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Geopolitica

Chomsky: l’Europa verso il declino e la deindustrializzazione se rimane nel sistema USA

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L’Europa sperimenterà un probabile declino e deindustrializzazione se sceglie di rimanere all’interno del sistema dominato dagli Stati Uniti, ha detto in una intervista alla testata russa Sputnik il famoso accademico e filosofo del linguaggio statunitense Noam Chomsky.

 

«L’Europa deve prendere una decisione importante: rimarrà all’interno del sistema dominato dagli Stati Uniti, affrontando un probabile declino e persino, alcuni prevedono, la deindustrializzazione?» ha domandato Chomsky. «Oppure si adatterà in qualche modo al suo partner economico naturale in Oriente, ricco di risorse minerarie di cui l’Europa ha bisogno e una porta d’accesso al lucroso mercato cinese?»

 

Chomsky ha notato che queste domande sono sorte in una forma o nell’altra dalla Seconda Guerra Mondiale: «il concetto gollista dell’Europa che si collega alla Russia come forza indipendente negli affari mondiali ha trovato eco nella Ostpolitik di Willy Brandt e in altre iniziative, e più in generale nelle proposte di Gorbaciov dopo il crollo dell’Unione Sovietica», ha affermato il celeberrimo linguista. «Ancora una volta, possiamo solo speculare».

 

La testata russa gli ha quindi chiesto se pensa che siamo sulla soglia di un nuovo ordine mondiale e se il conflitto ucraino può essere un catalizzatore di grandi cambiamenti. «C’è molta controversia sulla forma del sistema mondiale emergente» ha risposto il Chomsky, spiegando che le alternative di base sono un sistema multipolare basato sulle Nazioni Unite o un sistema unipolare «basato su regole», in cui gli Stati Uniti stabiliscono le regole e, come rivela la documentazione, le ignorano quando lo desiderano.

 

«Il primo è ampiamente sostenuto dalla maggior parte del mondo. Il secondo è adottato dall’anglosfera, dall’Europa, dal Giappone e da pochi altri», ha detto lo scienziato del linguaggio, osservando che l’operazione militare speciale della Russia in Ucraina «ha fornito agli Stati Uniti un dono molto gradito, spingendo l’Europa nelle tasche di Washington e rafforzando così la sua richiesta di un ordine unipolare “basato su regole”».

 

«Ci sono molte incertezze su come queste tensioni saranno risolte», ha dichiarato il 94enne aggiungendo di sperare che l’Europa sarà incline alla visione dell’ex leader sovietico Mikhail Gorbaciov «da Lisbona a Vladivostok» prima che le cose peggiorino. «Penso anche che ci sia un notevole merito nella proposta di Gorbaciov per una ‘casa comune europea’ da Lisbona a Vladivostok senza alleanze militari e sforzi comuni per muoversi verso un futuro socialdemocratico», ha dichiarato il famoso attivista.

 

Gli Stati Uniti hanno scelto di perseguire l’opzione atlantista, basata sulla NATO, che è stata recentemente estesa alla regione indo-pacifica in uno sforzo guidato da Washington per coinvolgere l’Europa nel suo confronto con la Cina, ha affermato Chomsky.

 

«Spero che il futuro tenda verso la visione di Gorbaciov, prima che sia troppo tardi», ha aggiunto Chomsky, ricordando che non avrebbe dovuto aver luogo nessuna delle azioni intraprese dai successori dell’ex presidente degli Stati Uniti George Bush senior in violazione degli accordi sulla NATO tra lui e l’allora leader sovietico Mikhail Gorbaciov.

 

Chomsky riprende la nozione, assai diffusa, per cui Bush e Gorbaciov avrebbero concordato che la Germania dovrebbe essere unificata e aderire alla NATO, ma l’alleanza militare non dovrebbe estendersi «un pollice a est» della Germania.

 

«I documenti, che sono chiari e inequivocabili, sono prontamente disponibili sul sito web del National Security Archive. Il presidente Bush è stato all’altezza dell’accordo», ha detto Chomsky, che indica però come il successore di Bush, Bill Clinton, abbia violato l’accordo, superando le forti obiezioni di diplomatici statunitensi di alto livello e di un’ampia gamma di analisti politici, che hanno avvertito che le azioni per espandere la NATO sono state avventate e provocatorie.

 

«I suoi successori sono andati oltre, abrogando anche importanti accordi sul controllo degli armamenti che avevano notevolmente ridotto la minaccia di guerra. Nessuna di queste azioni avrebbe dovuto aver luogo, secondo me», ha concluso Chomsky.

