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Hanno ribaltato anche Fantozzi

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Più passano gli anni, più l’immortale capolavoro di Paolo Villaggio – la serie Fantozzi – acquisisce valore. Si tratta oramai di un classico, ben presente nella mente di più di una generazione di italiani.

 

I più anziani hanno visto i film (specialmente i primi due episodi) fino allo sfinimento. Tuttavia se lo riguarderebbero ancora, per quanto bene poteva descrivere alcuni cascami gerarchici, monarchici del lavoro del dopoguerra.

 

I meno anziani lo hanno visto in TV ripetute volte, e ammettono che è una visione che li ha segnati, il vero bildungsroman di una generazione, altro che Dostoevskij, altro che Stendahl, altro che I dolori del giovane Werther.

 

I giovani –perfino talmente giovani da non aver visto le repliche su Italia 1 e Retequattro o da non sapere nemmeno cosa sia un VHS – citano a memoria intere scene del film.

 

Più passano gli anni, più l’immortale capolavoro di Paolo Villaggio – la serie Fantozzi – acquisisce valore

Fantozzi ha fornito una serie infinita di battute, di gag, di topoi che spuntano nella vita quotidiana dell’italiano di ogni censo.

 

«Come è umano lei!» se si viene trattati male da qualche caporione del sistema.

 

«Pekkato tu non pole manciare!» se si prende in giro qualcuno a dieta.

 

«È un bel direttore, un santo, un apostolo!» se si vuole scherzare su qualcuno che ha il titolo, o sul servilismo di qualcuno nei suoi confronti.

 

Riguardo ai direttori, c’è la memorabile serqua di superiori subiti da Fantozzi.

 

C’è l’onorevole Cavaliere Conte Diego Catellani, quello che fa adorare ai sottoposti la statua di sua madre vivente, ed è patito del biliardo – quello che «sabato sera a casa mia. Tutti!».

 

C’è il Direttore Conte Corrado Maria Lobbiam, quello che presiede ai vari della navi, dove troviamo anche l’azionista della megaditta Contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, nobildonna incapace di rompere una bottiglia per inaugurare l’imbarcazione, ma in grado di tranciare di netto il mignolo di un cardinale.

 

C’è il Gr. Ladr. Farabut. di Gr. Croc. Mascalz. Assas. Figl. di Gr. Putt. Marchese Conte Piermatteo Barambani Megalom, vero farabutto appassionato di nautica, il quale è però una figura minore, che turlupina Fantozzi addossandogli le responsabilità di uno scandalo finanziario, avendo promosso il ragioniere a Dott. Ing. Lup. Man. Presidente Natural. Prestanom. Om. Di Pagl. Gran. Test. Di Caz. Rag. Fantozzi.

 

C’è il Megadirettore Clamoroso Duca Conte Pier Carlo ing. Semenzara, che è un assenteista puttaniere sopraffatto dalla superstizione in quanto posseduto dal demone del gioco d’azzardo.

 

C’è il  dottor Ing. Gran Mascalzon di Gran Croc. Visconte Cobram, che ha ruolo di «direttore totale», appassionato di ciclismo e fondatore della cosiddetta Coppa Cobram, che qualche genio ha davvero portato nella vita reale qualche anno fa.

 

E poi c’è lui, il potentissimo Megadirettore Professor Guidobaldo Maria Riccardelli, amante del cinema espressionista tedesco e soprattutto russo.

 

È con il Riccardelli che ne Il secondo tragico Fantozzi, scatta una delle scene più memorabili: la rivolta populista contro la cinefilia intellettualoide delle élite.

 

Conoscerete la storia: il Riccardelli obbliga gli impiegati a vedere pallosissimi film d’autore, che peraltro sono quelli che si studiano ad ogni corso di storia del cinema, e hanno durate non così tremende.

 

 

«In vent’anni Fantozzi ha veduto e riveduto: Dies irae di Carlo Teodoro Dreyer – sei ore –, L’uomo di Aran di Flaherty – nove tempi –, ma soprattutto il più classico dei classici, La corazzata Kotiomkin – diciotto bobine – di cui il professor Riccardelli possedeva una rarissima copia personale». (Non è mai stato chiarito il mispelling de La corazzata Potemkin del regista russo Ejezenstein, che qui è chiamato Einstein: forse questioni di diritti d’autore sovietici?)

