Geopolitica
Biden: l’India produrrà almeno un miliardo di vaccini
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.
Il presidente USA lo ha annunciato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. L’India torna ad essere un Paese centrale nella distribuzione del farmaco anti-COVID dopo aver sospeso le esportazioni, che riprenderanno il mese prossimo. Almeno il 45% della popolazione indiana ha ricevuto la prima dose.
La produzione dei vaccini in loco come soluzione per fermare il diffondersi della pandemia nei Paesi più vulnerabili.
È quello che il presidente USA Joe Biden ha proposto durante il suo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni unite: «Stiamo lavorando con nazioni partner, aziende farmaceutiche e altri produttori per aumentare la capacità di produrre e fabbricare vaccini sicuri ed efficaci nei propri Paesi».
Centrale, in questo senso, tornerà a essere l’India, che ad aprile aveva sospeso le esportazioni di vaccini per affrontare una devastante seconda ondata.
Biden ha spiegato che le nazioni del Quadrilateral Security Dialogue (Usa, Australia, Giappone e India) produrranno almeno un miliardo di dosi in India, in modo da aumentare l’offerta globale per il 2022. Anche il Sudafrica sta ricevendo aiuti per rafforzare la propria produzione di Johnson and Johnson, ha aggiunto il presidente statunitense, in modo che almeno 500 milioni di dosi siano disponibili per il continente africano.
Finora gli Stati Uniti hanno donato 160 milioni di dosi tramite Covax, il programma dell’Organizzazione mondiale della sanità che mira a garantire un equo accesso all’immunizzazione a tutti le nazioni del mondo.
Ad aprile l’India aveva sospeso la propria partecipazione all’iniziativa per affrontare una drammatica crescita di contagi. Il picco di nuovi casi registrati è stato il 6 maggio, quando il Paese ha riportato 414.188 nuove infezioni. Per fare un confronto, ieri i nuovi casi di COVID-19 erano «solo» 31.923.
Prima della sospensione delle esportazioni, l’India era un distributore chiave di vaccini perché, producendo le dosi AstraZeneca, che a differenza dei vaccini mRNA non necessitano di essere congelati in enormi celle frigorifere, rendeva più agile la fornitura del farmaco al resto del mondo
Prima della sospensione delle esportazioni, l’India era un distributore chiave di vaccini perché, producendo le dosi AstraZeneca, che a differenza dei vaccini mRNA non necessitano di essere congelati in enormi celle frigorifere, rendeva più agile la fornitura del farmaco al resto del mondo.
Secondo i dati elaborati da Covax, i ritardi della prima parte dell’anno hanno ridotto la disponibilità mondiale di vaccini per il 2021 di un 25%.
Il 20 settembre il ministro indiano della Salute Mansukh Mandaviya ha annunciato che ad ottobre l’India riprenderà ad esportare i vaccini in eccesso.
In questi mesi la campagna vaccinale nel Paese è proseguita spedita: oltre il 45% della popolazione ha ricevuto la prima dose e quasi il 16% ha completato il ciclo vaccinale.
I farmaci responsabili di questo risultato sono soprattutto i due vaccini prodotti a livello locale: il Covishield (su licenza di AstraZeneca) e il Covaxin, elaborato dall’azienda farmaceutica Bharat Biotech.
Prima di aprile l’India aveva inviato all’estero 66 milioni di dosi e il governo di Narendra Modi era stato criticato quando altri Paesi si sono trovati ad affrontare una carenza di vaccini.
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Geopolitica
La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco
Il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha dovuto cancellare un viaggio previsto in Cina dopo che Pechino si sarebbe rifiutata di organizzare incontri di alto livello con lui, secondo quanto riportato venerdì da diversi organi di stampa.
Il Wadephul sarebbe dovuto partire per Pechino domenica per discutere delle restrizioni cinesi sull’esportazione di terre rare e semiconduttori, oltre che del conflitto in Ucraina.
