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«Sotto il regno infernale dell’Anticristo, tacerà il sacrificio perenne»: omelia di mons. Viganò per il Giovedì Santo

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Renovatio 21 pubblica l’omelia di monsignor Caro Maria Viganò per il Giovedì Santo 2024.

 

 

 

Et ego dispono vobis sicut disposuit mihi Pater meus regnum.
Io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me.

Lc 22, 29

 

La solenne Liturgia del Giovedì Santo ci introduce nel cuore dei Misteri pasquali e costituisce una sorta di parentesi tra il lungo itinerario quaresimale – culminato nelle due ultime Domeniche – e la celebrazione della Passione e Morte del Signore, che avrà luogo domani. Due sono i grandi momenti che ci riuniscono intorno all’altare: il primo, la Messa Crismale; il secondo, la Messa in Cœna Domini.

 

In entrambi, la Chiesa richiama la nostra attenzione sull’Ordine Sacro, sicché a giusto titolo possiamo considerare il Giovedì Santo come una festa in onore di Cristo Sommo Sacerdote e di riflesso di tutti i sacri Ministri, che all’unico Sacerdozio di Cristo attingono il proprio Ministero. 

 

Nella Messa Crismale il Vescovo – che possiede la plenitudo Sacerdotii – raccoglie intorno a sé il proprio Presbiterio per consacrare gli Olii Santi, necessari all’amministrazione dei Sacramenti: Consecrare tu dignare, Rex perennis patriæ, hoc olivum, signum vivum, jura contra dæmonum (Hymn. O Redemptor).

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Nella Messa in Cœna Domini celebriamo l’istituzione del Santo Sacrificio, della Santissima Eucaristia e dello stesso Sacerdozio, la cui sacra Unzione richiama Cristo, l’Unto del Signore.

 

La composta solennità di questi riti – che un susseguirsi compulsivo di riforme bugniniane, portate avanti tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta dai fautori del Novus Ordo, ha in gran parte stravolto e sfigurato – ci riporta al Cenacolo e a quelle parole che il Redentore rivolge ai Suoi Discepoli, in un momento di grande oppressione e paura. Sono le ore in cui incombe sui Dodici quel senso di assedio e di pericolo imminente che anche noi oggi sperimentiamo; le ore in cui i ripetuti tentativi dei Giudei di catturare e uccidere il Signore – sino ad allora falliti – stanno per avere successo, a causa del tradimento di Giuda; le ore in cui sembra inevitabile il trionfo dei malvagi, riusciti a corrompere un Apostolo per imprigionare, processare e mettere a morte il Figlio di Dio, pochi giorni prima accolto in Gerusalemme dalla folla festante come Re d’Israele.

 

Tacciono gli Osanna dei fanciulli, la folla è scomparsa, nessuno pare ricordarsi dei miracoli compiuti dal Maestro negli ultimi tre anni e i rami di palme giacciono abbandonati ai lati della via che conduce al Tempio.

 

Non è difficile, in questa nostra fase cruciale della Storia dell’umanità e della Chiesa, immedesimarci negli Apostoli, oppressi da quella sensazione di ineluttabilità del Male che cerca di strappare dai cuori la speranza e instilla lo sconforto e la delusione, dopo la gioia e l’entusiasmo dell’entrata nella Città Santa.

 

Anche il Corpo Mistico di Cristo, che nel corso dei secoli ripercorre le tappe del Ministero pubblico del suo Capo divino, ha vissuto quegli entusiasmi dei Discepoli per la predicazione e i miracoli compiuti, oggi quasi eclissati nell’abbandono delle folle, nella cospirazione del Sinedrio pronto a mandare le proprie guardie, nel tradimento di nuovi Giuda.

 

Questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre (Lc 22, 53), dirà fra qualche ora Nostro Signore ai sommi sacerdoti e alle guardie del tempio venuti a catturarLo.

