Sanità
Gli esperti accusano il CDC di «selezionare» i dati dell’immunità dei vaccini per supportare la narrativa politica
Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense.
Prove crescenti mostrano che l’immunità naturale al COVID vince sull’immunità vaccinale, ma gli esperti affermano che il CDC sta ignorando la scienza di tradizionale dell’immunità naturale e manipolando i dati per supportare «ciò che hanno già deciso».
Esiste una crescente letteratura che mostra che l’immunità naturale non solo conferisce una protezione robusta, duratura e di alto livello contro il COVID, ma fornisce anche una protezione migliore rispetto all’immunità indotta dal vaccino.
Tuttavia, i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) stanno ignorando la scienza di lunga data dell’immunità naturale quando si tratta di COVID – pur riconoscendo i benefici dell’immunità naturale per altre malattie – secondo un esperto che ha accusato l’agenzia di fornire messaggi contraddittori e «illogici» sul COVID.
Makary ha spiegato come le attuali linee guida del CDC per la varicella, ad esempio, non incoraggiano coloro che l’hanno già contratta a vaccinarsi contro il virus
Il dottor Marty Makary, professore di chirurgia e politica sanitaria presso la Johns Hopkins University, ha accusato il CDC di «selezionare» e di manipolare le linee guida sulla salute pubblica relative ai vaccini e all’immunità naturale per supportare una narrazione politica.
Makary ha partecipato al «Clay Travis and Buck Sexton Show» per discutere l’impatto clinico dell’immunità naturale comparata a quella ottenuta dal vaccino.
Durante la trasmissione, Travis ha sottolineato che la guida del CDC sul COVID non è coerente con le sue raccomandazioni sui vaccini per altri virus contagiosi, come la varicella.
Makary ha spiegato come le attuali linee guida del CDC per la varicella, ad esempio, non incoraggiano coloro che l’hanno già contratta a vaccinarsi contro il virus. Il CDC raccomanda solo due dosi di vaccino per bambini, adolescenti e adulti che non hanno mai avuto la varicella.
«Allora perché il CDC non dice la stessa cosa per quelli che hanno già avuto il COVID?» chiede Travis.
Makary ha definito le contraddittorie linee guida «assolutamente illogiche» e ha accusato l’agenzia di «ignorare l’immunità naturale».
Makary ha definito le contraddittorie linee guida «assolutamente illogiche» e ha accusato l’agenzia di «ignorare l’immunità naturale».
«Non è coerente con quello che stanno facendo per la varicella», ha affermato Makary. È come se avessero adottato il sistema immunitario per un virus, ma non per un altro virus, ha detto, e «raccolgono i dati per supportare qualunque cosa abbiano già deciso».
«Lo riducono in pezzetti più piccoli – qualcosa che chiamiamo fishing nelle tecniche statistiche», ha detto Makary. «Questo si fa quando cerchi un piccolo frammento di dati che supporti ciò in cui già credi».
Secondo un articolo del BMJ del 13 settembre, quando il lancio del vaccino COVID è iniziato a metà dicembre 2020, più di un quarto degli americani – 91 milioni – era stato infettato dal SARS-CoV-2, secondo le stime del CDC.
A partire da questo maggio, quella percentuale era salita a più di un terzo della popolazione, compreso il 44% degli adulti di età compresa tra 18 e 59 anni.
Tuttavia, il CDC ha incaricato tutti, indipendentemente dalla precedente infezione, di vaccinarsi completamente non appena fossero idonei. A gennaio, sul suo sito web, l’agenzia ha giustificato la sua guida affermando che l’immunità naturale «varia da persona a persona» e «gli esperti non sanno ancora per quanto tempo duri la protezione».
A giugno, un sondaggio della Kaiser Family Foundation ha rilevato che il 57% di chi aveva già contratto l’infezione è stato vaccinato.
A giugno, un sondaggio della Kaiser Family Foundation ha rilevato che il 57% di chi aveva già contratto l’infezione è stato vaccinato.
Il 10 settembre, il dottor Sanjay Gupta della CNN ha chiesto al dottor Anthony Fauci, capo consulente medico del presidente Biden, se le persone che sono risultate positive al virus dovrebbero comunque fare un vaccino.
Gupta ha citato dati recenti da Israele che suggeriscono che le persone che si sono riprese dal COVID avevano una protezione migliore e un rischio inferiore di contrarre la variante Delta, rispetto a quelle con l’immunità indotta dal vaccino a due dosi di Pfizer-BioNTech.
«Non ho una risposta certa su questo», ha detto Fauci. «Questo è qualcosa di cui dovremo discutere per quanto riguarda la durata della risposta».
