In questo articolo Meyssan cerca di focalizzare l’attenzione dei lettori su un fatto che gli Occidentali faticano a concepire: il popolo statunitense sta attraversando una crisi di civiltà. È a tal punto diviso che le elezioni presidenziali hanno non solo lo scopo di eleggere la guida del Paese ma anche di stabilire cosa gli USA devono essere: impero o nazione? Nessuno dei due schieramenti può accettare di essere sconfitto ed entrambi potrebbero addirittura ricorrere alla violenza per imporre il proprio punto di vista.
Geopolitica
Gli USA sull’orlo della guerra civile
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire con traduzione di Rachele Marmetti. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Gli Stati Uniti si dividono in due campi che si sospettano reciprocamente di avere in preparazione un colpo di Stato. Da un lato il Partito Democratico e i Repubblicani-fuori partito, dall’altro i jacksoniani, divenuti maggioranza in seno al Partito Repubblicano senza tuttavia condividerne l’ideologia
Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali gli Stati Uniti si dividono in due campi che si sospettano reciprocamente di avere in preparazione un colpo di Stato. Da un lato il Partito Democratico e i Repubblicani-fuori partito, dall’altro i jacksoniani, divenuti maggioranza in seno al Partito Repubblicano senza tuttavia condividerne l’ideologia.
È bene rammentare che già a novembre 2016 una società di manipolazione mediatica, diretta dal maestro dell’Agit-Prop, David Brock, raccolse 100 milioni di dollari per distruggere l’immagine del presidente appena eletto, ancor prima della sua investitura (1).
A partire da questa data, ossia da prima che Donald Trump potesse agire, la stampa internazionale l’ha descritto come incapace e nemico del popolo. Alcuni giornali hanno persino incitato al suo assassinio. Nei quattro anni successivi la sua stessa amministrazione l’ha costantemente denunciato quale traditore al soldo della Russia, mentre la stampa internazionale non ha mai smesso di criticarlo violentemente.
Ora un altro gruppo, il Transition Integrity Project (TIP), pianifica scenari per abbattere Trump, sia che vinca o non vinca le elezioni 2020. La questione ha assunto rilievo nazionale dopo che la fondatrice del TIP, la professoressa Rosa Brooks, si è spesa in un lungo articolo sullo Washington Post, di cui è titolata collaboratrice (2).
A giugno scorso il TIP ha organizzato quattro giochi di ruolo. Ha simulato diversi risultati per prevedere le reazioni dei due candidati. I partecipanti erano tutti Democratici e Repubblicani («Repubblicani» in senso ideologico, non di appartenenza al partito); non c’era un solo jacksoniano. Non stupisce quindi che queste personalità abbiano concordemente ritenuto che «l’amministrazione Trump abbia regolarmente minato le norme fondamentali della democrazia e dello stato di diritto. Ha inoltre spesso adottato prassi corruttive e autoritarie». Da qui la conclusione che, poiché Trump non esiterebbe a tentare un colpo di Stato, il TIP abbia il dovere di prepararsi preventivamente a un colpo di Stato «democratico» (3).
Poiché Trump non esiterebbe a tentare un colpo di Stato, il TIP abbia il dovere di prepararsi preventivamente a un colpo di Stato «democratico»
È caratteristica del pensiero politico contemporaneo mostrarsi a favore della democrazia, respingendone però le decisioni contrastanti con gli interessi della classe dirigente.
I membri del TIP ammettono infatti di buon grado che il sistema elettorale USA che difendono è antidemocratico. Ricordiamo che la Costituzione non affida l’elezione del presidente ai cittadini, ma a un collegio elettorale composto da 538 persone designate dai governatori.
La partecipazione dei cittadini, non prevista al momento dell’indipendenza, si è progressivamente imposta nella prassi, ma solo con valore indicativo per i governatori. Così nel 2000, quando fu eletto George W. Bush, la Corte suprema della Florida ha ricordato che non doveva tener conto del parere dei cittadini della Florida, ma solamente di quello dei 27 elettori designati dal governatore di quello Stato.
Diversamente da quanto comunemente si crede, la Costituzione degli Stati Uniti non riconosce dunque la sovranità popolare, ma soltanto quella dei governatori
Diversamente da quanto comunemente si crede, la Costituzione degli Stati Uniti non riconosce dunque la sovranità popolare, ma soltanto quella dei governatori. Inoltre, dal 1992 il Collegio elettorale, ideato da Thomas Jefferson, non funziona più in modo corretto: negli Stati suscettibili di ribaltare il risultato delle elezioni, il candidato eletto non è più espressione delle aspettative della maggioranza dei cittadini (4).
