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«Assange è libero». Davvero?

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È di stamane la notizia secondo cui il fondatore di WikiLeaks Julian Assange è stato rilasciato dalla prigionia britannica. Lo ha confermato il suo team legale.

 

Assange ha trascorso cinque anni nella prigione di Belmarsh a Londra mentre lottava contro l’estradizione negli Stati Uniti, dove è stato incriminato per 18 capi d’accusa di diffusione di informazioni riservate, prima di essere rilasciato stamattina.

 

«Julian Assange è libero. Ha lasciato il carcere di massima sicurezza di Belmarsh la mattina del 24 giugno, dopo aver trascorso lì 1901 giorni», ha scritto WikiLeaks su X. «Gli è stata concessa la libertà su cauzione dall’Alta Corte di Londra ed è stato rilasciato all’aeroporto di Stansted nel pomeriggio, dove si è imbarcato su un aereo ed è partito dal Regno Unito».

 

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WikiLeaks ha affermato che la campagna internazionale per liberare Assange ha creato «lo spazio per un lungo periodo di negoziati con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, portando a un accordo che non è stato ancora formalmente finalizzato».

 

«Mentre ritorna in Australia, ringraziamo tutti coloro che ci sono stati accanto, hanno combattuto per noi e sono rimasti totalmente impegnati nella lotta per la sua libertà», ha scritto WikiLeaks.

 

Nel momento in cui scriviamo, l’hacker australiano dovrebbe trovarsi ancora in aereo, in volo presumibilmente verso l’area Pacifico.

 

Secondo una lettera del Dipartimento di Giustizia, Assange comparirà in tribunale a Saipan, Isole Marianne Settentrionali, un territorio americano nel Pacifico, mercoledì alle 9:00 ora locale. «Prevediamo che l’imputato si dichiarerà colpevole dell’accusa… di aver cospirato per ottenere e diffondere illegalmente informazioni riservate relative alla difesa nazionale degli Stati Uniti», si legge nella lettera.

 

Assange aveva trascorso sette anni nell’ambasciata ecuadoriana a Londra. È stato espulso dal Paese – cioè, materialmente, dall’ambasciata, nel 2019, quando, sotto il nuovo presidente, l’Ecuador gli ha revocato lo status di asilo. Assange è stato immediatamente arrestato dalla polizia britannica e successivamente ha trascorso cinque anni a Belmarsh, per la maggior parte in isolamento, dopo essere stato giudicato colpevole di aver saltato la cauzione.

 

Il team legale, la famiglia e i collaboratori di Assange hanno descritto le condizioni a Belmarsh come «tortura» e hanno avvertito che la sua salute è peggiorata in modo significativo dietro le sbarre.

 


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Come riportato da Renovatio 21il governo britannico aveva impedito alle ONG di vistare Julian Assange nel carcere di Londra. All’hacker attivista australiano ha offerto ripetutamente asilo il presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador. Due anni fa Assange aveva vinto una causa per evitare l’estradizione negli Stati Uniti.

 

Mentre moltissimi sono in festa – Tucker Carlson, che lo ha visitato in carcere a Londra senza poter filmare l’incontro, parla addirittura di «cambio della marea» – noi ci facciamo qualche domanda.

 

Innanzitutto, non sappiamo cosa può succedere a Saipan, cioè quando atterrerà su suolo statunitense per entrare in un’aula di giustizia e patteggiare la fine della sua prigionia, con l’accordo che prevede una condanna a più di 60 mesi già di fatto scontati nelle prigioni britanniche. Gli USA manterranno la parola? Non gli accadrà nulla?

 

Il problema è che qui non dimentichiamo cosa gli americani sono arrivati a fare pur di fermare Assange.

 

Come riportato da Renovatio 21, si è scoperto di un piano – anzi, usiamo pure la parola: un complottoordito dalla CIA per uccidere Assange. Vi sarebbe coinvolto Mike Pompeo, ex segretario di Stato e direttore della CIA sotto Trump. Sulla questione c’è pure un’indagine della magistratura spagnola.

 

Rimane scolpita nella memoria la rivelazione di un commento di un altro ex-segretario di Stato, già First Lady, poi candidato presidenziale dato per vincente, Hillary Clinton, che avrebbe detto «non possiamo lanciare un drone contro quest’uomo?» Niente di strano, sappiamo che è fatta così, e la presidenza Obama – premio Nobel per la Pace – ha istituito il drone come mezzo di politica estera preferito da Washington.