 

Ma proprio mentre incombe l’impero delle tenebre – che stoltamente, ma umanamente gli Apostoli credono vittoriose – il Signore fa preparare il Cenacolo in una grande sala sontuosamente addobbata, per celebrarvi la Pasqua. Un luogo nel quale, dopo la Crocifissione del Maestro, vedremo riunirsi nuovamente i Discepoli assieme alla Vergine Madre, con le porte sprangate e le imposte chiuse per paura dei Giudei.

 

E sui quali cinquanta giorni dopo, januis clausis, lo Spirito Santo discenderà, compiendo ciò che era stato prefigurato nella consacrazione del tempio da parte del re Salomone (2 Par 7, 1).

 

La serenità e la dignità con cui il Salvatore affronta le ultime ore prima della Passione disorienta gli Apostoli, che non solo non comprendono cosa si vada preparando, ma sono talmente confusi da chiedersi chi di loro doveva essere considerato il maggiore (Lc 22, 24), mentre Pietro si dice pronto ad affrontare il carcere e la morte (ibid., 33), inconsapevole del triplice rinnegamento che di lì a poco avrebbe compiuto: Non cantabit hodie gallus, donec ter abneges nosse me, abbiamo sentito ieri nel Passio.

 

Voi dunque, rinchiusi come gli Apostoli in questa cappella attorno al vostro Vescovo per celebrare la Pasqua, vi sentite assediati e in pericolo, ricercati come discepoli dello stesso Gesù Nazareno che le guardie stanno per arrestare. E forse siete stupiti anche voi, carissimi fratelli, per la serenità con cui vi esorto ad affrontare gli eventi con lo stesso spirito di umile ed obbediente abbandono alla volontà di Dio.

 

Ecce Satanas expetivit vos ut cribraret sicut triticum: Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano (Lc 22, 31).

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La prova si avvicina, perché senza cimentarsi nell’agone non è possibile conseguire il bravio – il premio della vittoria – e senza passare per l’ignominia della Croce non vi può essere gloria della Resurrezione. Ed è prova forse meno cruenta di quella che dovettero attraversare gli Apostoli, ma dinanzi alla quale occorre lo stesso stato d’animo che il Signore intima loro di avere: Vigilate et orate, ut non intretis in tentationem (Lc 22, 46). Rimanete svegli e pregate.

 

In un mondo ostile a Cristo – ieri come oggi – l’umiltà del sacerdote è l’unico presidio per non cedere alla tentazione: l’umiltà di riconoscersi fragili e incapaci di fronteggiare gli eventi avversi, se non grazie all’aiuto di Dio che possiamo ottenere solo con la vigilanza e con la preghiera.

 

Ce lo dice Nostro Signore: Il più grande fra di voi sia come il minore e chi governa come colui che serve (Lc 22, 26). Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi (Gv 13, 13-15).

 

La Liturgia del Giovedì Santo prevede la ripetizione di quel gesto antico e solenne, nella consapevolezza tanto della nostra umana fragilità, quanto dell’incommensurabile dignità del Sacerdozio che ci è stato conferito da Cristo.

 

Nos autem gloriari oportet in cruce Domini Nostri Jesu Christi, canteremo questa sera nell’Introito della Messa in Cœna Domini, e nella luce sfolgorante del Sacerdozio di Cristo intoneremo al suono delle campane, dopo il silenzio quaresimale, il Gloria in excelsis che tacerà ancora fino alla Veglia pasquale. Piccoli squarci di cielo che riescono a riportarci al cospetto della Maestà divina e a farci contemplare le cose del mondo sub specie æternitatis, e quindi a vederle nella loro dimensione transeunte.

 

Le Messe di oggi ci ricordano, ciascuna con i suoi riti antichissimi, l’importanza e l’indispensabilità del Sacerdozio, che potremmo considerare come una sorta di καθῆκον (2 Tess 2, 6), che trattiene ed impedisce che si manifesti l’Anticristo. Nel corso della Storia esso fu identificato con la Chiesa, con il Papato, con il Sacro Romano Impero. Ma se San Paolo ci dice che il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene (ibid., 7), possiamo comprendere perché il Sacerdozio cattolico è fatto oggetto della furia di Satana: senza sacerdoti non vi è Messa, e senza Messa non vi è offerta del Santo Sacrificio.

