Spirito
Amare la civiltà cristiana
È cristiano preferire la cultura cristiana? Riflessioni sulle parole di papa Francesco.
Il 17 luglio papa Francesco ha pubblicato una Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione per incoraggiare alla lettura non solo seminaristi e sacerdoti, che era la sua prima intenzione, ma anche tutti i fedeli.
Non possiamo che rallegrarci dell’esortazione rivolta a tutti a leggere libri nel tempo libero (la lettera viene pubblicata in occasione delle vacanze estive) piuttosto che lasciarsi frastornare «dai media, dai social network, dai cellulari e da altri… dispositivi onnipresenti» (n°2).
Allo stesso modo, notiamo l’insistenza del pontefice non solo sull’arricchimento intellettuale che la pratica della lettura procura, ma anche sulla simpatia che il linguaggio instaura tra l’autore e il lettore, tema caro a Francesco.
Una tale esperienza ci permette di comprendere noi stessi al di là di ciò che le idee astratte possono esprimere, di lasciarci permeare da un punto di vista che ci è estraneo piuttosto che proteggerci da esso per mezzo di uno spesso involucro intellettuale ed emotivo, e anche su questa occasione per capirsi meglio e magari per correggersi.
La lettura delle vite o degli scritti dei santi è talvolta occasione per un fruttuoso esame di coscienza. Ci dispiace però che non ci sia una parola sulla necessità di leggere per conoscere e approfondire la propria cultura: conoscere i propri classici.
Perché è anche, purtroppo, una tendenza cara a Francesco che la diatriba contro «gli idoli dei linguaggi autoreferenziali falsamente autosufficienti, staticamente convenzionali» (n. 42) senza alcuna considerazione per la pietà filiale che è normale praticare per il bene della propria famiglia, della propria cultura, della propria civiltà. (1)
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San Paolo non rivendica forse il suo attaccamento al suo popolo e anche la sua formazione strettamente farisaica, per dimostrare che la fede che oggi predica ne è solo il compimento? Il Verbo incarnato non ha forse assunto la natura umana in una regione e in un tempo ben determinati, e la sua predicazione non si riflette nei tanti dettagli che la liturgia ha adottato («tabernacolo», «agnello di Dio», pani azzimi, ecc.)?
Dio ha creato la natura e sa come funziona, ha creato gli alberi con le radici e gli uomini nelle famiglie. Gli Apostoli e i missionari non credevano di dover dimenticare chi erano per entrare in contatto con tutti i popoli della terra.
Per quanto riguarda il contatto tra culture, per imparare una lingua bisogna già conoscere la propria; uno scrittore diceva che il poeta canta bene solo quando è appollaiato sul suo albero genealogico. Quando ti presenti, devi sapere chi sei, per avere qualcosa da presentare! Ma non esiste uomo ideale, universale, disincarnato, se non nell’immaginario dell’Illuminismo, il cui universalismo ha soprattutto tagliato teste e seminato rivoluzioni.
Inoltre, è normale che la fede permea la vita del cristiano e si esprima all’esterno attraverso l’arte, il culto pubblico e l’organizzazione della società in generale. Chi coltiva la vergogna per il periodo in cui in Europa ha potuto svilupparsi la fede cattolica, semplicemente non ama la sua fede perché vuole mantenerla cosciente.
Amare la storia da cui proveniamo quindi non è orgoglio o presunzione, è solo naturale, come amare i propri genitori. È una virtù chiamata pietà filiale, che Dio benedice in modo particolare perché quando rispettiamo i nostri genitori, è l’immagine di Dio che onoriamo. Il wokismo è solo una versione del rifiuto della paternità. È deplorevole che alcune grandi voci del mondo ecclesiale diano una mano.
Amare la verità che abbiamo ricevuto non è arroganza, ma deriva addirittura dall’umiltà poiché la riconosciamo come un dono gratuito di Dio. Difenderlo dal suo opposto non è vizioso, poiché l’opposto del vero è il falso e il falso non è amabile.
