Economia
Due banche israeliane hanno trasferito 1 miliardo di dollari dalla Silicon Valley Bank prima del suo collasso

Un articolo del giornale israeliano Times of Israel riporta che le due maggiori banche del paese sono state in grado di trasferire 1 miliardo di dollari dalla Silicon Valley Bank a conti in Israele prima che il banco californiano fosse sequestrata dai federali.
La Silicon Valley Bank (SVB) al momento del suo fallimento alla fine della scorsa settimana costituita la sedicesima banca più grande degli Stati Uniti, prima di crollare in quello che il secondo maggiore schianto di una banca nella storia d’America. Aziende che avevano il conto alla SVB, considerata talmente solida da essere entrata di recente nella classifica di Forbes delle banche più affidabili, sono ora bloccate; è stato riportato che una filiale di Nuova York, dove si erano precipitati dei risparmiatori per ritirare il proprio danaro, ha chiamato la polizia.
La banca serviva principalmente il giro locale delle startup tecnologiche e dei loro principali finanziatori, i Venture Capital, ossia i fondi di capitale di rischio. Il business durante la pandemia era andato a gonfie vele: se nel 2019 la banca aveva asset per 40 miliardi, nel 2022 era arrivata a circa 220 miliardi di dollari: negli anni con le popolazioni chiuse in casa a consolarsi con internet ogni pezzo della filiera Big Tech californiana ha fatto affari d’oro.
La SVB è crollata dopo una corsa ai depositi, che ha portato all’amministrazione controllata da parte dell’ente statale di sicurezza bancaria Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), che pare dovrebbe garantire il 100% dei depositi dei clienti assicurati e non assicurati. Negli USA, solitamente i conti correnti
Mentre il crollo di SVB ha colto molti di sorpresa, le autorità finanziarie israeliane apparentemente si sono mosse con incredibile tempismo.
«Le due maggiori banche israeliane, Bank Leumi e Bank Hapoalim, hanno istituito una stanza operativa che ha operato 24 ore su 24 per aiutare le aziende a trasferire i loro soldi da SVB – prima che venissero sequestrati – a conti in Israele», riporta il Times of Israel.
«Negli ultimi giorni, i team di LeumiTech, il ramo bancario high-tech di Bank Leumi, sono stati in grado di aiutare i loro clienti israeliani a trasferire circa 1 miliardo di dollari in Israele, ha affermato la banca».
Della questione ha parlato anche un articolo di un altro importante quotidiano israeliano, Ha’aretz: «persone del settore hanno detto alla fine della settimana che molte aziende israeliane erano riuscite a far uscire i loro soldi in tempo, ma che chiaramente non era così per tutti» scrive il giornale di Tel Aviv. «Non è chiara, infatti, la reale situazione del settore high-tech del Paese, poiché le aziende i cui depositi sono ora bloccati cercheranno di nasconderlo, preoccupate che eventuali voci possano allontanare clienti, fornitori e dipendenti».
L’articolo del Times of Israel parte dalle domande se il crollo di SVB impatterà anche nel florido settore delle startup tecnologiche israeliane (la cosiddetta Silicon Wadi, dove wadi sta per valle in ebraico, e pure in arabo) che ha numerose interconnessioni con l’ambiente finanziario e tecnologico californiano e americano in genere. Uno dei pochi accenti stranieri ammessi nei pitch (cioè le contrattazioni per gli investimenti), confidò in un tweet controverso una decina di anni fa un investitore di Venture Capital, è, oltre all’indiano, quello ebraico.
Come riportato da varie fonti, il settore delle aziende tecnologiche di Israele – la Startup Nation, come la chiama un famoso libro – è dominato da veterani dell’Unità 8200, un’unità del Corpo di Intelligence israeliano delle forze di difesa israeliane responsabile di operazioni clandestine, raccolta di informazioni sui segnali (SIGINT) e decrittazione di codici, controspionaggio, guerra informatica, Intelligence militare e sorveglianza.
Molti dei software di sorveglianza venduti da Israele nel mondo, talvolta con scandalo, provengono da questo tipo di competenze.
Come riportato da Renovatio 21, recenti indagini giornalistiche hanno portato a scoprire che centinaia di dipendenti delle società Big Tech come Google, Facebook, Amazon e Microsoft vengono da ambienti dello spionaggio israeliano.
Immagine di Minh Nguyen via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Economia
La logica dietro al crollo delle criptovalute. Anche la bolla dell’IA pronta a scoppiare?