«Il viaggio non può essere effettuato al momento e sarà posticipato a data da destinarsi», ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Esteri tedesco, citato da Politico. Il Wadephullo avrebbe dovuto incontrare il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ma l’agenda prevedeva troppo pochi incontri di rilievo.
Secondo il tabloide germanico Bild, i due diplomatici terranno presto una conversazione telefonica.
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Questo intoppo diplomatico si inserisce in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. Nell’ultimo anno, Bruxelles e Pechino si sono scontrate sulla presunta sovrapproduzione industriale cinese, mentre la Cina accusa l’UE di protezionismo.
All’inizio di questo mese, Pechino ha rafforzato le restrizioni sull’esportazione di minerali strategici con applicazioni militari, una mossa che potrebbe aggravare le difficoltà del settore automobilistico europeo.
La Germania è stata particolarmente colpita dal deterioramento del clima commerciale.
Come riportato da Renovatio 21, la Volkswagen sospenderà la produzione in alcuni stabilimenti chiave la prossima settimana a causa della carenza di semiconduttori, dovuta al sequestro da parte dei Paesi Bassi del produttore cinese di chip Nexperia, motivato da rischi per la sicurezza tecnologica dell’UE. In risposta, Pechino ha bloccato le esportazioni di chip Nexperia dalla Cina, causando una riduzione delle scorte che potrebbe portare a ulteriori chiusure temporanee di stabilimenti Volkswagen e colpire altre case automobilistiche, secondo il quotidiano.
Venerdì, il ministro dell’economia Katherina Reiche ha annunciato che Berlino presenterà una protesta diplomatica contro Pechino per il blocco delle spedizioni di semiconduttori, sottolineando la forte dipendenza della Germania dai componenti cinesi.
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Immagine di UK Government via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Geopolitica
Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset
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Geopolitica
Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania
Israele «perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti» in caso di annessione della Giudea e della Samaria, nome con cui lo Stato Ebraico chiama la Cisgiordania, ha detto il presidente USA Donald Trump.
Trump ha replicato a un disegno di legge controverso presentato da esponenti dell’opposizione di destra alla Knesset, il parlamento israeliano, che prevede l’annessione del territorio conteso come reazione al terrorismo palestinese.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu, sostenitore degli insediamenti ebraici in quell’area, si oppone al provvedimento, poiché rischierebbe di allontanare gli Stati arabi e musulmani aderenti agli Accordi di Abramo e al cessate il fuoco di Gaza.
Netanyahu ha criticato aspramente il disegno di legge, accusando i promotori di opposizione di una «provocazione» deliberata in concomitanza con la visita del vicepresidente statunitense J.D. Vance. (Lo stesso Vance ha qualificato il disegno di legge come un «insulto» personale)
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«I commenti pubblicati giovedì dalla rivista TIME sono stati espressi da Trump durante un’intervista del 15 ottobre, prima dell’approvazione preliminare alla Knesset di mercoledì – contro il volere del primo ministro – di un disegno di legge che estenderebbe la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti della Cisgiordania» ha scritto il quotidiano israeliano Times of Israel.
Evidenziando l’impazienza dell’amministrazione verso tali iniziative, il vicepresidente di Trump, J.D. Vance, ha dichiarato giovedì, lasciando Israele, che il voto del giorno precedente lo aveva «offeso» ed era stato «molto stupido».
«Non accadrà. Non accadrà», ha affermato Trump a TIME, in riferimento all’annessione. «Non accadrà perché ho dato la mia parola ai Paesi arabi. E non potete farlo ora. Abbiamo avuto un grande sostegno arabo. Non accadrà perché ho dato la mia parola ai paesi arabi. Non accadrà. Israele perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti se ciò accadesse».
Vance ha precisato che gli era stato descritto come una «trovata politica» e «puramente simbolica», ma ha aggiunto: «Si tratta di una trovata politica molto stupida, e personalmente la considero un insulto».
Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno guidato i Paesi arabi e musulmani negli Accordi di Abramo, si oppongono da tempo all’annessione della Cisgiordania, sostenendo che renderebbe vani i futuri negoziati di pace nella regione.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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