 

D’altra parte, è lo stesso profeta Daniele che ci spiega come, sotto il regno infernale dell’Anticristo, tacerà il sacrificio perenne. Se dunque il Sacerdozio non costituisce il καθῆκον, di sicuro lo è la Santa Messa, intrinsecamente legata ad esso. 

 

Sant’Agostino spiega: La prima persecuzione (quella dei Cesari), fu violenta: per costringere i cristiani a sacrificare agli idoli, si proscrivevano, si tormentavano, si scannavano. La seconda, quella attuale, è insidiosa e ipocrita: gli eretici ed i fratelli sleali ne sono gli autori. Più tardi ne succederà un’altra, più funesta delle precedenti; perché aggiungerà la seduzione alla violenza, e questa sarà la persecuzione dell’Anticristo.

 

Nel corso dei secoli i fedeli del Signore hanno subìto la persecuzione dei pagani, poi quella degli eretici e dei modernisti, infine quella sottile e seducente dell’apostasia: prima il culto dei falsi dèi, poi quello di un Dio del Quale si è adulterata l’essenza e infine quello di Satana. E quel che è inflitto ai battezzati sarà a maggior ragione fatto subire ai sacerdoti, mediante la seduzione dell’Anticristo: affascinante nell’aspetto e nell’eloquio, socialmente affermato, capace di indurre a seguirne il potere e il prestigio fino ad accettare le sue bestemmie e i suoi orrendi crimini.

 

E la Bestia aprì la sua bocca in bestemmie contro Dio, a bestemmiare il suo nome e il suo tabernacolo e gli abitatori del cielo (Ap 13, 6). E questo nel silenzio dell’autorità: Tutte le nazioni si accordarono per obbedire (1Mac 1, 44). Tre anni e mezzo di inferno in terra: un tempo che ci sembrerà non finire mai, ma che sarà certamente limitato e durante il quale dovremo fronteggiare – se già non lo stiamo facendo – quella stessa sensazione di oppressione e assedio che fu degli Apostoli nei tre giorni della Passione, e che dopo la discesa del Paraclito si mutò in eroica testimonianza portandoli ad affrontare i tormenti del Martirio. 

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Vigilate et orate, cari fratelli. Vigilate rimanendo saldi nella fede e pregate il Signore di non lasciarvi sedurre dal fascino dell’uomo iniquo e doloso, del leone che vaga cercando la preda da sbranare. Attingete la vostra forza da Cristo e dal Suo eterno Sacerdozio del quale il vostro è perpetuazione: Tu es sacerdos in æternum (Sal 109, 4).

 

È Cristo Pontefice che celebra la liturgia celeste, e che dall’altare della Croce intona l’antifona che dà inizio al rito: Deus, Deus meus: quare me dereliquisti? Sono le stesse parole che leggiamo nell’Ufficio di questi giorni benedetti, che riecheggiano con Geremia il dolore e lo sconforto dell’Eterno Padre nei riguardi di Gerusalemme infedele, e con Ezechiele l’ira per il tradimento dei Suoi ministri: Figlio dell’uomo, vedi che cosa fanno costoro? Guarda i grandi abomini che la casa d’Israele commette qui per allontanarmi dal mio santuario! Ne vedrai altri ancora peggiori (Ez 8, 6).

 

In questa terribile visione di Ezechiele i sacerdoti del Signore adorano Baal, demone cui sono offerti i bambini in sacrificio: difficile non scorgere negli orrori del mondo d’oggi la stessa abominazione, gli stessi tradimenti, la stessa apostasia, le stesse offese alla Maestà di Dio e la medesima collera dell’Altissimo. 

 

Quando guardiamo lo stato della Chiesa, dei nostri seminari, dei conventi, delle comunità religiose e le conseguenze delle infedeltà della Gerarchia, non possiamo ignorare le parole terribili del Signore indignato: Profanate pure il tempio, riempite di cadaveri i cortili (Ez 9, 7).