 

Come noto, una sera il Riccardelli esagera: durante la partita Italia-Inghilterra, convoca la visione obbligata del film muto russo, e perquisisce i sottoposti che si erano pure ingegnati nel nascondere ovunque (in un gesso, in bocca) le radioline per ascoltare la partita. Parentesi: una cosa del genere è successa davvero (con probabilità senza che fosse un omaggio fantozziano) durante il Festival di Cannes 2021, quando all’anteprima dell’ultimo film del cinefilo Nanni Moretti ritirarono i telefonini a critici e giornalisti – l’ora proiezione coincideva con la finale degli Europei Italia-Inghilterra…

Vessati dall’élitismo intellettuale per l’ultima volta, gli impiegati della megaditta danno vita ad una rivolta sovranista, capitanata da Fantozzi. Il quale dichiara l’immortale formula: «la corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca!».

 

Vessati dall’élitismo intellettuale per l’ultima volta, gli impiegati della megaditta danno vita ad una rivolta sovranista, capitanata da Fantozzi. Il quale dichiara l’immortale formula:

 

«La corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca!».

 

Seguono immagini di una standing ovation trionfale. La voce fuori campo aggiunge le storiche parole: «novantadue minuti di applausi».

 

 

Gli applausi dei colleghi di Fantozzi  per la cultura popolare hanno assunto un significato specifico: quando la collettività non tollera più una finzione, quando un’insofferenza taciuta trova sfogo per il coraggio di qualcuno, quando il bambino improvvisamente grida «il re è nudo» – ed è vero, il re è senza vestiti

Gli applausi dei colleghi di Fantozzi  per la cultura popolare hanno assunto un significato specifico: quando la collettività non tollera più una finzione, quando un’insofferenza taciuta trova sfogo per il coraggio di qualcuno, quando il bambino improvvisamente grida «il re è nudo» – ed è vero, il re è senza vestiti.

 

I 92 minuti di applausi sono l’espressione che, nei discorsi, preludono ad una rivoluzione, quantomeno delle percezioni: è quando un’imposizione illogica, inumana, accettata solo per sottomissione collettiva, d’un tratto crolla.

 

Quindi, non è possibile in alcun modo pensare alla rivolta di Fantozzi contro il potere del megadirettore Guidobaldo Maria Riccardelli, quando leggiamo oggi degli applausi scroscianti verso il discorso del neo-vetero-ex-ri-presidente della Repubblica appena reinsediatosi (dopo essersi deinsediato, con tanto di trasloco, vero o fittizio secondo alcuni, iniziato alla volta della Sicilia).

 

Apprendiamo che il discorso del nuovo già presidente è stato applaudito dai parlamentari 55 volte.

 

I giornali ci stanno facendo i titoli.

 

Il Corriere manda in stampa anche un inedito applausometro presidenziale, spalmato diacronicamente con infografica ricca di icone di manine.

 

Il lettore cerchi di leggere la seguente lista facendo andare nella testa l’enfatica voce del narratore di Fantozzi.

 

Presidente Alessandro Giuseppe Antonio Pertini detto Sandro, 6 applausi.

 

Presidente Francesco Maurizio Cossiga, 9 applausi.

 

Presidente Oscar Luigi Scalfaro, 14 applausi.

 

Presidente Carlo Azeglio Ciampi, 19 applausi.

 

Presidente Giorgio Napolitano primo giro, 29 applausi.

 

Presidente Giorgio Napolitano secondo giro, 32 applausi.

 

Presidente Sergio Mattarella prima elezione, 40 applausi.

 

Presidente Sergio Mattarella seconda elezioni, 40 applausi.

 

Il numero degli applausi cresce aritmeticamente ad ogni elezione, quasi a significare la rotta della Repubblica verso il presidenzialismo o, se volete pensarla male, l’indebolimento del Parlamento – della democrazia rappresentativa – e la conseguente ricerca di una figura forte

Il dato, di per sé, è già interessante: il numero degli applausi cresce aritmeticamente ad ogni elezione, quasi a significare la rotta della Repubblica verso il presidenzialismo o, se volete pensarla male, l’indebolimento del Parlamento – della democrazia rappresentativa – e la conseguente ricerca di una figura forte di riferimento (non vogliamo dire «uomo forte», no).

 

Quello che ci lascia basiti è che il record di applausi ad un presidente che proviene dalla Prima Repubblica (e da un partito perdente alle elezioni) è scattato in un Parlamento dove il primo partito era accusato di essere «populista», e ha preso i voti per dimostrata, sonante allergia a certe balle del potere.