La ricerca israeliana non ha affrontato la durata dell’immunità naturale. Fauci ha affermato che è possibile per una persona riprendersi dal COVID e sviluppare l’immunità naturale, ma tale protezione potrebbe non durare quanto la protezione fornita dal vaccino.
«Penso che sia qualcosa che dobbiamo discutere seriamente», ha detto Fauci.
Numerosi studi, tuttavia, hanno dimostrato che le persone guarite dal COVID hanno un’immunità robusta, stabile e di lunga durata.
Prove di immunità naturale
Già nel novembre 2020, importanti studi hanno mostrato che le cellule B della memoria e le cellule T della memoria si sono formate in risposta all’infezione naturale e le cellule della memoria rispondono producendo anticorpi contro le varianti future.
Uno studio finanziato dal National Institutes of Health e condotto dal La Jolla Institute for Immunology, ha trovato «risposte immunitarie elevate» nel 95% dei 200 partecipanti fino a otto mesi dopo l’infezione.
Già nel novembre 2020, importanti studi hanno mostrato che le cellule B della memoria e le cellule T della memoria si sono formate in risposta all’infezione naturale e le cellule della memoria rispondono producendo anticorpi contro le varianti future
Uno dei più grandi studi fino ad oggi, pubblicato su Science nel febbraio 2021, ha scoperto che sebbene gli anticorpi siano diminuiti in 8 mesi, le cellule B di memoria sono aumentate nel tempo e l’emivita delle cellule T CD8+ e CD4+ di memoria suggerisce una presenza costante.
In uno studio della New York University pubblicato il 3 maggio, gli autori hanno esaminato il contrasto tra l’immunità vaccinale e l’immunità da precedenti infezioni in relazione alla stimolazione dell’immunità innata delle cellule T, che è più duratura dell’immunità adattativa attraverso i soli anticorpi.
Gli autori hanno concluso che:
«Nei pazienti COVID-19, le risposte immunitarie erano caratterizzate da una risposta all’interferone altamente sviluppata che era in gran parte assente nei soggetti vaccinati. L’aumento della segnalazione dell’interferone probabilmente ha contribuito alla drammatica sovraregolazione osservata dei geni citotossici nelle cellule T periferiche e nei linfociti simil-innati nei pazienti ma non nei soggetti immunizzati.
Lo studio ha inoltre osservato che:
«L’analisi dei repertori dei recettori delle cellule B e T ha rivelato che mentre la maggior parte delle cellule B e T clonali nei pazienti COVID-19 erano cellule effettrici, nei destinatari del vaccino, le cellule clonali erano principalmente cellule di memoria circolanti».
Ciò significa che l’immunità naturale trasmette una superiore immunità innata, mentre il vaccino stimola principalmente l’immunità adattativa, poiché le cellule effettrici innescano una risposta innata più rapida e duratura, mentre la risposta della memoria richiede una modalità adattiva che è più lenta a rispondere.
Secondo un’analisi longitudinale pubblicata il 14 luglio su Cell Medicine, la maggior parte dei pazienti COVID guariti ha prodotto anticorpi durevoli, cellule B di memoria e cellule T CD4 e CD8 polifunzionali durevoli, che prendono di mira più parti del virus.
«Presi insieme, questi risultati suggeriscono che un’immunità ampia ed efficace può persistere a lungo termine nei pazienti guariti dal COVID-19»
«Presi insieme, questi risultati suggeriscono che un’immunità ampia ed efficace può persistere a lungo termine nei pazienti guariti dal COVID-19», hanno affermato gli autori.
In altre parole, a differenza dei vaccini, non sono necessari richiami per potenziare l’immunità naturale.
In uno studio del 12 maggio condotto dall’Università della California, i ricercatori hanno scoperto che l’immunità naturale trasmette un’immunità più forte rispetto al vaccino.
I ricercatori hanno scritto:
«Negli individui che non hanno contratto l’infezione, la seconda dose [di vaccino] ha aumentato la quantità ma non la qualità della risposta delle cellule T, mentre nei convalescenti la seconda dose non ha stimolato nessuna delle due. Le cellule T specifiche per la spike dei vaccinati convalescenti differivano sorprendentemente da quelle dei vaccinati che non avevano mai contratto l’infezione, con caratteristiche fenotipiche che suggeriscono una persistenza a lungo termine e una capacità superiori di raggiungere il tratto respiratorio, compreso quello rinofaringeo».
Secondo il BMJ, studi in Qatar, Inghilterra, Israele e Stati Uniti hanno riscontrato tassi di infezione a livelli altrettanto bassi tra le persone che sono state completamente vaccinate e quelle che hanno precedentemente avuto il COVID.
Come riportato da The Defender a giugno, la Cleveland Clinic ha intervistato più di 50.000 dipendenti per confrontare quattro gruppi in base alla storia dell’infezione da SARS-CoV-2 e allo stato di vaccinazione.
