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Geopolitica

Gli Stati Uniti stanno preparando il cambio di regime nelle Isole Salomone

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La delegazione statunitense alle Isole Salomone guidata dal coordinatore indo-pacifico del Consiglio di sicurezza nazionale USA Kurt Campbell ha lanciato ieri minacce contro il primo ministro delle Isole Salomone Manasseh Sogavare in un ovvio sforzo per convincerlo a rompere l’accordo di sicurezza che ha appena firmato con la Cina.

 

«Le due parti si sono impegnate in una discussione sostanziale sull’accordo di sicurezza firmato di recente tra le Isole Salomone e la Repubblica popolare cinese», ha riferito la lettura della Casa Bianca, pubblicata dopo un incontro di 90 minuti.

 

«I rappresentanti delle Isole Salomone hanno indicato che l’accordo aveva solo applicazioni nazionali, ma la delegazione degli Stati Uniti ha notato che ci sono potenziali implicazioni per la sicurezza regionale dell’accordo, anche per gli Stati Uniti e i loro alleati e partner. La delegazione degli Stati Uniti ha delineato chiare aree di preoccupazione per quanto riguarda lo scopo, la portata e la trasparenza dell’accordo».

 

«Se vengono prese misure per stabilire una presenza militare permanente de facto, capacità di proiezione di potenza o un’installazione militare, la delegazione ha notato che gli Stati Uniti avrebbero quindi preoccupazioni significative e risponderebbero di conseguenza», ha avvertito senza mezzi termini la parte statunitense.

 

Un rapporto del quotidiano locale Solomon Star News proclama che è l’ultima di una raffica di attività diplomatiche congiunte volte a costringere le Isole Salomone ad abbandonare il patto di sicurezza, affermando che la Cina avrebbe utilizzato l’accordo per costruire basi militari nelle Isole Salomone.

 

La visita della delegazione statunitense ha fatto seguito a quella del ministro australiano per lo sviluppo internazionale e del Pacifico Zed Seselja, la scorsa settimana, che a quanto pare non è andata bene. «Il risentimento era abbastanza evidente», ha ammesso un insider dopo l’incontro.

 

L’analisi di Solomon Star News afferma che Washington ritiene che «elezioni libere ed eque potrebbero portare a un nuovo governo che non solo abroghi l’accordo sulla sicurezza (con la Cina) ma ritorni a Taiwan».

 

Secondo il quotidiano Sunday Guardian, anche l’amministrazione statunitense ritiene che un simile risultato sarebbe una «grave perdita della faccia per Xi Jinping, che fornisce munizioni ai suoi nemici interni, e potrebbe portare un Sogavare politicamente indebolito a essere più esposto all’accusa».

 

Lo Star News cita un ex ministro degli Esteri e primo ministro Danny Philip che ha elencato due punti: uno è che gli Stati Uniti per la maggior parte hanno ignorato le Isole Salomone per la maggior parte degli ultimi 80 anni, dopo aver lasciato tonnellate di ordigni inesplosi e materiali pericolosi rimasto dalle feroci battaglie combattute lì durante la seconda guerra mondiale.

 

In secondo luogo è una combinazione instabile di culture e strutture di credenze all’interno della popolazione che rende difficile il governo.

 

Philip ha sottolineato che è importante la necessità di istituire un apparato e un sistema di sicurezza interna forte ed efficace per sottoscrivere e garantire lo sviluppo economico come patrimonio nazionale.

 

«Questa da sola è la base per l’ampliamento della portata dell’accordo di sicurezza tra le Isole Salomone e la Cina», ha affermato.

 

Come riportato da Renovatio 21, la tensione nelle Salomone è alta tra rivolte incendiarie e contingenti militari australiani mandati per il contenimento.

 

 

 

 

 

Immagine di Christopher John SSF via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

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Geopolitica

Trump: Zelens’kyj deve essere «realista»

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Il presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato che Volodymyr Zelens’kyj deve fare i conti con la realtà del conflitto contro la Russia e con l’urgenza di indire nuove elezioni.

 

Il mandato presidenziale quinquennale di Zelens’kyj è scaduto a maggio 2024, ma il leader ucraino ha sempre escluso il voto per via della legge marziale in vigore. Vladimir Putin ha più volte sostenuto che lo Zelens’kyj non può più essere considerato un interlocutore legittimo e che la sua posizione renderebbe giuridicamente problematico qualsiasi accordo di pace.

 

Mercoledì Trump ha affrontato la questione Ucraina in una telefonata con i leader di Regno Unito, Francia e Germania. «Ne abbiamo parlato in termini piuttosto netti, ora aspettiamo di vedere le loro risposte», ha riferito ai giornalisti alla Casa Bianca.

 

«Penso che Zelens’kyj debba essere realista. Mi domando quanto tempo passerà ancora prima che si tengano le elezioni. Dopotutto è una democrazia… Sono anni che non si vota», ha aggiunto Trump, sottolineando che l’Ucraina sta «perdendo moltissima gente».

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Il presidente americano ha poi sostenuto che l’opinione pubblica ucraina sia largamente favorevole a un’intesa con Mosca: «Se guardiamo i sondaggi, l’82 % degli ucraini vuole un accordo – è uscito proprio un sondaggio con questa cifra».

 

Trump ha insistito sulla necessità di chiudere rapidamente il conflitto: «Non possiamo permetterci di perdere altro tempo».

 

Secondo Axios e RBC-Ucraina, Kiev ha trasmesso agli Stati Uniti la sua ultima proposta di pace. Zelens’kyj , che fino a ieri escludeva elezioni in tempo di legge marziale, ha dichiarato mercoledì di essere disposto a indire il voto, a patto però che Stati Uniti e alleati europei forniscano solide garanzie di sicurezza.

 

Il consenso verso Zelens’kyj è precipitato al 20 % dopo uno scandalo di corruzione nel settore energetico che ha travolto suoi stretti collaboratori e provocato le dimissioni di diversi alti funzionari. Trump ha più volte invitato il leader ucraino a tornare alle urne, ribadendo che la corruzione endemica resta uno dei problemi più gravi del paese.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Geopolitica

Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela

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Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.   L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.   «Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.   Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».   Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.  

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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.   Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.   Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.   Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».   Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.   Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.   «L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.   Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».   Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».  

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Immagine screenshot da Twitter

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Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

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La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.

 

Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.

 

«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.

 

Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».

 

Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.

 

Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.

 

Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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