Spirito
A Dio monsignor Williamson. Un ricordo personale
Mons. Williamson, la mia personale esperienza
«È in atto la più feroce guerra contro Dio nella storia, ma noi dobbiamo resistere, pregare sempre il Rosario, e così non dovremo temere nulla. Tratta bene tua moglie, Cristiano, amala sempre perché tu sei le braccia e la mente della tua famiglia, ma lei…lei è il cuore, la donna è il cuore pulsante della famiglia!».
Era un pomeriggio uggioso dello scorso ottobre, e queste sono le ultime parole che Sua Eccellenza Monsignor Richard Williamson mi ha rivolto personalmente per l’ultima volta. Ricordo come se avessi qui davanti quella situazione, sulle colline reggiane: uscito dal lavoro, andai a salutarlo perché il giorno dopo sarebbe partito per Roma, e qualche giorno dopo ancora sarebbe tornato in Inghilterra.
Mentre mi avvicinavo alla stanza in cui alloggiava, a casa di amici sacerdoti, lo intravidi dal vetro della sua stanza, in penombra, intento ad osservare fuori, con lo sguardo profondo che lo caratterizzava, quel piccolo panorama che tutto sommato poteva ricordargli benissimo Londra. Mi fece cenno di entrare, ed io così feci. Il vescovo, con la sua stazza possente, stava seduto su una seggiola, con le luci della stanza spente, e quella scarsa luce del giorno a dare un poco di illuminazione intorno. Al suo fianco c’era un grosso confessionale antico, luogo dove si incontra l’infinita Misericordia di Dio.
Monsignore fece cenno di sedermi di fronte a lui, ma chiedendomi di aspettare un momento: mostrò il Rosario, come a farmi capire che stava finendo di recitarlo e dovevo attendere un attimo, perché le cose di Dio sono sempre più importanti di ogni dialogo umano. Ci intrattenemmo poi per circa una quarantina di minuti, che però parevano un’infinità, e avrei voluto poter disporre di altro tempo ancora. Fu un dialogo lento, con tanti sospiri di Sua Eccellenza. Sembrava quasi preoccupato di dover lasciare presto questo mondo, in preda ai più grandi delirii.
Tuttavia non mancarono parole di conforto e di speranza. Parole essenziali, profondamente religiose, profondamente cattoliche, profondamente umane. Proprio come quelle che ho citato all’inizio: quelle ultime parole, in quell’ultimo lascito che ho avuto la grazia di avere da monsignor Williamson, c’è tutto ciò che un uomo ha da sapere sulla Fede, tutto ciò che un uomo ha da sapere sui suoi doveri principali.
L’umanità di un vescovo e di un padre
Umanità, tanta umanità, ma quell’umanità che è rappresentata perfettamente nell’umanità di Nostro Signore Gesù Cristo, e che monsignor Williamson, aldilà delle apparenze e delle vacue narrazioni sul suo conto, ha saputo veramente riconoscere.
Ed è proprio in questo modo che vorrei ricordare e parlare del vescovo inglese, che il 29 gennaio scorso ha reso l’anima a Dio. Non voglio parlare di ciò che ha fatto, delle cariche che ha ricoperto, dei suoi ruoli, diciamo, «istituzionali»: c’è chi può farlo sicuramente meglio di me, che vorrei invece presentare la mia esperienza personale come persona che ha avuto la vera grazia, insieme alla mia famiglia, di stare qualche volta a stretto contatto con Williamson.
Ricordo bene di quando, nell’ormai lontano 2019, dopo l’importante conferenza che tenne ad inizio giugno a Reggio Emilia, venne a pernottare a casa nostra: l’indomani mattina, dandoci appuntamento alle 08:00 per la colazione, iniziò a parlarmi dell’usignolo che aveva sentito cantare fuori per quasi tutta la notte. Ne rimase talmente colpito, che me ne continuò a parlare per gli anni a venire, chiedendomi, di anno in anno, che fine avesse fatto quell’usignolo dal canto melodioso e armonico che il vescovo, da grande conoscitore ed estimatore della musica classica, aveva saputo riconoscere e premiare all’interno delle sue memorie.
Mio figlio Tommaso, a quel tempo, aveva da poco compiuto due anni, ma era già un grande chiacchierone rumoroso. In quella famosa colazione però, mentre Sua Eccellenza trattava di canti di usignoli, lui rimaneva muto, quasi terrorizzato dalla imponente presenza del vescovo britannico, il quale tuttavia non mancava di mostrare sorrisi e le sue tipiche buffe facce a mio figlio.