Il TIP ha fatto pressappoco emergere tutto quel che potrebbe accadere nei tre mesi che separano il voto dall’investitura. Ammette che sarà molto difficile accertare i risultati, tenuto conto del ricorso al voto per corrispondenza a causa dell’epidemia.
Il TIP non ha intenzionalmente esaminato l’ipotesi che il Partito Democratico annunci, malgrado uno spoglio incompleto, l’elezione di Joe Biden e che la presidente della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, faccia prestare giuramento a Biden prima che Trump possa essere dichiarato sconfitto. Uno scenario che vedrebbe due presidenti, tra loro rivali, e che segnerebbe l’inizio di una Seconda Guerra Civile.
L’ipotesi che il Partito Democratico annunci, malgrado uno spoglio incompleto, l’elezione di Joe Biden e che la presidente della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, faccia prestare giuramento a Biden prima che Trump possa essere dichiarato sconfitto. Uno scenario che vedrebbe due presidenti, tra loro rivali, e che segnerebbe l’inizio di una Seconda Guerra Civile
Eventualità che spinge taluni a prendere in considerazione la secessione, ossia la proclamazione unilaterale dell’indipendenza del proprio Stato. Un’ipotesi realistica, in particolare per la costa Occidentale.
Per prevenire questo processo di sfaldamento, qualcun auspica la divisione della California, così da attribuire alla popolazione un maggior numero di membri del Collegio elettorale. Una soluzione che è però già una presa di posizione nel conflitto nazionale: privilegia infatti la rappresentanza popolare a scapito del potere dei governatori.
A marzo scorso avevo inoltre già prospettato la possibile tentazione putschista di alcuni militari (5), cui numerosi ufficiali superiori hanno in seguito fatto riferimento (6).
Questi diversi punti di vista attestano la profondità della crisi che gli Stati Uniti attraversano.
Eventualità che spinge taluni a prendere in considerazione la secessione, ossia la proclamazione unilaterale dell’indipendenza del proprio Stato. Un’ipotesi realistica, in particolare per la costa Occidentale
L’«impero americano» avrebbe dovuto sciogliersi dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Non fu così. Avrebbe dovuto reinventarsi con la globalizzazione finanziaria. Non è stato così. Ogni volta è sopraggiunto un conflitto (la divisione etnica della Jugoslavia, gli attentati dell’11 settembre) a rianimare il morente. Non sarà più possibile rinviare molto a lungo le scadenze (7).
NOTE
(1) «Il dispositivo Clinton per screditare Donald Trump», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 4 marzo 2017.
(2) «What’s the worst that could happen? The election will likely spark violence — and a constitutional crisis», The Washington Post, September 3, 2020.
(3) Preventing a disrupted presidential election and transition, Transition Integrity Project, August 3, 2020.
(4) Presidential elections and majority rule, Edward B. Foley, Oxford University Press, 2020.
(5) «Golpisti all’ombra del coronavirus», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 31 marzo 2020.
(6) «Il Pentagono contro il presidente Trump», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 16 giugno 2020. Do we risk a miltary coup?, by Colonel Richard H. Black, August 24, 2020.
(7) «Gli Stati Uniti si riformeranno o si lacereranno?», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 26 ottobre 2016.
Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND
Fonte: «Gli USA sull’orlo della guerra civile», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 15 settembre 2020
Geopolitica
Senatore americano: «il Sudafrica è nostro nemico»
Il senatore repubblicano John Kennedy ha definito il Sudafrica un nemico degli Stati Uniti, mentre i legislatori spingono sempre più affinché Pretoria venga esclusa dall’African Growth and Opportunity Act (AGOA), l’iniziativa commerciale di punta di Washington.
L’ambasciatore Jamieson Greer, rappresentante commerciale degli Stati Uniti, è stato interrogato dal senatore repubblicano John Kennedy durante un’audizione della sottocommissione per gli stanziamenti del Senato in merito all’inclusione del Sudafrica nella potenziale estensione dell’AGOA.
Kennedy ha chiesto a Greer: «Cosa intendi fare riguardo al Sudafrica come parte dell’AGOA, dato che il Sudafrica non è amico dell’America?»
