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Spirito

FSSPX, vestizioni al seminario di Flavigny

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Nella festa della Purificazione della Santissima Vergine e della Presentazione del Bambino Gesù al Tempio, data tradizionale per la vestizione dei seminaristi, il Superiore generale della Fraternità, in visita al seminario Saint-Curéé d’Ars di Flavigny-sur-Ozerain, ha benedetto e consegnato personalmente le talari ai seminaristi del primo anno.

 

La platea contava circa quaranta sacerdoti, meno del solito, ma quest’anno il 2 febbraio cadeva di domenica. Erano presenti molti fedeli e la chiesa del seminario, di modeste dimensioni, non era sufficiente. Tre grandi schermi posizionati all’interno del seminario hanno permesso a tutti di seguire l’intera cerimonia.

 

Tutto è iniziato con la processione della Candelora, per poi proseguire con la Messa della festa della Presentazione al Tempio, durante la quale il Superiore generale, don Davide Pagliarani, ha benedetto l’abito talare dei nuovi seminaristi, prima che lo indossassero per la prima volta.

 

Una cerimonia che ha un significato particolare non solo per i giovani leviti che ricevono la veste, la quale gli apparterrà per tutta la vita, se persevereranno nella loro vocazione, ma anche per le famiglie che assistono al cambiamento dei propri figli, cosa che spesso porta con sé lacrime, soprattutto alle mamme.

 

L’annata 2024 del Seminario Saint-Curéé d’Ars è ben fornita: sono 24 i seminaristi che quest’anno hanno vestito l’abito clericale. Tra loro c’erano un inglese, uno spagnolo, venti francesi, un libanese e uno svizzero.

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Nell’omelia, il Superiore generale ha ricordato che indossare oggi l’abito talare richiede un certo coraggio. Questo abito ha un significato per il mondo, per chi lo indossa e in relazione a Nostro Signore Gesù Cristo.

 

In relazione al mondo, questa veste nera è la predicazione di un ideale. Predicare un mistero che il mondo non comprende. E affinché questa predicazione sia efficace, non dobbiamo guardarci indietro: dobbiamo seguire Nostro Signore per sempre. Fin dal giorno della Presentazione, che oggi celebriamo, Cristo si offre al Padre, lasciandoci un modello da seguire.

 

Per noi, questo colore nero simboleggia la morte del mondo, che è una vittoria su questo mondo. Una vittoria che passa attraverso il distacco dalle cose di questo mondo, ma anche dal distacco da se stessi. Ma questa morte a noi stessi non deve spaventarci. Deve essere animata dall’amore di Gesù Cristo.

 

In relazione a Nostro Signore, la talare è un impegno a imitarLo. Ci nasconde agli occhi del mondo, per realizzare il nostro ideale di riprodurre la vita di Cristo: conoscerlo e farlo conoscere, amarlo e farlo amare. La talare è un segno esterno, sociale, della presenza di Cristo Re, che deve manifestarsi, che deve regnare.

 

Don Pagliarani ha ricordato che questa festa è anche quella delle famiglie e che dietro ogni vocazione c’è un padre, una madre, che ha pregato, che ci ha dato un esempio. Molto spesso è attraverso l’esempio di una madre che Dio depone nel cuore di un figlio i semi della vocazione. E questa vocazione è senza dubbio la ricompensa più bella data agli sposi per la loro reciproca fedeltà.

 

