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Economia

Carenza energetica, anche il CERN è a rischio: si chiude la porta dell’Inferno?

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La crisi energetica europea minaccia di colpire il più grande acceleratore di particelle del mondo, il Large Hadron Collider (LHC), ha ammesso il capo del pannello di gestione dell’energia dell’Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN), Serge Claudet.

 

L’agenzia sta ora lavorando a piani di emergenza che potrebbero persino vedere la chiusura dell’LHC per ridurre il consumo di energia nelle ore di punta, ha detto domenica al Wall Street Journal.

 

«La nostra preoccupazione è davvero la stabilità della rete, perché facciamo tutto il possibile per prevenire un blackout nella nostra regione», ha detto Claudet. Tuttavia, gli scienziati cercheranno di mantenere in funzione l’LHC e cercheranno di evitare un arresto improvviso della macchina da 4,4 miliardi di euro, ha aggiunto il Claudet.

 

L’LHC è uno degli otto acceleratori di particelle situati nel vasto complesso del CERN al confine tra Francia e Svizzera. È anche uno dei maggiori consumatori di energia di tutta la Francia, poiché richiede circa 200 megawatt di potenza durante i periodi di picco di funzionamento. L’intera vicina città di Ginevra consuma solo circa tre volte tale importo.

 

Il CERN spera di raggiungere un accordo con il suo fornitore di energia – il colosso francese dell’energia elettrica EDF – e vuole almeno un giorno di preavviso nel caso in cui debba ridurre il proprio consumo energetico. Come riportato da Renovatio 21, EDF sta per essere rinazionalizzata da Macron. L’azienda si è bizzarramente opposta alla richiesta del governo di Londra di procrastinare la dismissione dell’impianto nucleare di Hinkley Point B, gestito dalla multinazionale energetica parigina.

 

Secondo la sua attuale strategia, il CERN chiuderebbe altri acceleratori per ridurre i propri consumi del 25% ma manterrebbe in funzione l’LHC.

 

Come riporta la testata russa RT, la chiusura dell’LHC farebbe risparmiare un altro 25%, secondo il capo del pannello di gestione dell’energia.

 

Tuttavia, ritarderebbe anche di settimane qualsiasi esperimento che coinvolga il collisore particellare, poiché esso richiede una grande quantità di energia anche quando non viene utilizzato. Il CERN sta ora lavorando a un piano da presentare ai governi che finanziano il centro verso la fine di settembre.

 

La Francia sta affrontando ulteriori battute d’arresto nell’approvvigionamento energetico dopo che è stata scoperta la corrosione sulle tubazioni utilizzate in alcuni dei suoi reattori nucleari. Circa 12 di questi sono stati messi fuori servizio per riparazioni, riducendo ulteriormente l’alimentazione elettrica del Paese e inducendo il Macron, che fino a pochi giorni prima parlava di «rinascita dell’industria nucleare in Francia» ad annunciare razionamenti e strade cittadine al buio e a proclamare la «fine dell’abbondanza».

 

Il collisore del CERN è da anni al centro di polemiche più o meno incredibili, terra di debunking per i fact checker intrepidi che ovviamente se ne intendono anche di fisica subatomica, e di metafisica.

 

Alcuni sostengono che il LHR possa aprire un portale su un’altra dimensione, che secondo alcuni potrebbe essere l’inferno: ciò ha costituito la trama di romanzi come Le porte dell’Inferno si sono aperte dello scrittore irlandese John Connoly.

 

Il sito del CERN ha una pagina dedicata alla realtà delle «extra-dimensioni».

 

«Alcuni teorici suggeriscono che una particella chiamata “gravitone” sia associata alla gravità nello stesso modo in cui il fotone è associato alla forza elettromagnetica. Se i gravitoni esistono, dovrebbe essere possibile crearli a LHC, ma scomparirebbero rapidamente in dimensioni extra» scrive l’articolo esplicativo.

 

L’articolo parla anche della possibilità di creare «micro buchi neri».

 

Nel 2008 un uomo delle Hawaii denunziò in tribunale l’acceleratore delle particelle sostenendo che la sua messa online potrebbe cagionare la fine del mondo.

 

«La compressione dei due atomi che si scontrano insieme a velocità quasi pari a quella della luce provocherà un’implosione irreversibile, formando una versione in miniatura di un gigantesco buco nero. (…) Qualsiasi materia entrasse in contatto con essa vi cadrebbe e non riuscirebbe mai a scappare. Alla fine, tutta la terra cadrebbe in un micro-buco nero in crescita, convertendo la terra in un buco nero di medie dimensioni, attorno al quale continuerebbero ad orbitare attorno alla luna, ai satelliti, alla ISS, etc» scrive la causa depositata presso il tribunale distrettuale degli Stati Uniti a Honolulu.