 

È Dio stesso, nella Sua santa ira, che ordina ai Suoi nemici di compiere le Sue vendette sulle membra infedeli della Chiesa, che nel segreto delle stanze del tempio adorano gli idoli del mondo. Riempite di cadaveri i cortili: i chiostri dei monasteri, le navate delle chiese sono cosparsi dei cadaveri di vocazioni perdute, di religiosi mancati, di fedeli fuggiti. 

 

Rimane il pusillus grex, il καθῆκον del Sacerdozio cattolico, che nessuna potenza terrena né infernale potrà mai cancellare dalla faccia della terra. Voi custodite in voi stessi, nelle vostre stesse carni, il pignus, il tesoro dato in pegno alla Chiesa da Cristo Sommo Sacerdote: finché avrete la forza di tenere un’ostia e un calice tra le mani e di pronunziare le parole della Consacrazione, voi avrete il potere di rinnovare il Sacrificio di Cristo che ha distrutto per sempre la tirannide di Satana sulle anime. Finché potrete levare la vostra mano a benedire, a santificare, ad assolvere, l’opera del demonio potrà apparire vittoriosa, ma non riuscirà mai a prevalere. 

 

Sappiamo che l’Anticristo – e tutti i suoi precursori con lui – sono maestri di seduzione. Ma seduzione è anche corruzione, capacità di trascinare comprandoci, come fu comprato l’Iscariota. Hai visto, figlio dell’uomo, quello che fanno gli anziani della casa d’Israele nelle tenebre, ciascuno nella stanza recondita del proprio idolo? Vanno dicendo: «Il Signore non ci vede, il Signore ha abbandonato il paese» (Ez 8, 12). Ma il Signore vede le loro colpe e non abbandona la Chiesa, perché essa è Suo Corpo Mistico, parte di Lui, Sue membra vive e sante. Tutto ciò che cadrà, tutto ciò che apparirà dietro il muro crollato nella sua corruzione e nei suoi tradimenti non impedirà la vittoria finale, ed anzi sarà di sprone a tutti noi per rimanere fedeli al nostro Dio e Signore proprio quando il tempio sembrerà vuoto e l’altare deserto.

 

Mentre i traditori e i malvagi cercano di nascondersi allo sguardo di Dio nei recessi delle loro conventicole, i Discepoli si rifugiano nel Cenacolo per sfuggire ai Giudei.

 

I primi confidano nelle creature e nel mondo di cui è principe Satana; i secondi nel Creatore e nel Redentore, vincitore del mondo. Rimaniamo dunque in questo mistico Cenacolo, in fraterna concordia, vigilando e pregando assieme alla Vergine Santissima, Madre della Chiesa e Madre del Sacerdozio, mentre passa l’Angelo sterminatore.

 

Passerà l’ora delle tenebre.

 

E così sia. 

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

28 Marzo 2024
Feria V in Cœna Domini

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Immagine: Daniele Crespi (1598-1630), L’ultima Cena (1624), Pinacoteca di Brera, Milano. 

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia.

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Due nuovi «santi» venezuelani riaccendono le tensioni tra Chiesa e Stato