Articolo previamente pubblicato su FSSPX.News

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Immagine da FSSPX.News

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Nucleare

Muore a 93 anni Shigemi Fukahori, cattolico e sopravvissuto a Nagasaki

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Shigemi Fukahori, sopravvissuto al bombardamento atomico di Nagasaki del 1945, è morto il 3 gennaio, secondo quanto riportato dalla cattedrale di Urakami, dove pregava quasi ogni giorno. La cattedrale, decimata dalla bomba, fu ricostruita nel 1959.   Shigemi Fukahori aveva 14 anni quando gli Stati Uniti sganciarono la bomba su Nagasaki, il 9 agosto 1945, uccidendo decine di migliaia di persone, tra cui la sua famiglia. Quel giorno stava lavorando in un cantiere navale a circa 3 chilometri dall’epicentro dell’esplosione. Avvenne tre giorni dopo l’attacco nucleare su Hiroshima, in cui morirono 140.000 persone. Il Giappone si arrese, ponendo fine alla seconda guerra mondiale.   Spesso si rivolgeva agli studenti, sperando che prendessero in mano quello che lui chiamava «il bastone della pace». Nel 2020, Shigemi Fukahori ha rappresentato le vittime della bomba durante una cerimonia, dichiarando il suo «impegno per la pace, (…) per fare di Nagasaki l’ultimo posto in cui è stata sganciata una bomba atomica».   Il 9 agosto 1945, «alle 11:02, nel nostro distretto di Urakami».

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Il radiologo giapponese Paul Nagai , convertito dallo shintoismo e battezzato il 9 giugno 1934 all’età di 26 anni, vide un incendio nucleare abbattersi sulla città di Nagasaki il 9 agosto 1945, nel distretto cattolico di Urakami. La moglie, che si trovava nella loro casa vicino all’epicentro dell’esplosione, è stata ridotta a pochi frammenti ossei, compresi quelli della sua mano con il rosario.   Lui stesso, che si trovava in ospedale, più lontano dal luogo dell’esplosione, rimase vivo ma irradiato. Malato di leucemia a causa della sua attività professionale, ma aggravato dalla radioattività, morì il 1° maggio 1951. Il 3 maggio 1951, la sua bara fu portata in cattedrale dove la messa funebre fu celebrata dal vescovo Yamaguchi alla presenza di 20.000 persone. La congregazione accompagnerà il defunto al cimitero, dove è stato sepolto accanto alla moglie Midori.   Il 23 novembre 1945 si tenne il funerale delle vittime del bombardamento sul luogo della distrutta cattedrale di Nostra Signora. Sono state lette varie testimonianze di membri del clero e il vescovo di Nagasaki ha chiesto a Paul Nagai di rilasciare una testimonianza a nome dei laici. Le sue parole, di grande valore cristiano, toccarono profondamente il popolo giapponese e il mondo intero. Ecco alcuni estratti:   «In un istante, 8.000 anime cattoliche furono mandate al tribunale del loro Creatore, e un incendio devastante ridusse in cenere questa città cristiana in poche ore. Quello stesso giorno, a mezzanotte, la cattedrale prese fuoco e fu distrutta».   «Il 15 agosto venne promulgato l’Editto Imperiale che pose fine ai combattimenti e la pace cominciò a splendere di nuovo sul mondo. In quel giorno la Chiesa celebrava l’Assunzione della Vergine Maria, alla quale era dedicata la nostra cattedrale. È possibile che tutte queste coincidenze siano fortuite? Non potremmo piuttosto vedere in esso la delicata opera della volontà di Dio?»   «Nagasaki, fino ad allora un “obiettivo di riserva”, fu infine scelta [dagli americani]. Ho saputo che quando la bomba fu sganciata, il vento la spinse verso nord rispetto alle fabbriche di munizioni che erano l’obiettivo, per esplodere sopra la cattedrale. Pertanto il distretto di Urakami non fu mai preso di mira dai piloti americani. Ma fu la Provvidenza di Dio a dirigere il velivolo».   «Non potrebbe esserci una misteriosa connessione tra la cessazione della guerra e la distruzione di Urakami? Urakami, l’unica zona cattolica e santificata di tutto il Giappone, non fu forse scelta come vittima idonea, da sacrificare e bruciare sull’altare dell’espiazione per i crimini commessi dall’umanità in questa guerra mondiale?»   «Per la nostra umanità, erede del peccato di Adamo e del sangue di Caino, per la nostra umanità che si è rivolta agli idoli, dimenticando la sua filiazione divina, per questa umanità che ignora la Carità e la odia, ferendo se stessa… perché tutti questi orrori, questi odi finissero e perché rifiorissero le benedizioni della pace, per questa grande redenzione, non bastava il pentimento, occorreva un sacrificio adeguato per ottenere il perdono di Dio».

