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Geopolitica

Sarete anche voi nella «lista Zelens’kyj»?

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L’Italia dovrebbe revocare «i visti» alle persone con opinioni «pro-Putin» per assicurarsi che non interrompano la consegna degli aiuti militari occidentali a Kiev, ha detto domenica il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj in una conferenza stampa.

 

Si tratta di affermazioni di portata immane, che vengono riportate dalla stampa nazionale come notizie neutre, come se una Nazione straniera che compila liste di proscrizione fosse qualcosa di assolutamente normale.

 

Le dichiarazioni, fatte ad una conferenza stampa e riportate da varie testate come il Corriere della Sera, arrivano il giorno dopo aver firmato un accordo di sicurezza con il primo ministro italiano Giorgia Meloni durante la sua visita nella capitale ucraina.

 

Il giornalista del quotidiano di Via Solferino ha domandato a Zelens’kyj se le persone in Europa che sono solidali con il presidente russo Vladimir Putin potrebbero «complicare» il flusso di armi verso l’Ucraina.

 

«La premier Giorgia Meloni senza dubbio sostiene l’Ucraina, l’ho appena incontrata in veste di presidente del G7 e abbiamo anche firmato l’accordo di cooperazione bilaterale. Le siamo immensamente grati», ha risposto Zelens’kyj in inglese, esortando l’Italia a fornire più armi, compresi sistemi missilistici antiaerei.

 

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«Sappiamo però che in Italia ci sono tanti filo-putiniani e in Europa anche. Stiamo preparando una loro lista» ha detto il presidente ucraino.

 

In Italia «ci sono molti pro-Putin, e prima di tutto dovreste cancellare loro i visti» e «mandarli via».

 

«Stiamo preparando una lista – non solo riguardo all’Italia – sui propagandisti russi. È una lunga lista e vogliamo presentarla alla Commissione europea, al Parlamento europeo, ai leader dell’Ue e degli Stati Uniti» ha detto Zelens’kyj riportato dall’ANSA.

 

«Riuscirete a zittirli? Riuscirete a fare capire alle vostre opinioni pubbliche che la Russia non è solo una minaccia per l’Ucraina, ma per tutti voi? Le società europee sono pronte a questa sfida? Vedo che non lo siete ancora, voi italiani i tedeschi e gli altri».

 

Si resta sconvolti davanti non solo alle dichiarazioni dello Zelens’kyj, ma anche a come vengono riportate: in pratica è annunciata una lista di proscrizione, e la cosa non sembra scandalizzare nessuno.

 

Non è chiaro, innanzitutto, a cosa si riferisca l’uomo di Kiev: se parla di «visti» da negare (ma che con che autorità si permette di chiederlo? Su quali basi legali e costituzionali), forse sta riferendosi a persone straniere sul nostro territorio?

 

Ebbene: stranieri che producono contenuti filorussi in Italia pare non ve ne siano proprio, a meno che non stia parlando del personale diplomatico, che nel magico mondo di Zelens’kyj forse può essere «zittito» ed espulso in barba ai principi della civiltà che prevede quella strana cosa chiamata diplomazia.

 

In rete, la maggior parte degli osservatori ha recepito le parole di Zelens’kyj come un invito a sistemare, dietro ordini del regime di Kiev, quei cittadini italiani colpevoli di non essersi bevuti la narrazione ucro-NATO propalata dai media mainstream.

 

La domanda che si deve fare il lettore, a questo punto, è una sola: sarò anche io nella lista Zelens’kyj?

 

Alcuni già dicono che vorrebbero iscriversi preventivamente. Qualcuno cita pure l’indimenticato Mario Magnotta: «io m’iscrivo ai terroristi!»

 

La questione del finire in un elenco ucraino, tuttavia, non è da prendersi a cuor leggero. Ricordiamo, en passant, che altre liste di proscrizione ucraine di «sostenitori della Russia» hanno prodotto anche morti, anche prima della guerra. Non c’è solo solo Al Bano finito insieme a Kissinger, Roger Waters e Toto Cutugno. Non c’è solo Berlusconi che alla morte viene segnalato come «liqvidirovan», «liquidato» – lo stesso timbro capitato a Darja Dugina dopo che è stata trucidata con un’autobomba a Mosca.

 

E quindi: i putiniani italiani devono cominciare a tremare?

