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Epidemie

Due errori strategici nell’affrontare il C-19

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

Di fronte all’epidemia di COVID-19 i Paesi occidentali hanno ceduto al panico. In preda all’irrazionalità, hanno commesso due errori strategici: hanno isolato la popolazione sana, a rischio di distruggere l’economia, e hanno puntato tutto sui vaccini a RNA, trascurando le cure, anche a costo di esporsi alle controindicazioni che questa nuova tecnica vaccinale potrebbe causare.

 

 

Comunicazione: il Covid e la guerra

Il Covid-19 è una malattia virale che, nel peggiore dei casi, causa la morte dello 0,001% della popolazione. Nei Paesi sviluppati l’età media dei deceduti per COVID-19 è di circa 80 anni, a fronte d’un’aspettativa di vita di circa 83.

 

Facendo un confronto, la mortalità supplementare dei Paesi in guerra è da 5 a 8 volte superiore e colpisce soprattutto uomini di età compresa fra i 18 e 30 anni

Facendo un confronto, la mortalità supplementare dei Paesi in guerra è da 5 a 8 volte superiore e colpisce soprattutto uomini di età compresa fra i 18 e 30 anni. A questo si aggiunga una migrazione che può arrivare fino al 50% della popolazione.

 

L’epidemia di COVID e la guerra sono situazioni non raffrontabili, nonostante la retorica apocalittica le confonda (1).

 

Peraltro, chi si è avventurato in questo drammatico confronto non ha risposto all’epidemia in termini di mobilitazioni di guerra. Al più si è precettato un ospedale militare mobile per qualche fotografia di uniformi in azione.

 

L’epidemia di COVID e la guerra sono situazioni non raffrontabili, nonostante la retorica apocalittica le confonda

L’unico risultato concreto è stato causare il panico nella popolazione, offuscandone lo spirito critico.

 

 

L’origine dell’errore di comunicazione

La comparazione con lo stato di guerra è stata fatta in base a informazioni errate. Uno statistico britannico, Neil Ferguson – i cui modelli matematici servirono a giustificare la politica europea di riduzione degli ospedali – aveva infatti previsto oltre mezzo milione di morti nel Regno Unito e altrettanti in Francia.

 

La comparazione con lo stato di guerra è stata fatta in base a informazioni errate. Uno statistico britannico, Neil Ferguson  aveva infatti previsto oltre mezzo milione di morti nel Regno Unito e altrettanti in Francia

Ferguson ignorava che un virus è un essere vivente che non mira a uccidere il corpo umano che lo ospita, bensì ad abitarlo, come un parassita. Se uccide l’uomo che ha infettato, il virus muore con lui. Per questa ragione tutte le epidemie hanno inizialmente un alto tasso di mortalità, che diminuisce via via che il virus muta e si adatta all’uomo. È perciò assolutamente ridicolo estrapolarne la letalità dalle devastazioni delle prime settimane di epidemia.

 

I dirigenti politici non devono essere esperti in qualunque campo. Devono possedere una solida cultura generale, che permetta loro di valutare la qualità degli esperti di cui avvalersi nei diversi settori.

 

Ferguson appartiene al genere di scienziati che si limita a dimostrare ciò che gli viene chiesto, senza sforzarsi di capire i fenomeni ancora inesplicati. Il curriculum vitae di Ferguson è soltanto una lunga serie di errori commissionati da responsabili politici e smentiti dai fatti (2). Alla fine è stato congedato dal comitato britannico Cobra (Cabinet Office Briefing Rooms), però uno dei suoi discepoli, Simon Cauchemez dell’Istituto Pasteur, siede tuttora nel Consiglio scientifico francese.

 

 

Il curriculum vitae di Ferguson è soltanto una lunga serie di errori commissionati da responsabili politici e smentiti dai fatti

Primo errore strategico: il confinamento, variabile di aggiustamento delle politiche sanitarie

Di fronte al flagello COVID, i Paesi sviluppati hanno reagito decretando blocco delle frontiere, coprifuoco, chiusura forzata d’imprese, addirittura confinamenti generalizzati.