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«La nostra chiesa di Urakami ha mantenuto intatta la sua fede per 400 anni, nonostante il Giappone l’avesse messa fuori legge. Sopportò molte e lunghe persecuzioni. E durante tutta la guerra non smise mai di pregare affinché la pace tornasse. Questa chiesa non era forse degna di essere scelta come olocausto sull’altare di Dio, affinché decine di milioni di uomini non perissero più vittime delle devastazioni della guerra?»   «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. È con fedeltà e fino in fondo che dobbiamo percorrere il nostro doloroso cammino. Mentre la seguiamo, affamati, assetati, disprezzati, frustati, sudati, saremo sicuramente aiutati da Colui che ha portato la sua Croce fino alla cima del Calvario: Gesù Cristo».   «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore. Ringraziamolo perché Urakami è stata scelta per il sacrificio. Rendiamogli grazie, perché grazie a questo sacrificio è stata ripristinata la pace nel mondo e la libertà di credo in Giappone».

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Spirito

Una foto dalla messa della FSSPX fuori Tokyo

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Arriva in redazione dal suo corripondente in Giappone una foto della Santa Messa tradizionale in Giappone officiata nella cappella della Fraternità Sacerdotale San Pio X.

 

Abbiamo pensato di pubblicarla. Perché il senso di unità universale possibile con la Santa Messa non conosce latitudini, longitudini, distanze.

 

Si tratta della Cappella dei Santi Martiri Giapponesi a Saitama, città a tre chilometri nella Grande area urbana di Tokyo.

 

Alle 10:30 ha offerto la Santa Messa Cantata padre Onoda, sacerdote giapponese della FSSPX che i lettori di Renovatio 21 oramai conoscono.

 

Buttando l’occhio lo noterete: anche qui, a migliaia di miglia di distanza, sacerdoti che sono sacerdoti e donne che sono donne (quindi, una volta in chiesa si velano), il sacrificio della Messa che è il sacrificio – e non un’ora di intrattenimento sociopolitico senza morale né bellezza.

 

È stupendo, ovunque nel mondo, essere cattolici.

 

Santa domenica a tutti nostri lettori!

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Spirito

L’Enciclica di Bergoglio sul Sacro Cuore

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Il 24 ottobre 2024, Papa Francesco ha firmato l’enciclica Dilexit nos sul Sacro Cuore, la quarta del suo pontificato, pubblicata nell’anno del 350° anniversario delle apparizioni del Sacro Cuore a Santa Margherita Maria a Paray-le-Monial. Questo lungo testo, suddiviso in cinque capitoli, contrasta con le precedenti encicliche del Sommo Pontefice (Lumen Fidei, Laudato si’ e Fratelli tutti).  

L’importanza del cuore

Il primo capitolo cattura immediatamente l’attenzione. Intitolato «L’importanza del cuore», cerca di cogliere il significato di questo termine, in quella che deve essere certamente una dolorosa confusione. A volte le espressioni sembrano apertamente sfidare la logica. Utilizzare una filosofia esistenzialista e personalista non aiuta molto a ottenere una definizione chiara.   Si dice perciò che il cuore è posto al di sopra dell’intelligenza e della volontà: «si mettano al suo servizio» (n. 13); o che si distingue dalla ragione, dalla volontà o dalla libertà, poiché nell’uso antropologico e filosofico «si sono preferiti altri concetti» (n° 10). Proposizioni che sembrano più o meno assurde, o almeno astruse, a chi segue la filosofia e la teologia del Dottore Comune.   Ma, nel tentativo di comprendere questa confusione, che è goffa nell’esprimere ciò che cerca, e ignorando le tante approssimazioni discutibili di cui è pieno il testo, il discepolo del Dottore Angelico può forse riuscire a identificare ciò che Papa Francesco, molto probabilmente l’autore di questo capitolo, sta cercando di dirci. Sembra che ciò a cui miri il Papa sia ciò che San Tommaso, con la filosofia perenne, chiama la «volontà fondamentale».   In altre parole: lo slancio profondo della volontà, illuminato dall’intelligenza, che si muove con amore verso il bene che discerne, con la spontaneità e la libertà che caratterizzano la volontà umana. Il cuore, nel pensiero del Papa, se questa interpretazione è corretta, corrisponderebbe a quella disposizione fondamentale che unifica la vita umana, soprattutto se essa si volge risolutamente verso Dio.   Per certi aspetti, quindi, questa presentazione non è priva di interesse, una volta liberata dalla matrice che ne rende tanto difficile il discernimento. È un peccato, però, che l’insistenza sul primato del cuore, inteso come volontà fondamentale, si accompagni a un ingiusto oscuramento e denigrazione della ragione nelle sue facoltà spirituali: intelligenza e volontà.