 

E non dimentichiamo che, oltre all’incolumità fisica – il nostro Paese, causa immigrazione da badanza e non solo, è pieno di cittadini ucraini, e, come ha scritto ancora due anni fa Renovatio 21, potrebbe esserlo ancora di più in futuro – potrebbero registrarsi altri effetti, come la loro depiattaformazione: account social revocati, pagine cancellate, siti internet attaccati da hacker.

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Purtroppo Renovatio 21 conosce già per esperienza diretta la questione, che abbiamo capito, grazie a recenti ricostruzioni, essere pilotata da organi dello Stato profondo americano e dalla NATO, cioè le stesse entità che hanno voluto accendere la guerra ucraina, bruciandovi dentro già centinaia di migliaia di ragazzi ucraini e russi.

 

(Notiamo che ieri lo Zelens’kyj ha dato altri numeri: secondo lui «in due anni 31.000 soldati ucraini avrebbero perso la vita, contro circa 180.000 russi»: si tratta della forza militare con la difesa migliore della storia umana, epperò la controffensiva della scorsa primavera è fallita lo stesso).

 

Dinanzi a simili dichiarazioni, la nostra stampa e la nostra politica non abbia nulla da ribattere.

 

Chi nutre pensieri filorussi sarà privato del diritto di libera espressione? È questo il nuovo modo in cui l’Ordine Mondiale vuole umiliare la Costituzione facendoci capire quanto, dopo il COVID, essa sia inutile nella meccanica schiavistica dello Stato moderno?

 

Il mese scorso, l’ambasciata ucraina a Roma ha protestato contro diversi eventi dedicati al conflitto in corso con la Russia. In un caso, una scuola del Lazio ha organizzato una conferenza online con una scuola della Repubblica Popolare Russa di Lugansk, che l’Ucraina considera «territorio occupato».

 

I diplomatici ucraini si sono lamentati anche della prevista mostra e conferenza a Modena dedicata alla ricostruzione e al recupero della città di Mariupol’, nel Donbass, conquistata dalla Russia nel 2022 dopo mesi di aspri combattimenti. A protestare, immediatamente, sono stati i Radicali Italiani.

 

Abbiamo visto, in questi due anni, di cosa è capace l’influenza dell’Ucraina – il Paese più povero e corrotto d’Europa, secondo le cronache di prima del 24 febbraio 2022.

 

Abbiamo visto, in Italia, spettacoli di danza classica cancellati – perché Il lago dei cigni l’ha scritto Tchaikovsky, quindi è irrimediabilmente un’opera russa.

 

Abbiamo visto, in Australia, murales cancellati.

 

Abbiamo visto Zelens’kyj insultare la Polonia all’ONU, e continuare anche dopo.

 

Abbiamo visto l’ambasciatore ucraino a Berlino insultare il cancelliere, e lo Scholz incassare stile Fracchia («com’è umano lei»).

 

Abbiamo visto l’ambasciatore ucraina in Kazakistan invitare all’uccisione dei russi.

 

Abbiamo visto un consigliere di Zelens’kyj insultare il papa e la religione cattolica tutta, e lo Zelens’kyj stesso, con maglioncino e stemma ucronazista e disprezzo per ogni protocollo, sedersi prima che lo faccia il romano pontefice quando è suo ospite nel Sacro Palazzo.

 

Abbiamo visto la principale chiesa cristiana d’Ucraina perseguitata e cancellata manu militari, tra raid e sacerdoti arrestati; abbiamo visto preti cattolici ucraini piegati per aver osato pregare per la pace; abbiamo visto Kiev respingere sdegnosamente la proposta di una tregua di Natale, per poi, anzi, attaccare subito e bombardare alla vigilia del Natale ortodosso e pure la notte di Pasqua – il tutto nel silenzio assordante della comunità politica e religiosa internazionale.

 

Nessun capriccio, nessuna folle richiesta russofoba pare essere fuori dalla portata della banda Zelens’kyj.

 

Lo vediamo anche ora: nel servizio del TG1 riportato qui sopra Zelens’kyj, parlando delle liste di proscrizione in arrivo, riesce ad infilarci una richiesta diretta di armi antiaeree, specificando che lui sa che ne abbiamo ancora tante, e dovremmo darle a lui.

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Prima che diplomaticamente, è qualcosa di sconcertante da un punto umano. Ma del resto, lo aveva scritto TIME quattro mesi fa fa: alcuni collaboratori del personaggio ritengono che sia divenuto «delusional», cioè «delirante», uno che vive in un mondo suo – senza fare illazioni su cosa alimenti queste fantasie.