 

Insomma: Assange ha pestato i piedi sia del dipartimento di Stato che della CIA – tra i quali esistono, come evidente, porte girevoli notevoli – e cioè di due spezzoni importantissimi di quello che chiamano Deep State, o Permanent Washington, etc.: i governi possono cambiare, la burocrazia profonda americana no, rimane la stessa, con le stesse persone, e la stessa agenda.

 

Ora: CIA e dipartimento di Stato hanno davvero seppellito l’ascia con Assange? Sono davvero disposti a lasciar correre?

 

Riteniamo sia improbabile. Potrebbe essere una mossa di Biden, stupida e pensata per gli stupidi, che per colpa di Gaza vede il suo consenso tra i giovani di sinistra praticamente azzerato: liberare un simbolo come Assange fa recuperare qualche punto percentuale? La questione è che, a meno che non vi sia un ordine preciso del vertice – del tipo: adesso chi lo tocca muore – niente lo mette al riparo dalla vendetta dell’apparato americano, sputtanato da Julian come mai nella storia.

 

A pensarci, per il Deep State potrebbe perfino essere meglio così: se il perdono arrivasse da una futura presidenza Trump (che è stato pregato da tutte le parti di graziare Assange) o, nell’assai poco probabile caso, da un presidente Robert Kennedy (che ha dichiarato ufficialmente di voler graziare sia Assange che Snowden) poi toccherebbe pure lasciarlo stare davvero.

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Comunque, se il nostro riuscisse a imbarcarsi illeso da Saipan per la natìa Australia, non sappiamo cosa succederà poi: ha firmato per assicurare il suo sempiterno silenzio? Ha accettato di star lontano diversi metri da un computer (pena che gli USA infliggono agli hacker, e Assange a inizio carriera era esattamente un hacker)?

 

Oppure ha giurato di cambiare sesso? Il suo «complice», il soldato Bradley Manning, in prigione disse che stava cambiando sesso, e bisognava quindi chiamarlo «Chelsea». Puff! Eccotelo libero, fuori dalla galera. Entri in gabbia come uomo con accuse gravissime, esci libero come trans: è la giustizia americana odierna.

 

Intanto, il nostro pensiero va a Gonzalo Lira, un giornalista, uno scrittore lasciato morire di una morte atroce nelle carceri ucraine senza che l’amministrazione Biden, perfettamente informata della cosa, non muovesse un dito. Anzi: ci ricordiamo quello che disse mentre cercava di fuggire dall’Ucraina in motocicletta: qualcuno gli aveva detto che Victoria Nuland lo odiava personalmente…

 

Pensiamo a Gonzalo per ricordarci con chi abbiamo a che fare. Un potere crudele, oltre che assassino, mentitore, stragista, genocida, pervertito.

 

Prima di festeggiare, quindi, aspettiamo di vedere la prossima mossa del Regno Sociale di Satana. Che, sappiamo, con la giustizia e con la libertà non ha molto a che fare.

 

Roberto Dal Bosco

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Trump conferma l’autorizzazione delle operazioni della CIA in Venezuela

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha confermato di aver autorizzato operazioni della CIA in territorio venezuelano. Lo riporta il New York Times.   Secondo il quotidiano neoeboraceno, la decisione consentirebbe agli agenti dell’intelligence di condurre operazioni letali contro il presidente venezuelano Nicolas Maduro, accusato dall’amministrazione Trump di gestire cartelli «narco-terroristici» e di inondare gli Stati Uniti con cocaina e fentanyl.   Durante un incontro nello Studio Ovale, un giornalista ha chiesto a Trump: «Perché hai autorizzato la CIA a operare in Venezuela?»