Poco dopo lo accompagnammo in un luogo che voleva vedere da tempo, ma che riuscì a visitare pienamente solo qualche anno dopo, poiché quella volta trovammo chiuso: il Castello di Canossa. Arrivati ai piedi delle mura, una volta constatato che il castello era chiuso alle visite, mi guardò seriamente e mi disse: «Se vuole e se ha confidenza, può comunque dire a don Davide Pagliarani (il Rev.do Pagliarani era da poco diventato Superiore Generale della FSSPX, nda), che Mons. Williamson ha provato a recarsi a Canossa, ma ha trovato chiuso!», lasciandosi poi andare ad una sua tipica risata british. Qualche giorno dopo. effettivamente, riferii per telefono a don Davide Pagliarani, il quale a sua volta si lasciò andare ad una sana e sincera risata.
Dietro a quell’apparente burbera freddezza inglese di un grande teologo e di un ottimo insegnante di filosofia quale era don Williamson, vi era – e nemmeno troppo nascosto – un grande cuore, un padre caritatevole e generoso. Nonostante le sue posizioni, che a volte possono essere sembrate dure per dovere di intransigenza verso l’errore, non ha mai arrogato in un discorso personale, la presunzione di avere la patente di un cattolico perfetto.
La lungimiranza sui temi attuali
Williamson ha saputo però uscire dal guscio del solo tradizionalismo, che si occupa spesso di tanti importanti cavilli, ma senza guardare ad alcuni problemi reali, pratici, imminenti, bioetici. È stato uno dei pochi vescovi a denunciare alcune specifiche cose create contro la vita umana e, quindi, contro Dio che ne è il Creatore e Signore.
Pensiamo al tema dei vaccini, del COVID, della massoneria, e di tanti altri temi che gli sono costati cari umanamente. Ha saputo sempre vedere, con grande anticipo, i problemi contingenti e le insidie specifiche in cui le anime sarebbero potute cadere.
Non solo la crisi nella Chiesa – che certo è il fulcro di tutto – ma anche situazioni più particolari e attuali. Ha sempre indovinato tutto? Certamente no, d’altronde il suo ruolo non era quello dell’indovino, ma certo ha saputo mettere in guardia da tanti pericoli, denunciandoli apertamente e senza reticenze. D’altronde, il 7 aprile del 2012, con una lettera scritta insieme ad altri due vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X mise in guardia il Consiglio Generale della Fraternità ed il Superiore stesso dal pericolo imminente di un accordo con Roma, opponendosi pubblicamente e, di fatto, contribuendo a sventare il reale pericolo che si stava paventando.
Semplicità e pragmatismo episcopale
Tanta lungimiranza e profondità di pensiero nel vescovo Williamson, ma anche tanta semplicità e pragmatismo. Per chi ha potuto conoscerlo, specialmente negli ultimi anni, sa quanto fosse diventata preponderante, nelle parole ma di conseguenza anche nella coerenza dei fatti, l’esigenza di avere «vescovi selvaggi».
Esattamente così li chiamava lui, «vescovi selvaggi». Secondo monsignor Williamson era fondamentale lasciare a questa terra dei vescovi, capaci di muoversi autonomamente in più parti del mondo per rispondere al colossale vuoto e baratro in cui versa oggi la Chiesa minata nella più profonda delle crisi. Qualcuno, forse comprensibilmente, ha visto come un’esagerazione le totali sei consacrazioni episcopali fatte dal 2015 ad oggi per mano del vescovo inglese, ma chi lo ha conosciuto, chi ha capito il suo pensiero, piaccia o non piaccia, non può non comprenderne davvero le ragioni.
La Chiesa versa in un tale stato di gravità, esponendo le anime ad un tale pericolo, che per Williamson era fondamentale lasciare dei ripari, dei vescovi selvaggi che potranno ordinare, confermare e accrescere la pastorale e le missioni fra le migliaia di fedeli ancora cattolici che vogliono questo, che hanno fondamentale bisogno di questo. Lo stanno, di fatto, già facendo: supplire, «selvaggiamente», a ciò che ora la Chiesa non riesce a dare per la mancanza di un vertice veramente cattolico.
Quando manca l’autorità, o peggio è acciecata, non esiste una ricetta giusta, e nessuno può pretendere di averla. Avrà avuto ragione Williamson? Non possiamo saperlo. La storia lo dirà, o meglio ancora: Dio lo dirà.
So però per certo che nemmeno Sua Eccellenza ha mai pensato o presunto di aver intrapreso la scelta giusta e men che meno perfetta. Ha cercato però di fare tutto ciò che ha fatto per rimanere fedele a Dio, a Gesù Cristo, alla Tradizione della Chiesa, questo sì.
«La Resistenza è piena di difetti e imperfezioni – mi ripeteva spesso – perché chi ha cercato di costruirla è imperfetto in primis, ma in quanto vescovo cattolico dovevo cercare di fare qualcosa per rimanere fedele alla Chiesa, cercando di dare ciò di cui hanno bisogno le anime: dei vescovi, che a loro volta possano creare nuovi sacerdoti per dare i sacramenti e il confronto alle anime stesse».