«I nostri risultati mettono in dubbio la necessità di vaccinare individui che hanno già contratto il virus»
Nessuno degli oltre 1.300 dipendenti non vaccinati che erano stati precedentemente infettati è risultato positivo durante i cinque mesi dello studio. I ricercatori hanno concluso che quella coorte «è improbabile che tragga beneficio dalla vaccinazione COVID-19».
Nel più grande studio osservazionale del mondo reale che ha confrontato l’immunità naturale acquisita attraverso una precedente infezione da SARS-CoV-2 con l’immunità indotta dal vaccino fornita dal siero Pfizer, i ricercatori in Israele hanno scoperto che le persone guarite dal COVID avevano molte meno probabilità di contrarre la variante Delta, di sviluppare sintomi o di essere ricoverate in ospedale rispetto ai vaccinati mai infettati.
«I nostri risultati mettono in dubbio la necessità di vaccinare individui che hanno già contratto il virus», hanno concluso.
Gli esperti parlano dell’immunità naturale
In una recente lettera all’editore del BMJ, il dottor Manish Joshi, pneumologo presso UAMS Health, il Dott. Thaddeus Bartter, pneumologo presso UAMS Health e Anita Joshi, BDS, MPH, hanno affermato che i dati dimostrano una protezione adeguata e duratura in coloro che si sono ripresi dal COVID, mentre la durata dell’immunità indotta dal vaccino non è completamente nota.
Gli autori della lettera hanno affermato che lo studio «SIREN» apparso su Lancet aveva affrontato le relazioni tra la positività nelle persone con precedente infezione da COVID e il successivo rischio di sindrome respiratoria acuta grave dovuta all’infezione da SARS-CoV-2 nei successivi 7-12 mesi.
Lo studio ha rilevato che l’infezione precedente riduce il rischio di reinfezione sintomatica del 93%.
Un ampio studio di coorte pubblicato su JAMA Internal Medicine che ha esaminato 3,2 milioni di pazienti statunitensi, ha mostrato che il rischio di infezione era significativamente inferiore (0,3%) nei pazienti sieropositivi rispetto a quelli sieronegativi (3%).
Un recente studio pubblicato a maggio sulla rivista Nature ha dimostrato la presenza di cellule immunitarie della memoria di lunga durata nei guariti dal COVID-19, suggerendo un’immunità duratura e costante.
«Ciò implica una capacità prolungata (forse anni) di rispondere a una nuova infezione con nuovi anticorpi», hanno scritto gli autori.
Megan Redshaw
Traduzione di Alessandra Boni
Sanità
Un nuovo sindacato per le prossime pandemie. Intervista al segretario di Di.Co.Si
Tra le tante cose portateci dalla pandemia, ce ne è una di abbastanza clamorosa: la creazione di un nuovo sindacato, che ha già un migliaio di iscritti ed è in crescita costante. Legato al gruppo ContiamoCi! – che ha ottenuto successi non indifferenti in certe elezioni comunali, lasciando sbalorditi i professionisti dei partiti tradizionali – il sindacato Di.Co.Si terrà questo sabato18 ottobre una grande manifestazione a Roma in piazza Santi Apostoli alle ore 15.
Renovatio 21 intervista il dottor Dario Giacomini, radiologo e presidente del sindacato Di.Co.Si, nonché suo fondatore.
Dottor Giacomini, perché un nuovo sindacato?
Perché non ci sono più i sindacati nel vero senso del termine. I sindacati hanno abdicato al ruolo di difesa del mondo del lavoro. Un lavoro che era espressione delle capacità e dell’intelletto umano, e che ora è fagocitato dalla finanza e dall’automazione, con il lavoratore che tende a scomparire. Se ieri il sindacato esisteva per proteggere l’uomo dallo sfruttamento, ora bisogna aiutare l’uomo a lavorare, perché il lavoro è la forma più alta di realizzazione umana. Oggi la tendenza non è quella di tutelare il lavoratore, ma quella di rendere l’uomo uno schiavo.
Non si tratta più di sedersi ad un tavolo per discutere di salari e fringe-benefits. Si tratta di una battaglia più grande, la guerra dei mondi tra la tecnocrazia, e i capitali dietro ad essa, e l’essere umano. Per il capitalismo terminale è più semplice avere a che fare con una massa di automi. Ecco perché sindacato serve più oggi che trenta anni fa.
Chi è oggi il tuo datore di lavoro? È difficile dirlo. Non c’è più solo l’Agnelli di turno, ci sono megagruppi finanziari senza volto, con cui interagire è arduo. Sul mondo del lavoro si gioca la libertà delle persone. C’è la volontà chiara di avere un popolo di schiavi. Togli il lavoro, togli la dignità delle persone.
