Bizzarria
Dirigente querela l’azienda che lo aveva licenziato per aver assunto LSD durante un incontro con gli investitori
Justin Zhu, un ex CEO e cofondatore di una startup della Silicon Valley chiamata Iterable, ha intentato una causa contro la sua ex azienda per quella che lui sostiene essere una discriminazione basata sulla razza e sul suo problema di salute mentale, sebbene la ragione dichiarata dall’azienda per il licenziamento fosse che l’amministratore delegato assumeva acidi durante gli orari di lavoro. Lo riporta Futurism.
In precedenza era stato riferito che nel 2021 il CEO della azienda tecnologica era stato licenziato per aver assunto una piccola quantità di LSD durante una riunione con gli investitori.
A quel tempo, l’altro cofondatore dell’azienda disse ai colleghi di Zhu che l’ex CEO aveva violato il manuale dei dipendenti e così facendo «minava la fiducia del consiglio nella capacità di Justin di guidare l’azienda in futuro».
Zhu ha portato in causa Iterable per discriminazione e afferma che la spiegazione dell’LSD era «pretestuale e un sotterfugio» e che il vero motivo per cui è stato estromesso era perché è un americano di origine asiatica.
Gran parte dell’argomentazione legale del deposto cofondatore di Iterable è che il microdosaggio non solo lo ha reso migliore nel suo lavoro, ma ha anche fatto guadagnare più soldi all’azienda.
Negli anni trascorsi dall’assunzione di questa droga – ma non sappiamo quante volte lo Zhu abbia effettivamente preso l’acido, al lavoro o altro – il manager afferma che invece di essere «influenzato negativamente» nella sua posizione, «ha performato con successo come amministratore delegato».
«Inoltre, l’LSD è onnipresente nella Silicon Valley e fa parte della cultura da anni», si legge nella causa, e «Justin non ha avuto remore a parlarne, poiché i leader da Steve Jobs a Bill Gates hanno parlato dell’uso dell’LSD».
Lo Zhu afferma di soffrire di «difficoltà a dormire», oltre a «brividi persistenti nel suo corpo» e palpitazioni cardiache che peggioravano ogni volta che sentiva squillare il telefono o vedeva un messaggio dai suoi investitori. Le cose sono andate così male, dice, che «credeva di non avere altra scelta [che iniziare il microdosaggio di acidi] perché voleva assicurarsi che l’azienda avrebbe avuto successo, e aveva bisogno di fare quello che serviva per realizzarlo».
Durante l’incontro con gli investitori in questione, ha affermato che il suo «corpo era più sensibile alla dose di quanto si aspettasse, e questo ha avuto un impatto sulla sua visione durante un incontro con un potenziale investitore minore». Tuttavia, «si è ripreso poco dopo l’incontro».
«Nel complesso, l’esperienza ha portato un cambiamento positivo alla vita lavorativa» dello Zhu, continua la denuncia, osservando che le sue esperienze non solo lo hanno aiutato a elaborare le proprie emozioni riguardo alle «difficoltà che ha dovuto affrontare come asiatico-americano, come fondatore e come un amministratore delegato».
Lo Zhu sostiene inoltre che l’LSD lo ha aiutato a impegnarsi nuovamente nella società, che a sua volta «ha consentito a Iterable di ricevere un round di investimento di serie D di grande successo, raccogliendo 60 milioni di dollari».
Nella causa si inserisce anche un’accusa di discriminazione razziale. Secondo la querela, durante un incontro del 2019, un investitore della startup avrebbe affermato che un altro potenziale investitore aveva affermato che Zhu «non sembrava un CEO» e che il «COO [Chief Operative Officer, capo delle operazione aziendali, ndr] caucasico della società sembrava più un CEO di Justin». L’incontro quindi «divenne teso».
Mesi dopo, afferma sempre la causa, Zhu ha cercato di avere una discussione aperta sui suoi problemi di salute mentale – gli stessi che lo hanno portato a prendere l’LSD prima dell’incontro, dice, nel tentativo di essere più calmo e concentrato – con Shah. Afferma che è stato allora che l’investitore gli ha detto apertamente che non pensava che avrebbe dovuto essere amministratore delegato, e subito dopo ha insistito perché si dimettesse.
Il cosiddetto micro-dosing (microdosaggio) di varie sostanze psicotrope, tra cui la potente droga psichedelica chiamata LSD, è una moda che perdura da tempo tra gli intellettuali liberal americani – che sono tutti, invariabilmente, depressi – e i personaggi della Silicon Valley, che sono praticamente tutti divorati dall’ansia.
Le due droghe psichedeliche più comuni utilizzate nel microdosaggio sono la dietilamide dell’acido lisergico (LSD) e la psilocibina, cioè la sostanza contenuta nei funghi psicoattivi. Altri psichedelici che sono stati usati per il microdosaggio includono la mescalina (sempre ottenuta dai funghi allucinogeni) e i suoi derivati sintetici (Metallilescalina, psilacetina, metocina) la triptamina psichedelica (4-HO-MiPT), la Dimetossibromoanfetamina (anche chiamata bromo-DMA), la 2,5-dimetossi-4-metilfenetilammina (2C-D), l’ergina (chiamata anche lisergamide LSA, un ammide dell’acido lisergico).
Gli studi sull’efficacia del micro-dosing sono ancora pochi.
Bizzarria
Adolf Hitler vince ma cambia nome
Adolf Hitler Uunona, 59 anni, consigliere regionale namibiano da venti anni in carica, ha annunciato che rinuncerà ufficialmente al secondo nome «Hitler» dopo essere stato rieletto per il quinto mandato consecutivo nel distretto di Ompundja (regione di Oshana).
