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Geopolitica

Cina, il PCC risuscita una strategia di terrore maoista

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Renovatio 21 pubblica questo articolo apparso sul sito Bitter Winter – Libertà religiosa e diritti umani in Cina.

 

 

Il People’s Daily chiede che venga ripristinata a livello nazionale una delle più temute pratiche degli anni di Mao, accompagnata da ancora più propaganda.

 

 

Cos’è l’Esperienza di Fengqiao e perché i cinesi ne sono terrorizzati?

Il People’s Daily, organo di stampa del Comitato centrale del Partito, sta pubblicando una serie di articoli importanti sulla sicurezza e sulla stabilità del sistema politico cinese. Il 12 agosto il quotidiano ha proposto il decimo pezzo della serie, riportando in vita un vecchio fantasma che ossessionava i cinesi vissuti negli anni del presidente Mao e della Rivoluzione Culturale: l’Esperienza di Fengqiao (枫桥验).

 

L’articolo spiega come sia illusorio pensare che le contraddizioni siano scomparse dalla società cinese: continuano invece a esistere e il modo per risolvere il problema è l’Esperienza di Fengqiao. L’autore gioca sul significato letterale di Fengqiao, cioè «ponte di acero», per sostenere che «Fengqiao è un ponte, che unisce il cuore del Partito e quello del popolo». E ancor più che un ponte, sarebbe «un monumento al governo popolare nella nuova Cina», «un marchio d’oro», «una formula vincente».

 

Ciò che accadde a Fengqiao fu che gli «elementi reazionari» non fecero i conti con la polizia (più esattamente, non solo con essa), bensì con le «masse stesse», intendendo con questo che alcuni attivisti «catturarono durante le retate» i nemici e li sottoposero a «sessioni di lotta» in cui i prigionieri furono insultati, minacciati e terrorizzati fino ad ammettere i propri «crimini»

Ma cos’è l’Esperienza di Fengqiao e perché i cinesi ne sono terrorizzati?

 

Qui «Fengqiao» non si riferisce a un ponte, ma a quello che negli anni 1960 era un distretto della contea di Zhuji, nella provincia dello Zhejiang, e che oggi è una municipalità di quella che è diventata la città con status di contea di Zhuji.

 

Nel 1963, in quello che numerosi storiografi considerano il preludio alla Rivoluzione Culturale, il presidente Mao lanciò il «Movimento delle quattro pulizie» (四清运动), che mirava a ripulire la politica, l’economia, le organizzazioni e l’ideologia, attraverso l’identificazione e l’epurazione degli «elementi reazionari» (四类分子). Mao ne identificava quattro categorie: proprietari terrieri, contadini benestanti, «controrivoluzionari» e «criminali». Le ultime due categorie comprendevano tutti coloro che esprimessero critiche nei confronti del PCC o che fossero coinvolti in attività religiose illegali.

 

Ciò che accadde a Fengqiao fu che gli «elementi reazionari» non fecero i conti con la polizia (più esattamente, non solo con essa), bensì con le «masse stesse», intendendo con questo che alcuni attivisti «catturarono durante le retate» i nemici e li sottoposero a «sessioni di lotta» in cui i prigionieri furono insultati, minacciati e terrorizzati fino ad ammettere i propri «crimini». A Fengqiao 30 mila persone su 130 mila furono identificati come «elementi reazionari» e umiliati pubblicamente. Si trattò di una sinistra anticipazione di quanto venne più tardi generalizzato durante la Rivoluzione Culturale.

 

A Fengqiao 30 mila persone su 130 mila furono identificati come «elementi reazionari» e umiliati pubblicamente. Si trattò di una sinistra anticipazione di quanto venne più tardi generalizzato durante la Rivoluzione Culturale

Benché citata di tanto in tanto, l’Esperienza di Fengqiao, che evocava gli incubi della Rivoluzione Culturale, è stata minimizzata e quasi dimenticata sino al 2013, quando Xi Jinping ne ha celebrato il cinquantesimo anniversario e ha suggerito che il suo «buon esempio» debba essere seguito di nuovo.

 

Nel 2015, nella municipalità, è stata costruita una sala espositiva per commemorare l’Esperienza di Fengqiao.