Greer ha risposto: «Esatto. Abbiamo avuto alcune conversazioni con i sudafricani in materia di commercio, e ci sono molte questioni di politica estera che non affronto con il Sudafrica. Ma quando si tratta di commercio, hanno molte barriere… Abbiamo chiarito ai sudafricani che se vogliono avere una situazione tariffaria migliore con noi devono occuparsi di queste barriere tariffarie e non tariffarie Sono una vera economia, una grande economia, giusto. Hanno una base industriale, una base agricola; dovrebbero acquistare prodotti dagli Stati Uniti», ha detto Greer.
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Kennedy ha poi fatto presente a Greer che, se l’AGOA venisse prorogata di un anno, senza riformarla, il Sudafrica ne trarrebbe beneficio. Greer ha ammesso, ma ha sottolineato che il Sudafrica è già stato colpito da una tariffa reciproca del 30%, «molto più alta rispetto al resto del continente». Ha tuttavia osservato che il Sudafrica rappresenta un caso unico.
Kennedy ha continuato: «Non pensi che dovremmo separare il Sudafrica e l’AGOA? Greer concordò, dicendo che sarebbe stato felice di prendere in considerazione quella proposta. Il Congresso è venuto da me e mi ha detto che vogliamo l’AGOA. E se dobbiamo cedere, dobbiamo trovare un modo per migliorarlo. Se pensate che dovremmo riservare al Sudafrica un trattamento diverso, sono aperto, perché penso che rappresentino un problema unico».
«Beh, rappresentano un problema unico per l’America. Voglio dire, sono i nostri nemici in questo momento. Sono amici di tutti i nostri nemici. E sono stati molto critici nei confronti degli Stati Uniti» ha dichiarato Kennedy.
Greer concorda: «È proprio così. Ed è per questo che vengono trattati in modo molto diverso. La maggior parte del continente africano, l’Africa subsahariana, ne ha solo il 10%, mentre il Sudafrica ne ha il 30%».
All’inizio di quest’anno, gli Stati Uniti hanno imposto una tariffa del 30%sulle importazioni dal Sudafrica, dopo che i funzionari statunitensi non hanno risposto a diverse proposte commerciali presentate da Pretoria.
A luglio, l’IOL ha riferito che il Presidente Cyril Ramaphosa aveva preso atto della corrispondenza del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump sull’imposizione unilaterale di una tariffa commerciale del 30% contro il Sudafrica. Ramaphosa ha anche osservato che il Sudafrica è uno dei numerosi Paesi che hanno ricevuto comunicazioni simili che annunciavano tariffe all’epoca.
«Questa tariffa del 30% si basa su una particolare interpretazione della bilancia commerciale tra Sudafrica e Stati Uniti. Questa interpretazione controversa rientra tra le questioni all’esame dei team negoziali di Sudafrica e Stati Uniti», ha affermato il portavoce di Ramaphosa, Vincent Magwenya.
Di conseguenza, il Sudafrica sostiene che la tariffa reciproca del 30% non rappresenta accuratamente i dati commerciali disponibili. Nella nostra interpretazione dei dati commerciali disponibili, la tariffa media sulle merci importate in entrata in Sudafrica è del 7,6%.
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«È importante sottolineare che il 56% delle merci entra in Sudafrica con una tariffa della nazione più favorita dello 0%, mentre il 77% delle merci statunitensi entra nel mercato sudafricano con un dazio dello 0%», ha affermato. Tuttavia, la presidenza a Pretoria ha chiarito che il Sudafrica continua a impegnarsi per coltivare relazioni commerciali più strette con gli Stati Uniti.
Come riportato da Renovatio 21, la scorsa settimana Trump ha dichiarato che il Sudafrica è indegno di essere parte membro di «qualsiasi cosa» e non otterrà un invito al summit del G20 del prossimo anno in Florida, in quanto ritenuto «non degno» di figurare come membro «in alcun contesto».
Come riportato da Renovatio 21, l’imbarazzante incontro nello studio ovale tra Trump e il presidente sudafricano Ramaphosa, dove il primo mostrò al secondo le immagini del massacro dei bianchi nel Paese, avvenne pochi giorni dopo che Trump aveva pubblicamente accolto decine di rifugiati afrikaner.
