Cina
Il nuovo capo di Macao è filo-Pechino
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Giudice per 25 anni, è il primo leader a ricoprire l’incarico a essere nato nella Cina continentale e a non appartenere alle famiglie imprenditoriali locali. Unico candidato, è stato scelto ieri con 394 voti su 398 da parte del locale comitato elettorale. Da tempo Pechino chiede che Macao sviluppi altri settori rispetto a quello del gioco d’azzardo, una sfida che Hou Fai dovrà affrontare.
L’ex giudice capo di Macao, Sam Hou Fai, ieri è stato eletto nuovo leader della città. Unico candidato, il 62enne è il primo rappresentante di Macao a essere nato nella Cina continentale, diversamente da tutti i suoi predecessori, che provenivano da famiglie di imprenditori dell’ex colonia portoghese.
Su 398 membri del comitato elettorale, 394 hanno votato per lui (4 schede erano nulle), in un’elezione che pare essere stata in larga parte pilotata da Pechino. Prima delle elezioni, Hou Fai aveva già ottenuto l’appoggio di 386 membri del comitato elettorale, tra cui diversi personaggi influenti della città.
La maggior parte dei residenti di Macao – circa 687mila persone –non ha diritto di voto. A differenza di Hong Kong, però, gli abitanti dell’ex colonia sono più a loro agio con l’influenza cinese sulla città, l’unica in cui il gioco d’azzardo è legale.
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Pechino, tuttavia, sta spingendo affinché Macao riduca la sua dipendenza da questo settore, ragione per cui sta cercando di promuovere il turismo, la medicina tradizionale cinese e gli scambi finanziari. Una scelta su cui alcuni osservatori hanno espresso scetticismo, perché sarà difficile rinunciare alle entrate del gioco d’azzardo per sostenere gli ambiziosi obiettivi di Pechino. La Cina vorrebbe inoltre che Macao diventasse l’avamposto commerciale per gli scambi con i Paesi di lingua portoghese.
La scelta di una figura legale, anziché imprenditoriale potrebbe ridurre l’influenza degli ambienti d’affari sulla politica locale, sostengono ancora gli esperti, dopo che in passato i circoli imprenditoriali erano stati accusati di collusione con i funzionari locali. Resta da vedere se l’ex giudice riuscirà a formare un governo capace di affrontare tutte le questioni proposte da Pechino.
Sam Hou Fai, originario della provincia meridionale del Guangdong, ha lavorato come avvocato nella Cina continentale, dopo essersi laureato alla Peking University di Pechino e all’Università di Coimbra in Portogallo. Con il ritorno di Macao sotto il dominio cinese nel 1999, è stato nominato giudice capo della città, ruolo che ha ricoperto fino ad agosto di quest’anno, quando si è dimesso per prendere parte alle elezioni.
Nel corso della sua carriera ha gestito alcuni casi politicamente sensibili: ha rifiutato un ricorso contro il divieto, imposto dalla polizia, di commemorare i fatti di Tiananmen e ha confermato la decisione di impedire alle personalità pro-democrazia di candidarsi alle elezioni legislative del 2021.
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Cina
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Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
Il dipartimento della Difesa statunitense ha reso noto di aver autorizzato la prima cessione di armamenti a Taiwan dall’insediamento del presidente Donald Trump a gennaio. Pechino, che rivendica l’isola autonoma come porzione del proprio territorio, ha tacciato l’iniziativa come un attentato alla sua sovranità.
Il contratto in esame prevede che Taipei investa 330 milioni di dollari per acquisire ricambi destinati agli aeromobili di produzione americana in dotazione, come indicato giovedì in un comunicato del Dipartimento della Difesa degli USA.
Tale approvvigionamento dovrebbe consentire a Formosa di «preservare l’operatività della propria squadriglia di F-16, C-130» e altri velivoli, come precisato nel documento.
La portavoce dell’ufficio presidenziale taiwanese, Karen Kuo, ha salutato la decisione con favore, definendola «un pilastro essenziale per la pace e la stabilità nell’area indo-pacifica» e sottolineando il rafforzamento del sodalizio di sicurezza tra Taiwan e Stati Uniti.
Secondo il ministero della Difesa di Taipei, l’erogazione dei componenti aeronautici americani «diverrà operativa» entro trenta giorni.
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Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha espresso in un briefing il «profondo rammarico e l’opposizione» di Pechino alle forniture belliche USA a Taiwano, che – a suo dire – contrastano con gli interessi di sicurezza nazionali cinesi e «inviano un messaggio fuorviante alle frange separatiste pro-indipendenza taiwanesi».
La vicenda di Taiwan costituisce «la linea rossa imprescindibile nei rapporti sino-americani», ha ammonito Lin.
Formalmente, Washington aderisce alla politica della «Cina unica», sostenendo che Taiwan – che esercita de facto l’autogoverno dal 1949 senza mai proclamare esplicitamente la separazione da Pechino – rappresenti un’inalienabile componente della nazione.
Ciononostante, gli USA intrattengono scambi con le autorità di Taipei e si sono impegnati a tutelarla militarmente in caso di scontro con la madrepatria.
La Cina ha reiterato che aspira a una «riunificazione pacifica» con Taiwan, ma non ha escluso il ricorso alle armi se l’isola dichiarasse formalmente l’indipendenza.
A settembre, il Washington Post aveva rivelato che Trump aveva bloccato un’intesa sulle armi da 400 milioni di dollari con Taipei in vista del suo colloquio con l’omologo Xi Jinpingo.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del mese, in un’intervista al programma CBS 60 Minutes, Trump aveva riferito che i dialoghi con Xi, tenutisi a fine ottobre in Corea del Sud, si sono concentrati sul commercio, mentre la questione taiwanese «non è stata toccata».
In settimana la neopremier nipponica Sanae Takaichi aveva suscitato le ire di Pechino parlando di un impegno delle Forze di Autodifesa di Tokyo in caso di invasione di Taiwano.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
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