Geopolitica
L’Argentina chiede alla CPI di arrestare Maduro
L’Argentina ha chiesto alla Corte penale internazionale (CPI) di emettere un mandato di arresto per il presidente venezuelano Nicolas Maduro e altri funzionari, citando presunte violazioni dei diritti umani durante la repressione dei disordini post-elettorali.
Le azioni intraprese dal governo di Maduro dopo le elezioni del 28 luglio potrebbero «costituire crimini contro l’umanità», ha affermato venerdì il Ministero degli Esteri argentino. La dichiarazione afferma che una richiesta alla corte sarà presentata lunedì.
Secondo il Consiglio elettorale nazionale del Venezuela, Maduro ha vinto le elezioni presidenziali di luglio con il 52% dei voti. L’opposizione sostenuta dall’Occidente, tuttavia, ha accusato i funzionari di Caracas di aver truccato le schede, con il candidato rivale Edmundo Gonzalez che ha affermato di aver ricevuto il 67%.
Le proteste hanno travolto il Paese dopo l’annuncio dei risultati. Maduro ha condannato i disordini come un tentativo di «colpo di Stato contro il Venezuela», e da allora sono stati arrestati più di 2.000 dimostranti, verso i quali il presidente ha promesso «nessun perdono». Caracas ha anche avviato un’indagine penale sulle figure dell’opposizione Edmundo Gonzalez e Maria Corina Machado, dopo che avevano chiesto alle forze armate di abbandonare il loro sostegno al presidente.
In seguito al voto contestato, molte nazioni, tra cui Russia e Cina, si sono congratulate con Maduro per la sua rielezione. Gli Stati Uniti, insieme all’UE e a diversi altri Paesi, tra cui l’Argentina, hanno da allora rifiutato di riconoscere Maduro come presidente legittimo.
Come riportato da Renovatio 21, funzionari americani hanno offerto di ritirare le accuse di «narcoterrorismo» contro Nicolas Maduro se il presidente venezuelano trasferisse il potere ai suoi oppositori politici dopo le ultime contestate elezioni. In seguito, gli USA sono arrivati a sequestrare l’aereo di Maduro.
Maduro, impegnato in uno scontro con minacce di botte con Elon Musk, ha sospeso il social X nel Paese. Il presidente venezuelano si è altresì scagliato contro Whatsapp accusando l’app di «imperialismo tecnologico» e disinstallandola dal suo telefono in diretta TV.
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La faida transnazionale ha scatenato una guerra di parole, con Maduro che ha definito il presidente argentino «faccia da mostro» dopo che Javier Milei ha bollato Maduro come dittatore e gli ha detto di «andarsene». Il Venezuela ha ordinato la chiusura della missione diplomatica argentina dopo le elezioni e ha richiamato il suo personale da Buenos Aires.
Il Milei ha inviato un videomessaggio all’«eroico popolo venezuelano» accusando «el dictador Nicolas Maduro» di frode elettorale e garantendo la fine del fenomeno «assassino ed impoveritore» del socialismo nel Paese, e terminando con l’urlo caratteristico «Viva la libertad, carajo!».
BREAKING:
Milei sends a message to the Venezuelan National:
“Dictator Maduro has committed elector fraud. He has awakened the Venezuelan lions and sooner or later socialism is going to end. Socialism is always murderous. Courage, dear Venezuelans”
🇦🇷🇻🇪 pic.twitter.com/7p2YspPm6j
— Visegrád 24 (@visegrad24) July 29, 2024
La prossimità con Maduro era una delle accuse che in campagna elettorale il Milei muoveva verso il connazionale Bergoglio. Il papa «ha dimostrato una grande affinità con dittatori come Castro o come Maduro. Ciò vuol dire che sta dalla parte delle dittature sanguinarie», aveva detto in un’intervista al giornalista statunitense Tucker Carlson.
In seguito, Milei a Roma ha abbracciato il pontefice tra sorrisi e belle parole, assai lontane dagli appellativi come «imbecille» e «rappresentante del maligno» usati in passato per descrivere il papa argentino.
