Pensiero
All’ombra del paganesimo papale

Considero Corrado Guzzanti uno tra i più grandi artisti italiani, e da decenni. Lo ho scritto varie volte anche su queste pagine.
Il suo genio è tale che ho sopportato anche la cifra anticristiana di molti suoi sketch del passato. Avevo notato che c’era sempre qualcosa di eccessivamente acido, come se fosse in cerca di una vera dimensione di blasfemia, anche quando, di questi tempi, essa non è più interessante.
Tuttavia, c’è da dire che la verve comica anticattolica ad un certo punto generò un personaggio interessante, Padre Pizarro. Egli è l’emblema del prete modernista, che non crede più a nulla (al punto che non sa nemmeno bene cosa sia il crocefisso che ha al collo: «‘na specie de più»), che è imbevuto di teorie moderne che ritiene abbiano sepolto la credenza nella religione («teoria dee superstringhe, «buchi neri supermassivi… quasar, pulsar, oceani de materia oscura, de fasci neutrini, de antimateria», etc.), che considera la chiesa moderna come un grande spettacolo, al pari delle serie TV tipo Il trono di spade, che, ad un certo punto, stava per soffiare al Vaticano il personaggio di Padre Georg Gaenswein.
Padre Pizarro mi è stato citato da un sacerdote tradizionalista, il più acuto che abbiamo, in una recente conversazione: lo considera un esempio perfetto, molto realistico, dell’odierno zeitgest pretesco. Non credono più a nulla, e lo dicono pure, non se ne vergognano. Con più o meno capacità, «gestiscono» qualcosa di indefinito, una baracca che è toccata loro in sorte. Non è sbagliato farsi scappare una risata.
Non è Padre Pizarro però lo sketch anticattolico che più mi ha colpito dell’opera di Guzzanti.
Attorno all’era Monti, se n’era uscito con un altro programma TV, non riuscitissimo. Del resto fa così: forse per questioni interiori, sparisce per lunghi periodi, dove sembra meditare personaggi e scenette, talvolta con una profondità inopportuna.
Ecco che tra i tanti siparietti, non tutti divertenti, ne salta fuori uno disturbante.
Guzzanti interpreta papa Ratzinger, allora regnante, che scende delle cupe scale, inabissandosi nei sotterranei vaticani con in mano una candela. Il papa mormora fra se, con stridulo accento tedesco, alcune frasi. «La khiesa è in crande difficoltàh… gli skantali ci stanno tvavolgendoh»
Quindi vediamo Ratzinger tirare fuori da un muro statuine di divinità pagane antiche.
«Tuh Minervah, tea tella sapienzah, concedimi il lume della tua saccezzah… e tuh Marte, Tio della Gveva, fai a pezzi i miei nemicci attei e blasfemi… e tuh cupido, smetti di scagliare fvecce tra omo e omo».
«O antiki dei… vi abbiamo copevto per dvemila anni dietvo qvesto monoteismo di facciata, lasciandovi in pacce, come d’accovdo… adesso solennemente vi implovo, tovanate per un solo giorno al vostvo posto»
Lo sketch non fa ridere – oggi soprattutto, ma neanche allora. Il significato pesantissimo della scenetta, immagino, è che la chiesa ha esaurito il suo potere, e incapace di capire come fare, invece che rivolgersi a Dio – che ovviamente non esiste, è la finzione baracconesca tenuta in piedi dai padre Pizarro – tenta di ripiegare sugli dèi del paganesimo.
Guzzanti, anche in questo caso, ha più ragione di quanto non sappia.
Quella che per lui è satira anticattolica, è verità accertata. Lo è oggi, ma lo era anche quando pensava lo sketch. Da «laico» egli non può comprenderlo. Del resto, se lo capisse, non cercherebbe di farne spezzoni divertenti: perché quando la realtà è più deformata della finzione comica, c’è poco da ridere.
Ora, che il ritorno del paganesimo sia una cifra del papato di Bergoglio, crediamo non è più disputabile.
Ricordiamo, per esempio, lo spettacolo di videomapping sulla Basilica di San Pietro del dicembre 2015.
Animali, bestie feroci, proiettate sulla Santa Sede – ecco la scimmia, che secondo la, fino a poco fa, era una bestia che si associava al Diavolo (simia Dei) e da cui certamente l’uomo non discende. Ecco il leone – questo particolarmente interessante, perché San Pietro sorge laddove i cristiani, pur di non abiurare alla Vera Fede, accettavano di essere sbranati. Un’immagine che sa di vendetta. A produrre, una congerie di sigle, alcune con nomi di divinità pagane, con qualche nome interessante che spunta, come quello di un Rothschild.
Rammentiamo la storia della Pachamama.