 

Fatto inedito nella Storia: mai prima d’ora si è ricorsi a confinamenti generalizzati – ossia all’isolamento di popolazioni sane – per lottare contro un’epidemia. Si tratta di un provvedimento politico costosissimo sul piano educativo, psicologico, medico, sociale ed economico, la cui efficacia si limita all’interruzione della catena di trasmissione in famiglie ancora sane, al prezzo della diffusione in famiglie ove una persona è già stata contaminata.

 

Una volta levato il confinamento, riparte immediatamente la propagazione nelle famiglie sane.

 

Fatto inedito nella Storia: mai prima d’ora si è ricorsi a confinamenti generalizzati – ossia all’isolamento di popolazioni sane – per lottare contro un’epidemia

Siccome dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica tutti i Paesi sviluppati hanno progressivamente ridotto le proprie ricettività ospedaliere, la maggior parte dei governi ha adottato misure di confinamento, non già per combattere la malattia – contro cui l’isolamento è impotente – bensì per scongiurare la saturazione degli ospedali.

 

Vale a dire che, per proseguire nel sistema di gestione della sanità pubblica fin qui adottato, i governi considerano come unica variabile possibile di aggiustamento il confinamento. Tuttavia il costo dei confinamenti è molto superiore a una gestione più onerosa degli ospedali. Anche perché si può prevedere che, con l’invecchiamento della popolazione, negli Stati sviluppati sopravvenga una crisi di saturazione degli ospedali ogni tre-quattro anni, in armonia con l’andamento ciclico di ogni epidemia.

 

Siccome dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica tutti i Paesi sviluppati hanno progressivamente ridotto le proprie ricettività ospedaliere, la maggior parte dei governi ha adottato misure di confinamento, non già per combattere la malattia – contro cui l’isolamento è impotente – bensì per scongiurare la saturazione degli ospedali

All’atto pratico, il ricorso al confinamento condanna i Paesi ad avvalersene sempre più spesso: per epidemie di COVID, d’influenza o di molte altre malattie mortali.

 

Uno studio comparativo dell’Università di Stanford, pubblicato il 12 gennaio 2021, dimostra che gli Stati che hanno adottato misure quali chiusure di attività, coprifuoco e confinamenti generalizzati non hanno ottenuto una riduzione della diffusione della malattia (soltanto differita) rispetto a Paesi che hanno invece rispettato la libertà dei cittadini; al più l’hanno soltanto differita (3).

 

Contrariamente a una credenza diffusa, non si tratta di scegliere tra saturazione degli ospedali e confinamento, bensì tra mobilitazione, o addirittura requisizione di cliniche private, e confinamento. Tutti gli Stati sviluppati dispongono infatti di un sistema sanitario privato largamente in grado di accogliere l’eccedenza di malati.

 

 

L’origine dell’errore strategico

All’origine del confinamento vi è la CEPI (Coalizione per le innovazioni in materia di preparazione alla lotta contro le epidemie), associazione creata a Davos durante il Forum Economico Mondiale del 2015 e diretta dal dottor Richard J. Hatchett, di cui non troverete la biografia né su Wikipedia né sul sito della CEPI: l’ha fatta rimuovere.

 

All’atto pratico, il ricorso al confinamento condanna i Paesi ad avvalersene sempre più spesso: per epidemie di COVID, d’influenza o di molte altre malattie mortali

Quest’uomo progettò per conto del segretario USA alla Difesa, Donald Rumsfeld, l’isolamento delle persone sane (4). Nel 2005, quale membro del Consiglio per la Sicurezza nazionale del presidente George W. Bush, Hatchett ricevette l’incarico di adattare le procedure previste per le forze armate USA alla popolazione civile, nel quadro di un piano di militarizzazione della società USA.

 

In caso di attacco biologico, i GIs di stanza all’estero devono confinarsi nelle basi militari. Hatchett immaginò, in caso di attacco batteriologico sul suolo americano, di confinare la popolazione civile in modo analogo, nelle proprie case. Questo progetto di stampo militare fu respinto unanimemente dai medici statunitensi, capeggiati dal professor Donald Henderson dell’università John Hopkins, che sottolinearono come mai fosse accaduto che dei medici avessero confinato persone sane.

 

Durante un’intervista su Channel 4, avvenuta pochi giorni prima dell’intervento del presidente Macron, il professor Richard J. Hatchett per primo paragonò l’epidemia di COVID-19 a una guerra.