 

Il secondo partito – il cui capo prima  nel 2015 disse che «Mattarella non è il mio presidente» – invece è definito, oltre che populista, sovranista. Ancora peggio. L’Economist poco dopo scrisse che il ragazzo lombardo era «l’uomo più pericoloso d’Europa».

 

Di fatto, Mattarella tentennò quando si trattò di permettere un governo, nel 2018, con questi soggetti.

 

Ricordate? Ad una certa, spuntarono gli incontri, con foto sorridenti, di Mattarella con Cottarelli.

 

La narrazione per cui La corazzata Kotiomkin è un capolavoro deve rimanere in piedi, nonostante gli abusi, le vessazioni, le contraddizioni le offese insopportabili

Ricordate? Il presidente, mentre Lega e 5 stelle scalpitavano, era arrivato a dire «fiducia a governo neutrale o voto entro autunno». Vi sembra un universo parallelo? Vi riportiamo la cronaca che ne fece La Repubblica.

 

«L’Italia ha bisogno di un governo, o appoggiate un esecutivo neutrale ma con pieni poteri pronto a sciogliersi appena nascerà in Parlamento una maggioranza, oppure riportate i cittadini alle urne, ma esponendo a gravi rischi il Paese. Il presidente scioglierà la riserva sul premier incaricato della formazione del governo neutrale entro due giorni, poi si andrà a verificarne la fiducia in Parlamento». (Un qualcosa di simile ad un governo neutrale, con la pandemia, infine è arrivato…)

 

Ricordate? Di Maio parlava di impeachment. In una telefonata TV a Fabio Fazio, il napoletano grillino, riporta ancora sul suo sito Il Fatto Quotidiano, confermava «che i vertici del M5s stavano ragionando della messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica: “Prima attiviamo l’articolo 90 e poi si va alle urne, perché bisogna parlamentarizzare questa crisi”».

Tutto è stato ribaltato, rovesciato, invertito. I sani devono essere curati. I malati, invece, non si curano. Le forze dell’ordine si occupano dei cittadini invece che dei criminali. Il razzismo va combattuto con ogni mezzo, ma è lecito discriminare chi non si è vaccinato – a breve anche chi non si è vaccinato abbastanza

 

L’articolo 90 della Costituzione è qualcosa di pazzesco, di abissale, di completamente inedito per la storia della Repubblica: «il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune [cfr. art. 55 c.2], a maggioranza assoluta dei suoi membri».

 

In pratica, discutevano davvero di impeachment. Non sappiamo dire se poi avrebbero avuto i numeri per farlo. Ma quello era, nella bolgia degli elettori pentastellati aizzati a dovere che su internet si lasciavano andare ad improperi illegali.

 

I rappresentati che facevano questi discorsi ora si spella le mani in Parlamento, davanti alla stessa figura per cui invocavano l’articolo 90.

 

Cosa è successo?

 

Beh, lo sappiamo tutti. Il mondo è cambiato. L’esistenza di tanti eletti grillini pure.

 

È cambiato tutto anche per noi. Tutto è stato ribaltato, rovesciato, invertito.

Solo una cosa: credono che, quando si volgeranno agli elettori, prenderanno gli stessi applausi?

 

I sani devono essere curati. I malati, invece, non si curano.

 

Le forze dell’ordine si occupano dei cittadini invece che dei criminali.

 

Il razzismo va combattuto con ogni mezzo, ma è lecito discriminare chi non si è vaccinato – a breve anche chi non si è vaccinato abbastanza.

 

Credono che faranno loro una Ola quei (tanti, tantissimi) cittadini che a causa della Corazzata Kotiomkin hanno perso diritti costituzionali, i diritti umani, e giù giù fino alla perdita del tetto e del cibo, il primo povero gradino fisiologico della piramide di Maslow…

Ieri ci hanno detto che siamo liberi, hanno riaperto tutto: per comprare i giornali che lo dicono dobbiamo esibire il green pass in edicola, al supermercato non è detto che possiamo comprare il giornale, perché è un «bene non essenziale».