 

Tuttavia, se guardiamo bene i segni, c’è la possibilità che gli USA, infine, stiano decidendo di sbaraccare da Kiev. L’articolo del New York Times che rivela che la CIA ha impiantato basi di Intelligence in Ucraina negli ultimi 10 anni – dando, cioè, anche esplicitamente ragione a Putin e alle sue reazioni – va in questa direzione, così come la sorprendente dichiarazione del capo dell’Intelligence militare ucraina Budanov che dice che Navalnij è morto di cause naturali, in aperto contrasto con quanto raccontano Zelens’kyj e la sua pupara Victoria Nuland.

 

C’è un ulteriore segno del possibile sbaraccamento americano: l’arrivo di Giorgia Meloni a Kiev, che fa una passerella inutile, firma un qualche accordo militare che non si capisce cosa è, anche se su queste cose dovrebbe esprimersi il Parlamento con ratifica del Capo dello Stato.

 

Che abbiano mandato Giorgia per tenere in piedi, ancora per qualche settimana, il teatro di cartone attorno a Zelens’kyj, così da alimentare l’allucinazione dentro alla quale vive il boss ex comico – che ha annunziato, anche ieri, la partenza di una nuova controffensiva primaverile, quando non è chiaro se esista ancora la demografia necessaria per sostenere qualsiasi manovra militare?

 

Massì, manda Giorgina a fare un po’ di pantomina per prendere tempo, mentre quell’altro pare minacciare gli italiani che non la pensano come lui. Nell’universo dell’Occidente terminale, tutto è possibile, oltre ogni pudore, oltre ogni hybris. Finché i servi obbediscono, facciamoli lavorare.

 

È una teoria. La certezza, invece, è che il governo «nazionalista» e «sovranista» fa spallucce mentre non solo distruggono gli interessi dei suoi cittadini, ma li minacciano propriamente.

 

Del resto, questo è lo Stato moderno: un sistema fatto non per nutrirvi e difendervi, ma per offendervi e sterminarvi.

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Geopolitica

Putin respinge la formula di pace di Kiev e solleva dubbi sulla legittimità di Zelens’kyj

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La Russia non cederà agli ultimatum dell’Ucraina e dei suoi sostenitori occidentali mentre cercano di ottenere diplomaticamente ciò che non sono riusciti a ottenere militarmente, ha detto il presidente russo Vladimir Putin in un incontro con i giornalisti ieri.   A metà giugno la Svizzera ospiterà una conferenza internazionale per discutere della cosiddetta «formula di pace» del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj. La Russia, grottescamente, è stata esclusa dall’evento.   Venerdì, parlando ai giornalisti, Putin ha ribadito la percezione di Mosca del prossimo evento come un semplice stratagemma di Kiev e dell’Occidente.

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«Vogliono riunire quante più nazioni possibile, convincere tutti che la migliore proposta sono i termini della parte ucraina, e poi inviarcela sotto forma di un ultimatum», ha detto. «È così che si negozia sul serio? Certamente no».   Russia e Ucraina hanno raggiunto un accordo preliminare su un accordo di pace nel 2022 che sarebbe stato vantaggioso per entrambe le parti, è tornato ad osservare Putin. Ma dopo che i termini generali furono negoziati, Kiev fece marcia indietro e dichiarò che avrebbe cercato invece una vittoria militare. Il tentativo di imporre le sue richieste a Mosca fallirà così come è fallito il tentativo di infliggere una «sconfitta strategica» alla Russia, ha promesso Putin.   Gli accordi presi a Istanbul potrebbero servire come base per un futuro trattato di pace, ha detto il leader russo. I benefici per l’Ucraina contenuti nel documento sono stati proposti da parte di Kiev, presumibilmente con il consenso occidentale, se non con la paternità, ha suggerito Putin. Tuttavia, qualsiasi accordo futuro «dovrà tenere conto delle realtà sul campo», ha aggiunto.   Dopo il fallimento dei colloqui di pace nel 2022, quattro regioni dell’Ucraina hanno tenuto referendum in cui hanno votato a stragrande maggioranza a favore del distacco da Kiev e dell’adesione alla Russia. Il governo ucraino ha respinto il voto definendolo una «farsa».   La «formula di pace» ucraina richiede il ritorno delle quattro regioni e della Crimea, che hanno votato per diventare parte della Russia nel 2014, riparazioni di guerra, un tribunale per la leadership russa e un sostegno globale a lungo termine per la restaurazione del paese. Putin l’ha definita una «lista dei desideri» piuttosto che una base seria per i colloqui.   Il presidente russo ha altresì dichiarato che la legittimità dello Zelens’kyj come presidente dell’Ucraina è una questione importante non solo per il suo Paese, ma anche per Mosca, spiegando che lo status di Zelenskyj influirà su qualsiasi potenziale accordo tra i due paesi belligeranti.   Il mandato quinquennale di Zelenskyj scade il 20 maggio. Gli ucraini avrebbero dovuto recarsi alle urne per eleggere un nuovo leader il 31 marzo; tuttavia, nel dicembre 2023 ha annunciato che non si sarebbero svolte elezioni presidenziali o parlamentari finché fosse rimasta in vigore la legge marziale. È stata imposta dopo l’inizio del conflitto con la Russia nel febbraio 2022 e da allora è stata più volte prorogata dal parlamento ucraino. Mercoledì scorso i legislatori ucraini hanno prolungato la legge marziale di altri tre mesi.

