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Politica

Biden si ritira dalla corsa presidenziale e appoggia Kamala Harris

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Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha abbandonato la sua candidatura per la rielezione pochi minuti fa con un comunicato ufficiale. La notizia è riportata da tutti i principali organi di stampa americani.

 

La mossa di Biden, invero da molti desiderata quanto preconizzata, ha gettato nel caos la competizione presidenziale del 2024, cedendo alle incessanti pressioni dei suoi più stretti alleati affinché egli abbandonasse la corsa tra le profonde preoccupazioni per i suoi evidenti problemi di salute ed incontrovertibile non piena capacità mentale.

 

Dopo aver definito il vicepresidente Kamala Harris un «partner straordinario», l’ha appoggiata per prendere il suo posto in cima alla lista dei possibili candidati alla Casa Bianca, il tutto a circa due mesi dai primi movimenti di voto.

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«È stato il più grande onore della mia vita servire come vostro presidente», ha scritto sui social media il senile presidente. «E anche se era mia intenzione cercare la rielezione, credo che sia nel miglior interesse del mio partito e del Paese che io mi dimetta e mi concentri interamente sull’adempimento dei miei doveri di presidente per il resto del mio mandato».

 

In un post successivo, Biden ha effettuato l’endorsement nei confronti della controversa politica di origini indo-caraibiche: «oggi voglio offrire il mio pieno sostegno e appoggio affinché Kamala sia la nominata del nostro partito quest’anno. Democratici: è ora di unirsi e battere Trump. Facciamolo».

 

«Dopo tre settimane di rifiuti, spesso rabbiosi, di farsi da parte, Biden ha finalmente ceduto a un torrente di sondaggi devastanti, appelli urgenti da parte dei legislatori democratici e chiari segnali che i donatori non erano più disposti a pagare perché continuasse» scrive il New York Times.

 

Nelle ultime ore erano emerse storie di donors, ossia mecenati del partito, particolarmente irritati non solo dal fatto di non essere ascoltati – oramai tutti, dopo il disastro del dibattito con Trump del 27 giugno, hanno capito che un presidente non compos sui non era votabile – ma anche da come erano stati trattati, con ordini imposti da un vertice politico oramai in piena crisi di credibilità e legittimità.

 

Per il Partito Democratico, il ritiro di Biden innesca una seconda crisi: con chi sostituirlo, e in particolare se radunarsi attorno alla Harris o dare il via a un rapido sforzo per trovare qualcun altro che sia il candidato del partito. L’annuncio di Biden, che è in isolamento a causa del COVID – patente dimostrazione che i vaccini non funzionano: Biden è multidosato – è arrivato appena tre giorni dopo che Trump aveva pronunciato il discorso di accettazione la nomina del suo partito alla convention repubblicana di Milwaukee.

 

Trump dovrà ora affrontare un avversario democratico diverso – e ancora sconosciuto –, a soli 110 giorni dalla fine delle elezioni. In molti nel giro di Trump sostengono che la scelta della Harris sarebbe ottimale, perché è definita come l’unico personaggio ancora più invotabile di Biden. In vari invece temono la candidatura del governatore della California Gavin Newsom, giovane re dei lockdown oltranzisti, dei vaccini obbligatori, delle città di zombie drogati e delle leggi transgender antifamiglia, ma considerato comunque un avversario insidioso perché appunto non troppo conosciuto dalla popolazione degli altri Stati.

 

Newsom è, ovviamente, uno Young Global Leader del World Economic Forum di Davos. Noi lo ricordiamo anche per essere figlio dell’uomo che aiutò Getty a pagare il riscatto alla ‘Ndrangheta per il nipote, una somma di danaro con cui i calabresi ottennero il monopolio del traffico di cocaina in Europa, mercato trilionario che ancora detengono.

 

Tra gli altri potenziali candidati da tenere d’occhio ci sono una manciata di governatori: Gretchen Whitmer del Michigan (nota per un falso piano per rapirla in realtà concepito da infiltrati FBI), Josh Shapiro della Pennsylvania, Gavin Newsom della California, JB Pritzker dell’Illinois (erede di una famiglia di ricchissimi) e Andy Beshear del Kentucky. Altri potenziali candidati includono Pete Buttigieg (omosessuale con figli surrogati con esperienza disastrosa al dipartimento dei Trasporti, e i senatori Amy Klobuchar del Minnesota e Cory Booker del New Jersey.

 

 

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Il Biden e la Harris hanno raccolto centinaia di milioni di dollari in fondi elettorali negli ultimi due anni. Quel denaro è stato assegnato alla campagna Biden, al Comitato Nazionale Democratico e a varie organizzazioni democratiche statali. Al 30 giugno, queste organizzazioni avevano a disposizione un totale di 240 milioni di dollari in contanti. La maggior parte di quel denaro potrebbe essere utilizzata per conto del prossimo candidato.