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Tralasciando il dubbio valore delle nuove procedure di canonizzazione, una doppia canonizzazione in Venezuela è diventata rapidamente una questione di Stato, rivelando le profonde fratture tra una Chiesa cattolica fortemente coinvolta nell’arena politica, a rischio di apparire come una forza di opposizione, e il potere chavista detenuto dal presidente Nicolas Maduro.   Per comprendere la storia, dobbiamo fare un passo indietro. Il 19 ottobre 2025, papa Leone XIV proclamò «santi» i primi due venezuelani nella storia del Paese: José Gregorio Hernández Cisneros, il «medico dei poveri», e María del Carmen Rendiles Martínez, fondatrice della comunità delle Serve di Gesù. L’evento divenne rapidamente un affare politico.   Nicolás Maduro, al potere dal 2013, non ha perso tempo a sfruttare la canonizzazione. Dopo la cerimonia nella casa-museo di José Gregorio Hernández, circondato da fedeli e autorità governative, il capo dello Stato ha rilasciato una serie di dichiarazioni sui social media: «Siamo felici per i nostri santi. Sono entrambi grandi! Il papa ha agito giustamente!», ha dichiarato, esprimendo «immensa, eterna gratitudine» al pontefice, che ha definito un «amico» e un «fratello».   E presentare l’evento come un gesto provvidenziale di fronte alle «minacce» che la «più grande potenza militare della storia» rappresenterebbe nei Caraibi, vale a dire gli Stati Uniti, che da diversi anni cercano invano di far cadere il regime chavista.   Il chavismo ha una lunga storia con la religione: Hugo Chavez ha invocato la cosiddetta Teologia della Liberazione per la sua «Rivoluzione Bolivariana». Il processo di canonizzazione, guidato con grande entusiasmo dal defunto Papa Francesco, è visto da Nicolas Maduro come una forma di benedizione per il regime.   Ma l’opposizione non è rimasta indietro. Maria Corina Machado, vincitrice del premio Nobel per la Pace 2025, un premio altamente politico, ed Edmundo Gonzalez, il candidato presidenziale fallito, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui José Hernández e Carmen Rendiles vengono descritti come «due santi per 30 milioni di ostaggi venezuelani», riferendosi al destino di 800.000 prigionieri «politici» e migliaia di esuli.

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«Questi santi esemplari, che hanno dedicato la loro vita al servizio degli altri, offrono speranza e consolazione in mezzo all’oscurità», scrivono, invocando un «miracolo imminente»: la caduta del regime chavista.   Temendo che la messa papale del 19 ottobre potesse suggerire una forma di approvazione per Maduro, il giorno seguente, durante una messa di ringraziamento a San Pietro, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede ed ex nunzio in Venezuela dal 2009 al 2013, ha pronunciato un’omelia in cui ha chiesto «di aprire le prigioni ingiuste, di spezzare le catene dell’oppressione, di liberare gli oppressi, di spezzare tutte le catene».   Il caso torna di attualità a Caracas: la «Festa della Santità», prevista per il 25 ottobre 2025 allo stadio Monumental Simon Bolívar , davanti a 50.000 fedeli e alla presenza di tutti i vescovi venezuelani, è stata annullata il 22 ottobre, ufficialmente per «problemi di sicurezza e capienza» – erano state registrate più di 80.000 iscrizioni mentre la capienza non supera i 40.000 posti: «È una questione di sicurezza, sarebbero stati necessari circa tre stadi», spiega uno dei portavoce dell’arcidiocesi.   Nell’arcidiocesi di Caracas si vociferava addirittura che il regime chavista intendesse noleggiare autobus per migliaia di sostenitori, trasformando l’evento in una dimostrazione di forza pro-Maduro. Il cardinale Baltazar Porras, arcivescovo emerito di Caracas, ha denunciato il 17 ottobre una situazione «moralmente inaccettabile»: «crescente povertà, militarizzazione come forma di governo, corruzione, mancanza di rispetto per la volontà popolare» e ha chiesto il rilascio dei prigionieri.   Nicolas Maduro rispose quattro giorni dopo: «Baltazar Porras ha dedicato la sua vita a cospirare contro José Gregorio Hernández (uno dei neo-canonizzati). È stato sconfitto da Dio, dal popolo». L’accesa discussione tra Chiesa e Stato – in un Paese in cui l’80% della popolazione è cattolica – arriva mentre gli Stati Uniti intensificano la pressione contro il regime chavista.   Lo schieramento di una grande flotta al largo delle coste del Paese, accompagnata da un sottomarino nucleare d’attacco, da caccia F-35 e dalla CIA ufficialmente autorizzata da Donald Trump a operare sul territorio venezuelano: si intensifica la pressione su un Paese economicamente rovinato dal bolivarianismo e che – per fortuna o per sfortuna? – è uno dei più dotati in termini di risorse petrolifere. Abbastanza da suscitare cupidigia.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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Immagine di Guillermo Ramos Flamerich via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Omelia relativista di Papa Leone XIII: «nessuno possiede tutta la verità»

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Papa Leone XIV ha dichiarato che «nessuno possiede la verità assoluta» e che «nessuno è escluso» dalla Chiesa, durante la sua omelia domenicale del 26 ottobre, pronunciata in occasione della messa giubilare per i gruppi sinodali e gli organismi partecipativi.

