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Geopolitica

Gli Emirati Arabi eseguono la pena capitale di altri due indiani, 28 nel braccio della morte

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Dopo l’esecuzione della 33enne Shahzadi Khan, è emerso che anche due uomini del Kerala sono stati messi a morte negli Emirati Arabi Uniti il mese scorso. Il ministero degli Esteri indiano ha dichiarato di aver fornito assistenza legale. Mentre altri connazionali restano detenuti in attesa di esecuzione nel Paese del Golfo.

 

Dopo l’esecuzione capitale di Shahzadi Khan, collaboratrice domestica indiana di 33 anni, è emerso che anche altri due cittadini indiani originari del Kerala emigrati negli Emirati Arabi Uniti sono stati condannati a morte e uccisi nei giorni scorsi, mentre altri 28 indiani restano nel braccio della morte.

 

Secondo quanto riferito dalle autorità di Abu Dhabi, l’esecuzione è stata portata a termine il 28 febbraio dopo che il ministero degli Esteri indiano era stato informato della decisione.

 

I due uomini, identificati come Muhammed Rinash Arangilottu e Muraleedharan Perumthatta Valappil, erano stati riconosciuti colpevoli di omicidio in due distinti casi. Rinash, impiegato in un’agenzia di viaggi ad al-Ain, era stato condannato per l’uccisione di un cittadino emiratino. Muraleedharan, invece, era stato giudicato colpevole dell’omicidio di un connazionale indiano.

Secondo quanto riportato dai media locali, attualmente sono ancora 28 i cittadini indiani nel braccio della morte negli Emirati Arabi Uniti.

 

In un comunicato ufficiale, il ministero degli Esteri indiano ha dichiarato di aver garantito a Muhammed Rinash Arangilottu e Muraleedharan Perumthatta Valappil tutta l’assistenza legale possibile durante il processo. Il ministero sta inoltre cercando di organizzare la partecipazione dei familiari ai riti funebri.

 

Il dicastero per gli Affari esteri aveva inoltre contattato la famiglia di Shahzadi Khan per disporre la partecipazione dei parenti alle esequie, che si sono svolte ieri negli Emirati. Tuttavia, il fratello maggiore di Shahzadi, Shamsher Khan, ha riferito che la famiglia si è rifiutata di andare ma ha chiesto alle autorità di Abu Dhabi di celebrare il funerale e di condividere le foto.

 

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Geopolitica

Fico: l’UE «si spara sulle ginocchia»

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha dichiarato martedì, durante il Forum europeo sull’energia nucleare (ENEF) a Bratislava, che il tentativo dell’Unione Europea di eliminare le fonti energetiche russe dal suo mercato rappresenta una politica autodistruttiva e rischiosa.   Nel suo discorso di apertura, Fico ha duramente criticato il piano REPowerEU, volto a eliminare completamente le fonti energetiche russe, definendolo «una totale assurdità».   «Ci stiamo sparando in ginocchio», ha affermato. «E sono pronto a discutere con la Commissione Europea 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per convincerli che si tratta di un passo ideologico insensato».

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Fico ha evidenziato che la Slovacchia non può interrompere l’importazione di barre di combustibile nucleare dalla Russia per i suoi reattori di progettazione sovietica.   «Non metteresti mai un motore Mercedes in una Skoda. Non funziona così», ha commentato, sottolineando le preoccupazioni legate alla sicurezza.   La Slovacchia gestisce cinque reattori nucleari e sta costruendo un sesto presso la centrale di Mochovce. L’energia nucleare copre circa il 60% del fabbisogno elettrico del Paese ed è cruciale per i suoi obiettivi industriali, come lo sviluppo di grandi data center, ha osservato Fico.   Il primo ministro ha anche annunciato l’intenzione di costruire un ulteriore reattore presso la centrale nucleare di Bohunice, un progetto che coinvolgerà un appaltatore statunitense e potrebbe includere la partecipazione di altre nazioni attraverso un consorzio. Ha notato che gli Stati Uniti continuano a importare uranio russo.   Fico, spesso critico verso Bruxelles, ha sostenuto che i piani economici dell’UE, come la strategia di Lisbona del 2000, hanno ripetutamente fallito nel mantenere le promesse.   Il premier di Bratislava ha avvertito che, se l’UE non abbandonerà il suo approccio ideologico alla politica energetica ed economica, le nazioni europee perderanno competitività a livello globale.   Come riportato da Renovatio 21, Fico tre mesi fa aveva dichiarato che la Slovacchia è «pronta a combattere» per il diritto ad importare il gas russo.

