Connettiti con Renovato 21

Geopolitica

Erdoğan non aspira più a essere imperatore ottomano, ma califfo

Pubblicato

il

 

 

Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire

 

 

Erdoğan viene accusato a torto di voler ripristinare l’Impero ottomano. Per il presidente della Turchia le conquiste territoriali non sono un fine, bensì un mezzo per allacciare alleanze. Dopo aver esitato a lungo, ora Erdoğan rinuncia a farsi proclamare sultano: vuole diventare califfo, mettendosi a capo dei sunniti del mondo intero.

 

 

 

Un mese dopo l’attacco dell’Azerbaigian agli armeni del Karabakh, gli eserciti azero e turco avanzano militarmente; al tempo stesso però Baku e Ankara collezionano insuccessi diplomatici

Un mese dopo l’attacco dell’Azerbaigian agli armeni del Karabakh, gli eserciti azero e turco avanzano militarmente; al tempo stesso però Baku e Ankara collezionano insuccessi diplomatici.

 

Nel complesso sta accadendo quanto avevamo previsto: è in preparazione un’operazione alleata contro il capo della Confraternita dei Fratelli Mussulmani, nonché presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. Ankara potrebbe essere trascinata sin da ora nel nuovo genocidio armeno.

 

Tuttavia, l’intervento nel conflitto di protagonisti inaspettati e l’esito incerto delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti potrebbero sconvolgere il piano di Washington.

 

 

La Turchia accumula conflitti irrisolti

È in preparazione un’operazione alleata contro il capo della Confraternita dei Fratelli Mussulmani, nonché presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan

  •  Sin dalla sua nascita la Turchia moderna nega il genocidio dei non-mussulmani (1894-95 e 1915-23) e si adopera per distruggerne le prove. Nel 2018 sono però stati rinvenuti documenti che confermano gli ordini impartiti dall’Impero ottomano e dai Giovani Turchi (1).

 

  •  La Turchia occupa dal 1974 la parte nordorientale di Cipro e continua a rimanervi, nonostante nel 2004 l’isola abbia aderito all’Unione Europea. Quindi l’esercito turco occupa da 16 anni una porzione di territorio della UE.

 

  •  Nel 2012 la Turchia condusse per conto della NATO un’operazione di spopolamento della Siria: propose agli abitanti del nord di questo Paese di rifugiarsi temporaneamente in territorio turco, in attesa che la situazione militare si chiarisse. Ankara costruì nuovi agglomerati per alloggiare i siriani, ma non permise loro di entrare nelle abitazioni.

Sin dalla sua nascita la Turchia moderna nega il genocidio dei non-mussulmani (1894-95 e 1915-23) e si adopera per distruggerne le prove

 

  • Nel 2012 la Turchia invase il nord della Siria, dove ancora oggi occupa il governatorato di Idlib. Indi saccheggiò l’industria di Aleppo, portando via dalle fabbriche tutte le macchine utensili.

 

  • Nel 2013, a Istanbul, il «banchiere di Al Qaeda», il saudita Yasin Al-Qadi, e il capo della sicurezza del presidente Erdoğan furono vittime di un incidente stradale. Un figlio di Erdoğan fece immediatamente visita ad Al-Qadi in ospedale.

 

  • Nel 2014 l’esercito turco inquadrò gli jihadisti in Siria e con loro attaccò molte località, fra cui la città armena di Kassab, costringendo la popolazione a fuggirne.

 

Nel 2013, a Istanbul, il «banchiere di Al Qaeda», il saudita Yasin Al-Qadi, e il capo della sicurezza del presidente Erdoğan furono vittime di un incidente stradale

  • Nel 2015 i servizi segreti turchi assistettero in tutti i modi Daesh; nel frattempo, una società del presidente Erdoğan, Powertans, organizzava il trasporto del petrolio rubato dagli jihadisti fino al porto turco di Ceyhan. Da qui una società rilevata da un figlio del presidente Erdoğan, la BMZ Group Denizcilik ve İnşaat A.Ş., convogliava il petrolio verso Israele e l’Occidente. Intanto una figlia del presidente Erdoğan dirigeva un ospedale segreto a Şanlıurfa, dove gli jihadisti venivano curati e poi rispediti in battaglia.

 

  • Nel 2015 la mafia turca, capeggiata dal primo ministro Binali Yıldırım, installava nei territori controllati da Daesh laboratori di prodotti contraffatti destinati all’Europa.