Come riportato da Renovatio 21, il presidente argentina cinque mesi fa ha detto che il presidente della vicina Colombia Gustavo Petro è un «assassino terrorista», provocando l’espulsione di tutti i diplomatici argentini da parte di Bogotà.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Geopolitica
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Geopolitica
Netanyahu vuole parlare a Trump sui possibili nuovi attacchi all’Iran
I funzionari israeliani manifestano una crescente preoccupazione per il fatto che l’Iran stia potenziando la produzione del suo programma di missili balistici – già colpito dagli attacchi militari israeliani all’inizio dell’anno – e si preparano a illustrare al presidente Donald Trump le possibili opzioni per un nuovo intervento, secondo una fonte direttamente a conoscenza dei piani e quattro ex funzionari statunitensi informati sulla questione.
Le stesse fonti hanno riferito che i responsabili israeliani temono anche che l’Iran stia ricostruendo i siti di arricchimento nucleare bombardati dagli Stati Uniti a giugno. Tuttavia, hanno precisato che considerano prioritarie e più urgenti le attività iraniane volte a ripristinare gli impianti di produzione di missili balistici e a riparare i sistemi di difesa aerea danneggiati.
Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dovrebbero incontrarsi entro fine mese in Florida, presso la residenza presidenziale di Mar-a-Lago. In quell’occasione, secondo le fonti, Netanyahu intende dimostrare a Trump che l’espansione del programma missilistico balistico iraniano costituisce una minaccia che potrebbe richiedere un intervento rapido.
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Netanyahu dovrebbe argomentare che le azioni dell’Iran rappresentano un pericolo non solo per Israele, ma per l’intera regione, compresi gli interessi statunitensi. Il leader israeliano intende presentare a Trump opzioni che prevedano la partecipazione o il supporto degli Stati Uniti a eventuali nuove operazioni militari, hanno aggiunto le fonti.
Interpellato giovedì su un possibile incontro con Netanyahu il 29 dicembre, Trump ha risposto ai giornalisti: «Non l’abbiamo ancora organizzato formalmente, ma vorrebbe vedermi». I funzionari israeliani hanno invece confermato la data del 29 dicembre.
Il governo israeliano ha declinato ogni commento. La Missione iraniana presso le Nazioni Unite non ha risposto alle richieste di chiarimenti.
«L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e il governo iraniano hanno corroborato la valutazione del governo degli Stati Uniti secondo cui l’Operazione Midnight Hammer ha completamente annientato le capacità nucleari dell’Iran», ha dichiarato in una nota la portavoce della Casa Bianca Anna Kelly. «Come ha affermato il Presidente Trump, se l’Iran puntasse a dotarsi di un’arma nucleare, quel sito verrebbe attaccato e annientato prima ancora che si avvicini».
I piani israeliani di aggiornare Trump su possibili nuovi attacchi all’Iran e di coinvolgerlo direttamente arrivano mentre il presidente valuta interventi militari in Venezuela – che aprirebbero un ulteriore fronte di conflitto per gli Stati Uniti – e mentre continua a celebrare la campagna di bombardamenti della sua amministrazione contro il programma nucleare iraniano e il successo nei negoziati per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas.
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In un discorso alla nazione pronunciato mercoledì, Trump ha dichiarato agli americani di aver «distrutto la minaccia nucleare iraniana e posto fine alla guerra a Gaza, portando per la prima volta in 3.000 anni la pace in Medio Oriente».
Le apprensioni israeliane nei confronti dell’Iran emergono proprio mentre Teheran ha manifestato interesse a riprendere i colloqui diplomatici con gli Stati Uniti per limitare il suo programma nucleare, un fattore che potrebbe complicare l’approccio di Israele nei confronti di Trump su nuovi attacchi.
Secondo una fonte direttamente informata sui piani israeliani, anche il finanziamento iraniano ai propri proxy regionali rappresenta una priorità per Israele.
«Il programma di armi nucleari è molto preoccupante. C’è un tentativo di ricostituzione. Non è così immediato», ha spiegato questa persona.
Gli attacchi statunitensi di giugno contro l’Iran, noti come Operazione Midnight Hammer («martello della mezzanotte»), hanno coinvolto oltre 100 velivoli, un sottomarino e sette bombardieri B-2. Trump ha sostenuto che abbiano «distrutto» i siti di arricchimento nucleare iraniani, sebbene alcune valutazioni iniziali indicassero danni meno estesi di quanto affermato dal presidente.