 

Quelle di Xi non erano solo parole di celebrazione. Bitter Winter ha riportato più volte che metodi in stile Fengqiao sono stati usati per organizzare «sessioni di lotta» contro i cristiani delle Chiese domestiche e per incitare «le masse» a spiare e denunciare i fedeli dei movimenti religiosi che il PCC considera illegali, compresa la Chiesa di Dio Onnipotente. Ora l’articolo del People’s Daily segnala che tale sistema sarà applicato in tutto il Paese.

 

È anche importante notare come il rilancio dell’Esperienza di Fengqiao sia accompagnato da un rinnovato controllo sui media e da uno sforzo massiccio di propaganda all’estero. L’ottavo articolo della serie del People’s Daily, pubblicato l’8 agosto, insisteva sul fatto che «è un principio di base del concetto marxista di informazione che il Partito debba avere il controllo della propaganda e dei media».

l’Esperienza di Fengqiao, che evocava gli incubi della Rivoluzione Culturale, è stata minimizzata e quasi dimenticata sino al 2013, quando Xi Jinping ne ha celebrato il cinquantesimo anniversario e ha suggerito che il suo «buon esempio» debba essere seguito di nuovo

 

«La Cina è un Paese socialista guidato dal Partito Comunista Cinese e, a prescindere da come si sviluppino i tempi e da come muti il panorama dei media, il ferreo principio del controllo di Partito non deve cambiare mai. Se non sono nelle mani del Partito e del popolo, gli strumenti di controllo dell’opinione pubblica verranno guidati dalla volontà e dagli interessi del Partito e del popolo, e ne seguiranno danno e sventura inimmaginabili».

 

«I media sponsorizzati dal Partito e dal governo debbono portare il nome del Partito, rimanere saldamente nelle mani del Partito e divenire il portavoce del Partito e del popolo. Tutti i media del Partito debbono aderire all’unità del Partito e del popolo, riflettere interamente la volontà e le idee del Partito e diffondere la voce del Partito più lontano e più in profondità».

 

Il rilancio dell’Esperienza di Fengqiao sia accompagnato da un rinnovato controllo sui media e da uno sforzo massiccio di propaganda all’estero

Per quanto possibile, spiegava l’articolo, tale controllo deve essere esteso all’estero, conquistando i «vertici dell’opinione pubblica» e «soverchiando il nemico» con una propaganda massiccia. Curiosamente, pochi giorni prima, il governo cinese aveva rivelato che i portavoce dei ministri degli Esteri di Cina e Russia hanno tenuto delle consultazioni sulle modalità di collaborazione negli sforzi congiunti di propaganda internazionale.

 

 

Tale controllo deve essere esteso all’estero, conquistando i «vertici dell’opinione pubblica» e «soverchiando il nemico» con una propaganda massiccia

Massimo Introvigne

 

 

Articolo apparso su Bitter Winter con il titolo «L’Esperienza di Fengqiao: il PCC risuscita una strategia di terrore maoista».

 

 

«Il nostro lavoro funziona grazie a qualche centinaio di reporter cinesi, una cinquantina dei quali sono stati arrestati e una trentina ancora in prigione – ci ricorda il professor Introvigne, direttore di Bitter Winter – Nessuno di loro è retribuito e continuano a fare uscire notizie e fotografie inedite a rischio della galera»

 

 

 

 

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Geopolitica

Biden: non c’è nessun genocidio a Gaza

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Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha respinto qualsiasi idea che l’operazione militare in corso da parte di Israele a Gaza possa essere descritta come un genocidio e ha ribadito il sostegno di Washington alla spinta dello Stato Ebraico per eliminare Hamas mentre ha ospitato alla Casa Bianca un evento del Jewish American Heritage Month.

 

Lunedì, il procuratore capo della Corte penale internazionale Karim Khan ha accusato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant – così come i leader di Hamas Yahya Sinwar, Mohammed Diab Ibrahim al-Masri e Ismail Haniyeh – di «crimini di guerra e crimini contro l’umanità».

 

Nel corso della giornata, parlando alla Casa Bianca, il presidente Biden ha condannato l’iniziativa della Corte penale internazionale nonché le accuse separate della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite secondo cui le azioni di Israele a Gaza potrebbero essere genocide.

 

«Vorrei essere chiaro: contrariamente alle accuse mosse contro Israele dalla Corte internazionale di giustizia, quello che sta accadendo non è un genocidio. Lo rifiutiamo», ha detto Biden.