 

Contrariamente a una credenza diffusa, non si tratta di scegliere tra saturazione degli ospedali e confinamento, bensì tra mobilitazione, o addirittura requisizione di cliniche private, e confinamento. Tutti gli Stati sviluppati dispongono infatti di un sistema sanitario privato largamente in grado di accogliere l’eccedenza di malati.

Naturalmente la prima elargizione che fece fare alla CEPI fu a favore dell’Imperial College di Londra. A capo di questa venerabile istituzione c’è Alice Gast, che è britannica, non statunitense. Oltre a essere amministratrice della multinazionale Chevron, Gast lavorava negli Stati Uniti con il dottor Hatchett per la mobilitazione degli scienziati contro il terrorismo. Ha sostenuto scritti propagandistici che volevano dimostrare che quanto scrissi a proposito degli attentati dell’11 Settembre erano scempiaggini.

 

Inoltre, uno dei più celebri professori dell’Imperial College è Neil Ferguson, autore delle previsioni affabulatrici sulla diffusione dell’epidemia.

 

 

Secondo errore strategico: la ricerca indirizzata esclusivamente sui vaccini

I medici hanno dovuto affrontare questa nuova epidemia senza avere terapie a disposizione. I governi occidentali hanno immediatamente indirizzato la ricerca sui vaccini.

 

Considerati i quattrini in ballo, gli Stati hanno destinato i loro budget alla ricerca di vaccini genetici, bloccando le ricerche su patologia e cure.

 

 

Considerati i quattrini in ballo, gli Stati hanno destinato i loro budget alla ricerca di vaccini genetici, bloccando le ricerche su patologia e cure.

La tecnica vaccinale fondata sull’RNA scelta da Moderna/NIAID, Pfizer/BioNTech/FosunPharma e CureVac, non dovrebbe causare gli effetti secondari dei vaccini classici, ma non per questo è esente da pericoli. Finora si è guardato a questa tecnica con grande prudenza perché manipola il patrimonio genetico dei pazienti. Per questa ragione, in assenza di sufficienti sperimentazioni, le aziende produttrici hanno preteso dai loro clienti, cioè gli Stati, di essere sollevate da ogni responsabilità giuridica.

 

Per contro, i medici che vogliono esercitare la propria professione curando i malati secondo il giuramento d’Ippocrate sono perseguiti dalle istituzioni disciplinari di categoria: lungi dall’essere apprezzate, le cure sperimentate sono state ridicolizzate, persino vietate.

 

In questo consiste il secondo errore strategico.

I medici che vogliono esercitare la propria professione curando i malati secondo il giuramento d’Ippocrate sono perseguiti dalle istituzioni disciplinari di categoria: lungi dall’essere apprezzate, le cure sperimentate sono state ridicolizzate, persino vietate

 

I medici occidentali, che salvo rare eccezioni non hanno mai dovuto affrontare una medicina di guerra né di catastrofe, si sono talvolta lasciati prendere dal panico.

 

All’inizio dell’epidemia, di fronte ai primi sintomi alcuni di loro non hanno fatto nulla, limitandosi ad aspettare l’arrivo di una tempesta di citochine, di una brutale infiammazione per poi mettere i pazienti in coma artificiale.

 

Risultato: sono state spesso le cure inappropriate più che la malattia a uccidere i primi malati. Gli esiti disastrosi di alcuni ospedali rispetto ad altri della stessa regione lo attestano, piaccia o no al tacito divieto fra colleghi di criticare i medici incompetenti.

 

I budget faraonici assegnati ai vaccini obbligano a non ricercare trattamenti efficaci perché rischierebbero di causare il fallimento delle multinazionali farmaceutiche.

 

Sono state spesso le cure inappropriate più che la malattia a uccidere i primi malati. Gli esiti disastrosi di alcuni ospedali rispetto ad altri della stessa regione lo attestano, piaccia o no al tacito divieto fra colleghi di criticare i medici incompetenti

Un’inflessibile censura s’è così abbattuta su ogni ricerca nel settore. Tuttavia in Asia è stato sperimentato un cocktail di farmaci che fluidificano il sangue e stimolano il sistema immunitario, antivirali e antinfiammatori in grado di curare ogni tipo di paziente, se somministrati ai primi sintomi. In Venezuela l’autorità sanitaria e farmacologica ha approvato un farmaco, il Carvativir, giudicandolo efficace su tutti i malati, purché somministrato ai primi sintomi (5).