 

L’immaginazione popolare è colpita anche dal fatto che al Centro di Ricerca fu installata nel 2004 una statua alta due metri del dio indù Shiva, riconosciuto come dio della distruzione.

 

Si tratta della variante iconografica dello Shiva Nataraja, in sanscrito «Shiva signora della danza»: il dio blu danza sul corpo di un nano che aveva osato sfidarlo al ballo.

 

Le giustificazioni che si leggono per la statua citano Fritjof Capra, fisico e saggista viennese (pubblicato in Italia da Adelphi)  che tanto ha scritto delle similitudini tra pensiero orientale e fisica moderna. Il richiamo, quindi, sarebbe alla metafora della «danza di Shiva» per la scienza delle particelle utilizzata nel libro del Capra Il Tao della fisica.

 

Shiva, tuttavia, è conosciuto come Hara, cioè «colui che leva», «colui che distrugge». Shiva, nella trimurti dell’induismo, rappresenta il distruggitore.

 

L’immaginario popolare ricorda un altro fatto singolare sul CERN e Shiva, e ancora oggi non si capisce se si tratta di uno scherzo, tuttavia ne parlarono anche i media mainstream.

 

Un video girato sul giardino del CERN, proprio dinanzi l’effigie della terribile divinità indiana, riprendeva nottetempo un gruppo di persone in tunica e cappuccio mentre esegue una sorta di rito occulto: una donna biancovestita viene spogliata e fatta sdraiare a terra, poi sembra che venga pugnalata con un coltello.

 

 

Nel video sono visibili i lampioni accesi del giardino: il prossimo rito, vista la catastrofe energetica, dovranno farlo a lume di candela, come peraltro vorrebbe la tradizione.

 

 

 

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Immagine di Juhanson via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

 

 

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Economia

Tesla supera Mercedes nelle vendite

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Secondo i rapporti trimestrali sulle vendite, Tesla, la casa automobilistica di veicoli elettrici guidata da Elon Musk, ha superato Mercedes-Benz nelle vendite globali nel terzo trimestre del 2025.

 

Musk ha evidenziato questo risultato con un post su X martedì, sottolineando che la sua azienda ha sorpassato per la prima volta la rinomata casa automobilistica di lusso tedesca.

 

Tesla ha registrato un record di 497.099 veicoli venduti a livello globale tra luglio e settembre, superando il precedente record stabilito nell’ultimo trimestre del 2024. Mercedes, uno dei marchi di auto di lusso più prestigiosi al mondo, ha dichiarato martedì di aver venduto 441.500 veicoli, con una flessione del 12% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le vendite negli Stati Uniti e in Cina, i principali mercati di Mercedes, sono diminuite rispettivamente del 17% e del 27%.

 

I dati di Tesla riflettono un aumento del 29% rispetto alle 384.122 unità vendute nel secondo trimestre e una crescita del 7% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, segnando il primo trimestre del 2025 con una crescita anno su anno.

 

Musk ha condiviso un riepilogo che evidenzia come Tesla abbia venduto 55.599 veicoli in più rispetto a Mercedes, pari a un incremento del 12,6% nel terzo trimestre. Il post ha rimarcato che Mercedes ha prodotto la sua prima auto nel 1901, mentre Tesla è entrata nel mercato solo 21 anni fa, nel 2004.

 

Mercedes ha attribuito il calo delle vendite ai dazi sulle importazioni imposti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump e alla crescente competizione in Cina, dove marchi locali come BYD e Xiaomi stanno conquistando quote di mercato con veicoli elettrici ricchi di funzionalità a prezzi più competitivi rispetto ai brand tradizionali.

 

Il rapporto trimestrale di Tesla ha scatenato un rally delle sue azioni la scorsa settimana, come mostrato nella finance card sopra, portando brevemente il patrimonio netto di Musk a 500,8 miliardi di dollari, secondo il tracker dei miliardari in tempo reale di Forbes, rendendolo la prima persona a superare la soglia dei cinquecento miliardi di dollari.

 

Gli analisti di mercato, tuttavia, avvertono che il successo di Tesla potrebbe essere temporaneo. Sostengono che l’aumento delle vendite sia stato probabilmente guidato da acquirenti statunitensi che hanno affrettato gli acquisti prima della scadenza, il 30 settembre, di un credito d’imposta federale di 7.500 dollari.

 

Introdotto nel 2022 dall’amministrazione dell’ex presidente Joe Biden, il credito è stato eliminato con il nuovo disegno di legge di spesa e tasse di Trump. Gli esperti prevedono che la sua abolizione potrebbe rallentare le vendite nei prossimi mesi. Le vendite di Tesla da inizio anno risultano ancora inferiori del 6% rispetto allo stesso periodo del 2024.