Apostolo del Santo Rosario
Pragmatismo nel tentativo di dare soluzioni alla crisi nella Chiesa, ma anche nella vita della Fede stessa. Monsignore è stato un grande apostolo del Santo Rosario, considerata per lui l’arma principale, la preghiera perfetta. Più volte, durante le conferenze che abbiamo avuto la grazia di ospitare qui in Italia, le persone, al momento delle domande finali, hanno chiesto a lui soluzioni; cosa fare, come comportarsi per resistere a tutte le intemperie e tentazioni dalle quali siamo assaliti.
«Pregate il Santo Rosario, 15 misteri, tutti i giorni. Questo vi basterà! Perché lo ha promesso la Madonna» Così rispondeva lui, prodigandosi per far capire che la Fede Cattolica è più semplice di quanto la si creda, e che Dio si è rivelato umile agli umili, e non dotto ai dotti.
Fede, Speranza e profonda Carità ho toccato con mano in questo vescovo, un vero «vescovo dinosauro» (Dinoscopus era il soprannome a lui tanto caro, utilizzato anche per il suo indirizzo mail).
Commozione e consapevolezza
Tornando a quel pomeriggio uggioso dello scorso ottobre, ricordo come, all’interno del suo breviario, teneva il ricordino del suo confratello nel sacerdozio e nell’episcopato monsignor Bernard Tissier de Mallerais, venuto a mancare pochissimo tempo prima. Guardava quella foto, con occhi lucidi e qualche sospiro: «È stato davvero un bravo vescovo, prego tanto per lui». Tanta commozione, tanta carità, aldilà di tutte le posizioni che rimangono, di fatto, qualcosa di molto terreno.
Monsignor Williamson sapeva guardare verso il Cielo contagiando gli altri. Sapeva farlo anche descrivendo e facendo rivivere la figura del suo grande vescovo di riferimento, Monsignor Marcel Lefebvre, dal quale ha raccolto una grande eredità continuando per tutti gli anni del suo episcopato, fino a pochi giorni fa, a farla fruttare.
Lascia un grande vuoto, un enorme vuoto nel mondo della Tradizione Cattolica, nelle realtà piccole ma resistenti, come le tante presenti per il mondo e, grazie a Dio, anche in Italia. Lo lascia anche e soprattutto in me, nella mia famiglia, nei miei figli piccoli, che ieri non hanno voluto ascoltare canzoni né guardare cartoni, di loro spontanea iniziativa, «perché è morto monsignor Williamson e dobbiamo rispettare questo momento», mi hanno detto commuovendomi. Lo lascia in mia figlia di 4 anni, Gemma Linda, che tornato dal lavoro, quando Monsignore era ancora ricoverato in ospedale, mi ha accolto alla porta di casa mostrandomi un disegno fatto da lei dove ha rappresentato il vescovo mentre celebra la Santa Messa, alla quale, sempre rappresentato nel disegno, assistevano lei e la sua amichetta Rebecca. Questo e molto altro ha saputo ispirare, con grande sensibilità unita a rettezza, monsignor Richard Nelson Williamson.
E questo è il mio misero ma sincero lascito. Nessuno è santo anzitempo, e ora Monsignore si trova davanti al Giudizio di Dio, ed ha bisogno della Sua Misericordia — «Si iniquitates observaveris Domine, Domine quis sustinebit?»
Preghiamo per lui, per la sua anima, per ciò che qui sulla terra ci ha lasciato – vescovi e sacerdoti – e per tutti quelli con cui per tanti anni ha collaborato, al servizio delle anime e per la loro salvezza, nella speranza che lui possa pregare ed intercedere per noi, soprattutto per prendere da lui il grande esempio del coraggio e del senso preciso del martirio cristiano: ha preso posizioni forti nella sua vita, si è esposto, rischiando, nel vero senso della parola, la pelle. Eppur sempre rimanendo sereno, nel coraggio delle sue azioni, non barricandosi, non nascondendosi, non tirandosi mai indietro dall’enorme ministero che Dio, per mano dell’Arcivescovo Lefebvre, gli aveva affidato.
Possa, questa profonda comprensione e reale visione del martirio di cui Sua Eccellenza si è fatto nitido esempio, contagiare anche noi per essere semplicemente dei buoni e veri cristiani.
«Il Paradiso è una realtà. Questa vita è una realtà. E il fatto che sto per morire è una realtà; e il tribunale di Dio è una realtà» (Mons. Richard N. Williamson)
Cristiano Lugli
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Spirito
Due nuovi «santi» venezuelani riaccendono le tensioni tra Chiesa e Stato
Tralasciando il dubbio valore delle nuove procedure di canonizzazione, una doppia canonizzazione in Venezuela è diventata rapidamente una questione di Stato, rivelando le profonde fratture tra una Chiesa cattolica fortemente coinvolta nell’arena politica, a rischio di apparire come una forza di opposizione, e il potere chavista detenuto dal presidente Nicolas Maduro.