 

Non essendo competente, non mi pronuncio sulla validità di queste terapie, ma mi sbalordisce che i medici occidentali non ne siano informati e non abbiano la possibilità di valutarle

 

A settembre 2020 l’Istituto Pasteur di Lille e la società APTEEUS hanno dal canto loro individuato un farmaco desueto, che impedisce la diffusione del virus. La notizia non è stata pubblicizzata per non incorrere nella reazione dell’industria del vaccino. La sperimentazione ora è terminata e in Francia è ripresa la produzione, sicché il farmaco, in origine una supposta per bambini, potrebbe essere presto pubblicizzato (6).

 

La censura dei farmaci non-occidentali non solo è inammissibile perché va a scapito della salute umana, ma anche perché imposta da poteri non-eletti: Google, Facebook, Twitter e via elencando. Il problema non è sapere se questi trattamenti siano o no efficaci, ma liberare la ricerca affinché possa studiare le molecole e valutare se abbandonarle, approvarle o migliorarle.

I budget faraonici assegnati ai vaccini obbligano a non ricercare trattamenti efficaci perché rischierebbero di causare il fallimento delle multinazionali farmaceutiche.

 

 

L’origine del secondo errore strategico

Sia detto per inciso, c’è contraddizione strategica tra rallentare la contaminazione attraverso il confinamento di persone sane e accelerarla con la generalizzazione di vaccini attivi o inattivati. Si tratta di un’osservazione non pertinente per i vaccini ad RNA, destinati a prevalere in Occidente.

 

Il secondo errore strategico trae origine da una convinzione collettiva. I responsabili politici immaginano che soltanto il progresso scientifico porterà soluzione a problemi al momento irrisolvibili. Nel caso del COVID, se si scopriranno vaccini efficaci con una nuova tecnica fondata non più sui virus ma sull’RNA-messaggero, si riuscirà a vincere l’epidemia. A nessuno più passa per la testa che il COVIDsi possa curare senza investimenti tanto gravosi.

 

La censura dei farmaci non-occidentali non solo è inammissibile perché va a scapito della salute umana, ma anche perché imposta da poteri non-eletti: Google, Facebook, Twitter e via elencando

È l’ideologia del Forum Economico Mondiale di Davos e della CEPI.

 

È quindi nell’ordine delle cose che i governi non reagiscano quando le multinazionali censurano le ricerche della medicina asiatica o venezuelana, impedendo la libertà della ricerca scientifica.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

NOTE

(1) «Seconde allocution d’Emmanuel Macron sur l’épidémie», di Emmanuel Macron, Réseau Voltaire, 16 marzo 2020.

(2) «COVID-19: Neil Ferguson, il Lyssenko liberale», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 19 aprile 2020.

(3) «Empirical assessment of mandatory stay-at-home and business closure effects on the spread of COVID-19», Eran Bendavid, Christopher Oh, Jay Bhattacharya, John P.A. Ioannidis, University of Stanford, January 12, 2021.

(4) «Il COVID-19 e l’Alba Rossa», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 28 aprile 2020.

(5) «Il Venezuela avrebbe trovato un farmaco contro il Covid-19», «Google, Facebook e Twitter censurano le informazioni sul Carvativir», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 26 e 28 gennaio 2021.

(6) «La recherche sur la COVID-19 : l’Institut Pasteur de Lille mobilisé face à la pandémie», Institut Pasteur de Lille, aggiornamento del 26 gennaio 2021.

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

Fonte: «Due errori strategici nell’affrontare il Covid-19», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 febbraio 2021.

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Epidemie

La Russia sottoporrà a test per l’epatite tutti i lavoratori immigrati. E l’Italia?

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A partire da marzo 2026, la Russia imporrà ai lavoratori migranti di sottoporsi a test per l’epatite B e C, ampliando le attuali disposizioni di screening medico. Le nuove regole si applicheranno ai cittadini stranieri e agli apolidi che entrano in Russia per lavoro, oltre a coloro che richiedono lo status di rifugiato o asilo temporaneo.