 

Le sue parole, che potrebbero essere interpretate come relativistiche rispetto alla proclamazione della fede unica della Chiesa cattolica, hanno sconvolto moltissimi.

 

L’amore è la «regola suprema della Chiesa». «Nessuno è chiamato a comandare», ma «tutti sono chiamati a servire»; nessuno deve «imporre le proprie idee», tutti sono invitati all’ascolto reciproco; e «nessuno è escluso» poiché «tutti siamo chiamati a partecipare».

 

«Nessuno possiede la verità tutta intera, tutti dobbiamo umilmente cercarla, e cercarla insieme»: un’affermazione scioccante per chi è il vicario di colui che è la Via, la Verità e la Vita..

 

Essere Chiesa sinodale significa riconoscere che la verità non si possiede, ma si cerca insieme, lasciandosi guidare da un cuore inquieto e innamorato dell’Amore.

 

Leone ha enfatizzato il concetto di Chiesa «sinodale», termine spesso usato dal suo predecessore, Papa Francesco, pur rimanendo vago nel significato. «Le équipe sinodali e gli organi di partecipazione sono immagine di questa Chiesa che vive nella comunione», ha aggiunto oscuramente il romano pontefice.

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«Dobbiamo sognare e costruire una Chiesa umile. Una Chiesa che non sta dritta in piedi come il fariseo, trionfante e gonfia di sé stessa, ma si abbassa per lavare i piedi dell’umanità; una Chiesa che non giudica come fa il fariseo col pubblicano, ma si fa luogo ospitale per tutti e per ciascuno; una Chiesa che non si chiude in sé stessa, ma resta in ascolto di Dio per poter allo stesso modo ascoltare tutti».

 

«Impegniamoci a costruire una Chiesa tutta sinodale, tutta ministeriale, tutta attratta da Cristo e perciò protesa al servizio del mondo» ha esortato il sommo pontefice con linguaggio sempre più tecnico e cervellotico.

 

Sebbene nessun individuo possegga la pienezza della verità, la Chiesa cattolica, in quanto Corpo mistico di Cristo guidato dallo Spirito Santo, ha sempre sostenuto di essere la custode del deposito della fede, ossia la verità rivelata da Dio.

 

I commenti di papa Leone appaiono ambigui e potenzialmente relativistici, poiché non ha chiarito la distinzione tra i membri fallibili della Chiesa, che possono errare nella comprensione della verità, e la Chiesa stessa, che custodisce e proclama l’unica vera fede.

 

Le parole di Prevost sembrano andare contro il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il Magistero della Chiesa si avvale in pienezza dell’autorità che gli viene da Cristo quando definisce qualche dogma, cioè quando, in una forma che obbliga il popolo cristiano ad un’irrevocabile adesione di fede, propone verità contenute nella rivelazione divina, o anche quando propone in modo definitivo verità che hanno con quelle una necessaria connessione» (CCC, I dogmi della fede, 88).

 

La Sacra Scrittura parla della «casa di Dio, che è la chiesa del Dio vivente, colonna e base della verità» (1Tim 3,15).

 

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Immagine di Edgar Beltrán via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International 

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Pensiero

Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale

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Ho un argomento molto metafisico, e al contempo concretissimo, per combattere l’abominio dell’ora legale. Un argomento che sono persino in grado di visualizzare.   Ci sono, certo i numeri: ci dicono che risparmieremo 300 gigawattora. Quando stanotte mi sono svegliato ad un orario innaturale, nella confusione inevitabile di non sapere se è troppo presto o troppo tardi, ho ripensato ad un altro dato: quante persone, in questi giorni, moriranno negli incidenti stradali dovuti ai colpi di sonno? Non credo che nessuno abbia mai fatto questo calcolo, che sarebbe più importante che qualsiasi discorso sparagnino.   Ma a chi importa? L’ora legale, teorizzata da Beniamino Franklin che, democraticamente, voleva piazzare un cannone in ogni via per svegliare la popolazione all’ora che diceva lui per risparmiare in candele, in Italia fu adottata nel 1916, in piena Prima Guerra Mondiale: i nostri ragazzi andavano verso l’inutile strage, il potere pensava a cambiargli l’orologio. Non sono in grado di calcolare l’effetto che l’ora legale può aver avuto sulle trincee, e non ho voglia nemmeno di chiedermelo.   Tuttavia non è questo pensiero di morte – diligente e terminale conseguenza dell’azione dello Stato moderno, che è macchina antiumana – che mi spinge a vedere nell’ora legale un’aberrazione satanica.