La Triplice non ha nessuna forza innovatrice, di contrasto alle direttrici economiche globali. Sono degli asserviti, vanno in piazza solo per rabbonirsi i lavoratori. Quando c’era bisogno che intervenissero per difendere il mondo del lavoro non lo hanno mai fatto – come in pandemia, quando questo è diventato assolutamente evidente.
C’è bisogno di un nuovo sindacato perché tanti sentono il bisogno di non delegare più. Molti stanno riscoprendo lo spirito di classe: siamo lavoratori e dobbiamo metterci fisicamente contro le ingiustizie, come è successo durante il COVID. Ricordiamo: licenziavano il collega, e non potevamo fare niente. Questo non deve ripetersi.
Il sindacato è lotta, lotta per i propri diritti. Di.Co.Si ContiamoCi! è il nome per esteso del sindacato: Diritti Costituzionali Sindacato ContiamoCi!
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Il sindacato è nato da ContiamoCi?
Sì. ContiamoCi! è un’associazione nata a giugno 2021 a seguito dell’obbligo vaccinale per i sanitari, allargandosi poi a tutte le categorie. Il simbolo sono quattro braccia che si sorreggono in uno scudo: tutti sono indispensabili, nessuno viene lasciato indietro. Ognuno ha la propria dignità: che non dipende dal successo, ma dalla vita di ciascuno. Il medico non è migliore dell’operatore sociosanitario, e lo abbiamo visto negli ultimi anni.
L’idea era anche quella di difendere la scienza medica. Nel nostro motto è detto che la libertà è scelta, la libertà è ricerca, la libertà è responsabilità. Vogliamo tutelare non una libertà anarchica, ma una libertà del dovere, della responsabilità.
ContiamoCi! non è nata esattamente come un’associazione di scopo. Le associazioni di solito hanno obbiettivi più definiti, noi abbiamo solo l’idea di riprenderci lo spazio che ci è stato sottratto in questi anni: nell’economia, nella Salute, nella scuola, nel lavoro, nella difesa dei minori. Abbiamo creato un’architettura programmatica e una base organizzativa per poterlo fare.
Crediamo che è solo con la partecipazione attiva, nella sfera pubblica, che possiamo tutelare la vita privata. ContiamoCi! vuole porre la lente sulla polis, sulla res publica, lo spazio che ci è stato portato via. Per farlo bisogna fare una battaglia.
Quando è nata l’idea di fare un sindacato?
L’idea è nata tra settembre e ottobre 2021 quando mi sono reso conto che pandemia e vaccini erano un attacco al lavoro. Ho pensato che la pandemia vera che doveva venire era la pandemia del lavoro. Intelligenza Artificiale, Robotica, umanoidi: per la prima volta la produzione avviene senza l’essere umano, ridotto a consumatore, lo avevamo capito subito, lo abbiamo profetizzato, ed eccoci qui.
La digitalizzazione può distruggere il mondo del lavoro rendendolo transnazionale. Con la telemedicina, ad esempio, posso assumere medici in qualsiasi parte del mondo, senza nemmeno farli spostare da casa. Nessuna contrattazione di categoria è più possibile. Diventiamo pezzi di carta intercambiabili. La pandemia è servita a questo: ha forzato il passaggio da un mondo analogico ad un mondo digitale, con la sparizione di classi intere di figure professionali. Se mancano i medici in alcuni aree, ti dicono che ci mettono i sensori, la consulenza remota di qualcuno che ti controlla…
Siamo all’inizio di questa trasformazione, ma per i giovani è più facile, perché si interfacciano già alla realtà con strumenti digitali.
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Chi si iscrive a Di.Co.Si?
Nella gran parte sono sanitari, ma anche nel mondo della scuola. Sicuramente chi ha subito l’ingiustizia di questi anni, come il greenpass. Si avvicinano a noi quanti vedono che non ci siamo piegati alle minacce di quegli anni, e mettiamo davanti, come un vero sindacato, non interessi personali ma collettivi. Il nostro sindacato promette lotta e sofferenza e non avanzamenti di carriera e lauti stipendi. Nel nostro sindacato non c’è un sindacalista di professione: siamo tutti lavoratori che vogliono tutelare se stessi e gli altri lavoratori.
Quanti sono ad oggi gli iscritti?
Stiamo arrivando al migliaio, ma tra tante categorie professionali.
Che servizi offre?
Servizi assicurativi, di CAF, patronato, formazione professionale, consulenza legale. E il servizio più grande, quello culturale: ridare consapevolezza al lavoratore del suo valore, del suo ruolo indispensabile, per far sì che non vi siano prevaricazioni da parte del datore di lavoro e dello Stato. Si tratta di ridare una coscienza collettiva al lavoratore.