 

  • Nel 2015 la Turchia minacciò di fare arrivare in Europa milioni di rifugiati afghani, iracheni e siriani, ottenendo dalla UE grosse sovvenzioni, che usò per continuare le proprie guerre.

 

Nel 2015 la mafia turca, capeggiata dal primo ministro Binali Yıldırım, installava nei territori controllati da Daesh laboratori di prodotti contraffatti destinati all’Europa.

 

  • Nel 2015-16 la Turchia rifiutò di mettere fine agli accordi segreti con Francia e Belgio per un Kurdistan in Siria. Organizzò una serie di attentati che causarono 318 morti in Francia e 35 in Belgio.

 

  • Nel 2016 le forze armate turche si rifiutarono di lasciare l’Iraq, nonostante le sollecitazioni del governo iracheno. In Iraq la Turchia aveva basi provvisorie, risalenti al periodo d’occupazione statunitense, che usava in realtà per sostenere Daesh contro l’Iraq. I militari turchi sono tutt’ora presenti in Iraq.

 

  • Nel 2017 il presidente Erdoğan organizzò una campagna propagandistica per le comunità turche all’estero. Gli fu vietato di tenere meeting in Olanda e Germania. Nell’occasione Erdoğan definì la cancelliera Angela Merkel «nazista».

 

Nel 2016 le forze armate turche si rifiutarono di lasciare l’Iraq, nonostante le sollecitazioni del governo iracheno. In Iraq la Turchia aveva basi provvisorie, risalenti al periodo d’occupazione statunitense, che usava in realtà per sostenere Daesh contro l’Iraq. I militari turchi sono tutt’ora presenti in Iraq.

 

  • Nel 2019 la Turchia firmò un accordo con il governo libico di Tripoli e un altro con la Tunisia. Cominciò a sguinzagliare gli jihadisti di stanza nella Siria occupata: al momento stanno combattendo contro le forze degli Emirati, che appoggiano il governo di Bengasi.

 

  • Nel 2020 la Turchia ha rivendicato la sovranità sui giacimenti di gas nel Mediterraneo. Quando la Turchia fu istituita, le frontiere marittime con la Grecia non furono definite con precisione. Sicuramente molte zone le appartengono, ma non tutte. In questa contesa la marina turca è arrivata a minacciare la marina francese.

 

L’elenco ovviamente non è esaustivo.

 

 

Nel 2019 la Turchia firmò un accordo con il governo libico di Tripoli e un altro con la Tunisia. Cominciò a sguinzagliare gli jihadisti di stanza nella Siria occupata: al momento stanno combattendo contro le forze degli Emirati, che appoggiano il governo di Bengasi

Il conflitto tra Stati Uniti e Turchia

Gli attriti con gli Stati Uniti iniziarono quando Erdoğan cominciò a comperare armi dalla Russia e a costruire con quest’ultima un gasdotto.

 

Da allora Washington ha tentato di far cadere democraticamente il presidente turco foraggiando il Partito Democratico dei Popoli (HDP). Ma dopo le elezioni legislative di giugno e novembre 2015, truccate dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), la CIA ha tentato più volte di assassinare il «Grand’uomo», come Erdoğan viene soprannominato. Il quarto tentativo, quello del 15 luglio 2016, degenerò e gli ufficiali che lo guidavano improvvisarono un colpo di Stato, che fallì.

 

Da allora il presidente Erdoğan, pur continuando a sottolineare l’adesione della Turchia alla NATO, ha moltiplicato le provocazioni. Per esempio, durante un viaggio ufficiale ha fatto reprimere dal servizio di sicurezza personale una manifestazione di adepti di Fethullah Gülen davanti all’ambasciata turca a Washington; ha fatto inoltre incarcerare un cittadino statunitense.

 

Nel 2020 la Turchia ha rivendicato la sovranità sui giacimenti di gas nel Mediterraneo

L’attuale piano USA consiste nell’indurre Erdoğan all’errore, così da ottenere un consenso internazionale contro di lui: una modalità già sperimentata con successo per mettere in riga Saddam Hussein (operazione «Tempesta del deserto»). Ovviamente simile scenario può essere cinicamente costruito solo se gli armeni saranno massacrati in massa e se le elezioni assicureranno la continuità alla Casa Bianca.

 

 

Il presidente Erdoğan si butta a capofitto nella trappola

Nell’ultimo mese il clan Erdoğan non ha fatto che ripetere che la NATO ha più bisogno della Turchia di quanto la Turchia ne abbia della NATO; ossia che l’Alleanza Atlantica mai estrometterà la Turchia, quindi mai potrà attaccarla.

