Cina
L’altra faccia di Temu: fornitori contro il colosso dell’e-commerce per i prodotti non rimborsati

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nella sede di Guangzhou del gigante dell’e-commerce dei prodotti made-in-China centinaia di commercianti hanno inscenato una protesta che ha portato l’azienda a chiedere l’intervento della polizia. All’origine del malcontento le politiche commerciali che impongono pesanti sanzioni per i prodotti criticati dai consumatori e la politica dei rimborsi senza resi che scarica tutto il costo sui fornitori.
Centinaia di fornitori locali di Temu, l’applicazione per lo shopping all’estero gestita dalla multinazionale cinese PDD Holdings, hanno inscenato una protesta presso la sede del gigante dell’e-commerce a Guangzhou, denunciando politiche irragionevoli della piattaforma.
Decine di manifestanti hanno preso d’assalto l’ufficio di PDD lunedì pomeriggio, secondo alcuni video pubblicati sui social media e confermati come autentici dai commercianti. Il media cinese Yi Magazine ha riferito martedì che circa 80 commercianti sono entrati nell’ufficio della PDD, ma ne sono usciti dopo l’intervento della polizia.
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Non è la prima volta che i commercianti protestano contro Temu. «Non erano soddisfatti di come Temu ha gestito le questioni post-vendita relative alla qualità e alla conformità dei loro prodotti, contestando un importo di diversi milioni di yuan», si legge in un comunicato dell’azienda che non fa direttamente riferimento alla protesta del 29 luglio. «La situazione è stabile e l’azienda sta lavorando attivamente con i commercianti per trovare una soluzione», continua la nota.
Le azioni dei fornitori cinesi potrebbero aumentare l’incertezza intorno a Temu, che oggi deve fare i conti anche con i dazi sulle importazioni imposti dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Temu compete con Shein e TikTok Shop, oltre che con AliExpress del gruppo Alibaba, nella vendita di prodotti made-in-China direttamente ad acquirenti esteri.
Con massicce campagne pubblicitarie on line Temu sta espandendo le sue vendite ai consumatori negli Stati Uniti e in altri mercati esteri a prezzi stracciati. Ma molti fornitori cinesi si lamentano delle pesanti «multe» imposte loro se i clienti si lamentano o chiedono rimborsi. Temu permette ai consumatori di tenere gli articoli rimborsati a causa degli alti costi dei resi delle merci, ma alcuni commercianti hanno dichiarato di non aver ricevuto alcun rimborso in questi casi.
Al South China Morning Post un commerciante di Guangzhou ha raccontato di aver fatturato 40 milioni di yuan (5,5 milioni di dollari) sulla piattaforma l’anno scorso, ma di essersi visto comminare da Temu una «multa» di 3 milioni di yuan a causa dei rimborsi e dei reclami dei clienti, cancellando così quasi tutti i suoi profitti.
Un venditore di telefoni cellulari con sede a Shenzhen ha dichiarato di aver subito attraverso Temu perdite per circa 80.000 dollari, tra multe e fondi non pagati per i prodotti venduti. A cui va aggiunta una perdita equivalente a circa 200 unità di smartphone a causa della politica di rimborso senza restituzione.
Il commerciante ha fatto notare che Temu può multare i commercianti fino a cinque volte il valore di vendita del prodotto.
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Cina
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Cina
COVID, blogger cristiana cinese condannata ad altri quattro anni di carcere

Una blogger cristiana cinese già condannata a quattro anni di carcere per aver documentato le prime fasi della pandemia di COVID da Wuhan è stata condannata ad altri quattro anni di carcere.
Zhang Zhan, 42 anni, è stata condannata in Cina con l’accusa di «aver attaccato briga e provocato disordini», la stessa accusa che ha portato alla sua prima incarcerazione nel dicembre 2020. L’accusa viene spesso utilizzata per perseguire i giornalisti che si esprimono contro il governo cinese o rivelano verità imbarazzanti.
Zhang ha pubblicato i resoconti di testimoni oculari di Wuhan sulla diffusione iniziale del COVID-19, compresi video, di strade vuote e ospedali affollati che dimostravano che la situazione a Wuhan era molto peggiore di quanto affermassero le autorità cinesi. I filmati della Zhanga sono stati visualizzati centinaia di migliaia di volte.
Il suo avvocato dell’epoca, Ren Quanniu, aveva affermato che Zhan credeva di essere stata «perseguitata per aver violato la sua libertà di parola». Dopo la prigionia, aveva iniziato uno sciopero della fame e fu alimentata forzatamente tramite un sondino.
Come riportato da Renovatio 21, cinque anni fa erano emerse notizie della sua cattiva salute e di una sua possibile tortura in carcere.
Era stata rilasciata nel maggio 2024. Secondo Quanniu, è stata nuovamente arrestata perché aveva commentato su siti web stranieri, tra cui YouTube e X.
🚨🇨🇳CHINA TO RELEASE JOURNALIST JAILED OVER COVID REPORTING
After spending four years behind bars for her reporting of the Covid outbreak and lockdowns in Wuhan, Zhang Zhan is set to be released today after completing her sentence.
— Kacee Allen (@KaceeRAllen) May 14, 2024
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Un portavoce del governo cinese ha dichiarato: «il caso riguarda la sovranità giudiziaria della Cina e nessuna forza esterna ha il diritto di interferire. I suoi diritti legittimi saranno pienamente rispettati e tutelati».
«Questa è la seconda volta che Zhang Zhan viene processata con accuse infondate che non rappresentano altro che un palese atto di persecuzione per il suo lavoro giornalistico», ha affermato Beh Lih Yi, direttore per l’area Asia-Pacifico del Comitato per la protezione dei giornalisti con sede a Nuova York.
«Le autorità cinesi devono porre fine alla detenzione arbitraria di Zhang, ritirare tutte le accuse e liberarla immediatamente». La Cina costituisce la prigione per giornalisti più grande del mondo. Si ritiene che attualmente vi siano detenuti oltre 100 giornalisti.
Come riportato da Renovatio 21, il nuovo processo era iniziato sei mesi fa.
Prima della pandemia di COVID, l’attivista e giornalista cristiana era già stata arrestata nel settembre 2019 per aver sfilato con un ombrello su Nanjing Road a Shanghai, in segno di solidarietà con le proteste di Hong Kong. Con le prime notizie della pandemia, si era recata a Wuhan per documentare gli eventi, pubblicando circa cento video in tre mesi e rispondendo alle domande di media internazionali. Arrestata nel maggio 2020, è stata la prima blogger a essere condannata per le informazioni diffuse sulla pandemia.
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