Geopolitica
Beirut, l’assassinio del dirigente cristiano infiamma il fronte interno libanese
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Per il sequestro e la morte dell’alto dirigente delle Forze libanesi, un partito maronita, sospettata una banda siriana di ladri di auto. Ma la forza politica parla di un «crimine premeditato». Il ministro per gli Sfollati Issam Charafeddine: «migliaia di siriani armati si aggirano per i campi profughi, in vista di un colpo di forza contro Damasco». Nasrallah nega alcun coinvolgimento di Hezbollah e parla di «reazioni pericolose».
«Non mi ammazzate, ho tre bambini, non puntatemi quest’arma alla testa». Queste sono state le ultime parole pronunciate da Pascal Sleiman, alto dirigente delle Forze libanesi – partito politico libanese di ispirazione maronita – per la regione di Jbeil, impiegato in una banca di Byblos, prima di sparire la sera del 7 aprile scorso.
I resti dell’uomo, apparentemente vittima di una banda di ladri di auto operativa nella regione di Jbeil (Byblos), sono stati trovati dall’esercito siriano dopo che i rapitori lo avevano abbandonato nella zona di Hawit, oltre-confine in Siria. Si tratta di un’area nota per essere sotto il controllo di queste bande che avrebbero consegnato il cadavere all’esercito, il quale ha consapevolmente ritardato l’annuncio della morte in attesa che la vicenda si placasse e si stemperassero gli animi infiammati dalla notizia della scomparsa. Va al riguardo aggiunto che, nel momento in cui stiamo scrivendo questo articolo, le sue spoglie sono ancora trattenute dai militari per l’autopsia.
Il rapido quanto tragico epilogo di questa tragedia è stato reso possibile da una combinazione di fattori, che hanno avvantaggiato i servizi di sicurezza dell’esercito libanese: la geolocalizzazione della telecamera del responsabile, a pochi chilometri di distanza dal luogo in cui i ladri lo avevano intercettato mentre guidava in solitaria la sua Audi nera.
A questo si aggiunge la collaborazione di una unità dell’esercito siriano al comando dell’ufficiale Kifah Melhem, l’arresto di tre dei rapitori in Siria, la denuncia di una talpa libanese e dei «contrabbandieri» che, nel frattempo, hanno colto le ripercussioni in Libano del loro crimine.
I quattro membri della banda, compreso il loro capo Bilal Mohammad Dello (un siriano), sono ora nelle mani dell’esercito libanese. Secondo fonti bene informate, rilanciate dal quotidiano al-Akhbar (vicino a Hezbollah), i rapitori non sapevano con chi avevano a che fare e hanno agito solo perché l’uomo si trovava da solo a bordo dell’auto presa di mira per un furto.
Secondo le prime informazioni emerse dagli interrogatori dei sequestratori arrestati, egli avrebbe cercato di resistere agli aggressori ed è stato colpito più volte alla testa con il calcio di un fucile. Le brutali percosse avrebbero causato una emorragia interna che lo ha portato alla morte. Pascal Sleiman è stato poi gettato nel bagagliaio del suo stesso veicolo, che si è diretto verso il nord del Libano e poi verso la Siria, attraverso percorsi illegali.
La notizia della morte del politico, padre di tre figli, è stata accolta con immensa dignità dalla moglie Micheline, le cui parole sono state inizialmente riportate dalla stampa: «siamo i figli della resurrezione, i figli della speranza».
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Tuttavia, la vicenda ha fin da subito assunto un tono fortemente politico, in quanto i sospetti si sono inizialmente concentrati su Hezbollah, presente in alcuni villaggi sciiti della regione. A causa dell’ira popolare, l’autostrada settentrionale che collega Beirut alla città costiera di Tripoli è stata interrotta in entrambe le direzioni per tutta la giornata di ieri, mentre gli abitanti dei villaggi sciiti, sentendosi minacciati, si sono nascosti nelle loro case.
Sempre ieri, dopo le prime informazioni diffuse dall’esercito, la tensione sembra essersi allentata ma i commenti attribuiti al capo delle Forze libanesi, Samir Geagea, hanno messo in dubbio la loro veridicità e non hanno contribuito a svelenire il clima.
Sebbene Geagea abbia infatti chiesto ai suoi sostenitori di riaprire le strade, egli ha affermato allo stesso tempo: «crediamo che si tratti di un crimine politico, fino a prova contraria». Uno dei membri del suo partito, l’ex ministro Pierre Bou Assi, è stato ancora più diretto: «non mi fido – ha sottolineato – dei servizi di sicurezza. Questo è un crimine mascherato», ricordando al riguardo la falsa rivendicazione di responsabilità che è seguita all’assassinio dell’ex primo ministro del Paese dei cedri Rafic Hariri nel 2005.
La presenza siriana
Comunque sia, e in attesa dell’esito di questa vicenda e delle sue conseguenze per l’immediato futuro, il rapimento di Pascal Sleiman ha riaperto la annosa questione della presenza siriana in Libano, stimata da alcuni in oltre due milioni di persone.
Intervistato dall’emittente televisiva Al-Jadid (NTV), il ministro per gli Sfollati Issam Charafeddine ha criticato con forza il fatto che la questione sia stata trascurata per molti mesi per motivi politici.
Secondo Charafeddine il piano di rimpatrio dei cittadini siriani, molti dei quali sono parcheggiati in campi fatti di tende o materiali pieghevoli, è stato deliberatamente messo in attesa senza essere affrontato con decisione dalla classe dirigente per trovare una soluzione.
A suo avviso in Libano vi sono «diverse migliaia di uomini appartenenti a cellule dormienti pronte ad agire contro il regime siriano», per volere di alcune potenze straniere di cui però non ha voluto fare il nome.
Charafeddine ha poi chiesto che gli assassini di Pascal Sleiman «siano giustiziati nel luogo stesso in cui hanno commesso il loro crimine. È inutile – ha detto – che i loro fascicoli vengano portati davanti a un magistrato e che il processo si trascini per uno o due anni».
Infine, da parte sua il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah ha negato qualsiasi coinvolgimento del movimento sciita nel rapimento, dicendo alle Forze libanesi e al Kataeb: «quello che state facendo è estremamente pericoloso e rischia di provocare una guerra civile».
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Geopolitica
Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela
Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.
L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.
«Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.
Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».
Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.
Today, the Federal Bureau of Investigation, Homeland Security Investigations, and the United States Coast Guard, with support from the Department of War, executed a seizure warrant for a crude oil tanker used to transport sanctioned oil from Venezuela and Iran. For multiple… pic.twitter.com/dNr0oAGl5x
— Attorney General Pamela Bondi (@AGPamBondi) December 10, 2025
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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.
Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.
Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».
Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.
Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.
«L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.
Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».
Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».
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