 

Le visite mediche sono obbligatorie per i migranti: senza di esse, non è possibile ottenere permessi di lavoro, residenza temporanea o permanente. I lavoratori migranti devono completare gli esami entro 30 giorni dall’arrivo, mentre chi non intende lavorare ha 90 giorni di tempo. Attualmente, gli screening includono test per droghe e malattie gravi come HIV, tubercolosi, sifilide e lebbra.

 

Le modifiche al processo di controllo sanitario per gli stranieri in visita sono state proposte all’inizio dell’anno da un gruppo di lavoro sulle politiche migratorie, guidato dalla vicepresidente della Duma di Stato, Irina Yarovaya. La vicepresidente ha chiarito che l’obiettivo è rafforzare il monitoraggio sanitario degli stranieri in arrivo e prevenire la diffusione di malattie pericolose.

 

I lavoratori migranti sono fondamentali per l’economia russa, occupando ruoli chiave in settori come edilizia, agricoltura e servizi. Milioni di migranti, soprattutto dall’Asia centrale, sono attratti da salari più alti rispetto ai loro paesi d’origine. Tuttavia, questo afflusso ha sollevato dibattiti su salute pubblica e stabilità sociale. Per questo, le autorità russe hanno introdotto rigidi controlli sanitari e requisiti per i migranti, cercando di bilanciare i benefici economici con la sicurezza sanitaria.

 

Nell’ultimo anno, la Russia ha anche intensificato la lotta contro l’immigrazione illegale. Il presidente Vladimir Putin ha firmato un decreto che istituisce una nuova agenzia statale all’interno del Ministero dell’Interno, incaricata di migliorare la gestione dei flussi migratori.

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Il Cremlino ha dichiarato che l’iniziativa punta a razionalizzare il processo migratorio, promuovere il rispetto delle leggi russe tra i migranti e ridurre le attività illegali.

 

In Italia la situazione epidemiologica dell’immigrazione è un grande tabù del discorso pubblico.

 

«In base ai dati epidemiologici in nostro possesso, risulta che in Italia il 34,3% delle persone diagnosticate come HIV positive è di nazionalità straniera» diceva in un’intervista a Renovatio 21 il dottor Paolo Gulisano sette anni fa. «Considerato che gli stranieri rappresentano circa il 10% della popolazione italiana, questo dato vuole dire che la diffusione dell’HIV tra gli stranieri è oltre il triplo che negli italiani».

 

«Un dato che fa pensare. Molti immigrati provengono da Paesi dove la diffusione dell’HIV, così come quella della TBC, è molto più alta che in Europa. Basta far parlare i dati. Il numero dei decessi correlati all’AIDS nel 2016 per grandi aree è il seguente: Africa Sud-Orientale: 420 mila; Africa Centro-Orientale: 310 mila; Nord Africa e Medio Oriente: 11 mila; America Latina: 36 mila, più il dato dei soli Caraibi che è di 9400. Europa dell’Est e Asia centrale: 40 mila; Europa Occidentale e Nord America: 18 mila; Asia e Pacifico: 170 mila. Ora, la lettura di questi numeri ci fornisce delle evidenze molto chiare».

 

«È quindi chiaro quali siano i rischi di una immigrazione di massa, incontrollata anche dal punto di vista sanitario, e i rischi legati al fatto che un numero impressionante di immigrate africane viene gettato nel calderone infernale della prostituzione, che diventa veicolo di diffusione di malattie veneree».