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Secondo il ministero della sanità dell’enclave palestinese le operazioni dello Stato degli ebrei sulla Striscia di Gaza hanno finora ucciso oltre 35.000 persone e ne ha ferite quasi altre 80.000. Israele ha promesso di continuare l’offensiva finché Hamas non sarà completamente eliminata.

 

«Siamo al fianco di Israele per eliminare Sinwar e il resto dei massacri di Hamas», aveva detto Biden lunedì. «Vogliamo che Hamas venga sconfitto. Abbiamo lavorato con Israele per far sì che ciò accada».

 

Già a gennaio, una sentenza provvisoria della Corte Internazionale di Giustizia, la massima corte delle Nazioni Unite all’Aia, aveva ordinato a Israele di adottare misure per prevenire il genocidio e migliorare le condizioni umanitarie della popolazione di Gaza.

 

La causa, intentata dal Sud Africa alla fine dello scorso anno, accusa lo Stato Ebraico di aver commesso crimini di guerra sistematici nella regione palestinese.

 

L’Irlanda ha annunciato a marzo che avrebbe sostenuto il caso di Pretoria, definendo le azioni di Israele a Gaza una «palese violazione del diritto umanitario internazionale su scala di massa».

 

Come riportato da Renovatio 21, la settimana scorsa, l’Egitto ha anche invitato Israele a «rispettare i suoi obblighi come potenza occupante», minacciando di far saltare gli accordi di pace del 1979.

 

Biden a dicembre scorso, durante le celebrazioni per la festività ebraica di Hanukkah (sottolineata negli anni come risposta giudea al Natale)  aveva parlato del suo impegno «incrollabile» per la sicurezza di Israele durante un ricevimento alla Casa Bianca, promettendo un continuo sostegno militare e arrivando a dire, senza problemi, «sono un sionista».

 

L’opinione pubblica americana, specie dalle parti della sinistra, è invece sempre più ferocemente schierata contro Israele, con proteste massive nei campus universitari sedate con interventi di squadre antisommossa. La situazione è tale che il documentarista Michael Moore, alfiere del goscismo americano, ha dichiarato che qualora Biden non abbassasse il suo sostegno allo Stato di Israele potrebbe perdere le elezioni.

 

Anche nella destra monta un grande dissenso nei confronti del favore di Biden verso Israele, al punto che è stato registrato un canto «Genocide Joe» («Joe genocidio», riferito a Biden) anche durante un comizio di Trump, il quale – ricordiamo che in apparenza è uno zelota del sostegno a Israele – ha fermato il suo discorso per dire della persone che cantavano «non hanno torto».

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Geopolitica

La Germania deporta 7 soldati ucraini perché esponevano simboli nazisti

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Il governo tedesco ha rivelato di aver espulso sette soldati ucraini che esibivano simboli nazisti mentre erano nel paese per l’addestramento.   La rivelazione di mercoledì è stata motivata da un’inchiesta del partito Alternativa per la Germania (AfD), che è diventato sempre più popolare grazie a una piattaforma che si oppone all’immigrazione di massa, all’agenda verde e alla guerra per procura occidentale contro la Russia in Ucraina.   Tra le altre numerose domande che sollevano preoccupazione sull’estremismo ucraino, l’AfD ha chiesto se i soldati ucraini addestrati in Germania fossero stati trovati con simboli estremisti e, in caso affermativo, «che cosa ha fatto il governo federale al riguardo».

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In una risposta di quattro pagine pubblicata sul sito web del Bundestag, il governo tedesco ha affermato che «sette casi di questo tipo sono stati identificati durante l’addestramento condotto dalla Bundeswehr per le forze armate ucraine». Gli ucraini trasgressori sarebbero stati «rimpatriati» in Ucraina.   Il governo ha aggiunto che i soldati tedeschi incaricati di addestrare gli ucraini sono addestrati a riconoscere i simboli dell’estremismo di destra e ad affrontarli. Inoltre, al loro arrivo in Germania, i soldati ucraini ricevono «istruzioni sul simbolismo nazista».   Nella sua inchiesta, l’AfD ha sottolineato il Reggimento Azov, «che è classificato da molti esperti come estremista di destra e utilizza il Wolfsangel (runa tipica di diverse unità delle SS, bandito nella Repubblica Federale Tedesca) come simbolo».   Il partito di opposizione ha chiesto se il governo fosse a conoscenza del fatto che i social media mostrano simboli nazisti sulle armi ucraine e ha chiesto se il governo tedesco avesse contattato le controparti ucraine a riguardo, e in particolare riguardo alla loro potenziale apparizione sulle armi fornite dalla Germania. Il governo ha affermato che le immagini finite sui social media non includono armi tedesche.   Il governo ha osservato che circa 10.000 soldati sono stati addestrati «sul suolo tedesco nel 2023». La quantità di essi che ha ricevuto istruzioni da parte dei tedeschi per coprire tatuaggi e gettare vie toppe non è nota.   L’AfD ha chiesto se l’estremismo ucraino rappresenti una minaccia per un potenziale processo di pace in Ucraina. Il governo ha risposto che «no, è l’imperialismo russo che è alla base della guerra illegale di aggressione russa contro l’Ucraina e che minaccia la sicurezza in Europa».