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Ho, negli occhi, e nel cuore, un’immagine invincibile, quella della chiesetta dove assisto alla Santa Messa, ovviamente in rito tridentino. Molti lettori già la conoscono, perché ho usato la sua foto in vari articoli.   Andò più o meno così: oramai sette anni fa, trovammo questa chiesetta – dell’estrema nobiltà della proprietà che ce la concesse parlerò altrove. Si tratta di un oratorio che risale al XII secolo, ma notizie certe in merito non si hanno, e mi piace pensare che vi sia davvero un millennio di storia lì.   La chiesa sta fuori dalla città, sopra un borghetto che sa ancora di medioevo, su una collina di boschi e pareti di roccia. L’oratorio stesso sembra posato su un’enorme roccia, anzi sembra esservi stato scolpito, sottratto una scalpellata dopo l’altra da quantità di mani laboriose e fedeli vissute in secoli dimenticati.   Arrivati al nostro secolo, arrivati a noi, c’era pronto tutto quello che serviva: il luogo era stato restaurato, nessuno vi aveva introdotto il tavolone-alare conciliare, a poca distanza c’era tanto parcheggio… per i tanti che, non solo dalla provincia, finalmente potevano avere a portata la Messa in latino.   Iniziarono così le celebrazioni del rito antico, tuttavia ottenemmo dai sacerdoti, impegnati a dire Messe in tanta parte della regione ed oltre, un orario pre-serale, alle 18.   D’inverno, a quell’ora è il buio. Nella scala di pietra mettevamo delle candeline, e lo facciamo ancora oggi in caso di celebrazione notturna. L’effetto è abbastanza magico, tuttavia nulla ha a che fare con quanto avremmo scoperto più avanti.  

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Anni dopo, a fronte di una comunità di fedeli sempre più vasta e persistente (unita davvero, come dimostrò la solidarietà in pandemia…) aumentarono il numero di Sante Messe, e fu concessa quindi una celebrazione la domenica mattina, alle 11:00.   Saltò così fuori il fenomeno che ancora mi stupisce, mi commuove. Ci accorgemmo che, precisamente a mezzogiorno – ora nella quale si ha, con la messa iniziata alle 11, la consacrazione eucaristica, un raggio di luce entra dalla finestra a lato e colpisce esattamente il centro dell’altare, dove è posato il tabernacolo.   L’incenso aiuta a vederlo, tuttavia a volte può capitare di notarlo anche in assenza di fumo. È impressionante. Tendo a sospettare di quanti vedono questa cosa e non restano sbalorditi. Le immagini che vedete qui sotto non sono ritoccate in nessun modo. Anzi, ad occhio nudo l’effetto è ancora più forte.    