Gli attriti con gli Stati Uniti iniziarono quando Erdoğan cominciò a comperare armi dalla Russia e a costruire con quest’ultima un gasdotto.

 

Il «Grand’uomo» continua l’offensiva su tutti i fronti: ha mandato propri consiglieri militari al posto di quelli italiani a formare i guardacoste del governo libico di Tripoli; minaccia di aprire le porte dell’Europa alle migrazioni, questa volta in arrivo dall’Africa. Ha lanciato attacchi jihadisti contro le forze russe in Siria.

 

Solo Mosca ha reagito. Il Cremlino ha ordinato di riprendere i bombardamenti a Idlib. Li ha concentrati su un gruppo filo-turco, legato in precedenza ad Al Qaeda, ma che ora afferma di aver rotto con l’organizzazione; è un attacco che viola la lettera degli accordi russo-turchi di riduzione della conflittualità e al tempo stesso rivela la sottomissione del movimento jihadista all’autorità personale di Erdoğan.

 

L’attuale piano USA consiste nell’indurre Erdoğan all’errore, così da ottenere un consenso internazionale contro di lui: una modalità già sperimentata con successo per mettere in riga Saddam Hussein (operazione «Tempesta del deserto»)

Ma soprattutto il presidente Erdoğan ha aperto un fronte con il presidente francese, Emmanuel Macron, che insulta ancora più pesantemente di quanto fece tre anni fa con la cancelliera Merkel.

 

Una querelle molto più importante di quanto appaia: riguarda la sostanza del problema.

 

 

Lo scontro di civiltà non oppone l’islam al cristianesimo, ma due principi: la religione di Stato e la libertà di coscienza

Dopo molti tentennamenti, Erdoğan tenta ora di risolvere il problema esistenziale della Turchia definendola come la patria dei Fratelli Mussulmani.

Il «Grand’uomo» continua l’offensiva su tutti i fronti: ha mandato propri consiglieri militari al posto di quelli italiani a formare i guardacoste del governo libico di Tripoli; minaccia di aprire le porte dell’Europa alle migrazioni, questa volta in arrivo dall’Africa. Ha lanciato attacchi jihadisti contro le forze russe in Siria

 

Diversamente da quanto comunemente si crede, il presidente turco ha abbandonato i sogni neo-ottomani dell’ex primo ministro Ahmet Davutoğlu (ora all’opposizione); ha altresì rinunciato ai riferimenti naturali della Turchia, ossia il mondo turcofono e l’Occidente (Unione Europea/NATO); Erdoğan spera di estendere il proprio potere sull’insieme del mondo mussulmano facendo leva sul principio di una religione di Stato di cui vuole diventare il califfo.

 

Ricordiamoci che Maometto non era un modesto falegname come Cristo. Fu uomo politico e generale vittorioso, nonché leader spirituale. Quando morì i suoi discepoli si divisero e si combatterono.

 

Il «califfo» (ossia il “successore”) ereditò il potere temporale di Maometto, ma non il potere spirituale. D’altro canto, molti califfi furono manifestamente non-credenti. Alla fine della prima guerra mondiale il «califfo» era il sovrano ottomano che risiedeva a Costantinopoli (ora Istanbul). L’ideale per cui si batte la Confraternita dei Fratelli Mussulmani è ristabilire il califfato (il potere temporale del Profeta) grazie al diritto delle origini, la sharia.

 

Erdoğan spera di estendere il proprio potere sull’insieme del mondo mussulmano facendo leva sul principio di una religione di Stato di cui vuole diventare il califfo

Come gli europei del XVI secolo, i Fratelli Mussulmani credono che un popolo debba obbligatoriamente aderire alla religione del sovrano; una visione del mondo radicalmente opposta al principio di libertà di coscienza, fissato in Francia con l’abiura di Enrico IV (1593 (2)), e alla risoluzione sulla laicità (1905 (3)). Erdoğan e la Confraternita tentano un ritorno al passato cancellando l’eredità di Mustafa Kemal Atatürk, il fondatore della Turchia.

 

La scelta del presidente Erdoğan dell’omologo francese come emblema dei propri avversari è perciò logica. L’esito dello scontro dipenderà dagli Stati Uniti: o difenderanno l’eredità britannica dei Padri Pellegrini del Mayflower (Joe Biden, Justin Trudeau), o quella degl’immigrati del Vecchio Continente (Donald Trump). Nel primo caso manterranno innanzitutto la Turchia in seno alla NATO, nel secondo difenderanno il principio di coesistenza religiosa sino a far fallire il progetto di califfato.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

NOTE

(1) Killing Orders : Talat Pasha’s Telegrams and the Armenian Genocide, Taner Akçam, Palgrave Macmillan, 2018 ; Ordres de tuer : Arménie 1915, Taner Akçam, CNRS éditions, 2020.