 

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Epidemie

Paura e profitto, dall’AIDS al COVID

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   La regista ed ex reporter della BBC Joan Shenton ha paragonato la pandemia di COVID-19 all’epidemia di AIDS, definendola una «seconda versione» della stessa narrazione sulla salute pubblica. Entrambe le epidemie includevano l’uso improprio dei test PCR, la soppressione di scienziati dissenzienti e le motivazioni finanziarie alla base del «terrore della peste», ha affermato Shenton in un’intervista con Mary Holland, CEO di Children’s Health Defense, su CHD.TV.   La pandemia di COVID-19 è stata un evento che si verifica una volta ogni secolo o ha avuto parallelismi nella storia recente? Per la regista ed ex reporter della BBC Joan Shenton, la pandemia è stata la «seconda ripresa» dell’epidemia di AIDS.   «È stato così angosciante dover affrontare il COVID», ha detto Shenton a Mary Holland, CEO di Children’s Health Defense (CHD), durante un’intervista di lunedì su CHD.TV. «Se solo avessimo potuto vincere la battaglia contro l’AIDS, non avremmo avuto il COVID».   Shenton, produttore del documentario del 2011 Positivamente Falso: Nascita di un’eresia e autore del libro del 1998 «Positively False: Exposing the Myths around HIV and AIDS», si è unito alla Holland per discutere delle somiglianze tra l’epidemia di COVID-19 e quella di AIDS.   Entrambe le epidemie includono l’uso inappropriato dei test PCR per determinare l’infezione, la somministrazione di trattamenti medici che si sono rivelati mortali per molti pazienti, il coinvolgimento di personaggi come il dottor Anthony Fauci e le ripercussioni affrontate dagli scienziati che hanno messo in discussione la narrazione dominante, ha affermato Shenton.   «Una delle cose straordinarie e sorprendenti di tutto questo… è quanto siano simili molte delle dinamiche dell’epidemia di AIDS a quelle dell’epidemia di COVID», ha affermato Shenton.   Secondo Shenton, le risposte all’AIDS e al COVID-19 sono esempi di «terrore della peste», una strategia «utilizzata da organizzazioni che guadagnano enormi quantità di denaro attraverso le malattie infettive, definendo le cose infettive».   Shenton ha affermato di pensare che il suo documentario avrebbe contribuito a cambiare la narrazione dominante sull’AIDS, ma non è riuscito a superare i potenti interessi che traggono profitto dallo status quo.   «Spesso pensavamo che avremmo cambiato il mondo, ma non è così», ha detto Shenton.   Tuttavia, il documentario ha prodotto un archivio di 35 anni di studi scientifici, interviste video e altri documenti. Shenton ha donato la biblioteca informativa al CHD.   «Metteremo a disposizione un archivio delle sue migliaia e migliaia di pagine sull’AIDS», ha affermato Holland. Si prevede che i documenti saranno accessibili nei prossimi mesi.

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Le opinioni dissenzienti sull’AIDS «abilmente represse per decenni»

Shenton era una reporter della BBC, l’emittente pubblica nazionale del Regno Unito, quando sviluppò il lupus indotto da farmaci, dopo essere stata sottoposta a un’eccessiva terapia farmacologica in Spagna negli anni ’70.   «Mi hanno dato tutto quello che c’era scritto nel libro», ha detto Shenton. «Certo, sono imploso e mi sono sentito gravemente male. Sono stato al Westminster Hospital per due mesi. Sono quasi morto».   L’esperienza ha suscitato in lei l’interesse per le indagini sulle lesioni causate dai trattamenti medici.   In seguito è entrata a far parte dell’emittente nazionale britannica Channel 4, producendo una serie di documentari, Kill or Cure. La serie si concentrava sulla riluttanza delle grandi aziende farmaceutiche a ritirare trattamenti pericolosi o inefficaci. «Quello mi ha davvero dato la carica», ha detto Shenton.   Nei primi anni ’80, Shenton e il suo produttore vennero a conoscenza della ricerca del dottor Peter Duesberg, un biologo molecolare tedesco che sosteneva che l’HIV non causava l’AIDS.   Iniziò a mettere in discussione le narrazioni dominanti. «Abbiamo continuato a realizzare 13 documentari sull’AIDS», ha detto Shenton.   Il documentario Positively False si concentra sulla «manipolazione delle aziende farmaceutiche e delle organizzazioni [mediche] interessate in tutto il mondo, che manipolano il terrore della peste», ha affermato Shenton.   Il film rivela «la scienza imperfetta che circonda l’AIDS e le conseguenze di seguire ipotesi sbagliate», ha affermato Shenton nell’introduzione. Tra queste, la convinzione che l’AIDS sia infettivo, che sia causato dall’HIV e che l’HIV sia contagioso.   «Molti scienziati e ricercatori non sono d’accordo. Queste opinioni sono state abilmente represse per decenni dall’ortodossia scientifica prevalente e dai media mainstream», ha affermato Shenton nel documentario.   I ricercatori che mettevano in discussione la narrazione dominante sull’HIV/AIDS sono stati repressi e messi a tacere, così come gli scienziati che mettevano in discussione la narrazione prevalente sul COVID-19, ha affermato Shenton.