 

Tutto è sottosopra. La democrazia, è sottosopra. In senso letterale: il sotto è completamente soggiogato dal sopra, e in teoria dovrebbe essere il contrario. Anche perché, se invertiamo lo schema della democrazia, sappiamo cosa dobbiamo aspettarci: il totalitarismo, la schiavitù. Malattie metastoriche verso le quali, per decenni, siamo stati vaccinati con dosi multiple, continue. E invece…

 

Così, anche gli applausi rivoluzionari di Fantozzi sono perduti. La carica politica del ragioniere è stata invertita.

 

La narrazione per cui La corazzata Kotiomkin è un capolavoro deve rimanere in piedi, nonostante gli abusi, le vessazioni, le contraddizioni le offese insopportabili.

 

La corazzata Kotiomkin va applaudita: è ad essa, non alla verità, che devono andare i 92 minuti di battimani.

Credono davvero che il popolo si guarderà un’altra volta la Kotiomkin?

 

Solo una cosa: credono che, quando si volgeranno agli elettori, prenderanno gli stessi applausi?

 

Credono che quella parte della popolazione, che ha rigettato La corazzata Kotiomkin sin dai primi mesi del biennio pandemico, riserverà loro cori di approvazione?

 

Credono che faranno loro una ola quei (tanti, tantissimi) cittadini che a causa della Corazzata Kotiomkin hanno perso diritti costituzionali, i diritti umani, e giù giù fino alla perdita del tetto e del cibo, il primo povero gradino fisiologico della piramide di Maslow…

 

Credono davvero che il popolo si guarderà un’altra volta la Kotiomkin?

 

Credono davvero che resteremo schiavi delle loro cagate?

 

 

Roberto Dal Bosco

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Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

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I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.

 

L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.

 

Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.

 

Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.

 

Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.

 

Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.

 

Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.

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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.

 

Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.

 

Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.

 

Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.

 

Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.

 

I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.

 

Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».

 

Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.

 

Patrizia Fermani

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Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Le nazioni devono basarsi sulle proprie tradizioni storiche e spirituali, oltre che su una «visione sovrana del mondo», mentre plasmano il loro avvenire, ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin in un messaggio scritto ai partecipanti del II Simposio Internazionale «Inventare il Futuro» a Mosca. L’evento, in programma il 7 e 8 ottobre, accoglierà oltre 7.000 partecipanti provenienti da quasi 80 Paesi.   Discussioni aperte e innovative sul futuro dell’umanità supportano i governi nel rispondere adeguatamente alle nuove sfide, ha osservato il presidente russo. «Le conclusioni e i risultati di un dialogo così profondo e sostanziale sono di grande valore», ha aggiunto Putin. «Sono fiducioso che dobbiamo creare il nostro futuro sulla base di una visione del mondo sovrana».   Promosso su iniziativa del presidente russo, il simposio comprende circa 50 eventi, organizzati in tre aree tematiche: società, tecnologia e cooperazione globale. Il forum ospiterà oltre 200 relatori provenienti da Russia, Cina, Stati Uniti, Italia e da Paesi di Africa, America Latina, Medio Oriente e Sud-est asiatico, che discuteranno di temi che spaziano dalle sfide demografiche all’intelligenza artificiale (IA) e all’esplorazione spaziale.

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Nel primo giorno del simposio si è svolta una tavola rotonda incentrata sul futuro delle tecnologie di intelligenza artificiale e sul loro potenziale di diventare non solo uno strumento professionale di nicchia, ma una base per un’infrastruttura globale e un nuovo «linguaggio della realtà» per governi e imprese private.   Un altro dibattito tenutosi martedì si è concentrato sulle prospettive di collaborazione tra Russia e Africa nei prossimi decenni, fino al 2063. Mosca mira a rafforzare i legami con il continente, promuovendo attivamente la condivisione di tecnologie con le nazioni africane, contribuendo a garantire la sicurezza regionale e sostenendo la sovranità degli attori locali, oltre a favorire un approccio più equo nelle relazioni internazionali.   Al forum del Club Valdai, a Sochi, giorni prima Putin aveva parlato dei «valori tradizionali» anche in merito alla «disgustosa atrocità» dell’assassinio di Charlie Kirk.   «Sapete, questa disgustosa atrocità, e ancora di più, dal vivo», ha detto Putin a un forum organizzato dal Valdai Discussion Club a Sochi, in Russia. «In effetti, l’abbiamo vista tutti, ma non so, è davvero disgustoso. Era orribile». «Prima di tutto, naturalmente, porgo le mie condoglianze alla famiglia del signor Kirk e a tutti i suoi cari», ha continuato il leader russo. «Siamo solidali e solidali, soprattutto perché ha difeso quei valori tradizionali».   Putina aveva aggiunto che la sparatoria mortale è il segno di una «profonda frattura nella società», secondo Reuters. «Negli Stati Uniti, non credo ci sia bisogno di aggravare la situazione all’esterno, perché la leadership politica del Paese sta cercando di ristabilire l’ordine a livello nazionale», ha affermato Putin.