Coltivare la conoscenza del proprio patrimonio non significa chiudersi, e credere in una verità immutabile non significa impedire la discussione, poiché se si pretende di «dialogare», è per affinare la conoscenza della verità; altrimenti ci sarà solo «scontro di monologhi».
Per convincersene basta dare uno sguardo a quello che oggi chiamiamo «dibattito pubblico»: la legge dei media più forti. Non c’è niente di più dittatoriale del relativismo poiché non ha alcun motivo reale per imporsi.
Come ha detto un santo che non è della parrocchia de La Croix, «la civiltà non è più da inventare, né una nuova città da costruire tra le nuvole. Lo era, lo è; è la civiltà cristiana, è la città cattolica. Si tratta solo di ristabilirlo e restaurarlo costantemente sui suoi fondamenti naturali e divini contro gli attacchi sempre risorgenti dell’utopia malsana, della rivolta e dell’empietà: omnia instaurare in Christo». (2)
NOTE
1) Non è un caso che questa lettera venga menzionata nel corso di una recente polemica sulle colonne di La Croix sul legame tra la destra politica e la richiesta di civiltà cristiana. Uno dei protagonisti mette in dubbio il riferimento a una legge naturale definita «potente idolatria» e vede nei santi e negli artisti del cristianesimo solo «decostruttori».
2) San Pio X, enciclica Notre charge apostolique, 25 agosto 1910.
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Immagine Raffaelo Sanzio (1483–1520), Disputa del Sacramento (1509), Stanze Vaticane.
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Pensiero
Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale
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Spirito
Cristo Re, il cosmo divino contro il caos infernale. Omelia di Mons. Viganò
Renovatio 21 pubblica l’omelia nella festa di Cristo Re dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò.

Israël es tu Rex
Omelia nella festa di Cristo Re
Israël es tu Rex,
davidis et inclyta proles;
nomine qui in Domini,
Rex benedicte, venis.
D’Israele Tu sei il Re,
di David la nobile prole;
Tu che vieni, Re benedetto,
nel Nome del Signore.
Teodolfo di Orléans,
Inno Gloria laus et honor.
Gloria, laus et honor tibi sit, Rex Christe Redemptor. Al canto di questo inno antichissimo, intonato nella Domenica delle Palme dinanzi alle porte serrate della chiesa, la processione del clero e dei fedeli entra solennemente nella nuova Gerusalemme, spalancandone i robusti battenti con il triplice colpo della Croce astile.
La suggestiva cerimonia della seconda Domenica di Passione rievoca l’ingresso trionfale di Nostro Signore nella Città santa, di cui era figura l’ingresso di Salomone (1Re 1, 32-40). Essa ha dunque un’indole eminentemente regale, perché con questa presa di possesso del Tempio, Egli è riconosciuto e osannato come Dio, come Messia e come Re dei Giudei: il Cristo, Χριστός, l’Unto del Signore. La Sua divina Regalità era già stata testimoniata e onorata dai Magi, nella grotta di Betlemme: con l’oro al Re dei Re, l’incenso al Dio Vivo e Vero, la mirra al Sacerdote e Vittima.
Poco meno di cent’anni fa, l’11 Dicembre 1925, il grande Pontefice lombardo Pio XI promulgò l’immortale Enciclica Quas primas, nella quale è definita la dottrina della universale Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo: Egli è Re in quanto Dio, in quanto discendente della stirpe regale della tribù di Davide e per diritto di conquista mediante la Redenzione.
L’istituzione di questa festa non ha in verità introdotto nulla di nuovo. Essa è stata voluta da Pio XI per contrastare e combattere la peste del liberalismo laicista, il massonico Libera Chiesa in libero Stato e la folle presunzione di estromettere Gesù Cristo dalla società civile. Pio XI non fu il solo a ribadire solennemente la dottrina cattolica: prima di lui Clemente XII, Benedetto XIV, Clemente XIII, Pio VI, Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XIV, Pio IX, Leone XIII e San Pio X avevano severamente condannato le logge segrete, la carboneria, la Massoneria e tutti gli errori che i nemici di Cristo avevano sparso e alimentato nel corso degli ultimi due secoli.