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Putin ha quindi affermato che la questione della legittimità di Zelens’kyj è qualcosa che «il sistema politico e giuridico dell’Ucraina» deve affrontare, «prima di tutto la Corte costituzionale». Ha osservato che la costituzione del Paese prevede «diverse varianti».   «Ma per noi questo è importante perché se si tratta di firmare qualsiasi documento, sicuramente, dovremmo firmare i documenti in un’area così importante con le autorità legittime», ha spiegato Putin. Ha aggiunto che il Cremlino era rimasto regolarmente in contatto con il presidente Zelens’kyj prima dello scoppio delle ostilità.   La costituzione ucraina vieta esplicitamente lo svolgimento di elezioni presidenziali o parlamentari in tempo di guerra. A marzo, un alto funzionario della commissione elettorale centrale ucraina ha chiarito ai media che il mandato di Zelens’kyj sarebbe stato automaticamente prolungato fino a quando le condizioni non fossero state favorevoli allo svolgimento delle elezioni. Questo mese, il ministro della Giustizia Denis Maliuska lo ha confermato alla BBC.   Alla fine di aprile, il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha affermato che «verrà presto il momento in cui molte persone, comprese quelle in Ucraina, metteranno in dubbio la legittimità» del presidente Zelenskyj.   Un sondaggio condotto dal sondaggista ucraino SOCIS all’inizio di marzo ha mostrato che il presidente in carica avrebbe perso contro l’ex comandante in capo ucraino, il generale Valery Zaluzhny, se entrambi si fossero candidati. Il mese successivo, il quotidiano tedesco Tagesspiegel riferì che il sostegno pubblico a uno Zelenskyj «autoritario» era «sceso al 61%».   A marzo, l’Ukrainskaya Pravda ha affermato, citando alcuni parlamentari, che Zelens’kyj aveva praticamente privato il parlamento dei suoi poteri e stabilito di fatto un governo personale. Nello stesso periodo, un deputato del partito presidenziale ha apertamente affermato che l’Ucraina ha bisogno di una dittatura per sopravvivere al conflitto con la Russia.

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Nello stesso incontro con la stampa, tenutosi all’Istituto Tecnologico della città di Harbin, in Manciuria, durante il suo viaggio diplomatico in Cina, Putin ha detto che Russia non ha intenzione di catturare la città ucraina di Kharkov, che è vicina al confine russo, affermando che Mosca sta ottenendo successo sul campo di battaglia agendo «rigorosamente secondo i piani».   Interrogato sugli obiettivi della Russia nella zona, Putin ha osservato che l’Ucraina è responsabile dei recenti combattimenti nell’area, poiché «purtroppo continua a bombardare blocchi residenziali nelle aree di confine, inclusa Belgorod».   «I civili stanno morendo là fuori. Tutto è cristallino. Stanno sparando direttamente al centro della città», ha detto il presidente, ricordando di aver pubblicamente avvertito Kiev che la Russia sarebbe stata costretta a stabilire un «cordone sanitario» nelle zone sotto il controllo di Kiev se gli attacchi continuassero.   «Questo è ciò che stiamo facendo. Per quanto riguarda» la cattura di] Kharkov, «per oggi non ci sono piani del genere», ha dichiarato il presidente russo.   La scorsa settimana le forze russe hanno lanciato l’offensiva nella regione di Kharkov, respingendo le truppe ucraine e catturando diversi insediamenti di confine. Alla luce di ciò, Zelens’kyj ha annullato tutti i prossimi viaggi all’estero e si è recato a Kharkov, la seconda città più grande dell’Ucraina.   In un’intervista con ABC News giovedì, ha descritto la situazione come «molto grave», sottolineando che l’Ucraina «non può permettersi di perdere» la città. Kiev aveva già annunciato in precedenza la ridistribuzione delle riserve in questo settore del fronte.   In osservazioni simili, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Vedant Patel ha definito la situazione nella zona «incredibilmente terribile». Diversi resoconti dei media hanno suggerito che la facilità dell’avanzata della Russia nella regione di Kharkov era dovuta all’incapacità di Kiev di istituire difese adeguate.   Putin ha parlato per la prima volta di un «cordone sanitario» già a marzo, in seguito a diversi attacchi particolarmente mortali contro Belgorod che hanno provocato la morte di dozzine di civili.   Le regioni di confine russe sono state anche bersaglio di incursioni da parte del cosiddetto Corpo dei Volontari Russi e della Legione Russa della Libertà, composti da disertori russi e neonazisti fuggitivi. Entrambi i gruppi sono stati designati organizzazioni terroristiche da Mosca.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
   