 

Come riportato da Renovatio 21il Chomsky l’anno scorso ha ammesso che Donald Trump è stato l’unico statista occidentale a spingere per porre un termine alla guerra in Ucraina.

 

Il padre della grammatica generativo- trasformazionale, icona della sinistra progressista globale, a inizio anno ha iniziato a parlare di situazione «apocalittica».

 

 

 

 

 

Immagine di Σ via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0); immagine tagliata.

 

 

 

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La Colombia accusa gli Stati Uniti di aver iniziato una «guerra»

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Il presidente colombiano Gustavo Petro ha accusato gli Stati Uniti di cercare di provocare una guerra nei Caraibi usando come pretesto una campagna antidroga, sottolineando che cittadini colombiani sono stati uccisi nei recenti attacchi al largo delle coste del Venezuela.

 

In un post sui social media di mercoledì, Petro ha sostenuto che la campagna non ha come obiettivo il narcotraffico, ma piuttosto il controllo delle risorse della regione. La Casa Bianca ha definito l’accusa «infondata», secondo Reuters.

 

Gli Stati Uniti hanno effettuato attacchi aerei contro presunte imbarcazioni coinvolte nel traffico di droga vicino al Venezuela, descrivendoli come un tentativo di contrastare il traffico di stupefacenti nei Caraibi. Washington accusa da tempo il presidente venezuelano Nicolas Maduro di legami con i cartelli della droga. Maduro ha smentito le accuse, sostenendo che gli attacchi siano parte di un piano per destituirlo.

 

Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno distrutto almeno quattro imbarcazioni che, a loro dire, trasportavano stupefacenti al largo delle coste del Venezuela, causando la morte di oltre 20 persone. Come riportato da Renovatio 21, Trump ha definito gli attacchi alle barche della droga come un «atto di gentilezza».

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«Le prove dimostrano che l’ultima imbarcazione bombardata era colombiana, con cittadini colombiani a bordo», ha scritto Petro.

 

Il presidente colombiano ha ribadito che la campagna statunitense non riguarda la lotta alla droga, ma il controllo delle risorse naturali. «Non c’è una guerra contro il contrabbando; c’è una guerra per il petrolio», ha dichiarato, definendo gli attacchi «un’aggressione contro tutta l’America Latina e i Caraibi».

 

Per anni, la Colombia è stata considerata il principale alleato di Washington in Sud America. Attraverso il Plan Colombia, un’iniziativa di aiuti multimiliardaria avviata dagli Stati Uniti nel 2000, i governi colombiani successivi hanno concesso alle forze armate statunitensi l’accesso alle basi locali e hanno appoggiato gli sforzi guidati dagli Stati Uniti per isolare il Venezuela. Questa politica è cambiata con l’elezione di Petro nel 2022, che ha lavorato per ristabilire le relazioni diplomatiche con Caracas e ha promosso una politica estera più indipendente e una maggiore cooperazione regionale.

 

Come riportato da Renovatio 21, la scorsa estate il Petro aveva dichiarato che la Colombia deve interrompere i legami con la NATO perché i leader del blocco atlantico sostengono il genocidio dei palestinesi. Bogotà la settimana scorsa ha espulso tutti i diplomatici israeliani, dopo aver rotto i rapporti con lo Stato Ebraico un anno fa e chiesto alla Corte Penale Internazionale di emettere un mandato di arresto per Netanyahu.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Geopolitica

Svelato il profilo dell’accordo tra Israele e Hamas

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  Il piano di cessate il fuoco per Gaza proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump prevede il ritiro delle forze israeliane da vaste aree dell’enclave palestinese e la liberazione degli ostaggi rimanenti da parte di Hamas entro pochi giorni. Lo riportano varie testate giornalistiche internazionali.   Una fonte egiziana coinvolta nei negoziati ha dichiarato a Sky News Arabia che i mediatori hanno raggiunto un accordo per un «cessate il fuoco completo» e un «ritiro graduale dell’esercito israeliano dal 70% di Gaza».   Nel frattempo, la testata israeliana Ynet ha riportato che le forze israeliane dovrebbero ritirarsi entro 24 ore lungo una linea prestabilita, lasciando a Israele il controllo di circa il 53% dell’enclave. Questo includerebbe il ritiro delle IDF da Gaza City e da diverse altre aree centrali, secondo l’articolo.   L’agenzia Reuters scrive che Hamas rilascerebbe tutti gli ostaggi vivi entro 72 ore dall’approvazione del governo israeliano. In cambio, Israele libererebbe 250 palestinesi condannati all’ergastolo e 1.700 abitanti di Gaza detenuti dal 2023, incluse tutte le donne e i minori. Hamas detiene ancora circa 48 ostaggi, di cui Israele ritiene che circa 20 siano ancora in vita.   Dopo aver annunciato un progresso significativo nei negoziati, Trump ha dichiarato a Fox News che gli ostaggi saranno probabilmente rilasciati lunedì, promettendo che Gaza «sarà ricostruita».   «Gaza… diventerà un posto molto più sicuro… altri Paesi della zona aiuteranno la ricostruzione perché hanno enormi quantità di ricchezza e vogliono che ciò accada», ha affermato Trump, senza specificare quali nazioni siano coinvolte.   Nonostante l’apparente passo avanti, rimangono diverse questioni irrisolte, come la governance di Gaza nel dopoguerra e il destino di Hamas, che Israele ha giurato di eliminare completamente. Il piano di pace originale di Trump prevedeva un ruolo amministrativo limitato per l’Autorità Nazionale Palestinese, che governa parti della Cisgiordania, ma solo dopo significative riforme.