(2) Per diventare re di Francia, nella basilica di Saint-Denis il principe Enrico di Navarra abiurò il calvinismo e si convertì al cattolicesimo. In compenso proclamò per tutti i sudditi il diritto a quella libertà religiosa di cui si era privato.

(3) Dopo molti voltafaccia, i Repubblicani proclamarono la libertà di coscienza. Partendo da questo principio legiferarono sulla separazione fra Stato e Chiesa (1905). Non si tratta però di una distinzione totale: permane il controllo dello Stato sul sacramento del matrimonio in alcune religioni. L’opzione scelta per garantire l’uguaglianza nel diritto delle coppie omosessuali, ossia l’istituzione di un “matrimonio gay”, è da questo punto di vista un errore storico. La continuità con il movimento di laicizzazione della società avrebbe invece richiesto il collocamento del matrimonio eterosessuale nella sfera privata; un’opzione accettata dalla Chiesa francese e oggi difesa da papa Francesco.

 

 

Questo articolo è il seguito di

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Fonte: «Erdoğan non aspira più a essere imperatore ottomano, ma califfo», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 3 novembre  2020.

 

 

 

 

 

Immagine di thierry ehrmann via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

Continua a leggere

Geopolitica

L’operazione israeliana a Rafah si espande. Con conseguenze disastrose

Pubblicato

il

Da

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato ieri che l’esercito invierà più truppe per «intensificare» l’invasione. Gallant si è ventato che «stiamo logorando Hamas». Israele sostiene che ci sono sei battaglioni di Hamas ora a Rafah insieme agli ostaggi presi il 7 ottobre, e altri due battaglioni sarebbero nel centro di Gaza.

 

Nel suo ultimo articolo intitolato «Bibi va a Rafah», il reporter indipendente premio Pulitzer Seymour Hersh riferisce che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno allagato 5 dei 12 tunnel di Hamas sotto Rafah, e «alcuni battaglioni israeliani agguerriti, i cui ranghi includono molti ingegneri di combattimento esperti in demolizione, si stanno facendo strada nei tunnel bui e pieni di trappole esplosive verso Yahya Sinwar, il leader di Hamas che è l’obiettivo finale di Netanyahu».

 

Secondo un informato funzionario americano citato da Hersh, Netanyahu ha promesso che «moriranno tutti nei tunnel».

 

Si stima che circa 730.000 palestinesi siano fuggiti da Rafah. L’Ufficio del Coordinatore degli Affari Umanitari (OCHA) delle Nazioni Unite riferisce che un totale di 285 kmq, ovvero circa il 78% della Striscia di Gaza, sono ora soggetti agli ordini di evacuazione dell’IDF. Viene riferito di continui bombardamenti «dall’aria, dalla terra e dal mare… su gran parte della Striscia di Gaza».

Sostieni Renovatio 21

Nel Nord ci sono state incursioni di terra dell’IDF e pesanti combattimenti nel campo profughi di Jabalia e anche a Deir al Balah, nel centro di Gaza. I carri armati israeliani si sono spinti nel centro stesso di Jabalia, affrontando i razzi anticarro e i colpi di mortaio dei militanti di Hamas. Al Jazeera riferisce che ci sono vittime da entrambe le parti e che i carri armati e gli aerei israeliani hanno spazzato via «quasi tutto» a Jabalia.

 

Secondo il Times of Israel, l’IDF riferisce di aver ucciso qui 200 uomini armati di Hamas. Anche se Jabalia era stata precedentemente «autorizzata» dall’IDF, a quanto pare non era andata abbastanza in profondità nel campo per trovare i militanti di Hamas che vi avevano sede.

 

Il valico di Rafah resta chiuso. Israele chiede che l’Egitto si unisca a lui nella supervisione del valico di Rafah, ma l’Egitto rifiuta, insistendo sul fatto che solo i palestinesi dovrebbero farlo.

 

Il Programma Alimentare Mondiale, nel frattempo, avverte che «sono necessari più punti di ingresso per gli aiuti per invertire sei mesi di condizioni di quasi fame ed evitare una carestia». È necessario un flusso costante di scorte di cibo ogni giorno, ogni settimana, avverte. «La minaccia della carestia a Gaza non è mai stata così grande».