Per comprendere la storia, dobbiamo fare un passo indietro. Il 19 ottobre 2025, papa Leone XIV proclamò «santi» i primi due venezuelani nella storia del Paese: José Gregorio Hernández Cisneros, il «medico dei poveri», e María del Carmen Rendiles Martínez, fondatrice della comunità delle Serve di Gesù. L’evento divenne rapidamente un affare politico.
Nicolás Maduro, al potere dal 2013, non ha perso tempo a sfruttare la canonizzazione. Dopo la cerimonia nella casa-museo di José Gregorio Hernández, circondato da fedeli e autorità governative, il capo dello Stato ha rilasciato una serie di dichiarazioni sui social media: «Siamo felici per i nostri santi. Sono entrambi grandi! Il papa ha agito giustamente!», ha dichiarato, esprimendo «immensa, eterna gratitudine» al pontefice, che ha definito un «amico» e un «fratello».
E presentare l’evento come un gesto provvidenziale di fronte alle «minacce» che la «più grande potenza militare della storia» rappresenterebbe nei Caraibi, vale a dire gli Stati Uniti, che da diversi anni cercano invano di far cadere il regime chavista.
Il chavismo ha una lunga storia con la religione: Hugo Chavez ha invocato la cosiddetta Teologia della Liberazione per la sua «Rivoluzione Bolivariana». Il processo di canonizzazione, guidato con grande entusiasmo dal defunto Papa Francesco, è visto da Nicolas Maduro come una forma di benedizione per il regime.
Ma l’opposizione non è rimasta indietro. Maria Corina Machado, vincitrice del premio Nobel per la Pace 2025, un premio altamente politico, ed Edmundo Gonzalez, il candidato presidenziale fallito, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui José Hernández e Carmen Rendiles vengono descritti come «due santi per 30 milioni di ostaggi venezuelani», riferendosi al destino di 800.000 prigionieri «politici» e migliaia di esuli.
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«Questi santi esemplari, che hanno dedicato la loro vita al servizio degli altri, offrono speranza e consolazione in mezzo all’oscurità», scrivono, invocando un «miracolo imminente»: la caduta del regime chavista.
Temendo che la messa papale del 19 ottobre potesse suggerire una forma di approvazione per Maduro, il giorno seguente, durante una messa di ringraziamento a San Pietro, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede ed ex nunzio in Venezuela dal 2009 al 2013, ha pronunciato un’omelia in cui ha chiesto «di aprire le prigioni ingiuste, di spezzare le catene dell’oppressione, di liberare gli oppressi, di spezzare tutte le catene».
Il caso torna di attualità a Caracas: la «Festa della Santità», prevista per il 25 ottobre 2025 allo stadio Monumental Simon Bolívar , davanti a 50.000 fedeli e alla presenza di tutti i vescovi venezuelani, è stata annullata il 22 ottobre, ufficialmente per «problemi di sicurezza e capienza» – erano state registrate più di 80.000 iscrizioni mentre la capienza non supera i 40.000 posti: «È una questione di sicurezza, sarebbero stati necessari circa tre stadi», spiega uno dei portavoce dell’arcidiocesi.
Nell’arcidiocesi di Caracas si vociferava addirittura che il regime chavista intendesse noleggiare autobus per migliaia di sostenitori, trasformando l’evento in una dimostrazione di forza pro-Maduro. Il cardinale Baltazar Porras, arcivescovo emerito di Caracas, ha denunciato il 17 ottobre una situazione «moralmente inaccettabile»: «crescente povertà, militarizzazione come forma di governo, corruzione, mancanza di rispetto per la volontà popolare» e ha chiesto il rilascio dei prigionieri.
Nicolas Maduro rispose quattro giorni dopo: «Baltazar Porras ha dedicato la sua vita a cospirare contro José Gregorio Hernández (uno dei neo-canonizzati). È stato sconfitto da Dio, dal popolo». L’accesa discussione tra Chiesa e Stato – in un Paese in cui l’80% della popolazione è cattolica – arriva mentre gli Stati Uniti intensificano la pressione contro il regime chavista.
Lo schieramento di una grande flotta al largo delle coste del Paese, accompagnata da un sottomarino nucleare d’attacco, da caccia F-35 e dalla CIA ufficialmente autorizzata da Donald Trump a operare sul territorio venezuelano: si intensifica la pressione su un Paese economicamente rovinato dal bolivarianismo e che – per fortuna o per sfortuna? – è uno dei più dotati in termini di risorse petrolifere. Abbastanza da suscitare cupidigia.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di Guillermo Ramos Flamerich via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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