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La questione di Heidegger

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Negli scorsi mesi è scoppiata sul quotidiano La Verità una bizzarra diatriba riguardo ad un pensatore finito purtroppo per essere centrale nel nostro panorama filosofico accademico, Martin Heidegger (1889-1976), già noto per la collaborazione con il nazismo e per l’adulterio consumato con la celebre ebrea Hannah Arendt, all’epoca sua studentessa, e da alcuni, per qualche ragione, considerato come un filosofo «cattolico».

 

Un articolista con fotina antica a nome Boni Castellane (supponiamo si chiami Bonifazio, ma lo si trova scritto così, con il diminutivo, immaginiamo) ha cominciato, con un pezzo importante, a magnificare le qualità dell’Heidegger lo scorso 17 agosto:«Omologati e schiavi della Tecnologia – Heidegger ci aveva visti in anticipo».

 

Giorni dopo, aveva risposto un duo di autori, tra cui Massimo Gandolfini, noto, oltre che la fotina con il sigaro, per aver guidato (per ragioni a noi sconosciute) eventi cattolici di odore vescovile, che come da programma non sono andati da nessuna parte, se non verso la narcosi della dissidenza rimasta e il compromesso cattolico. Sono seguite altri botta e risposta sul ruolo del «sacro» secondo l’Heideggerro e la sua incompatibilità con il cristianesimo.

 

Il Gandolfini e il suo sodale scrivono, non senza ragione, che «il dio a cui si riferisce Heidegger non è il nostro». Una verità non nota agli intellettuali cattolici che, in costante complesso di inferiorità nei confronti del mondo, hanno iniziato ad importare il pensatore tedesco dalle Università italiane – dove ha tracimato, dopo un progetto di inoculo sintetico non differente da quello avutosi con Nietzsche – per finire addirittura nei seminari.

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Il progetto, spiegava anni fa Gianni Collu al direttore di Renovatio 21, era del tutto identico a quello visto con Nietzsche, recuperato dall’ambito della cultura nazista, purgato nell’edizione Adelphi di Giorgio Colli e Mazzino Montinari – la cura dell’opera omnia nicciana arriva prima in italiano che in tedesco! – e servito alla massa del ceto medio riflessivo italiota, e mondiale, per distoglierlo dal marxismo e introdurre elementi di irrazionalismo e individualismo nichilista nella vita del popolo – di lì all’esoterismo di massa, il passo diventa brevissimo.

 

Con Heidegger si è tentato un lavoro simile, ma Collu aveva profetizzato allo scrivente che stavolta non avrebbe avuto successo, perché era troppo il peso del suo legame con l’hitlerismo, e troppa pure la cifra improponibile del suo pensiero. Di lì a poco, vi fu lo scandalo dei cosiddetti «Quaderni neri», scritti ritenuti inaccettabili che improvvisamente sarebbero riemersi – in verità, molti sapevano, ma il programma di heidegerizzare la cultura (compresa quella cattolica) imponeva di chiudere un occhio, si vede. Fu ad ogni modo divertente vedere lo stupore di autori e autrici che avevano dedicato una buona porzione della carriera allo Heidegger – specie se di origini ebraiche.

 

L’incompatibilità di Heidegger – portatore di una filosofia oscura e disperata – con il cattolicesimo è, comunque, totale. Di Heidegger non vanno solo segnalati i pericoli, va combattuto interamente il suo pensiero, che altro non è se non un ulteriore sforzo per eliminare la metafisica, e quindi ogni prospettiva non materiale – cioè spirituale – per l’uomo.

 

Molto vi sarebbe da dire sul personaggio, anche a partire dal suo dramma biografico. Lasciamo qui la parola al professor Matteo D’Amico, che ha trattato il tema dell’influenza di Heidegger nel mondo cattolico, e la difformità di questo personaggio e del suo pensiero, in un intervento al Convegno di studi di Rimini della Fraternità San Pio X nel 2017.

 

 

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Immagine di Landesarchiv Baden-Württemberg, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 060680b / Fotograf: Willy Pragher via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

 

 

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