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«Ho dato il via libera per due ragioni, in realtà», ha risposto Trump. «Primo, loro [il Venezuela] hanno svuotato le loro carceri mandando i detenuti negli Stati Uniti».   «L’altro problema sono le droghe. Dal Venezuela arriva una grande quantità di droga, molta della quale via mare, ma la fermeremo anche via terra», ha aggiunto.   Trump ha evitato di specificare se la CIA abbia l’autorizzazione a «eliminare Maduro».   «Non voglio rispondere a una domanda simile. Non sarebbe assurdo per me farlo?», ha dichiarato. Durante il suo primo mandato, Trump ha imposto dure sanzioni al Venezuela e di recente ha aumentato a 50 milioni di dollari la ricompensa per informazioni che portino all’arresto di Maduro.   Come riportato da Renovatio 21, Stati Uniti hanno schierato una flotta navale nei Caraibi orientali e, da settembre, hanno distrutto almeno cinque imbarcazioni sospettate di contrabbandare droga dal Venezuela.   Maduro ha smentito le accuse di collaborare con i cartelli e ha accusato gli Stati Uniti di volerlo destituire, sottolineando che l’esercito venezuelano è pronto a contrastare un’eventuale invasione.   Come riportato da Renovatio 21, l’amministrazione washingtoniana ha rotto le relazioni diplomatiche con Caracas, che a sua volta ha avvertito della possibilità di attacchi da parte di estremisti contro l’ambasciata.   Secondo il NYT negli scorsi mesi Maduro avrebbe fatto ampie concessioni economiche agli USA, che epperò sarebbero fermi sull’idea che il presidente venezuelano lasci l’incarico.

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Il Venezuela ha denunziato voli «illegali» di caccia F-35 americani nei suoi spazi aerei negli ultimi giorni. Si moltiplicano intanto le notizie di preparativi di ulteriore attacchi al narcotraffico venezuelano, con minaccia diretta di Trump agli aerei di Caracas che avevano sorvolato una nave da guerra USA mandata nell’area.   Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Trump ha dichiarato che «gli attacchi degli Stati Uniti alle imbarcazioni venezuelane sono un atto di gentilezza» e che il Paese è in «conflitto armato» con i cartelli della droga.   Secondo alcuni analisti, la nuova «guerra alla droga» altro non è che una copertura della riattivata Dottrina Monroe, che prevede l’egemonia assoluta degli USA sul suo emisfero – qualcosa del resto di detto apertamente quando si parla della cosiddetta «difesa emisferica» dell’amministrazione Trump, con varie opzioni di annessioni di PanamaGroenlandiaCanada, e perfino il Messico.

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Il vertice del KGB bielorusso parla dei colloqui con gli USA

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Il conflitto in Ucraina è un tema centrale nel dialogo in corso tra Washington e Minsk, ha dichiarato ai giornalisti Ivan Tertel, capo del servizio di sicurezza bielorusso (KGB). Lo riporta la stampa russa.

 

Le due nazioni stanno affrontando anche questioni di sicurezza regionale più ampie, ha aggiunto, sottolineando che il dialogo ha già contribuito a stabilizzare la zona.

 

Gli Stati Uniti riconoscono l’esperienza regionale di Minsk, che potrebbe essere utile sia per risolvere il conflitto in Ucraina sia per ridurre le tensioni nell’area, ha affermato Tertel dopo una riunione di governo presieduta dal presidente bielorusso Alexander Lukashenko martedì. Entrambe le parti, ha aggiunto, sono interessate a porre fine alle ostilità.

 

«Possiamo offrire il nostro contributo», ha dichiarato Tertel, sottolineando che Minsk «comprende sia la prospettiva russa che quella ucraina». Grazie alla sua alleanza con la Russia, ai rapporti stretti con l’Ucraina e al dialogo attivo con gli Stati Uniti, la Bielorussia «potrebbe trovare un consenso in questa situazione estremamente complessa», ha detto.

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Le due nazioni stanno cercando «soluzioni reciprocamente accettabili» in vari ambiti, ha proseguito Tertel, evidenziando che sono già stati raggiunti accordi su diversi temi. Sia Minsk che Washington adottano un «approccio pragmatico e razionale» basato sugli interessi nazionali, secondo il capo della sicurezza.

 

Tertel ha inoltre rivelato che sia Lukashenko sia il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sono «profondamente coinvolti» nel dialogo. «Abbiamo tutte le opportunità per una svolta nelle relazioni con gli Stati Uniti», ha dichiarato, aggiungendo che Minsk è «aperta» al dialogo anche con altre nazioni occidentali.

 

Martedì, Lukashenko ha ribadito che Minsk è pronta per un «grande accordo» con Washington, a patto che i suoi interessi siano rispettati.

 

Questi sviluppi si inseriscono in un contesto di miglioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Bielorussia, dopo un periodo di forti tensioni durante la presidenza di Joe Biden, predecessore di Trump.