Cosa hanno passato i vostri iscritti durante la pandemia?
Hanno subito la più grande pressione psicologica della storia repubblicana: per la prima volta si è visto uno Stato che perseguitava cittadini onesti, violentati psicologicamente. Lo Stato ti mentiva e ti perseguitava. Una situazione drammatica in cui non potevi fidarti neanche del collega, che poteva essere un delatore o uno che voleva ghettizzarti. La situazione era di stress emotivo estremo, ma non solo. Alcuni, sospesi, hanno sofferto anche la fame. Conosco infermieri che hanno venduto la casa, per dire che la propria dignità non è in vendita. Si tratta di un atto rivoluzionario.
Ha patito anche lei gli effetti delle leggi pandemiche?
Assolutamente sì. Io, che dirigevo il reparto di tutte le radiologie dell’Ovest vicentino, ho avuto un demansionamento e mesi di sospensione. Ho avuto delle pressioni molto forti per non proseguire nel mio percorso. Ho subìto la situazione di tanti altri, forse con pressioni maggiori, ma non mi sento diverso da tanti altri lavoratori a cui sono state inflitte le stesse cose. Poi, essendo medico, facile pensare che la mia voce dissenziente poteva mettere in crisi la credibilità del sistema agli occhi dei cittadini.
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Quali vantaggi ha un sindacato rispetto ad altri enti nell’ordinamento italiano?
Un sindacato può parlare a nome dei lavoratori ed è un’istituzione che può parlare con le altre, come riconosciuto dalla Costituzione italiana. In un ordinamento che è ancora democratico, un sindacato è la voce del popolo, del popolo produttivo. Il numero degli iscritti fa la differenza: con un milione di persone in piazza, le politiche dello Stato possono essere cambiate. Lo sciopero può essere usato non per far avanzare ideologie politiche, ma per proteggere il lavoro garantito dalla Costituzione, in una nazione che magari smette di dare lavoro.
E la politica? Avete rapporto con qualche figura parlamentare?
Sì, sulle nostre posizioni, negli anni abbiamo incontrato spezzoni dell’attuale maggioranza. Ciò ci dà speranza per il futuro, e speriamo che si possa continuare. Noi però non siamo subalterni alla politica. Possiamo condividere solo se è a vantaggio dei lavoratori, cioè di tutti i cittadini italiani. Vogliamo, possiamo stimolare leggi in questo senso.
I sindacati tradizionali hanno cercato di cooptarvi?
Qualche sindacato minore, sì. Perché comunque ragionano ancora per bacini di tessere, numeri di iscritti per raggiungere la soglia per sedersi alla contrattazione nazionale. Noi non vogliamo trafficare pacchetti di tessere e stipendi da delegato sindacale. Per cui non abbiamo avuto interlocuzioni positive con chi ci ha contattato. Certo, non abbiamo sentito la Triplice, che non ha bisogno di noi, e che ci è stata ostile. Ancora oggi quando ci sono le elezioni nelle aziende e negli ospedali lo scontro con chi ha avallato le politiche di Draghi è massimo.
Possiamo dire che i sindacati hanno smesso di proteggere i lavoratori? È quello che pensano i vostri iscritti?
Sì. È quello che pensano, perché in larga parte provengono da altri sindacati da cui si sono distanziati. Del resto i loro sindacati erano stati i primi a chiedere che i lavoratori fossero espulsi come «pericolosi». È la prima volta nella storia che un sindacato chiedeva che il lavoro non fosse dato o mantenuto, ma tolto.
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I sindacati hanno smesso di fare cultura, di essere un riferimento non solo amministrativo, ma anche morale, creativo?
I vecchi sindacati vogliono diventare un riferimento politico, non interessa a loro di essere un riferimento culturale. Non ricordo, negli ultimi anni, battaglie che non fossero di tipo politico. Penso alle ultime manifestazioni… Il potere dei vecchi sindacati non è solo politico e amministrativo, ma anche produttivo: controllano l’industria di intere regioni italiane. Sicuramente non fanno cultura, no.
Qual è l’obiettivo ultimo di Di.Co.Si?
Rimettere al centro l’uomo, tutta la sua creatività, le sue compentenze. Invece, quello che sta avvenendo è la trasformazione da lavoratore a consumatore. Questo non lo accettiamo. Oggi le persone sono viste solo come numeri, rubricati ad utenti e consumatori, e non più cittadini con i propri diritti.
Cosa accadrà alla manifestazione di Roma di sabato?
Ci saranno 59 associazioni e comitati, una quarantina circa di relatori a parlare in Piazza Santi Apostoli dalle 15 alle 19. Non sarà una manifestazione come le tante di questi anni, che chiusa la giornata ognuno è a casa e non succede nulla. Qui abbiamo un progetto, per far convergere chi partecipa, e chi vorrà farlo anche da casa, sui punti programmatici.