 

Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir aveva minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non fosse entrato a Rafah.

 

I carrarmati entrati a Rafah, dove hanno distrutto perfino le scritte «I LOVE GAZA», avrebbero la benedizione degli USA. Atroci filmati sono usciti già nelle prime ore dell’invasione di Rafah da parte dei soldati dello Stato degli ebrei.

 

L’Egitto ha avvertito Israele che l’invasione di Rafah potrebbe porre fine al trattato di pace siglato nel 1979. Il Cairo ha inoltre segnalato di voler partecipare al processo per «genocidio» della Corte Internazionale di Giustizia.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


 

Continua a leggere

Geopolitica

Orban collega la sparatoria di Fico ai preparativi di guerra dell’Occidente

Pubblicato

il

Da

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha collegato l’uccisione di ieri del primo ministro slovacco Robert Fico con i preparativi attivi dei Paesi occidentali per partecipare direttamente al conflitto in Ucraina.   I vicini Ungheria e Slovacchia, sia membri dell’UE che della NATO, confinanti con l’Ucraina, ed entrambi i paesi hanno cercato che il paese si impegnasse in negoziati di pace.   L’attentato al Fico «ha coinciso con altri eventi che indicavano preparativi di guerra», ha detto Orbán in un programma mattutino su Radio Kossuth, facendo quindi riferimento alla visita del Segretario di Stato americano Antony Blinken a Kiev il 14 e 15 maggio, ai piani degli Stati Uniti di organizzare 100 miliardi di dollari in aiuti all’Ucraina nei prossimi cinque anni e ai dibattiti sull’invio di truppe occidentali sul territorio.   Questo mi fa venire i brividi», ha detto Orban secondo la TASS, per poi rivelare che il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha intenzione di visitare l’Ungheria in vista delle elezioni per il Parlamento europeo.

Sostieni Renovatio 21

«I grandi attori globali stanno cercando di trascinare l’Ungheria nella guerra», come è già successo più volte nel corso della storia, ma questo non accadrà ora, ha detto l’Orbano.   Per quanto riguarda l’Ucraina, ha insistito sul fatto che «il proseguimento delle ostilità significherebbe continua sofferenza, poiché il conflitto può essere risolto solo al tavolo dei negoziati, e non sul campo di battaglia».   Orban ha sottolineato che Fico era determinato a negoziare la pace in Ucraina, offrendo «grande sostegno» all’Ungheria, che ha costantemente favorito la risoluzione del conflitto ucraino attraverso i colloqui.   In Europa occidentale, ha proseguito il premier magiaro, solo il Vaticano promuove la pace, ma la Santa Sede «non vota per risolvere le questioni politiche» negli incontri dell’UE. «Ciò significa che dovremmo raddoppiare gli sforzi, e il mio lavoro diventa sempre più difficile a Bruxelles, dove devo discutere con i politici del campo della guerra».   Un sondaggio della Fondazione ungherese Szazadveg rivela che Orbán esprime solo la volontà della stragrande maggioranza degli ungheresi di opporsi all’invio di truppe NATO in Ucraina. Nel sondaggio Project Europe, Szazadveg ha scoperto che il 91% degli ungheresi intervistati è contrario all’invio di truppe in Ucraina.   Per quanto riguarda la media dei 27 paesi dell’UE, il 69% sarebbe contrario alla partecipazione dei soldati dell’UE in Ucraina.   Come riportato da Renovatio 21, una ridda di leader europei sta ricevendo in queste ore minacce di morte, sia che si tratti di filorussi che di antirussi.   La storia si ripete: anche nel 1914 spararono ad un regnante mitteleuropeo per innescare un’infame Guerra Mondiale – l’inutile strage, come disse il papa Benedetto XV nella sua lettera ai capi dei popoli belligeranti il 1° agosto 1917 – che nessuno in realtà voleva. Qui abbiamo l’impressione che la storia si ripete, più che per imperscrutabili leggi cosmiche, per la mancanza di originalità dei padroni del mondo, che tirano avanti sempre con la stessa sceneggiatura – la quale prevede il sacrificio di milioni di vite umane, fiumi di sangue in cui potrebbe andare a finire anche il vostro.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Continua a leggere

Geopolitica

Il primo ministro del Senegal chiede la fine dell’«occupazione» francese

Pubblicato

il

Da

Il primo ministro senegalese Ousmane Sonko ha suggerito di chiudere le basi militari francesi nel Paese, sostenendo che la loro presenza a lungo termine è incompatibile con il desiderio della nazione dell’Africa occidentale di avere il controllo completo sui suoi affari.