La divinità amazzonica che doveva riassumere la portata «sudamericana» del nuovo papato, perché al contempo dea della Terra – quindi «ecologica», surrogato indio di Gaia, il malevolo titano greco adotatto dall’ambientalismo occidentale – e della giungla, dove le fiere sbranano gli uomini, e gli uomini vivono come selvaggi (con qualche parroco in cerca della dispensa per il cuncubinato amazzonico, ma questa è un’altra storia).
L’avvento della Pachamama nei discorsi religiosi fu sconvolgente. Preghiere alla Pachamama, lo sappiamo, arrivarono anche nelle parrocchie più semplici – arrivarono soprattutto là, con milioni di fedeli che, probabilmente, sono andati quindi in chiesa per pregare un idolo pagano.
L’istituzione del culto della Pachamama non è stato un affare secondario per il Vaticano. Quando a fine ottobre 2019 un giovane cattolico austriaco prese le statuette della Pachamama disposte nella chiesa di Santa Maria Traspontina e le buttò nel Tevere, fu scioccante vedere la reazione: fu comunicato, praticamente subito, il ritrovamento da parte dei Carabinieri.
Un attimo: hanno mandato i carabinieri a recuperare gli idoli?
E volete dirci che le hanno ritrovate davvero? Bisogna quindi riaggiornare Eraclito: «non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume… ma trovare nello stesso punto le effigi della Pachamama sì». Tutto scorre, tranne le Pachemame – grazie ai caramba.
Chi ha trovato la storia incogrua, ha dovuto ricredersi. Perché a parlarne fu lo stesso papa Bergoglio, che «come vescovo della diocesi», chiese «perdono alle persone che sono state offese da questo gesto».
Insomma: ne parla il Pontefice stesso. È coinvolta l’Arma dei Carabinieri. Viene annunciata ai media l’integrità dei simulacri pagani spariti.
A questa Pachamama, anzi, al suo culto, la nuova chiesa cattolica sembra tenerci tantissimo. Troppo.
È stato notato che le statuette della dea sudamericana, che «erano lì senza intenzioni idolatriche» ( incredibile excusatio non petita dalle auguste labbre dello stesso Bergoglio), stavano a Santa Maria Traspontina, ai limiti del Vaticano. Perché dicevano i fini osservatori, non avevano ancora il coraggio di portare un culto pagano dentro le Sacre Mura. Ci sarebbero arrivati per Draghi, come in una finestra di Overton dello stradario Roma-Vaticano.
Invece, almeno un vero rito pagano nel Sacro Palazzo c’era già stato. Non parliamo della famosa leggendaria Messa Nera che si sarebbe tenuta mezzo secolo fa, ma di un episodio molto recente.
Nell’estate 2017 si tenne una serata di spettacoli giapponesi in Vaticano. L’occasione, par di capire, era la celebrazione del 75° anniversario dei rapporti diplomatici fra lo Stato Città del Vaticano e il Giappone.
La compagnia del tradizionale Teatro Nō era in Italia per una data al Teatro Olimpico di Vicenza, dove presentava il dramma classico Hagoromo a cui aggiungeva un secondo momento dello spettacolo, chiamato Okina.
Resurrezione di Cristo – Okina / Teatro Nō: Vatican Kangin Noh https://t.co/otLQ3uoAKD pic.twitter.com/JHrqfEkttP
— Persinsala (@persinsala) July 5, 2017
Okina, leggiamo nelle comunicazioni date a Vicenza all’epoca «non è, propriamente, uno spettacolo di Teatro Nō (…)Si tratta, piuttosto, di una rappresentazione rituale in cui gli attori interpretano delle divinità, che danzano per la pace e la prosperità».
«Il rituale inizia ancor prima dell’entrata in scena. L’interprete di Okina deve purificarsi prima di iniziare la rappresentazione, preparando il corpo e la mente. Tra le offerte che vengono presentate all’altare ci sono il men-bako (il baule delle maschere) che contiene le maschere usate per la rappresentazione e il sake che viene usato per il rituale».
«Okina ha l’atmosfera del tutto particolare e il pubblico diviene testimone di una cerimonia sacra che lo introduce in un’aura mistica e sacrale».
Un rituale. Una cerimonia. Una funzione religiosa. Insomma: un atto pagano, un rito di un culto non cristiano. Dentro al Vaticano.
Praticamente, fummo i soli al mondo ad esserne sconvolti, anche solo per il fatto che lo scoprimmo vedendone un breve video dal profilo Instagram di un’amica che vi aveva partecipato. Di tracce di questo evento ce ne sono pochissime.
Tuttavia, è successo. Rito pagano in Vaticano. Laddove c’erano coloro che avevano combattuto e vinto il paganesimo, sono tornati i seguaci degli altri dèi. Laddove c’è la casa dei cristiani, hanno rimesso i leoni. Il principio ci è chiarissimo.