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Quando la Russia ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022, il presidente Vladimir Putin affermò che uno degli obiettivi dell’«operazione speciale» era la «denazificazione» dell’Ucraina. L’Unione Sovietica ha subito l’incredibile cifra di 24 milioni di morti tra civili e militari durante la Seconda Guerra Mondiale, che in Russia chiamano «Grande Guerra Patriottica», e che basicamente per i russi è stata la lotta contro la Germania nazista che li stava invadendo.   La situazione è questa: il partito tedesco che viene abitualmente demonizzato come «estrema destra» ed «estremista» – e per questo perseguito perfino dai servizi di sicurezza interni – è quello che mostrando le prove delle tendenze naziste dei soldati ucraini addestrati ed armati dai tedeschi – dopo che lo erano stati, senza troppi problemi, da canadesi, americani, etc.   Durante gli scorsi giorni si è introdotto tuttavia un ulteriore elemento grottesco nella scena internazionale.   Nel periodo in cui si diffondeva la notizia della deportazione da parte della Germania dei soldati ucraini con la svastica, il segretario di Stato americano Antony Blinken stava cenando a Kiev in un ristorante a tema veterano di guerra, dove sarebbero visti immagini e simboli dell’estremismo ucronazista.  

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Come insistono i media russi, l’Ucraina è l’unico paese al mondo che ha integrato apertamente le milizie neonaziste nelle sue forze armate nazionali. Queste unità una volta venivano descritte dai media occidentali come «neo-naziste», ma tale definizione dopo lo scoppio del conflitto con la Russia è venuta meno, pure quando le agenzie di stampa si trovano ad intervistare un soldato ucraino che ha scelto come nome di battaglia «Adolf».   Quattro mesi fa, un po’ a sorpresa, il presidente ucraino Zelens’kyj si è fatto vedere in video dal fronte, con Andrej Biletsky, il fondatore dell’Azov. Il battaglione, hanno sostenuto recentemente i russi, sarebbe stato addestrato da istruttori NATO nel 2021.   Le origini ideologiche naziste (o meglio, ucronaziste) di Azov sono state apertamente e ripetutamente insabbiate sia dagli algoritmi dei social che dall’operato indefinibile dei giornalisti d’Italia e di tutto il mondo, arrivando persino a togliere dal web vecchi articoli che raccontavano la pura verità su svastiche e violenze.   Interrogato sulle origini naziste e la atrocità attribuite ad Azov in una bonaria intervista di Fox News l’anno scorso, Zelens’kyj aveva risposto in modo seccato: quei miliziani «sono quello che sono».   Come riportato da Renovatio 21, i legami del nazionalismo integralista ucraino con la CIA e con i servizi segreti inglesi sono noti da decenni.   Alla fine dello scorso anno, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha dichiarato che Mosca non permetterà all’Ucraina di continuare ad essere uno «Stato nazista» che rappresenta una minaccia sia per la Russia che per le altre nazioni.

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Immagine di NATO North Atlantic Threaty via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
 
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Geopolitica

Il presidente dell’Iran ucciso mentre viaggiava in elicottero

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Il presidente iraniano Ebrahim Raisi è stato ucciso insieme al ministro degli Esteri in un incidente in elicottero domenica nelle montagne nordoccidentali del Paese. Lo hanno riportato lunedì i media statali iraniani.

 

Le notizie sulla sua morte non erano state confermate fino a poche ore fa. Canali israeliani davano per certa la sua morte.

