Geopolitica
Birmania, agenti infiltrati e finte milizie: così la giunta colpisce la resistenza
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Secondo documenti dei servizi di Intelligence trapelati il mese scorso, i militari golpisti hanno creato una rete di spie tra le forze anti-regime. I rapporti dicono che le operazioni di controspionaggio hanno portato all’arresto di uno degli attivisti pro-democrazia giustiziati lo scorso anno. Anche le milizie pro-democrazia hanno i loro agenti e sono chiamati «angurie».
Agenti segreti doppiogiochisti, finte milizie infiltrate e armi inefficaci: questi gli stratagemmi utilizzati dalla giunta golpista birmana nelle operazioni di controspionaggio per colpire la resistenza pro-democrazia. A dirlo sono rapporti interni dell’Ufficio del capo degli affari di sicurezza militare (OCMSA o Sa ya pa in birmano, il dipartimento che si occupa dei servizi segreti) trapelati sui media locali il mese scorso.
I documenti forniscono dettagli sulle operazioni di intelligence condotte nel 2021, dopo il colpo di Stato dei militari del primo febbraio, fino all’inizio del 2022, e svelano dettagli sul funzionamento delle missioni di sabotaggio contro le Forze di difesa del popolo (PDF), il braccio armato del Governo di unità nazionale in esilio, composto perlopiù da ex deputati appartenenti alla Lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi.
Dai rapporti emerge che il personale militare dell’OCMSA ha supervisionato la gestione delle armi leggere per le missioni di assassinio e di guerriglia urbana.
Allo stesso modo i suoi agenti si sono infiltrati nei ranghi della resistenza, monitorando l’accesso ai depositi di armi e fornendo ai combattenti ordigni esplosivi che non avrebbero causato grosse perdite. Ancora, i militari hanno creato finte milizie affiliate alle Forze di difesa del popolo chiamate «Difensori dei diritti umani» e «Forze di difesa della generazione Z» che hanno condotto una serie di operazioni fittizie, tra cui finti attacchi ai posti di blocco dell’esercito.
Una delle strategie fondamentali è l’infiltrazione di agenti doppiogiochisti, nella maggior parte dei casi ex membri delle Pdf arrestati dall’esercito e poi rilasciati in qualità di spie. Il 22 gennaio le PDF, resesi conto della presenza di talpe tra i propri ranghi, hanno tenuto un’imboscata e ucciso due ufficiali della giunta insieme a due spie infiltrate.
Tuttavia, i documenti dell’OCMSA sottolineano la creazione di un’ampia rete di infiltrati arrivati fino a posizioni chiave delle forze anti-regime: i rapporti dicono che sono state queste operazioni di infiltrazione ad aver permesso l’arresto di Phyo Zeyar Thaw, attivista anti-regime e parlamentare della Lega nazionale per la democrazia giustiziato insieme ad altre figure democratiche a luglio 2022.
Secondo il ricercatore Amara Thiha le operazioni di intelligence della giunta golpista non hanno il solo scopo di catturare i dissidenti, ma servirebbero anche a stanare gli avamposti militari più piccoli e segreti della resistenza.
L’esercito birmano si è infatti finora astenuto dal bombardare alcuni dei campi più grandi delle milizie etniche armate (che dall’indipendenza del Myanmar combattono contro lo Stato centrale e dopo il colpo di Stato si sono alleate con le PDF).
Il 21 gennaio l’esercito ha colpito le case di alcuni leader del Democratic Karen Benevolent Army, una delle poche milizie ad avere in realtà buoni rapporti con il regime. Secondo l’esperto, l’attacco è stato compiuto perché i militari avevano informazioni di una probabile collaborazione della milizia con le forze anti-regime.
Allo stesso tempo l’OCMSA non sembra avere il totale controllo della situazione, perché anche la resistenza si serve di agenti infiltrati grazie ai quali è riuscita a ottenere informazioni sulle operazioni militari. Queste talpe vengono in gergo chiamate “angurie”: il colore verde rappresenta l’appartenenza ai militari, mentre il rosso la fedeltà alla resistenza.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela
Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.
L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.
«Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.
Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».
Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.
Today, the Federal Bureau of Investigation, Homeland Security Investigations, and the United States Coast Guard, with support from the Department of War, executed a seizure warrant for a crude oil tanker used to transport sanctioned oil from Venezuela and Iran. For multiple… pic.twitter.com/dNr0oAGl5x
— Attorney General Pamela Bondi (@AGPamBondi) December 10, 2025
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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.
Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.
Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».
Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.
Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.
«L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.
Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».
Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».
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Immagine screenshot da Twitter
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Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
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Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.
Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.
«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.
Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».
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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».
Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.
Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».
Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».
Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.
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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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