Ora, qualcuno si sta scandalizzando per questo «rito di purificazione» degli indiani canadesi (pardon, first people) al quale si sarebbe sottoposto Bergoglio, arrivato laggiù per chiedere scusa (sport nazionale della chiesa conciliare, et pour cause) per quella che pare proprio essere una bufala smontata poco tempo fa: il genocidio di bambini autoctoni da parte delle istituzioni cattoliche.
Ma che importa se non è vero? Oramai sappiamo che la verità, come la realtà, non sono fondamentale: fatti il vaccino di due anni fa in tre dosi, anche per le varianti nuovissime. Non rileva nulla che non ha senso alcuno: fallo e basta, altrimenti ti licenzio. E il papa, il lettore lo sa bene, è esattamente di questa partita.
Pope Prepares For Meeting With Elizabeth Warren • WASHINGTON, D.C. — Pope Francis donned a traditional Cherokee Indian headdress this week in preparation for a meeting with Native American Congresswoman Elizabeth Warren. pic.twitter.com/cmOWeafAGA
— The Pink Elephant in the Room (@PEITRblog) July 27, 2022
Quindi, eccotelo a chiedere scusa per una fake news anticattolica, una poverissima leggenda nera istantanea. O forse, il papa, sta facendo qualcos’altro? Non è che sta chiedendo scusa perché i suoi predecessori hanno convertito gli indiani? Non è che, quindi, sta chiedendo scusa al paganesimo?
La foto del papa gesuita con il copricapo pennuto dice tantissimo, sì. L’aspetto pateticamente carnevalesco, così plasticamente espresso, è quello che ci dice meno.
Quello che sentiamo dirci dal papa, a chiare lettere, è che il paganesimo deve ritornare.
Questo è il papato del ritorno del paganesimo. Dubbi a riguardo, non possono essercene.
Il lettore potrebbe chiedere: ma quindi, che senso ha questo paganesimo papale?
Ebbene, la risposta che troverete su Renovatio 21 la potete immaginare. Che cos’è il paganesimo? In termini semplici, è un culto in cui l’uomo è sottomesso ad una moltitudine di esseri potenti e capricciosi, dove non è Dio che si sacrifica per l’uomo (come Nostro Signore Gesù Cristo) ma è l’uomo che deve sacrificare agli dèi.
E cosa deve sacrificare l’uomo alle divinità pagane?
Beh, lo sapete, qual è il sacrificio più prezioso che si possa offrire: è il sacrificio umano.
Il sacrificio dei bambini, soprattutto. Come ai tempi di quel dio pagano chiamato Moloch, ma anche di molti altri, di tutti gli altri dèi di ogni culto precristiano. E postcristiano.
Il lettore può aver capito cosa lega l’aborto, la pedofilia, le vaccinazioni pediatriche, il suicidio medico e il nuovo corso della Chiesa. Tutto questo è un unico vero disegno, è il problema dell’ora presente.
Ne parliamo spesso qui, fino alla nausea. Siamo nel tempo del ritorno del sacrificio umano.
Qualcuno lassù deve averlo capito: se torna il paganesimo, torna anche il sacrificio umano. È questo è l’obbiettivo finale.
Un mondo in cui la dignità dell’uomo – questa cosa preziosa, insegnata ai cristiani da Dio stesso – è finalmente tolta di mezzo. Cancellata. Resa spendibile. Puoi sfruttare l’uomo (la donna, il bambino, il vecchio) come desideri: sfruttarlo, stuprarlo, schiavizzarlo, ingannarlo. Ucciderlo, se ti va. O, ancora meglio: convincerlo a uccidere, ad uccidersi – legalmente.
Di questo stiamo parlando: della perversione di ogni fibra dell’essere umano. Della Necrocultura. Della dimensione, oramai raggiunta, dove si potrà dare la morte a piacere. E quindi, procedere con quantità massive di sacrifici umani.
Questo è quello che vogliono gli «dèi». Ve lo abbiamo già raccontato. In Ucraina oggi ciò è divenuto piuttosto visibile.
Ma chi sono questi dèi?
Qui possono rispondere le scritture. Salmo 95, versetto 5: Omnes dii gentium daemonia, «gli dèi dei gentili sono demoni». Questo versetto è oggi tradotto dalla Bibbia CEI come «Tutti gli dèi delle nazioni sono un nulla». Capito: non sono demoni. Sono «un nulla». Non esistono.
Adesso realizziamo: si tratta di negare la loro esistenza, per spalancare loro la porta e lasciarli di nuovo liberi nel mondo degli uomini. Il pastore che invita il lupo, lo evoca, e gli indica il gregge.