 

Ieri il gabinetto del presidente Raisi ha tenuto una riunione d’emergenza, lasciando vuoto il suo posto al centro del tavolo della conferenza come commemorazione simbolica, come mostrano le foto pubblicate dall’agenzia di stampa statale IRNA. L’agenzia successivamente ha annunciato il decesso dicendo che era stato «martirizzato durante il servizio».

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Il gabinetto ha rilasciato una dichiarazione elogiando il suo servizio al Paese e al popolo iraniano e promettendo di seguire le sue orme.

 

La morte del presidente Raisi è stata annunciata dal podio del santuario sciita più venerato dell’Iran, il mausoleo dell’Imam Reza, nella sua città natale di Mashhad, nel Nord-Est del Paese. Una grande folla di sostenitori del governo si era radunata lì durante la notte per tenere una veglia di preghiera. La gente ha lanciato forti grida e lamenti quando fu fatto l’annuncio.

 

L’agenzia di stampa Tasnim, affiliata alle Guardie rivoluzionarie iraniane, ha pubblicato un comunicato affermando che il presidente Raisi e il ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian sono rimasti uccisi nell’incidente in elicottero, mostrando una foto del Raisi con un titolo che lo chiamava martire. Tasnim ha anche detto che il governatore della provincia dell’Azerbaigian Orientale, un imam e due alti ufficiali militari responsabili della sicurezza presidenziali sono morti nello schianto, insieme al pilota e al copilota.

 

Le prime foto e filmati del luogo dell’incidente pubblicati sui siti di notizie iraniani mostravano detriti e parti rotte dell’elicottero. A bordo dell’elicottero, oltre al presidente e al ministro degli Esteri, c’erano anche un religioso e il governatore della provincia orientale dell’Azerbaigian.

 

«Trovando la posizione dell’elicottero e vedendo la scena, non c’è traccia che nessuno dei passeggeri fosse vivo», ha detto alla televisione di stato il capo della Mezzaluna Rossa (l’equivalente della nostra Croce Rossa) iraniana, Pirhossien Koulivand, che si trovava sul posto.

 

Le operazioni di ricerca e soccorso hanno impiegato ore per raggiungere il luogo dell’incidente, ma facendo trasparire poco dei progressi, in condizioni meteorologiche avverse al punto che sono stati dati per dispersi anche tre uomini addetti alle ricerche.

 

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Vari Paesi hanno inviato aiuti per la ricerca e il salvataggio, tra cui Russia e Turchia. Secondo l’agenzia turca per la gestione dei disastri AFAD, l’Iran ha richiesto un elicottero di ricerca e salvataggio con visione notturna alla Turchia.

 

L’elicottero che trasportava il presidente iraniano Ebrahim Raisi, il ministro degli Esteri e altri funzionari è precipitato in una remota regione settentrionale mentre tornava da una visita ufficiale in Azerbaigian domenica scorsa, secondo alcuni un viaggio per una diga in costruzione.

 

Come riportato da Renovatio 21, il confine azero è «caldo» per Teheran, che vi conduce esercitazioni militari dimostrative e non ha mai nascosto di sostenere l’Armenia nel conflitto con l’Azerbaigian.

 

La Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Khamenei, ha chiesto preghiere per Raisi e i funzionari scomparsi assicurando stabilità all’interno della leadership del governo.

 

Una forte presenza militare sta venendo segnalata nella capitale Teheran. Secondo quanto riportato, membri del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (i pasdaran) hanno affermato di aver preso posizione vicino a diversi edifici governativi.

 

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Raisi era a bordo di un vecchio elicottero Bell, secondo alcuni rapporti aveva più di 40 anni. L’aviazione iraniana è piagata da decenni di sanzioni americane che rendono più difficile trovare i ricambi.

 

 

Che si tratti di un ulteriore momento-Sarajevo 1914?

 

L’ipotesi è quella che abbiamo fatto anche vedendo le immagini dell’attentato contro il premier slovacco Fico, e le numerose minacce di morte a vari leader di Paesi europei.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’idea è stata ripetuta da Orban poche ore fa: l’attentato di Fico è legato alla preparazione del prossimo conflitto.

 

Che la guerra debba partire a tutti i costi? Che la guerra debba essere fatta subito, prima delle elezioni americane di novembre?

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Immagine di Tasnim News Agency via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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