepresidente dell’analisi dei mercati petroliferi presso Rystad Energy.
Si prevede che le misure avranno ripercussioni sul mercato, poiché gli acquirenti di greggio russo cercheranno alternative finché non ci sarà chiarezza sull’applicazione delle misure, ha dichiarato al Wall Street Journal Richard Bronze, responsabile geopolitica di Energy Aspects. Bronze prevede che il Brent potrebbe avvicinarsi ai 70 dollari al barile nei prossimi giorni. «Solo la decisione di fare questo annuncio provocherà un’onda d’urto notevole sul mercato», ha affermato.
La Russia ha da tempo avvertito che le sanzioni sono illegali e si ritorcono contro chi le impone. Commentando le nuove restrizioni giovedì, il presidente Vladimir Putin le ha definite una «mossa ostile», ma ha affermato che non avrebbero avuto un impatto significativo sull’economia russa. Ha aggiunto che le sanzioni rappresentano un altro tentativo di Washington di fare pressione su Mosca, sottolineando che «nessun Paese che si rispetti agisce mai sotto pressione».
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Economia
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