La base è ampia, dalle forze dell’ordine alla Sanità, alla scuola, i pensionati, gli agricoltori, le partite IVA… cercheremo di trovare una bandiera unitaria, al di là delle tribù. Per parlare con le istituzioni, ci vuole un interlocutore unico: vogliamo costruire a partire da qui.
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Sanità
«Momento spartiacque»: Kennedy rifiuta gli obiettivi sanitari delle Nazioni Unite che «ignorano» l’aumento globale delle malattie croniche
The United States will walk away from the Declaration on Non-Communicable Diseases, but we will never walk away from the world—or our commitment to end chronic disease. pic.twitter.com/bxQbfzMbrb
— Secretary Kennedy (@SecKennedy) September 26, 2025
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La dichiarazione porterebbe a una «gestione oppressiva» da parte degli organismi internazionali
Kennedy ha affermato che, invece di concentrarsi sui rischi che gli alimenti ultra-processati pongono alla salute umana, la dichiarazione delle Nazioni Unite conteneva «disposizioni su tutto, dalle tasse alla gestione oppressiva», ha riportato The Hill. Secondo Kennedy, queste disposizioni, se promulgate, limiterebbero la sovranità nazionale, dando luogo a una «gestione oppressiva da parte degli organismi internazionali» delle questioni di salute pubblica globale. Kennedy ha messo in discussione il ruolo delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – un’agenzia delle Nazioni Unite – nella leadership sanitaria globale. «La bozza di dichiarazione non avrebbe dovuto essere inclusa nell’ordine del giorno di oggi». «L’approccio delle Nazioni Unite è mal indirizzato. Tenta di fare sia troppo poco che troppo. Va oltre il ruolo che spetta alle Nazioni Unite, ignorando i problemi sanitari più urgenti. Ed è per questo che gli Stati Uniti lo respingeranno. L’OMS non potrà rivendicare credibilità o leadership finché non subirà una riforma radicale» ha aggiunto. Gli Stati Uniti avevano già criticato la dichiarazione proposta. In un promemoria del 18 settembre, la Missione statunitense presso le Nazioni Unite ha affermato che la bozza di dichiarazione «non è stata concordata in anticipo per consenso» e pertanto «non dovrebbe essere sottoposta all’approvazione della riunione ad alto livello». L’avvocato olandese Meike Terhorst, attiva su questioni di salute e sovranità medica, ha affermato: «la salute dovrebbe essere affrontata a livello nazionale, non a livello di ONU o OMS», ha affermato Terhorst. «Mi oppongo all’acquisizione di maggiori diritti da parte di organismi indipendenti basati su trattati come ONU e OMS, senza alcun sistema di controlli e contrappesi». Shabnam Palesa Mohamed, direttore esecutivo di Children’s Health Defense Africa e fondatore di Transformative Health Justice, ha sottolineato la necessità di contestare gli sforzi delle Nazioni Unite per ampliare la propria autorità. «È importante mettere in discussione l’estensione dell’attenzione delle Nazioni Unite oltre il suo mandato ufficiale», ha affermato. «L’allargamento delle missioni, senza la conoscenza e il consenso dell’opinione pubblica, rappresenta una minaccia per la salute, la sovranità nazionale e la cooperazione internazionale». Secondo la National Public Radio (NPR), Kennedy non fu il solo a mettere in discussione le proposte della dichiarazione. «Alcuni paesi e sostenitori hanno espresso preoccupazioni riguardo al testo, come il fatto che il documento non tratti delle bevande zuccherate nonostante il ruolo che svolgono nell’aumento dei tassi di obesità infantile», ha riferito NPR. «La posizione di Kennedy ha aperto la porta ad altri», ha detto Ji. «Molte nazioni, soprattutto nel Sud del mondo, sanno in prima persona quanto queste istituzioni le abbiano deluse. Forse non lo diranno ancora apertamente, ma trarranno conforto dal fatto che l’America abbia tracciato una linea rossa».Sostieni Renovatio 21
La dichiarazione darebbe il via a «infrastrutture per una biosorveglianza completa»
Scrivendo su Substack, Ji ha affermato che la dichiarazione conteneva diversi «meccanismi progettati per trasferire l’autorità dalle nazioni alle istituzioni globali». Sarebbe necessario lo sviluppo di quella che Ji ha descritto come una «infrastruttura di sorveglianza digitale». Ha affermato che i paragrafi 61 e 73-74 della dichiarazione propongono una «sorveglianza integrata» con «interoperabilità tra piattaforme sanitarie digitali». Questa proposta creerebbe «un’infrastruttura per una biosorveglianza completa», ha scritto Ji. La dichiarazione chiede inoltre ai paesi di «introdurre o aumentare le tasse», anche su prodotti come tabacco e alcol, cosa che Ji ha descritto come una rinuncia alla sovranità fiscale nazionale. L’appello della dichiarazione a un approccio che coinvolga «l’intera società» minerebbe ulteriormente la sovranità nazionale, creando strutture di «governance parallela» in cui organizzazioni non governative, aziende e altre