Il mondo ri-paganizzato (dall’ecologismo, dal modernismo e dall’idolatria tout court promossa dal paganesimo papale) non può che riportare in superficie i vecchi prìncipi di questo mondo, assetati di sangue più che mai dopo la lunga pausa.
Sono gli esseri a cui l’umanità assassina e pervertita non può che finire a consacrare i suoi figli sopravvissuti.
La ripaganazzazione è la ri-possessione diabolica del mondo – con il contorno di milioni di sacrifici umani.
Questo pare proprio essere il compito del Vaticano bergogliano.
Fino a quando il Signore della Vita non lo spazzerà via.
Roberto Dal Bosco
Pensiero
Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.
L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.
Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.
Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.
Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.
Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.
Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.
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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.
Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.
Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.
Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.
Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.
I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.
Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».
Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.
Patrizia Fermani
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Pensiero
Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Pensiero
La questione di Heidegger

Negli scorsi mesi è scoppiata sul quotidiano La Verità una bizzarra diatriba riguardo ad un pensatore finito purtroppo per essere centrale nel nostro panorama filosofico accademico, Martin Heidegger (1889-1976), già noto per la collaborazione con il nazismo e per l’adulterio consumato con la celebre ebrea Hannah Arendt, all’epoca sua studentessa, e da alcuni, per qualche ragione, considerato come un filosofo «cattolico».
Un articolista con fotina antica a nome Boni Castellane (supponiamo si chiami Bonifazio, ma lo si trova scritto così, con il diminutivo, immaginiamo) ha cominciato, con un pezzo importante, a magnificare le qualità dell’Heidegger lo scorso 17 agosto:«Omologati e schiavi della Tecnologia – Heidegger ci aveva visti in anticipo».
Giorni dopo, aveva risposto un duo di autori, tra cui Massimo Gandolfini, noto, oltre che la fotina con il sigaro, per aver guidato (per ragioni a noi sconosciute) eventi cattolici di odore vescovile, che come da programma non sono andati da nessuna parte, se non verso la narcosi della dissidenza rimasta e il compromesso cattolico. Sono seguite altri botta e risposta sul ruolo del «sacro» secondo l’Heideggerro e la sua incompatibilità con il cristianesimo.
Il Gandolfini e il suo sodale scrivono, non senza ragione, che «il dio a cui si riferisce Heidegger non è il nostro». Una verità non nota agli intellettuali cattolici che, in costante complesso di inferiorità nei confronti del mondo, hanno iniziato ad importare il pensatore tedesco dalle Università italiane – dove ha tracimato, dopo un progetto di inoculo sintetico non differente da quello avutosi con Nietzsche – per finire addirittura nei seminari.
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Il progetto, spiegava anni fa Gianni Collu al direttore di Renovatio 21, era del tutto identico a quello visto con Nietzsche, recuperato dall’ambito della cultura nazista, purgato nell’edizione Adelphi di Giorgio Colli e Mazzino Montinari – la cura dell’opera omnia nicciana arriva prima in italiano che in tedesco! – e servito alla massa del ceto medio riflessivo italiota, e mondiale, per distoglierlo dal marxismo e introdurre elementi di irrazionalismo e individualismo nichilista nella vita del popolo – di lì all’esoterismo di massa, il passo diventa brevissimo.
Con Heidegger si è tentato un lavoro simile, ma Collu aveva profetizzato allo scrivente che stavolta non avrebbe avuto successo, perché era troppo il peso del suo legame con l’hitlerismo, e troppa pure la cifra improponibile del suo pensiero. Di lì a poco, vi fu lo scandalo dei cosiddetti «Quaderni neri», scritti ritenuti inaccettabili che improvvisamente sarebbero riemersi – in verità, molti sapevano, ma il programma di heidegerizzare la cultura (compresa quella cattolica) imponeva di chiudere un occhio, si vede. Fu ad ogni modo divertente vedere lo stupore di autori e autrici che avevano dedicato una buona porzione della carriera allo Heidegger – specie se di origini ebraiche.
L’incompatibilità di Heidegger – portatore di una filosofia oscura e disperata – con il cattolicesimo è, comunque, totale. Di Heidegger non vanno solo segnalati i pericoli, va combattuto interamente il suo pensiero, che altro non è se non un ulteriore sforzo per eliminare la metafisica, e quindi ogni prospettiva non materiale – cioè spirituale – per l’uomo.
Molto vi sarebbe da dire sul personaggio, anche a partire dal suo dramma biografico. Lasciamo qui la parola al professor Matteo D’Amico, che ha trattato il tema dell’influenza di Heidegger nel mondo cattolico, e la difformità di questo personaggio e del suo pensiero, in un intervento al Convegno di studi di Rimini della Fraternità San Pio X nel 2017.
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Immagine di Landesarchiv Baden-Württemberg, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 060680b / Fotograf: Willy Pragher via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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