 

Nello specifico, la campagna Biden-Harris contava, al 30 maggio, 91 milioni di dollari. Se la candidata fosse la Harris, quei soldi saranno suoi. Se si trattasse invece di un altro candidato, i milioni di Biden-Harris potrebbero essere restituiti ai donatori (cosa altamente improbabile) o trasferiti a un super PAC federale, che potrebbe spenderli per conto del ticket democratico.

 

L’unico possibile candidato che potrebbe ignorare il problema è il Pritzker, che grazie ai miliardi di famiglia potrebbe finanziare la campagna da solo.

 

Nessun presidente americano in carica si era mai ritirato da una corsa così avanzata nel ciclo elettorale. La convention del Partito Democratico, dove Biden avrebbe dovuto essere nominato formalmente da 3.939 delegati, dovrebbe iniziare il 19 agosto a Chicago. Ciò lascia meno di un mese ai democratici per decidere chi dovrebbe sostituire Biden nella lista e poco meno di quattro mesi affinché il prescelto organizzi una campagna contro Trump.

 

Donald Trump, in un post sui social media, ha affermato che Biden «non era idoneo a candidarsi alla presidenza, e certamente non è idoneo a servire – e non lo è mai stato!»,  alludendo  a una cospirazione del «suo medico e dei media» per nascondere le sue condizioni fisiche e mentali, aggiungendo: «soffriremo molto a causa della sua presidenza, ma rimedieremo molto rapidamente al danno che ha fatto».

 

Trump ha quindi parlato al telefono con la CNN, affermando che Biden sarà ricordato come «il peggior presidente in assoluto nella storia del nostro Paese».

 

Ha poi affermato di credere che la vicepresidente Kamala Harris sarà un’avversaria più facile da sconfiggere rispetto a Biden.

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Trump: Zelens’kyj deve indire le elezioni

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Il presidente statunitense Donald Trump ha invitato l’Ucraina a convocare elezioni, mettendo in dubbio le autentiche prerogative democratiche del Paese in un’intervista a Politico diffusa martedì.   Trump ha lanciato una nuova provocazione a Volodymyr Zelens’kyj, il cui quinquennio presidenziale è terminato a maggio 2024, ma che ha declinato di indire consultazioni elettorali presidenziali, invocando la legislazione di emergenza bellica.   Lo Zelens’kyj era stato scelto alle urne nel 2019 e, a dicembre 2023, ha annunciato che Kiev non avrebbe proceduto a elezioni presidenziali o legislative fintantoché perdurasse lo stato di guerra. Tale regime è stato decretato in seguito all’acutizzazione dello scontro con la Russia a febbraio 2022 e, da allora, è stato prorogato più volte dall’assemblea nazionale.   Trump ha dichiarato a Politico che la capitale ucraina non può più addurre il perdurante conflitto come pretesto per rinviare il suffragio. «Non si tengono elezioni da molto tempo», ha dichiarato Trump. «Sai, parlano di democrazia, ma poi si arriva a un punto in cui non è più una democrazia».   Rispondendo a un quesito esplicito sull’opportunità di un voto in Ucraina, Trump ha replicato «è il momento» e ha insistito che si tratta di «un momento importante per indire le elezioni», precisando che, pur «stiano usando la guerra per non indire le elezioni», gli ucraini «dovrebbero avere questa scelta».   Come riportato da Renovatio 21, il presidente della Federazione Russa Vladimiro Putin ha spesse volte dichiarato di considerare illegittimo il governo di Kiev, sostenendo quindi per cui firmare un accordo di pace con esso non avrebbe vera validità.

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Tentativo di colpo di Stato in Benin

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Un gruppo di militari del Benin, paese dell’Africa occidentale, ha proclamato la propria ascesa al potere attraverso la tv di stato SRTB. Tuttavia, diverse fonti hanno indicato che un assalto alla residenza presidenziale è fallito.

 

I soldati hanno sfruttato la rete televisiva per annunciare la sospensione delle istituzioni nazionali e della Costituzione beninese, ordinando la chiusura di tutte le frontiere aeree, terrestri e marittime. Hanno designato il tenente colonnello Pascal Tigri come presidente del Comitato Militare per la Rifondazione (CMR), «a partire da oggi». In seguito, il segnale del canale è stato tagliato.

 

Il ministro degli Esteri del Benin, Olushegun Adjadi Bakari, ha riferito all’agenzia Reuters che «un piccolo gruppo» di militari ha orchestrato un tentativo di golpe, ma le truppe leali al presidente Patrice Talon sono al lavoro per ristabilire la normalità. «C’è un tentativo in corso, ma la situazione è sotto controllo… La maggior parte dell’esercito rimane fedele e stiamo riprendendo il dominio della faccenda», ha precisato.

 

Il governo ha poco fa diffuso un video in lingua francese per spiegare l’accaduto. A parlare è Sig. Alassane Seidou, ministro dell’Interno e della Pubblica Sicurezza del Paese.