In un articolo pubblicato sul suo Substack, l’ex Segretario del Lavoro degli Stati Uniti Robert Reich si è unito agli economisti, banchieri e trader che avvertono del rischio imminente di uno scoppio della bolla finanziaria.
Reich ha individuato due bolle pronte a esplodere: quella dell’Intelligenza Artificiale e quella delle criptovalute – che, secondo lui, potrebbe essere già collassata, come suggerito dal crollo del 10-11 ottobre.
«Le azioni legate all’Intelligenza Artificiale e ai relativi data center rappresentano circa il 75% dei rendimenti delle principali aziende USA, l’80% della crescita degli utili e il 90% dell’aumento delle spese in conto capitale. Tuttavia, un rapporto del MIT rivela che il 95% delle aziende che utilizzano l’IA non genera profitti», ha scritto.
La bolla dell’IA ha arricchito alcuni magnati, come Ellison di Oracle, ma Oracle è gravata da debiti e a luglio le agenzie di rating hanno declassato il suo outlook a negativo, una situazione simile a quella di altre aziende del settore.
Quanto alle criptovalute, Reich le ha definite «un classico schema Ponzi», che consuma enormi quantità di energia senza produrre nulla di concreto. Quando le bolle dell’IA e delle criptovalute scoppieranno, ha avvertito Reich, «temo che milioni di americani comuni ne pagheranno le conseguenze, perdendo risparmi e posti di lavoro».
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In seguito alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina della scorsa settimana, il mercato delle criptovalute ha registrato il più grande crollo della sua storia, con una perdita stimata di oltre 150 miliardi di dollari a livello globale. Il bitcoin è calato del 14% tra il 10 e l’11 ottobre, mentre Ether ha toccato un ribasso del 12%. I token minori hanno subito perdite ancora più pesanti. Si tratta della fine della bolla delle criptovalute?
Reich si è interrogato sulla questione, rispondendo: «Quando scoppierà la bolla delle criptovalute? Forse è già iniziato». Ha inoltre sottolineato l’«enorme volume di prestiti» che ha alimentato il rialzo delle criptovalute durato nove mesi. Secondo Derive, gli investitori hanno puntato massicciamente su opzioni di Bitcoin ed Ether, segnalando un’ampia scommessa sul crollo del mercato.
Quanto alla presunta «stabilità» delle stablecoin, il tracollo delle criptovalute ha colpito anche queste. Bitget riferisce che la stablecoin USDe di Ethena ha perso il 35%, scendendo a 0,65 dollari su Binance, «un movimento notevole per qualcosa che dovrebbe essere stabile… Quando una stablecoin perde il 35% del suo ancoraggio, è naturale chiedersi cosa la sostenga davvero… Le stablecoin sono progettate per resistere a queste pressioni».
Un altro castello di carte finanziarie sta per crollare catastroficamente sull’economia globale?
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Immagine screenshot da Twitter
Economia
JP Morgan: l’oro potrebbe raggiungere i 10.000 dollari

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Economia
Trump: «i BRICS erano un attacco al dollaro»

«I BRICS sono stati un attacco al dollaro» lo il presidente statunitense Donald Trump durante l’incontro del 14 ottobre alla Casa Bianca con il presidente argentino Javier Milei.
Trump ha sostenuto che, grazie ai dazi imposti ai Paesi BRICS, «questi stanno tutti uscendo dai BRICS» e che ora si sta affermando un «dominio mondiale del dollaro».
🇺🇸 “I told anybody that wants to be in BRICS that’s fine, but we’re gonna put tariffs on your nation. Everybody dropped out, they’re all dropping out of BRICS. BRICS was an attack on the dollar.” — Donald Trump
ℹ️ Just to make the obvious clear…
No BRICS nation has dropped… pic.twitter.com/Vrr20AGEhA
— DD Geopolitics (@DD_Geopolitics) October 14, 2025
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Rispondendo a una domanda, Trump ha proseguito: «Mi piace il dollaro. E chiunque ami trattare in dollari ha un vantaggio rispetto a chi non lo fa. Ma per la maggior parte, stiamo mantenendo le cose così. Penso che se Biden, intendo quel gruppo, fosse stato eletto [nel 2024], ovvero Kamala, non avreste più il dollaro come valuta. Non avreste avuto un dominio mondiale del dollaro, se non avessi vinto queste elezioni. E ora, chiunque voglia far parte dei BRICS, va bene, ma imporremo dazi alla vostra nazione. Tutti se ne sono andati; stanno tutti uscendo dai BRICS. I BRICS sono stati un attacco al dollaro. E ho detto: “Se volete partecipare a questo gioco, applicherò dazi su tutti i vostri prodotti che entrano negli Stati Uniti”. E come ho detto, stanno tutti uscendo dai BRICS. E dei BRICS, ormai, non ne parlano nemmeno più».
Come riportato da Renovatio 21, Milei, il cui Paese ora aspira a ottenere una linea di swap di emergenza da 20 miliardi di dollari per sostenere l’economia nazionale fino alle elezioni argentine del 26 ottobre, ha rifiutato l’offerta di adesione dell’Argentina ai BRICS tra i primi atti del suo governo.
Il 15 ottobre al portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov è stato chiesto un commento sulle affermazioni di Trump riguardo al presunto ritiro delle nazioni dai BRICS: «per quanto riguarda l’intenzione di tutti i Paesi di uscire, onestamente, non ho informazioni del genere», ha risposto il portavoce del Cremlino.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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