A inizio mese l’amministrazione Trump ha dichiarato che le ammissioni di rifugiati per l’anno fiscale 2026 saranno limitate a sole 7.500 unità, il numero più basso di sempre, con priorità per i sudafricani bianchi in fuga dalle persecuzioni.
L’Ordine Esecutivo è stato emesso dopo che l’amministrazione Trump ha duramente criticato il governo sudafricano per le nuove misure di riforma agraria che consentono l’appropriazione di terreni privati senza indennizzo. L’amministrazione Trump ha affermato che le misure sarebbero state utilizzate per colpire i proprietari terrieri bianchi, come misure simili erano state adottate in altri paesi africani, in particolare lo Zimbabwe.
I primi sudafricani bianchi ammessi negli Stati Uniti con questa nuova designazione, 59 in totale, sono sbarcati negli Stati Uniti a maggio.
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La scena di scontro nello Studio Ovale ha ricordato ad alcuni osservatori quella del presidente ucraino Volodymyro Zelens’kyj all’inizio di quest’anno, quando quest’ultimo fu cacciato dalla Casa Bianca. Lo Studio Ovale sta divenendo de facto un luogo della verità detta fuori dai denti, dove le maschere diplomatiche cadono, e i leader internazionali possono venire castigati per la loro inadeguatezza o i loro crimini veri e propri.
Come riportato da Renovatio 21, vari gruppi boeri da anni ritengono di essere oggetti di una vera persecuzione se non di una pulizia etnica, con abbondanza disperante episodi di crimine, torture e violenza efferata di ogni sorta. I boeri hanno cercato, e trovato, anche l’aiuto della Russia di Vladimiro Putin.
Come riportato da Renovatio 21, Ernst Roets, responsabile politico del Solidarity («Movimento di Solidarietà»), un network di organizzazioni comunitarie sudafricane che conta più di 500.000 membri, ha dichiarato che, nonostante le indicibili violenze e torture subite dalle comunità bianche in Sud Africa, nel prossimo futuro «l’Europa sarà peggio».
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Immagine di Treasurer Ron Henson via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Geopolitica
Putin sostiene Maduro nella situazione di stallo con gli Stati Uniti
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Geopolitica
L’Ungheria dice che il capo della NATO «pugnala alle spalle» e «alimenta la guerra»
Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha accusato il segretario generale della NATO Mark Rutte di «alimentare le tensioni belliche» con dichiarazioni «irresponsabili», sostenendo che la Russia potrebbe prepararsi ad attaccare l’Alleanza entro pochi anni.
Giovedì Rutte aveva dichiarato che «siamo il prossimo obiettivo della Russia» e aveva invitato i membri della NATO ad accelerare l’incremento della spesa per la difesa, aggiungendo che Mosca «potrebbe essere pronta a impiegare la forza militare contro la NATO entro cinque anni».
In un post pubblicato venerdì su Facebook, lo Szijjarto ha definito le parole di Rutte «assurdità», affermando che «chiunque nutrisse ancora dubbi sul fatto che a Bruxelles abbiano completamente perso il senno, dopo queste dichiarazioni ne sarà definitivamente convinto».
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Lo Szijjarto ha interpretato i commenti come un chiaro segnale che «tutti a Bruxelles si sono schierati contro gli sforzi di pace del presidente degli Stati Uniti Donald Trump» e che il segretario generale della NATO abbia «di fatto pugnalato alle spalle i negoziati di pace».
«Noi ungheresi, in quanto membri della NATO, rigettiamo le affermazioni del Segretario Generale! La sicurezza dei Paesi europei non dipende dall’Ucraina, ma dalla NATO stessa… Dichiarazioni provocatorie di questo tipo sono irresponsabili e pericolose! Chiediamo a Mark Rutte di cessare immediatamente di alimentare le tensioni legate alla guerra!!!»
L’Ungheria ha più volte assunto posizioni divergenti rispetto alla maggioranza dei partner UE e NATO sul conflitto ucraino, sostenendo che ulteriori forniture di armi a Kiev non farebbero che prolungare le ostilità. Budapest ha sempre invocato l’avvio di negoziati diretti tra Russia e Ucraina, ha criticato le sanzioni occidentali contro Mosca considerandole dannose per l’economia europea e si è opposta ai piani dell’UE di utilizzare gli asset russi congelati per finanziare l’Ucraina, definendoli illegittimi.
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Immagine di NATO North Atlantic Threaty via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
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