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Dopo la grande frattura del Protestantesimo nel Cinquecento, i tre secoli successivi hanno visto affrontarsi in una serie di terribili battaglie la Chiesa Cattolica e l’Antichiesa, cioè la Massoneria: da una parte, il Principe della Pace e le Sue schiere angeliche e terrene; dall’altra, la scelesta turba, la folla sciagurata, aizzata dai mercanti asserviti a Lucifero.
Il mito del «popolo sovrano» ha sepolto sotto le rovine della Rivoluzione secoli di civiltà cristiana, mostrando sino a quali aberrazioni l’uomo potesse giungere. I Martiri di questi secoli di violenze inaudite e di eccidi ancora impuniti ci guardano dai loro scranni in cielo, chiedendo giustizia per il sangue che essi hanno versato, e con il loro silenzio – quasi di notte oscura per la Chiesa, alla vigilia della sua passione – essi osservano increduli i papi di questi ultimi decenni deporre le armi spirituali e cooperare con i nemici di Cristo.
Da quegli scranni ci guardano anche i Pontefici guerrieri che – anche a costo della propria vita, come Pio VI, imprigionato da Napoleone e morto di stenti in carcere – seppero affrontare a testa alta i più feroci attacchi contro Dio, contro il Papato, contro la Gerarchia Cattolica, contro i fedeli. Se la Storia non fosse stata falsificata dai momentanei vincitori di questa guerra – come avviene ancora oggi – nelle scuole i nostri figli studierebbero non la presa della Bastiglia, non le menzogne dell’epopea del Risorgimento, non le gesta di mercenari cospiratori o di ministri corrotti, ma le fasi del genocidio contro i Cattolici delle Nazioni un tempo cristiane.
Quando venne istituita la festa di Cristo Re, la Chiesa Cattolica non poteva più avvalersi della cooperazione dei Sovrani cattolici, che nelle leggi civili e penali avevano fatto osservare i principi del Vangelo e della Legge naturale. La prima autorità dell’ancien régime a cadere fu infatti la Monarchia di diritto divino, che attinge alla Regalità di Cristo la potestà vicaria nelle cose temporali.
La seconda autorità cadde pochi decenni dopo, e fu quella dei pontefici asserviti alla Rivoluzione. Con la deposizione della tiara papale, Paolo VI suggellò l’abdicazione della potestà di Cristo nelle cose spirituali e la resa alle ideologie anticristiche e anticattoliche della Sinagoga di Satana. «Anche noi, più di ogni altro abbiamo il culto dell’uomo», disse Montini alla chiusura del Vaticano II (1). E sotto le volte della Basilica Vaticana echeggiarono queste parole: «La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità», parole che solo pochi anni prima avrebbero scandalizzato qualsiasi Cattolico.
Paolo VI – e con lui il predecessore Giovanni XXIII – furono gli iniziatori del processo di liquidazione della Chiesa di Cristo e su di essi incombe la responsabilità di aver disarmato la Cittadella e averne spalancate le porte per meglio farvi entrare il nemico, salvo poi ipocritamente denunciare che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio» (2). E nulla si salvò da quell’operazione di disarmo: né la dottrina, né la morale, né la liturgia, né la disciplina.