organizzazioni internazionali «plasmano la politica nazionale senza mandato democratico, aggirando la responsabilità dei cittadini», ha scritto Ji. Secondo Ji, Kennedy non ha avuto altra scelta che rifiutare la dichiarazione. «Le implicazioni vanno ben oltre la politica sanitaria. La posizione di Kennedy segnala che l’America non subordinerà più la sua Costituzione, i suoi processi democratici o i diritti dei suoi cittadini a organismi internazionali non eletti, indipendentemente dal linguaggio umanitario utilizzato per giustificare tale subordinazione» ha scritto. La dichiarazione “introduce di nascosto mandati di sorveglianza generalizzata, controlli fiscali e schemi di ingegneria comportamentale che concentrano il potere in mani non elette, fingendo di ‘salvare vite'”, ha detto Ji a The Defender.Aiuta Renovatio 21
Il rifiuto della dichiarazione da parte degli Stati Uniti impone il voto all’Assemblea generale
Il rifiuto della dichiarazione proposta da parte degli Stati Uniti significa che, invece di essere approvata per consenso, ovvero senza votazione, la proposta dovrà essere sottoposta a votazione dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Secondo Health Policy Watch, questa votazione si terrà «molto probabilmente» il mese prossimo. Il Guardian ha riportato che la dichiarazione dovrebbe essere concordata «nelle prossime settimane», nonostante il rifiuto degli Stati Uniti. In alcune dichiarazioni citate da NPR, la presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite Annalena Baerbock, che ha ricoperto la carica di ministro degli Esteri della Germania come membro del Partito Verde tra il 2021 e il 2025, ha affermato che «gli altri governi andranno avanti, agiranno e porteranno avanti il loro impegno». «C’è la determinazione di non lasciare che questo ostacoli l’azione urgentemente necessaria», ha affermato Baerbock. Health Policy Watch ha riferito che la dichiarazione, che è stata «negoziata con grande impegno», ha il sostegno della maggior parte degli stati membri delle Nazioni Unite, comprese coalizioni chiave come il Gruppo dei 77, che comprende la Cina e comprende 130 economie emergenti. Jeremy Farrar, Ph.D., vicedirettore generale dell’OMS, ha affermato che la dichiarazione ha ancora slancio tra gli Stati membri delle Nazioni Unite. Ha dichiarato a Health Policy Watch: «Anche se dobbiamo dire che nessuno è contento, tutti stanno andando avanti. E in definitiva, a qualcuno a Ho Chi Minh City, a Giacarta o a Londra importa davvero cosa c’è in quella dichiarazione? Ciò che conta è ciò che i governi ora tornano a fare nella propria giurisdizione, ed è questo che conta davvero». Farrar ha già avuto un ruolo nello sviluppo di politiche chiave durante la pandemia di COVID-19, tra cui la vaccinazione di massa.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
L’opinione pubblica riconosce i «pericoli della cessione della sovranità alle istituzioni catturate»
Gli Stati membri dell’ONU si trovano ora di fronte a una «scelta binaria» tra accettare la dichiarazione e rinunciare alla propria sovranità nazionale oppure unirsi agli Stati Uniti nel rifiutare la dichiarazione, ha scritto Ji. Rifiutando la dichiarazione, i paesi «manterrebbero la sovranità nazionale, affronterebbero le cause profonde (cibo ultra-processato), rifiuterebbero la cattura delle multinazionali, chiederebbero una riforma dell’OMS e darebbero priorità alla salute rispetto alla burocrazia», ha scritto Ji. La decisione di respingere la dichiarazione arriva solo pochi mesi dopo altre decisioni dell’amministrazione Trump che mettono in discussione il ruolo delle Nazioni Unite e dell’OMS nella governance sanitaria globale. A gennaio, Trump ha ordinato agli Stati Uniti di ritirarsi dall’OMS, citando la «cattiva gestione della pandemia di COVID-19» da parte dell’organizzazione. Il processo di ritiro sarà completato l’anno prossimo. A luglio, gli Stati Uniti hanno respinto gli emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale (RSI) dell’OMS. Kennedy affermò all’epoca che gli emendamenti avrebbero conferito un’autorità senza precedenti a «un’organizzazione internazionale non eletta che potrebbe ordinare lockdown, restrizioni di viaggio o qualsiasi altra misura che riterrà opportuna». Per quanto riguarda la proposta delle Nazioni Unite, Ji ha affermato: «Questo documento rispecchia lo stesso schema di erosione della sovranità che abbiamo visto con gli emendamenti al RSI dell’OMS e il trattato sulla pandemia: burocrati e i loro partner aziendali che costruiscono il consenso, per poi imporre quadri di conformità alle nazioni senza mandato democratico».Aiuta Renovatio 21
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Sanità
Down morto di fame in un ospedale britannico
L’emittente britannica ITV ha diffuso un’inchiesta che documenta il caso di Adrian Poulton, un uomo di 56 anni con sindrome di Down, morto per malnutrizione in un ospedale del Servizio Sanitario Nazionale (NHS) nel 2021.