Contemporaneamente, le forze israeliane hanno colpito diversi impianti missilistici balistici iraniani.
Gli attacchi israeliani dell’aprile e dell’ottobre 2024 hanno inoltre neutralizzato tutti i sistemi di difesa aerea S-300 dell’Iran – il più avanzato in dotazione al Paese – consentendo successivamente voli con equipaggio nello spazio aereo iraniano e riducendo drasticamente la minaccia per i piloti.
A differenza degli interventi sul programma missilistico balistico, per infliggere danni significativi ai siti nucleari iraniani è stato indispensabile il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, che ha fornito le bombe antibunker da 30.000 libbre di produzione americana.
La scorsa settimana, Trump ha lasciato intravedere la disponibilità a riprendere i negoziati con l’Iran, avvertendo però Teheran di non tentare di ricostituire i programmi missilistici balistici o nucleari. Il presidente statunitense dichiarato che l’Iran «può provare» a ricostruire il suo programma di missili balistici, ma «ci vorrà molto tempo prima che torni».
«Ma se vogliono tornare senza un accordo, allora distruggeremo anche quello», ha aggiunto Trump. «Sapete, possiamo mettere fuori uso i loro missili molto rapidamente, abbiamo un grande potere».
Prima degli attacchi di giugno, gli israeliani avevano sottoposto a Trump quattro opzioni militari, secondo la fonte direttamente a conoscenza dei piani. I funzionari israeliani le illustrarono su un tavolino nello Studio Ovale, ha riferito la stessa persona. Una prevedeva un’azione unilaterale israeliana, un’altra un supporto limitato statunitense, una terza operazioni congiunte tra Stati Uniti e Israele contro l’Iran, e una quarta un intervento condotto esclusivamente dagli Stati Uniti. Trump optò alla fine per un’operazione congiunta. La fonte ha suggerito che Netanyahu potrebbe presentare a Trump un ventaglio di opzioni analoghe durante l’incontro a Mar-a-Lago.
Si prevede che anche il fragile cessate il fuoco tra Israele e Hamas occupi un posto di rilievo nei colloqui tra Netanyahu e Trump, tra i timori che le parti non riescano a procedere con la fase successiva dell’accordo. Nella seconda fase, Israele dovrebbe ritirare le proprie forze da Gaza, un organismo ad interim dovrebbe assumere il controllo dell’enclave al posto di Hamas e dovrebbe essere dispiegata una forza internazionale di stabilizzazione.
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Trump potrebbe mostrarsi meno propenso a una nuova azione militare contro l’Iran qualora persistessero frizioni tra funzionari statunitensi e israeliani sull’approccio di Netanyahu al cessate il fuoco, hanno osservato due ex funzionari israeliani. Se non contrastata, la produzione iraniana di missili balistici potrebbe raggiungere i 3.000 unità all’anno, secondo la fonte a conoscenza diretta dei piani israeliani e gli ex funzionari statunitensi informati.
La minaccia rappresentata dai missili balistici e dal potenziale volume impiegabile in un attacco costituisce la preoccupazione più immediata di Israele, ha dichiarato uno degli ex funzionari israeliani che ha discusso l’argomento con gli attuali responsabili.
«Non c’è dubbio che, dopo l’ultimo conflitto, possiamo ottenere la superiorità aerea e infliggere danni molto maggiori all’Iran di quanti l’Iran possa infliggere a Israele», ha affermato il funzionario. «Ma la minaccia dei missili è molto reale e non siamo riusciti a prevenirli tutti l’ultima volta».
Un elevato numero di missili balistici consentirebbe all’Iran di proteggere meglio i propri siti di arricchimento nucleare, hanno spiegato la fonte a conoscenza diretta dei piani israeliani e uno degli ex funzionari statunitensi. Hanno aggiunto che i responsabili israeliani nutrono analoghe preoccupazioni per la ricostruzione dei sistemi di difesa missilistica iraniani e per il finanziamento e l’armamento dei proxy regionali, ritenendo che Teheran accelererebbe la ricostituzione del programma nucleare potendo difendere più efficacemente i propri impianti di arricchimento.
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Geopolitica
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