 

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Immagine di Norsk Elbilforening via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Economia

IOR e APSA, papa Leone riforma le controverse regole della banca vaticana stabilite da Bergoglio

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Lo scorso 29 settembre, papa Leone XIV ha firmato la sua prima lettera apostolica in forma di motu proprio, intitolata Coniuncta cura («Responsabilità condivisa»), pubblicata su L’Osservatore Romano il 6 ottobre.   Il documento riforma la gestione degli investimenti finanziari della Santa Sede, abrogando le disposizioni dell’era di Francesco che obbligavano l’APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) a operare esclusivamente attraverso lo IOR (Istituto per le Opere di Religione), di fatto conferendo a quest’ultimo un monopolio operativo.   Lo IOR, la notissima banca vaticana, gestisce i conti e gli investimenti degli enti religiosi, mentre l’APSA funge da organismo curiale che amministra il patrimonio della Santa Sede, con funzioni simili a un ministero delle finanze.

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In particolare, il rescritto del 23 agosto 2022, che vincolava l’APSA a un unico canale di gestione, è stato revocato. Pur confermando che l’IOR dovrebbe essere «generalmente» il canale privilegiato, il nuovo testo concede all’APSA la possibilità di scegliere intermediari finanziari con sede in altri Paesi qualora ciò risulti «più efficiente o vantaggioso».   Con questa decisione, il papa ha ripristinato l’autonomia strategica e decisionale dell’APSA, rafforzandone il ruolo di organismo centrale per la gestione economica e patrimoniale della Curia romana.   Fin dall’inizio del suo pontificato, Francesco aveva cercato di centralizzare il controllo sulle attività finanziarie, promuovendo maggiore trasparenza e un allineamento con la missione della Chiesa, con particolare attenzione ai poveri. Inizialmente, aveva persino valutato la chiusura dello IOR, considerandone l’immagine pubblica troppo compromessa.   Tuttavia, nel 2015, con la nomina di Gian Franco Mimmì – amico di lunga data dai tempi di Buenos Aires – Francesco trasformò lo IOR nel pilastro della sua strategia finanziaria, elevandolo da istituzione controversa ad alleato chiave.   Il rescritto di Francesco imponeva inoltre che tutti i beni finanziari degli enti affiliati alla Santa Sede fossero trasferiti allo IOR entro 30 giorni. Questa misura generò interrogativi e preoccupazioni in Vaticano, con diversi attori privati che interpretarono la direttiva come un segnale di maggiore controllo, temendo ripercussioni sull’autonomia nella gestione delle proprie risorse.   Leone XIV ha dedicato grande attenzione alle sfide economiche della Santa Sede sin dai primi mesi del suo pontificato. Consapevole delle tensioni accumulatesi tra l’APSA, la Segreteria per l’Economia e lo IOR, ha scelto di delegare a collaboratori curiali – per lo più ancora legati all’era di Francesco – la gestione di altre questioni teologiche e pastorali, incluse delicate questioni come gli accordi segreti con la Cina.   In questa fase di riorganizzazione economica, un ruolo di primo piano è stato affidato al vescovo salesiano Giordano Piccinotti, presidente dell’APSA e figura di fiducia del Papa, ricevuto in udienza il 2 ottobre.   In una recente intervista estesa, Leone XIV ha elogiato apertamente la dirigenza dell’APSA, sottolineando il successo del suo bilancio 2024 – oltre 60 milioni di euro – e chiedendo retoricamente: «Perché parlare di crisi, allora?»   Il romano pontefice ha anche riconosciuto che uno dei problemi principali è stata la comunicazione: «il Vaticano ha spesso inviato un messaggio sbagliato, e questo non incoraggia certo le persone a dire “Vorrei aiutare”, ma piuttosto “Mi terrò i miei soldi”».   Nel 2013 Beroglio aveva nominato prelato allo IOR monsignor Battista Ricca, allora protagonista di un articolo finito in copertina su L’Espresso con titolo: «Il prelato della Lobby gay». Durante il volo di ritorno dal viaggio apostolico in Brasile di Bergoglio, la giornalista Ilze Scamparini, ebbe il coraggio di fargli una domanda in merito, porgendogli una domanda molto precisa, nome e cognome incluso.   «Vorrei chiedere il permesso di fare una domanda un po’ delicata: anche un’altra immagine ha girato un po’ il mondo, che è stata quella di mons. Ricca e delle notizie sulla sua intimità. Vorrei sapere, Santità, cosa intende fare su questa questione? Come affrontare questa questione e come Sua Santità intende affrontare tutta la questione della lobby gay?» chiese la Scamparini.   La domanda non è ricordata da nessuno; tuttavia la risposta fu storica: «se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?». Come noto, questa frase guadagnò a Bergoglio la simpatia universale e il premio di uomo dell’anno da parte della rinomata rivista gay The Advocate.   L’inchiesta del vaticanista de L’Espresso Sandro Magister era partita proprio fresca nomina di Ricca, da parte di Bergoglio, alla carica di «prelato» dello IOR. Il monsignore di Offlaga come noto era anche direttore della Domus sanctae Marthae, dove papa Francesco per qualche ragione aveva scelto di vivere.