L’uomo era stato ricoverato a settembre dello stesso anno al Poole Hospital in seguito alla frattura di un’anca. Nonostante la frattura stesse guarendo, i medici avevano emesso la direttiva «nil by mouth», «niente per via orale», che impedisce l’alimentazione del paziente per bocca.
Secondo quanto riferito dalla famiglia a ITV, Poulton non ricevette nutrizione per nove giorni. I familiari credevano che stesse venendo alimentato tramite flebo, ma successivamente è emerso che ciò non stava avvenendo. Il padre, Derek Poulton, ha dichiarato: «Non essendo medici, pensavamo naturalmente che ricevesse nutrimento. Ma a quanto pare, lo stavano facendo morire di fame». La sorella, Lesley Bungay, ha affermato che Adrian era consapevole delle sue condizioni e temeva per la propria vita.
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Poulton è deceduto il 28 settembre 2021. Un rapporto ufficiale dell’ospedale ha attribuito la causa della morte alla mancanza di nutrizione. La struttura ha espresso cordoglio e dichiarato di aver implementato modifiche operative in seguito all’accaduto, condividendole con i familiari.
Il caso riaccende l’attenzione su una questione più ampia riguardante il trattamento delle persone con disabilità intellettive nel sistema sanitario britannico. A settembre 2023, un rapporto commissionato dal governo ha rilevato che le persone con disabilità intellettive muoiono mediamente 20 anni prima della popolazione generale e che circa il 40% di questi decessi sarebbe evitabile.
La carenza di personale specializzato è un altro elemento critico: la forza lavoro infermieristica in questo settore è diminuita del 43% dal 2009, secondo quanto riportato in una lettera inviata da 16 organizzazioni di beneficenza al ministro della Salute, Wes Streeting.
«Se non cambia nulla, si prevede che entro il 2028 vi saranno pochissimi infermieri specializzati in disabilità intellettive in Inghilterra», si legge nella missiva, che sottolinea la necessità di un intervento urgente per evitare un collasso del settore.
Nel 2023, un altro caso simile ha coinvolto Louis Cartright, un ragazzo di 17 anni con sindrome di Down, morto dopo essere stato dimesso da un ospedale londinese senza ricevere cure appropriate. Cartright, inizialmente portato in ospedale per un malessere, non fu sottoposto a esami ematici poiché era ansioso all’idea del prelievo e i medici non ritennero opportuna la sedazione. Le sue condizioni peggiorarono progressivamente e morì a casa il 3 febbraio 2023. L’inchiesta del medico legale è ancora in corso.
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La madre, Jackie Cartright, ha riferito a ITV: «Non aveva mai avuto il COVID. Raramente si prende il raffreddore, non ha mai avuto un mal di stomaco. Era un bambino sanissimo». «Dicono di aver fatto tutto il possibile per Louis. Non crediamo che sia vero», ha detto suo padre Ian a ITV. «Aveva una disabilità, aveva la sindrome di Down, era un bambino spaventato. Avrebbero potuto fare qualcosa, e si sono rifiutati di farlo».
Organizzazioni e attivisti sottolineano che questi casi evidenziano criticità strutturali nel sistema sanitario e pongono interrogativi sull’equità delle cure fornite alle persone con disabilità. Paula McGowan, attivista e promotrice della formazione obbligatoria Oliver McGowan per il personale del NHS, ha affermato: «Le persone con disabilità intellettive continuano a morire per le stesse cause e gli stessi fallimenti. Il governo deve fare di più».
Il programma di formazione obbligatoria per il personale sanitario su disabilità intellettive e autismo è stato introdotto nel 2022, ma secondo ITV, NHS England fatica ancora a raggiungere gli obiettivi prefissati. Diverse fonti sottolineano che i problemi non derivano solo dalla mancanza di formazione, ma anche da una cultura sanitaria che, in alcuni casi, non riconosce appieno il valore della vita delle persone con disabilità.
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Immagine screenshot da YouTube
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