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È interessante notare che lo abbiamo riscoperto noi a Messa, ma da qualche parte l’eco di questo miracolo luminoso risuonava ancora. Una signora della Pro Loco, che ha stampato un libro sulla chiesetta, mi aveva domandato se mai fosse vera una leggenda locale secondo cui nel giorno del Santo patrono dell’oratorio un raggio di luce colpisce l’altare. Ho risposto invitandola a Messa la domenica successiva, dove ha fatto tante foto con il telefonino, e compreso che la leggenda conteneva una realtà ancora più stupefacente: quel raggio si produce ogni giorno.   Il fenomeno impone tanti pensieri. Il primo, è che le mani che hanno eretto questa chiesa sapevano fare cose che i moderno non sono in grado di fare. Di più: chi l’ha costruita, l’ha basata su principi che sono sconosciuti all’architettura moderna. Per fare una chiesa, bisogna orientarla, cioè l’abside deve dare ad orientem (come il sacerdote prima del Concilio), ma non solo.   Ho l’idea che chi ha costruito la chiesetta lo abbia fatto proprio a partire da quel raggio, alla faccia di quanti ne osservino gli elementi (scala esterna, portone, altare) e li considerino disallineati. Ossia, l’intera chiesa è concepita a partire dal rapporto del Cielo con la Terra, cioè di Dio con l’uomo – questo è un senso ultimo della religione cristiana, quella della divinità che si fa essere umano, del Dio del Cielo che scende sulla Terra, del Cielo che nutre la Terra con la sua luce, il suo calore la sua grazia.  

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Quel raggio, che casca durante la Santa Messa esattamente nel momento più alto, significa in maniera incontrovertibile l’armonia tra il Cielo e la Terra. L’accordo, nella bellezza, accordato all’uomo da un Dio buono, un Dio che è luce, che è amore.   Questo è l’ordine celeste, infinito, stupendo. Questo è il logos. Questo è il cosmos.   Non ci sono voluti tanti mesi per capire che, a parte il cattivo tempo, c’era solo una cosa in grado di distruggere il nostro raggio divino: l’ora legale. Come a marzo si cambia l’ora, quella luce svanisce, si fa più tenue, fino a sparire, facendo capolino, forse, solo dopo la Messa, quando qualcuno si attarda ad una confessione fuori tempo ed altri (io) rassettano prima di chiudere.   Di fatto, poi, il fascio luminoso scompare del tutto, dalla vista come dai cuori. Fine della magia, per ordine dello Stato moderno.  

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Ho sempre preso questo fatto come la prova definitiva della nequizia dell’ora legale – del suo essere un invento contronatura, e quindi contro Dio.   Solo il mondo moderno poteva pensare di alterare persino il tempo: l’uomo si sente in grado di modificare l’immutabile, l’uomo introduce il suo artificio in un sistema la cui complessità ha milioni di anni. Non è diverso per tante altre questioni: ad esempio, i vaccini, la fecondazione in vitro, la bioingegneria…   L’uomo-dio crede di poter mettere mano su qualsiasi cosa, devastando le leggi stesse della creazione, disintegrando quindi l’equilibrio del Cielo e della Terra – una realtà conosciuta dalla saggezza cinese: «l’uomo si conforma alla Terra / La Terra si conforma al Cielo / il Cielo si conforma al Tao» (Tao Te King, XXV). Era chiaro, agli antichi cinesi, che il Cielo è legato alla morale: «Sotto il cielo tutti / sanno che il bello è bello, / di qui il brutto, sanno che il bene è bene, / di qui il male» (Tao Te King, II).   Ora, nel Cristianesimo l’armonia tra la Terra e il Cielo è in realtà una vera alleanze tra persone, cioè tra gli uomini e Dio – e questa nuova alleanza è il Cristo risorto.   Alterare il tempo significa frantumare la relazione naturale con il Cielo. Adulterare la luce del sole significa quindi andare contro il divino, contro la legge naturale, contro Dio.   Non poteva essere altrimenti: il mondo moderno odia, più ancora dell’uomo, Nostro Signore, che vuole sostituire con l’essere umano ubriacato di hybris satanica, l’umanità onnipotente che, apoteosi del non serviam, si crede capace di cambiare le leggi del cosmo.   Ecco perché combatto l’ora legale: perché, ve ne rendiate conto o no, fa parte della macchina in atto per distruggere la presenza di Dio sulla Terra.   E quel raggio magnifico me lo ha ricordato anche domenica scorsa: sì, tornata l’ora del Sole, l’ora vera, è tornato. E con lui è venuta ancora da noi questa immagine potente di reincanto del mondo, di bellezza divina, di armonia cosmica, questa visione sacra che vale più di qualsiasi risparmio.   Vale tutto. Vale il senso vero dell’esistenza e dell’universo.   Roberto Dal Bosco

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