 

Il ministro ha espresso queste osservazioni giovedì in una conferenza congiunta con il politico di sinistra francese Jean-Luc Melenchon nella capitale del Senegal, Dakar.

 

«Più di 60 anni dopo la nostra indipendenza… dobbiamo interrogarci sulle ragioni per cui l’esercito francese, ad esempio, beneficia ancora di diverse basi militari nel nostro Paese e sull’impatto di questa presenza sulla nostra sovranità nazionale e sulla nostra autonomia strategica», ha detto Sonko.

Sostieni Renovatio 21

La Francia ha attualmente circa 350 soldati in Senegal dopo aver iniziato a ridimensionare il contingente di 1.200 presenti nel 2010. I critici hanno condannato la presenza delle truppe come una continuazione del dominio francese sull’ex colonia, nonostante l’indipendenza nel 1960.

 

Giovedì, Sonko, un popolare ex leader dell’opposizione divenuto primo ministro dopo che il suo candidato presidenziale scelto, Bassirou Diomaye Faye, ha vinto con una valanga di voti le elezioni di marzo, ha affermato che diversi paesi hanno promesso accordi di difesa al Senegal.

 

«Ma questo non giustifica il fatto che un terzo della regione di Dakar sia ora occupata da guarnigioni straniere», ha detto.

 

I Paesi limitrofi del Senegal – Burkina Faso, Mali e Niger governati dai militari – si sono tutti rivolti alla Russia per assistenza in materia di sicurezza dopo aver espulso le truppe francesi. Le tre nazioni dell’Africa occidentale hanno accusato l’ex potenza coloniale di ingerenza interna e di non essere riuscita ad affrontare le insurrezioni jihadiste nella regione del Sahel dopo oltre un decennio di operazioni.

 

Anche Ouagadougou, Bamako e Niamey hanno formato un’alleanza degli stati del Sahel e hanno annunciato congiuntamente a gennaio la loro uscita dalla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (ECOWAS). Le autorità militari hanno accusato il blocco regionale formato da 15 paesi, che da tempo spinge a ripristinare il governo democratico, di servire interessi stranieri e di rappresentare una minaccia per i loro Paesi.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Africa coloniale francese pare oramai passata in larga parte sotto la diretta influenza di Mosca – a causa anche dell’antipatia ingeneratasi contro Parigi e le sue missioni militari, accusate di addestrare e manovrare i terroristi islamici che sostenevano di voler combattere.

 

Nel suo discorso, il Sonko ha dichiarato che il Senegal approfondirà le relazioni con i governi golpisti in Mali, Burkina Faso e Niger.

 

«Non lasceremo andare i nostri fratelli del Sahel e faremo tutto il necessario per rafforzare i legami», ha affermato il primo ministro.

 

 

Aiuta Renovatio 21

Il premier africano anche affermato che il Senegallo, che condivide la valuta del franco CFA ancorata all’euro con altri sette paesi, Preferirebbe una valuta flessibile per aiutare ad assorbire gli shock e aumentare la competitività delle esportazioni. Il presidente Faye si era inizialmente impegnato ad abbandonare il franco CFA durante la campagna elettorale, ma in seguito ha fatto marcia indietro.

 

Niger, Burkina Faso e Mali hanno accennato all’abbandono del franco CFA in favore di una valuta comune, una mossa che Niamey ha definito un «passo fuori dalla colonizzazione».

 

Continua il periodo sfortunato di Parigi con le sue ex colonie, che in Africa si rivoltano l’una dopo l’altra con l’influenza francese – preferendogli apertis verbis quella russa. Il risentimento per la Francia e la sua storia coloniale era leggibile nella rabbia della rivolta etnica delle banlieue dello scorso anno e pure nei discorsi dell’allucinato accoltellatore della Gare de Lyon, il quale – passato come profugo per l’Italia – aveva pubblicato video in cui malediceva la Francia per aver oppresso lui ed i suoi antenati.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Francia pare avere problemi con in un territorio d’oltremare nell’Oceano Pacifico come la Nuova Caledonia dove è scoppiata negli scorsi giorni la rivolta degli indigini kanak contro una legge che permetterebbe di diluire nel tempo il loro peso politico assicurando la cittadinanza a persone che vivono sull’isola da pochi anni.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine screenshot da YouTube
 

 

Continua a leggere

Più popolari