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Al di là di questo caso, i danari vaticani in questi anni furono al centro di controversie tra investimenti da palazzinari a Londra e soldi al film biografico su Elton John e a Lapo Elkann.   Nella storia recente dei misteri delle finanze vaticane entra anche la vicenda, drammatica e dolorosa, del cardinale australiano George Pell, noto per le sue tendenze conservatrici.   Prefetto della Segreteria per l’economia, Cardinale George Pell, viene messo in galera in Australia nel corso di un incredibile processo per pedofilia. Le accuse paiono incredibili, ma l’anziano porporato finisce davvero in carcere. La Corte Suprema australiana poi lo libera, lasciando il mondo a pensare che quello che lo aveva spedito in prigione fosse stato davvero un processo-farsa.   In tutto questo intrigo, spuntano fuori, anche qui, dei danari: dalla Città del Vaticano all’Australia vengono bonificati 2,3 miliardi di dollari australiani (oltre 1,4 miliardi di euro), attraverso più di 400 mila transazioni. La polizia australiana, dopo un’indagine, chiude il caso. «I trasferimenti finanziari avevano generato il sospetto di un tentativo di pilotare il processo per pedofilia a carico del cardinale George Pell. Ma la polizia di Canberra non ha rivelato nessuna condotta criminale» riassume Repubblica. Di questi numeri assurdi, per mole di danaro (Prevost ora si rallegra per 60 milioni in bilancio!) e frequenza di operazioni (come si possono fare quasi mezzo milione di transazioni? In quanto tempo) nessuno parlerà più.

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Immagine di Catholic Church of England and Wales via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
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Economia

Dazi, trump prevede 1 trilione di dollari all’anno di entrate

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Continua la politica dei dazi della nuova Washington guidata da Donald J. Trump, che intende cambiare il paradigma finanziario dello Stato concentrandosi sui dazi invece che sulle tasse sul reddito ai cittadini. Il presidente americano è inoltre arrivato a pensare ad una vera ridistribuzione pubblica dei danari ottenuti con i dazi.

 

In un’intervista al canale One America News il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato: «Stanno appena iniziando a produrre effetti, ma alla fine i dazi raggiungeranno oltre mille miliardi di dollari all’anno».

 

Trump ha aggiunto che tali fondi saranno utilizzati principalmente «per ridurre il debito, perché si è permesso che il debito crescesse a dismisura». Successivamente, ha proseguito, «potremmo anche distribuire una parte alla popolazione, quasi come un dividendo per il popolo americano. Pensiamo a una cifra tra 1.000 e 2.000 dollari: sarebbe fantastico».

 

Il mese scorso, il Dipartimento del Tesoro ha dichiarato entrate tariffarie pari a 31,7 miliardi di dollari, portando il totale delle riscossioni tariffarie finora effettuate quest’anno a 190 miliardi di dollari, con un aumento del 160% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

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Secondo quanto riportato da Fox Business, che cita i dati del Dipartimento del Tesoro, quest’anno il governo federale ha incassato circa 214,9 miliardi di dollari di entrate dai dazi.

 

Ad agosto, la Corte d’appello degli Stati Uniti per il circuito federale ha stabilito che la maggior parte delle tariffe del presidente non erano coperte da una legge sui poteri di emergenza, una decisione che faceva seguito alla sentenza di due tribunali di grado inferiore che aveva stabilito che la maggior parte delle imposte ai partner commerciali degli Stati Uniti erano illegali.

 

La corte d’appello ha consentito che i dazi di Trump rimanessero in vigore in attesa del ricorso della sua amministrazione alla Corte Suprema.

 

I giudici dell’Alta Corte ascolteranno le argomentazioni orali del caso nella prima settimana di novembre.

 

Il segretario del Tesoro Scott Bessent ha avvertito i giudici in un documento che il governo potrebbe essere costretto a rimborsare tra 750 miliardi e 1.000 miliardi di dollari di entrate tariffarie riscosse e previste se la Corte Suprema dovesse dichiarare che i dazi sono illegali.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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