Membro del partito al potere Swapo, Uunona ha sempre goduto di un largo consenso locale nonostante il nome che, a livello internazionale, genera inevitabilmente sconcerto. Gli elettori della sua circoscrizione lo hanno costantemente premiato per il suo impegno nella lotta anti-apartheid e per i risultati concreti ottenuti sul territorio.
«Ho già provveduto a cancellare “Hitler” dai miei documenti ufficiali», ha dichiarato ai media namibiani. «D’ora in poi voglio essere chiamato semplicemente Adolf Uunona».
Il lettore di Renovatio 21 sa che la faccenda dell’Hitler negro è risalente.
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L’ex Hitler ha spiegato che ilpadre gli impose quel nome decenni fa senza conoscerne il peso storico né i crimini associati al dittatore nazista; per lui, all’epoca, era semplicemente un nome tedesco abbastanza diffuso nell’ex colonia dell’Africa sud-occidentale tedesca (1884-1915). Solo crescendo il consigliere prese coscienza del macabro retaggio e cominciò a dissociarsene pubblicamente.
«Ho sempre chiarito di non condividere in alcun modo l’ideologia nazista», ha ribadito il già Hitler. «Il mio impegno politico è radicato nella liberazione della Namibia e nello sviluppo delle nostre comunità rurali». In privato, familiari e collaboratori lo chiamano da tempo soltanto «Adolf», un’abitudine che ora desidera estendere a ogni contesto ufficiale.
Il caso richiama la complessa eredità coloniale tedesca in Namibia, dove nomi di origine teutonica restano relativamente comuni. Proprio in quel periodo (1904-1908) le truppe tedesche perpetrarono il genocidio degli Herero e dei Nama, un capitolo storico ancora poco noto a livello globale. Tuttavia, il fatto che esistano nel Paese africani bambini chiamati come il famigerato dittatore nazionalsocialista prova che forse la storia degli orrori coloniali non è esattamente conosciuta, o sentita, dalle popolazioni indigine.
Nonostante l’attenzione mediatica internazionale, lo Hitler namibiano continua a dominare le urne: nelle recenti elezioni locali ha nuovamente stravinto a Ompundja con un margine schiacciante. Per i suoi elettori, il curriculum di vent’anni di servizio concreto – strade, acqua, scuole e sostegno alle famiglie – pesa infinitamente più di un nome che il consigliere ha deciso di lasciarsi definitivamente alle spalle.
Renovatio 21 ritiene che si tratti di un caso in cui qualcuno potrebbe gridare alla frode elettorale: uno vota Hitler, e poi si trova uno qualsiasi, anzi un Uunona. È giusto?
Il cittadino sincero-democratico deve porsi a questo punto la domanda: se la democrazia vuole Hitler, perché toglierlo? Cioè, non è che lo si toglie, semplicemente, gli si cambia nome…
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L’enigma dell’italofonia delle bici giapponesi
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Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo
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Arte
Bibita col DNA di Ozzy Osbourne disponibile con pagamento a rate
Una nuova partnership kitsch tra John «Ozzy» Osbourne e Liquid Death, il marchio di acqua in lattina, ha lanciato sul mercato una serie limitata di lattine di tè freddo infuso con il DNA del «reverendo rock».
Ovviamente il prodotto è andato subito a ruba ed è esaurito. Le lattine sono state tutte tracannate e schiacciate da Osbourne in persona, lasciando «tracce di DNA della sua saliva che ora potete possedere», secondo il sito web di Liquid Death.
Ma diciamoci la verità, non si compra lo scarto salivare di una rockstar per dissetarsi: lo si compra per fare necro-collezionismo probabilmente. Le leggende attorno al personaggio sono molteplici: si diceva che Ozzy fosse un mutante genetico, capace di resistere a secchiate di droga, alla rabbia per aver morso un pipistrello vivo e a un incidente quasi mortale in quad.
«Ozzy Osbourne è 1 su 1», recita il testo pubblicitario del sito, «ma stiamo vendendo il suo vero DNA così potrete riciclarlo per sempre».
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Ogni lattina viene consegnata in un «barattolo per campioni sigillato in laboratorio», etichettato con il nome del donatore, il numero del campione (su dieci) e la data del prelievo. Ozzy ha persino firmato il contenitore, apparentemente dando un assegno in bianco per qualsiasi futura clonazione.
«Ora, quando la tecnologia e la legge federale lo consentiranno, potrete replicare Ozzy Osbourne e godervi la sua musica per centinaia di anni nel futuro», si legge sul sito web. I pezzi disponibili sono solo 10 e sono stati venduti a 450 dollari ciascuno, anche in comode rate.
Vista la rarità del prodotto, il «bagarinaggio online» non poteva mancare: su eBay ce ne sono state due in vendita, ciascuna a migliaia di dollari.
Sui social media, i fan erano entusiasti della partnership di Ozzy con il suo brand, anche se il prezzo ha fatto storcere il naso a qualcuno. «Accidenti, avrei dovuto salvare il tuo DNA quando mi hai sputato addosso nell’84 durante un concerto alla LB Arena», ha scritto un fan su X.
Ozzy Osbourne, che da giovane sul palco aveva pure mangiato un pipistrello, è perito quattro mesi fa. Il fatto che fosse stato iniettato col vaccino COVID, che ci dicono venire da un chirottero di Wuhano, lo rende in qualche modo un personaggio simbolico della pandemica, e non solo di quella: alcuni hanno ipotizzato che la morte, avvenuta dopo una «lunga battaglia» (in genere dicono per qualche ragione così) contro il morbo di Parkinson, potrebbe costituire un caso di eutanasia.
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