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Negli ultimi mesi il primo ministro slovacco ha ribadito il suo sostegno ai valori della famiglia cristiana e ha esternato il suo pensiero riguardo la fine del veto dei singoli Stati nella UE, ventilata da Bruxelles per mettere a tacera Slovacchia e Ungheria e chiunque altro si metta di traverso alle politiche belliciste e antirusse della stanza degli eurobottoni: per Fico, qualora il veto sparisse, si tratterebbe della fine della UE.   Fico – unico europeo con il presidente serbo Aleksandr Vucic a partecipare alla parata del 9 maggio a Mosca – ha altresì detto apertis verbis che vari Stati occidentali desiderano la continuazione del conflitto ucraino.   Il primo ministro slovacco è inoltre, risaputamente, avversario della vaccinazione COVID, di cui ha denunciato i «gravi risultati».

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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Il colonnello Macgregor: gli USA «di nuovo in rotta di collisione con l’Iran»

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«Il potenziale di degenerazione incontrollata dei conflitti in Ucraina e con l’Iran è enorme. Sembra che siamo di nuovo in rotta di collisione con l’Iran». Lo sostiene il colonnello Douglas Macgregor, uno dei più noti esperti americani di questioni militari e di sicurezza globale, nonché ex consigliere del presidente Donald Trump durante il suo primo mandato, rispondendo a LifeSiteNews che chiedeva se  «gli Stati Uniti si stanno preparando per una guerra più grande?»

 

Secondo l’ex ufficiale, uno dei principali fattori di rischio per l’escalation sarebbe la svolta di Donald Trump sulla questione ucraina. L’ex presidente, infatti, avrebbe abbandonato la sua iniziale posizione di non intervento, adottando una linea più vicina a quella dell’amministrazione Biden.

 

Come riporta il New York Post, «Trump ha accettato di fornire a Kiev informazioni di Intelligence statunitensi per sostenere attacchi alle infrastrutture energetiche nel profondo della Russia, aiutando l’Ucraina a portare la guerra fino alle porte del presidente Vladimir Putin».

 

Un ulteriore elemento di rischio, secondo Macgregor, è rappresentato dall’aumento delle critiche internazionali contro la politica israeliana a Gaza. Le crescenti denunce di genocidio e le pressioni internazionali potrebbero, secondo il colonnello, spingere Israele a una reazione drastica: il primo ministro Benjamin Netanyahu, afferma Macgregor, «deve agire al più presto o rischia di perdere il sostegno incondizionato al progetto del Grande Israele».

 

Durante un incontro svoltosi il 30 settembre a Quantico, in Virginia, il presidente Trump e il Segretario alla Difesa Pete Hegseth hanno riunito centinaia di alti funzionari militari provenienti da tutto il mondo. Il messaggio, scrive LifeSiteNews, è stato chiaro: il «dipartimento woke» è finito e il Pentagono sarà trasformato in un «Dipartimento della Guerra», con l’invito a dimettersi rivolto a chi non condivide la nuova linea.

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Alla domanda sul significato di questa mossa, Macgregor ha risposto: «Il POTUS [cioè il presidente USA, ndr]è tutto una questione di apparenza e glamour. Il messaggio riguardante la forma fisica e l’avanzamento basato sul merito era genuino, ma il resto era un flusso di coscienza poco chiaro. Non siamo pronti a combattere una guerra importante a questo punto. Farlo sarebbe sciocco e pericoloso».

 

Alla richiesta di confermare i segnali di una crescente attività militare, il colonnello ha aggiunto: «Le forze statunitensi si stanno concentrando in modi che ricordano l’ultimo scontro tra Israele e Iran. Sembra che siamo di nuovo in rotta di collisione con l’Iran».