Così venne sfigurata anche la festa di Cristo Re, la cui data fu spostata alla fine dell’anno liturgico, assumendo una valenza escatologica: Cristo Re del mondo a venire, non delle società terrene. Perché la Signoria del Verbo Incarnato non doveva rappresentare un ostacolo al dialogo con «l’uomo contemporaneo» e con l’idolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
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I fautori di questo smantellamento suicida ebbero a rallegrarsi che finalmente si fosse posto fine al trionfalismo postridentino di una Chiesa che voleva convertire il mondo a Cristo, e non adattare la divina Rivelazione all’antievangelo dell’Antichiesa; di una Chiesa che onorava il proprio Signore come Re universale e a Lui voleva condurre tutte le anime, perché nel regnum Christi esse potessero vivere nella pax Christi.
Scelesta turba clamitat: regnare Christum nolumus (3) – cantiamo nel magnifico inno della festa odierna – La folla scellerata schiamazza: Non vogliamo che Cristo regni! Questa bestemmia è il grido di battaglia delle orde di Lucifero, dei figli delle tenebre; lo stesso grido che risuonò quando lo spirito ribelle e orgoglioso di Satana vomitò il suo Non serviam. Un grido che sovverte il κόσμος divino, fondato in Nostro Signore Gesù Cristo, nel Dio incarnato per obbedienza all’Eterno Padre, e per obbedienza morto sulla Croce propter nos homines et propter nostram salutem.
Alla fine dei tempi, ormai prossima, l’Anticristo contenderà a Cristo proprio la Sua universale Signoria, cercando di sedurre i popoli con prodigi e falsi miracoli, addirittura simulando la propria resurrezione. Affascinante, seducente, simulatore, orgoglioso, pieno di sé, l’Anticristo combatterà la Santa Chiesa senza esclusione di colpi, ne perseguiterà i Ministri e i fedeli, ne adultererà la dottrina, ne corromperà i chierici facendone dei propri servi.
Quello che vediamo accadere nella sfera civile e religiosa da almeno da due secoli, in un continuo crescendo, è la preparazione di questo piano infernale, volto a spodestare Nostro Signore, a rifiutarLo come Dio, come Re e come Sommo Sacerdote, a calpestare empiamente l’Incarnazione e l’opera della Redenzione.
Con la festa di Cristo Re noi cooperiamo al ripristino dell’ordine, del κόσμος divino contro il χαός infernale. Restituiamo a Cristo la corona che già Gli appartiene, lo scettro che Gli ha strappato la Rivoluzione. Non perché stia a noi rendere possibile la restaurazione dell’ordine, di cui sarà artefice unico Nostro Signore, ma perché non è possibile prendere parte a questa restaurazione senza che noi vi contribuiamo.
Ai tempi della prima Venuta del Salvatore, il regno di Israele e il tempio non avevano né un Re legittimo, né legittimi Sommi Sacerdoti: l’autorità civile e religiosa era ricoperta da personaggi di nomina imperiale. Nella seconda Venuta alla fine del mondo questa vacanza dell’autorità sarà ancora più evidente, perché Nostro Signore ricomporrà in Sé tutte le cose – Instaurare omnia in Christo (Ef 1, 10) – in un momento storico in cui sarà il Male a dominare in tutti gli ambiti della vita quotidiana, in tutte le istituzioni, in tutte le società.
E sarà una vittoria trionfale, schiacciante, totale, inesorabile, su tutte le menzogne e i crimini dell’Anticristo e della Sinagoga di Satana.
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Facciamo nostra la preghiera dell’inno Te sæculorum Principem:
O Christe, Princeps Pacifer,
Mentes rebelles subjice:
Tuoque amore devios,
Ovile in unum congrega.
O Cristo, Principe che porti la vera Pace: sottometti le menti ribelli e riunisci in un solo ovile quanti si sono allontanati dal Tuo amore. E così sia.
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
26 Ottobre MMXXV
D.N.J.C. Regis
Dominica XX post Pent., ultima Octobris
NOTE
1) Cfr. Discorso di Paolo VI alla IX Sessione Pubblica del Concilio Vaticano II, 7 Dicembre 1965.
2) Paolo VI, Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1972.
3) Inno Te sæculorum Principem nella festa di Cristo Re.
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Immagine di Dominikosaurus via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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