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Test PCR «completamente inutili» per AIDS e COVID

In entrambi i focolai, sono stati utilizzati test PCR per determinare l’infezione, ha affermato.   «Il test [PCR] è completamente e totalmente inutile», ha detto Shenton. I test non possono «distinguere tra particelle infettive e non infettive».   Shenton ha affermato che i diversi Paesi utilizzano standard diversi per determinare una diagnosi positiva di HIV.   «Si potrebbe fare il test per l’HIV, per esempio in Sudafrica, e risultare positivi, e volare in Australia e risultare negativi», ha detto Shenton.   All’inizio dell’epidemia di AIDS, molti scienziati ritenevano che fattori legati allo stile di vita, tra cui la dipendenza da droghe ricreative e l’uso di nitriti come i «poppers», fossero la causa dell’AIDS a causa dei danni che provocavano al sistema immunitario.   Allo stesso tempo, i funzionari sanitari e i media hanno erroneamente attribuito la diffusione della malattia in Africa all’AIDS, quando in realtà era la mancanza di accesso all’acqua potabile a far ammalare le persone, ha detto Shenton.   Queste narrazioni sono cambiate quando le agenzie sanitarie governative hanno iniziato a interessarsi alla ricerca sull’AIDS, ha affermato Shenton.   «Quando il CDC [Centers for Disease Control and Prevention] è intervenuto e ha riunito tutti i suoi rappresentanti per esaminare questo gruppo di giovani uomini che erano molto, molto malati… l’intera teoria secondo cui l’AIDS era causato dallo stile di vita o dalla tossicità è scomparsa», ha detto Shenton.

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Fauci ha promosso trattamenti mortali per AIDS e COVID

Shenton ha affermato che i trattamenti medici dannosi sono stati al centro sia dell’epidemia di AIDS che di quella di COVID-19.   Nel 1987, la Food and Drug Administration statunitense approvò l’AZT (azidotimidina) per le persone sieropositive. L’AZT si rivelò pericoloso per molti pazienti affetti da AIDS. Durante la pandemia di COVID-19, i vaccini e il remdesivir hanno danneggiato le persone.   E in entrambi i casi – l’epidemia di AIDS e la pandemia di COVID-19 – Fauci ha svolto un ruolo chiave.   «Eravamo profondamente, profondamente critici nei confronti di Fauci, per il modo in cui ha gestito gli studi multicentrici di fase due sull’AZT. Voglio dire, erano corrotti, e tutta la prima fase è stata finanziata dall’azienda farmaceutica [Burroughs Wellcome, ora GSK ], e avevano dei rappresentanti, e questo è noto attraverso i documenti sulla libertà di informazione, che sono andati lì e hanno portato a casa i risultati del gruppo trattato con il farmaco e del gruppo placebo, eliminando gli effetti collaterali nel gruppo trattato con il farmaco» ha detto la Shenton.   Nel film Positively False, diversi scienziati e ricercatori hanno spiegato come l’AZT impedisca la sintesi del DNA, impedisca la replicazione delle cellule e contribuisca alla generazione di cellule cancerose.   Tuttavia, secondo il documentario, i pazienti che mettevano in dubbio la sicurezza e l’efficacia dell’AZT venivano stigmatizzati e la loro sanità mentale veniva messa in discussione.   Holland ha fatto riferimento al libro del 2021 del Segretario alla Salute degli Stati Uniti Robert F. Kennedy Jr., The Real Anthony Fauci : Bill Gates, Big Pharma, and the Global War on Democracy and Public Health che contiene una sezione sul lavoro di Fauci durante l’epidemia di AIDS.   «Solleva tutti questi interrogativi il fatto che in realtà sembra la stessa truffa e gli stessi giocatori… non è cambiato molto», ha detto Holland.