 

Riguardo a un possibile scenario di guerra, Macgregor ha ribadito: «il potenziale di degenerazione incontrollata dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente con l’Iran è enorme. Il recente sequestro francese di una petroliera russa in mare è un atto di guerra. La NATO è senza leadership a seguito della decisione di Trump di adottare la politica di Biden nei confronti di Mosca. In Medio Oriente, siamo in balia delle azioni di Israele. Nei Caraibi siamo pronti a scatenare un nuovo conflitto con il Venezuela».

 

Le critiche alla politica israeliana nei confronti di Gaza stanno aumentando anche negli Stati Uniti. Persino la CNN ha pubblicato un articolo dal titolo: «Come le azioni israeliane hanno causato la carestia a Gaza». Diversi paesi europei hanno preso posizione contro Israele, mentre anche nel campo conservatore americano si registrano segnali di cambiamento.

 

Secondo Macgregor, «Israele sta perdendo il sostegno popolare negli Stati Uniti, ma controlla ancora Washington e la Casa Bianca. Il primo ministro Netanyahu deve agire al più presto o rischia di perdere il sostegno incondizionato al progetto del Grande Israele. Gli Stati Islamici in Medio Oriente e in Egitto si stanno allineando al sostegno della Cina e della Russia. Non c’è alcun incentivo per Israele a scendere a compromessi o a ritardare l’azione».

 

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Immagine di Neil Hester via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0

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Geopolitica

Gli USA hanno dato a Israele 21,7 miliardi di dollari in aiuti militari durante il conflitto di Gaza

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Un recente rapporto rivela che gli Stati Uniti hanno fornito a Israele 21,7 miliardi di dollari in aiuti militari durante i due anni di conflitto a Gaza.   Il rapporto, pubblicato martedì dal progetto Costs of War della Watson School of International and Public Affairs della Brown University, coincide con il secondo anniversario dell’attacco del 7 ottobre 2023, quando il gruppo armato palestinese Hamas ha compiuto un’incursione in Israele, uccidendo 1.200 persone e prendendo in ostaggio altre 250.   In risposta, i raid aerei e l’offensiva terrestre di Israele a Gaza hanno causato oltre 67.000 morti e circa 170.000 feriti, secondo le autorità sanitarie palestinesi. Il mese scorso, una commissione delle Nazioni Unite ha definito le azioni di Gerusalemme Ovest come «genocidio».   Considerando ulteriori spese del Pentagono, comprese tra 9,65 e 12,07 miliardi di dollari, per operazioni militari a sostegno di Israele nello Yemen e in altre aree del Medio Oriente, il totale dell’investimento statunitense nel conflitto di Gaza si attesta tra 31,35 e 33,77 miliardi di dollari, secondo il rapporto.

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Questa cifra, basata su dati open source, non include decine di miliardi di dollari in armamenti che saranno pagati e consegnati nei prossimi anni, in linea con accordi preesistenti tra Washington e lo Stato degli ebrei, precisa il rapporto.   Le armi fornite dagli Stati Uniti, come aerei da combattimento, elicotteri, missili e bombe, «sono state fondamentali per le operazioni delle Forze di difesa israeliane (IDF) e della polizia israeliana a Gaza, in Cisgiordania e oltre», si legge nel rapporto.   Con il loro impiego, Israele «ha inflitto un devastante tributo umanitario alla popolazione di Gaza», con oltre il 10% della popolazione dell’enclave palestinese uccisa o ferita e almeno 5,27 milioni di sfollati a Gaza e nella regione circostante, sottolinea il rapporto.   La settimana scorsa, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha continuato la politica di armamento di Israele avviata dal suo predecessore democratico Joe Biden, ha proposto un accordo per lo scambio di prigionieri tra Gerusalemme Ovest e Hamas, che secondo lui dovrebbe spianare la strada alla fine del conflitto.   Hamas ha accolto l’offerta accettando di rilasciare gli ostaggi rimanenti, ma ha finora rifiutato l’invito al disarmo. Nonostante la sospensione dell’avanzata su Gaza City, le Forze di difesa israeliane hanno ignorato la richiesta di Trump di interrompere immediatamente i raid aerei nell’enclave palestinese.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr  
   
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