 

A settembre, Washington ha concesso un’esenzione dalle sanzioni alla compagnia aerea bielorussa Belavia, nell’ambito di un accordo che ha visto Minsk rilasciare oltre 50 prigionieri, inclusi quelli accusati di aver incitato disordini. Inoltre, ufficiali militari statunitensi hanno partecipato alle esercitazioni russo-bielorusse Zapad-2025 nello stesso mese.

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Immagine di Bestalex via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

 

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La Danimarca vuole vietare i social agli adolescenti

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Il governo danese ha annunciato l’intenzione di vietare l’uso di diverse piattaforme di social media ai minori di 15 anni, come dichiarato dal primo ministro Mette Frederiksen.   Nel suo discorso al parlamento di martedì, Frederiksen ha espresso preoccupazione per l’impatto dei social media sui giovani. «I telefoni cellulari… stanno rubando l’infanzia dei nostri figli», ha affermato, aggiungendo che «abbiamo scatenato un mostro», notando che quasi tutti gli studenti danesi di seconda media, generalmente tra i 13 e i 14 anni, possiedono già un cellulare.   Tuttavia, il primo ministro non ha fornito dettagli specifici sul divieto proposto, né su come sarà implementato o quali piattaforme saranno coinvolte.

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La decisione arriva in concomitanza con un rapporto sul benessere commissionato dal governo, che ha rivelato che il 94% dei giovani danesi aveva un profilo sui social media prima dei 13 anni, nonostante le restrizioni sull’età minima di molte piattaforme. Il rapporto ha anche evidenziato che i bambini tra i 9 e i 14 anni trascorrono in media circa tre ore al giorno su TikTok e YouTube.   Un rapporto del 2025 dell’Autorità danese per la concorrenza e i consumatori ha mostrato che il 10% dei giovani utenti spesso si pente del tempo trascorso online, il 21% ha difficoltà a disconnettersi e il 29% supera il tempo che intendeva dedicare alle piattaforme preferite.   Secondo Statista, nel 2024 Facebook è rimasto il social network più utilizzato in Danimarca, con l’83% della popolazione, seguito da Instagram al 65%, Snapchat al 51% e TikTok al 34%.   Nel 2024, un’iniziativa popolare, sostenuta da 50.000 firme, ha proposto di vietare TikTok, Snapchat e Instagram ai minori. A febbraio, seguendo le raccomandazioni della Commissione per il benessere, la Danimarca ha introdotto misure per vietare i telefoni cellulari nelle scuole.   Come riportato da Renovatio 21, uno studio emerso pochi mesi fa prova che i social danneggiano soprattutto il sonno e la salute mentale delle bambine.   Uno studio sui comportamenti salutari nei bambini in età scolare, supportato dall’OMS, ha rilevato che nel 2022 l’11% degli adolescenti in Europa, Asia centrale e Canada ha riportato un uso problematico dei social media, in netto aumento rispetto al 7% del 2018. Questo comportamento simile alla dipendenza, caratterizzato da perdita di controllo, sintomi di astinenza e conseguenze negative sulla vita, era più comune tra le ragazze (13%) rispetto ai ragazzi (9%).   Come riportato da Renovatio 21, vari studi hanno mostrato che gli smartfoni sono collegati ad ansia e depressione negli adolescenti.

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Come riportato da Renovatio 21, in questi ultimi mesi sono stati condotti anche studi sulla confisca degli smartphoni a giovani con personalità narcissitica.   Come riportato da Renovatio 21, un altro studio sul tema di pochi anni fa spiegava che il tempo che trascorriamo sul telefono potrebbe minacciare la nostra salute a lungo termine. Un numero crescente di prove suggerisce che il tempo che passiamo sui nostri smartphone interferisce con il sonno, autostima, relazioni, memoria, capacità di attenzione, creatività, produttività e capacità di risoluzione dei problemi e decisionali.   Uno studio condotto dall’autorità governativa di regolamentazione delle comunicazioni nel Regno Unito ha rilevato che un quarto dei bambini di soli 3-4 anni possiede uno smartphone.   Vi è da considerare anche il problema del tracciamento delle attività dei ragazzi, perché lo spionaggio permesso alle app è, secondo CHD, di «scala scioccante».   Curiosamente, anche il governo italiano ha definito lo smartphone per gli studenti come una droga «non diversa dalla cocaina».

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