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Seguito dell’enciclica

Il secondo capitolo, «Gesti e parole d’amore», considera attentamente l’atteggiamento di Cristo nel Vangelo: attraverso i suoi gesti, il suo sguardo e le sue parole, vediamo come il Figlio di Dio dimostrava di «avere un cuore» e sapeva toccare il cuore di coloro che beneficiavano della sua presenza. Questa contemplazione di Cristo offre uno sguardo al Sacro Cuore.   Il terzo capitolo, «Questo è il cuore che tanto ha amato», riprende la dottrina classica sul Sacro Cuore, attingendo ampiamente all’insegnamento tradizionale, dai Padri della Chiesa ai Papi Leone XIII, Pio XI e Pio XII, compreso il Concilio di Trento. Vengono passati in rassegna tutti gli elementi che giustificano e inquadrano il culto del Sacro Cuore.   Il quarto capitolo, «L’amore che dà da bere», considera le conseguenze personali per i cristiani della dottrina cattolica del Sacro Cuore: attraverso la storia di questo dogma, riscopriamo su questo argomento gli insegnamenti del Vangelo, dei Padri, soprattutto sant’Agostino, e dei dottori scolastici, come san Bernardo e san Bonaventura.   Questo capitolo si concentra anche sui mistici che si affidavano a questa devozione al Cuore di Cristo, come Santa Metilde, Sant’Angela da Foligno, Ludolfo il Certosino o San Giovanni Eudes. Vi occupa un posto importante san Francesco di Sales, poi è la volta di santa Margherita Maria e di padre Claudio de La Colombière, il suo direttore, gesuita. Infine vengono padre Charles de Foucauld e santa Teresa di Gesù Bambino.   Questo capitolo si sofferma infine su alcuni aspetti particolari della vita interiore che si nutre di questa devozione: in particolare la consolazione del Cuore di Cristo mediante l’unione con Lui, e la compunzione dei propri peccati, altro modo di consolare Cristo, e che permette anche di consolare gli altri.   Il capitolo 5, «Amore per amore», considera la dimensione fraterna di questo culto del Sacro Cuore: l’amore del prossimo, l’aspetto sociale della riparazione al Cuore di Cristo. Molti aspetti tradizionali si mescolano a elementi discutibili, come la valorizzazione del «sociale» o il rifiuto del «proselitismo».   Infine, la «Conclusione» è del tutto inaspettata. Vale la pena di citarne la prima frase: «Ciò che questo documento esprime ci permette di scoprire che quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo» (n. 217). In altre parole, in una frase veloce, Dilexit nos finirebbe per dimostrare la fonte delle encicliche precedenti, e giustificare così a posteriori i loro pericolosi insegnamenti… Un po’ esagerato.   Citiamo anche questo brano deplorevole, che sembra fare triste riferimento al cristianesimo disprezzandolo: «Ne ha bisogno anche la Chiesa, per non sostituire l’amore di Cristo con strutture caduche, ossessioni di altri tempi, adorazione della propria mentalità (…)» (n° 219).   Almeno, nonostante un primo capitolo confuso e discutibile, e nonostante una conclusione che sembra fraudolenta, ricorderemo che questa enciclica ha saputo ricordare in modo ampio, completo e generalmente tradizionale l’importanza del culto verso il Sacro Cuore di Gesù. Cosa abbastanza insolita nel panorama di Francesco, e per questo merita di essere notata.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News.

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Immagine di Fr Lawrence Lew via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
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