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Immagine di Jaber Jehad Badwan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Il Cremlino: i colloqui Russia-USA sull’Ucraina sono in «seria pausa». Nessun incontro Trump-Putin in agenda

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Il dialogo tra Russia e Stati Uniti per risolvere il conflitto in Ucraina si trova in una «seria pausa», ha dichiarato ai giornalisti il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov.

 

Le sue parole seguono l’affermazione del viceministro degli Esteri Sergey Rjabkov, secondo cui lo slancio generato dal vertice in Alaska tra i presidenti Vladimir Putin e Donald Trump si è esaurito.

 

Giovedì Peskov ha ribadito la posizione di Rjabkov, sottolineando l’assenza di progressi verso una soluzione pacifica del conflitto con Kiev.

 

Le delegazioni russa e ucraina si sono incontrate più volte all’inizio dell’anno. Nell’ultimo incontro a Istanbul a luglio, le parti hanno deciso di creare tre gruppi di lavoro per sviluppare un piano di risoluzione che affronti questioni politiche, militari e umanitarie.

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Tuttavia, Peskov ha dichiarato che «non si sta muovendo nulla», suggerendo che Kiev non sia propensa a perseguire un processo di pace, aggrappandosi a false speranze di poter ribaltare la situazione sul campo di battaglia, una convinzione che ha definito irrealistica.

 

Peskov ha osservato che la posizione di Kiev è sostenuta dai suoi alleati europei. In precedenza, aveva notato che l’Occidente continua a spingere l’Ucraina a rifiutare il dialogo, alimentando una «isteria militarista» che ostacola gli sforzi di pace.

 

Rjabkov ha affermato all’inizio della settimana che i «sostenitori di una “guerra all’ultimo ucraino”, soprattutto tra gli europei», sono responsabili dell’esaurimento del «potente impulso» per trovare una soluzione al conflitto, generato durante il vertice di Anchorage ad agosto.

 

Poco dopo l’incontro tra Trump e Putin, diversi leader dell’UE hanno visitato Washington insieme al presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, cercando di persuadere il presidente americano ad allinearsi alla posizione europea sul conflitto.

 

Mosca ha ribadito la sua disponibilità a un accordo di pace, sottolineando però che qualsiasi intesa dovrà rispettare gli interessi di sicurezza nazionale della Russia e le attuali realtà territoriali sul campo.

 

Attualmente non è previsto un ulteriore incontro tra Putin e Trump, ha dichiarato ai giornalisti Peskov.

 

I due leader si sono incontrati l’ultima volta a metà agosto in Alaska, dove le discussioni si sono concentrate sugli sforzi di Washington per mediare la fine del conflitto in Ucraina. Tuttavia, Peskov ha sottolineato che un nuovo vertice «semplicemente non è all’ordine del giorno in questo momento».

 

Il portavoce del Cremlino ha affermato che il processo diplomatico è in stallo, accusando Kiev di aver abbandonato gli sforzi di pace per perseguire obiettivi militari.

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«Credono che qualcosa potrebbe cambiare in prima linea e che la situazione potrebbe volgere a loro favore», ha dichiarato Peskov, citato dai media russi. «Ma la realtà indica il contrario».

 

Il blocco diplomatico segue un cambiamento nella retorica di Trump, che il mese scorso ha dichiarato che, con sufficienti finanziamenti europei, l’Ucraina potrebbe riconquistare tutti i territori rivendicati, una posizione che Mosca ha definito irrealistica.

 

Zelens’kyj ha rinnovato le richieste per i missili Tomahawk a lungo raggio di fabbricazione statunitense. Putin ha avvertito che la consegna di armi con capacità nucleare rappresenterebbe una «grave escalation».

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

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