 

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«Cari concittadini, Nelle prime ore del mattino di domenica 7 dicembre 2025, un piccolo gruppo di soldati ha scatenato un ammutinamento con l’obiettivo di destabilizzare lo Stato e le sue istituzioni. Di fronte a questa situazione, le Forze Armate del Benin e i loro vertici, fedeli al giuramento, rimasero fedeli alla Repubblica».

 

«La loro risposta ha permesso loro di mantenere il controllo della situazione e di sventare la manovra. Di fronte a questa situazione, le Forze Armate del Benin e i loro vertici, fedeli al giuramento, rimasero fedeli alla Repubblica. Pertanto, il Governo invita la popolazione a continuare a svolgere le proprie attività come di consueto».

 

A Cotonou, la principale città del Benin, si sono sentiti spari sin dalle prime ore di domenica, sebbene le voci di un colpo di stato non siano ancora verificate, ha dichiarato Maxim Meletin, portavoce dell’ambasciata russa nel paese africano, all’agenzia African Initiative.

 

«Dalle 7 del mattino, abbiamo rilevato colpi d’arma da fuoco e detonazioni di granate nei dintorni della residenza presidenziale. Stando a indiscrezioni non confermate, militari beninesi si sono presentati alla tv nazionale per proclamare la destituzione del presidente», ha proseguito Meletin.

 

Una fonte vicina a Talon, interpellata da Jeune Afrique, ha raccontato che uomini in divisa hanno provato a irrompere nella residenza presidenziale intorno alle 6 del mattino ora locale, con il capo dello Stato ancora all’interno. L’incursione sarebbe stata sventata dalle guardie di sicurezza, e il presidente sarebbe illeso.

 

Tuttavia, questi dettagli non hanno ricevuto conferme indipendenti da canali ufficiali. Unità dell’esercito fedeli al regime in carica hanno risposto con una controffensiva. Si parla di elicotteri che pattugliano Cotonou, mentre varie zone del centro urbano risultano bloccate.

 

Talon è al timone del Benin dal 2016; il suo secondo e ultimo mandato scadrà nel 2026. La Carta Costituzionale ammette soltanto due quinquenni presidenziali, e le urne per il dopo-Talon sono in programma il 12 gennaio 2026.

 

Nell’agosto 2025, la maggioranza al governo ha sostenuto la corsa alla presidenza del ministro dell’Economia e delle Finanze, Romuald Wadagni.

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Studenti polacchi pestano i compagni di classe ucraini

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Alcuni studenti polacchi di un istituto tecnico di Słupsk, nel nord della Polonia, hanno aggredito e picchiato diversi compagni ucraini dopo che un docente li aveva apostrofati come «feccia», ha riferito martedì il portale Onet.   L’episodio si è verificato in una scuola professionale dove sono iscritti numerosi adolescenti ucraini in corsi di formazione. L’avvocato Dawid Dehnert, contattato dai familiari delle vittime, ha citato una registrazione in cui l’insegnante avrebbe definito gli ucraini «feccia» e li avrebbe minacciati di farli bocciare «perché vi farò vedere cosa significa essere polacchi».   I genitori dei ragazzi aggrediti hanno raccontato ai media che uno studente polacco era solito riprodurre in aula il rumore di bombe e razzi, rivolgendosi ai compagni ucraini con frasi come «è ora di nascondervi», senza che il docente intervenisse. «L’atteggiamento del professore ha non solo danneggiato gli studenti ucraini, ma ha anche incoraggiato e tollerato atteggiamenti xenofobi negli altri», ha commentato Dehnert.  

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La situazione è precipitata al termine delle lezioni, quando i giovani ucraini sono stati assaliti fuori dall’edificio da coetanei polacchi più grandi. «Uno degli aggressori ha prima sputato in faccia a un ragazzo ucraino gridando “in testa, puttana ucraina” e poi lo ha colpito con pugni», ha riferito l’avvocato.   A seguito del pestaggio, un sedicenne ucraino ha riportato la frattura della clavicola e un altro una sospetta commozione cerebrale. Un video circolato sui social riprende parzialmente la rissa, mostrando tre studenti che infieriscono su uno di loro fino a scaraventarlo a terra.   L’aggressione si è interrotta solo quando una passante ha minacciato di chiamare la polizia. Una madre ha dichiarato a Onet di essersi recata immediatamente alla stazione più vicina per denunciare i fatti, ma di essere stata respinta perché «non c’era nessun agente disponibile» e di aver potuto formalizzare la querela solo il giorno successivo.   L’episodio si colloca in un contesto in cui la Polonia resta una delle principali mete UE per gli ucraini in fuga dal conflitto: secondo Statista, quasi un milione di cittadini ucraini risultano registrati nel Paese sotto regime di protezione temporanea.

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