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Il «terrore della peste» esisteva molto prima dell’AIDS o del COVID

Secondo Shenton, le epidemie di AIDS e COVID-19 sono esempi di «terrore della peste», che è esistito nel corso della storia.   All’inizio del XX secolo, negli Appalachi, fu diagnosticata un’epidemia di pellagra. La malattia, che causava una mortalità diffusa e si diceva fosse infettiva, si rivelò essere una carenza nutrizionale.   «Negli Appalachi, la popolazione molto povera viveva con una dieta completamente priva di nutrienti», ha detto Sheton. «Si trattava di una varietà di mais, ma lo cucinavano eliminandone tutti i nutrienti e dipendevano solo da quello».   La gente aveva così tanta paura di contrarre la pellagra che coloro che si pensava fossero infetti venivano ricoverati in istituti o «gettati fuori dalle navi», ha affermato.   Un infettivologo di New York, il dottor Joseph Goldberger, stabilì che la pellagra non era contagiosa, ma era causata da malnutrizione e carenza di niacina (vitamina B), ha detto Shenton. Fu emarginato per le sue scoperte.   «È stato ridotto allo stato laicale, privato dei fondi, ridicolizzato. È morto. E cinque anni dopo la sua morte, hanno detto che aveva assolutamente ragione: non era contagioso, era tossico», ha detto.   Secondo Shenton, in Giappone dagli anni ’50 agli anni ’70 la mielo-ottico-neuropatia subacuta (SMON) era comune.   «Centinaia di migliaia di giapponesi sono rimasti paralizzati dalla vita in giù e ciechi, e nessuno riusciva a capire il perché. E ovviamente pensavano: “Oh, è un virus”», ha detto.   Un neurologo giapponese, il dottor Tadao Tsubaki, ha studiato i pazienti affetti da SMON e ha stabilito che la condizione non era infettiva, ma era causata da un farmaco antidiarroico ampiamente somministrato, il cliochinolo.   «Ci sono voluti 30 anni e squadre di avvocati per respingere in tribunale l’idea che la causa della SMON fosse un virus», ha affermato Shenton.   Michael Nevradakis Ph.D.   © 7 ottobre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.    

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Epidemie

Le restrizioni COVID in Spagna dichiarate incostituzionali, annullate oltre 90.000 multe

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Oltre 90.000 multe per violazioni delle norme anti-COVID sono state annullate dopo che la Corte costituzionale spagnola ha dichiarato incostituzionali le severe misure adottate nel 2020.

 

Secondo il quotidiano spagnuolo The Objective, al 3 settembre 2025 sono state revocate 92.278 sanzioni, in seguito alla sentenza che ha giudicato incostituzionali alcune disposizioni del decreto sullo stato di emergenza del 2020, in vigore durante il primo lockdown per il COVID-19.

 

Queste sanzioni rappresentano solo la prima tranche di multe destinate all’annullamento, con altre che probabilmente seguiranno. Durante il rigido lockdown del 2020, imposto con lo stato di allarme, sono state emesse oltre 1 milione di sanzioni a livello nazionale, con circa 1,3 milioni di persone multate per aver violato le restrizioni.

 

La Corte Costituzionale ha stabilito che alcune parti dell’articolo 7 del Regio Decreto 463/2020, relative al divieto generale di circolazione, comportavano una sospensione ingiustificata del diritto fondamentale alla libertà di movimento, andando oltre una semplice limitazione. Tale misura superava i limiti dello stato di allarme, secondo la Corte, che ha precisato che una restrizione così drastica sarebbe stata giustificabile solo con uno stato di emergenza più severo, soggetto a un iter parlamentare più rigoroso.

 

La sentenza si applica retroattivamente a tutte le multe emesse durante il lockdown del 2020, creando un notevole onere per l’amministrazione statale. The Objective riferisce che «l’applicazione è stata lenta e disuniforme a seconda delle regioni», suggerendo che i rimborsi potrebbero richiedere mesi o anni.

 

Il quotidiano sottolinea che i 92.278 casi annullati finora rappresentano «solo la punta dell’iceberg di una crisi normativa» derivante dalle severe politiche di lockdown imposte dal governo spagnolo nel 2020.

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Immagine di Javier Perez Montes via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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