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Geopolitica

La Francia accusa l’Azerbaigian dei disordini in Nuova Caledonia

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L’Azerbaigian ha avuto un ruolo nelle proteste contro la riforma costituzionale nel territorio francese d’oltremare della Nuova Caledonia, ha affermato il ministro degli Interni Gerald Darmanin.

 

La violenza è scoppiata all’inizio di questa settimana nel territorio francese del Pacifico, una delle poche aree ancora sotto il controllo di Parigi nell’era postcoloniale, provocando la morte di almeno cinque persone, tra cui due agenti di polizia.

 

A scatenare le proteste è stata la proposta dei parlamentari parigini di concedere il diritto di voto nella provincia ai residenti francesi che vivono in Nuova Caledonia da dieci anni.

 

L’iniziativa ha fatto temere che i voti degli indigeni Kanak, che costituiscono il 40% della popolazione dell’arcipelago, possano essere diluiti.

 

Giovedì, alla domanda se crede che l’Azerbaigian, la Cina o la Russia si stiano intromettendo negli affari della Nuova Caledonia, Darmanin ha puntato il dito contro la repubblica post-sovietica si trova a circa 14.000 km dalla Nuova Caledonia.

 

«Non è una fantasia, è una realtà», ha detto il ministro, aggiungendo che «alcuni separatisti caledoniani hanno stretto un accordo con l’Azerbaigian».

 

Il mese scorso, tuttavia, il Parlamento dell’Azerbaigian e il congresso della Nuova Caledonia hanno firmato un memorandum di cooperazione in cui Baku riconosceva il diritto all’autodeterminazione della popolazione locale.

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In seguito agli eventi, il Darmanin ha accusato l’Azerbaigian di sostenere il separatismo sul suo territorio e ha suggerito che Baku stesse sfruttando le tensioni nella regione per rispondere alla “difesa francese degli armeni” che, secondo lui, sono stati «massacrati» dagli azeri.

 

Baku ha negato con veemenza le accuse di incoraggiamento al separatismo in Nuova Caledonia, sostenendo che tutte le insinuazioni sull’interferenza dell’Azerbaigian sono infondate.

 

Ad aprile, il portavoce del ministero degli Esteri azerbaigiano Aykhan Hajizada ha respinto le accuse di pulizia etnica tra gli armeni, dicendo a Darmanin che «non dovrebbe dimenticare che come parte della politica coloniale… [la Francia] ha commesso crimini contro l’umanità nei confronti delle popolazioni locali e ha brutalmente ha ucciso milioni di persone innocenti».

 

Le relazioni tra Francia e Azerbaigian sono in crisi del Nagorno-Karabakh dello scorso 2023, quando l’occupazione azera fu condannata da Parigi. Baku occupò la regione a maggioranza armena, staccatasi dall’Azerbaigian durante il tramonto dell’Unione Sovietica, innescando un esodo di massa di rifugiati dalla zona: nella totale indifferenza del mondo, i cristiani armeni sfollati sarebbero almeno 120 mila, con testimonianze di indicibili atrocità.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Azerbaigian negli scorsi mesi è arrivato a dichiarare che la Francia è responsabile di ogni nuovo conflitto con l’Armenia.

 

Tra scontri con morti, le tensioni tra Erevan e Baku stanno continuando anche ora, tracimando anche nella politica interna armena. L’Armenia, sostanzialmente, avrebbe pagato il fatto di aver lasciato il blocco guidato da Mosca – della cui alleanza militare è parte – per avvicinarsi agli USA, che tuttavia non hanno fatto nulla per contenere Baku, appoggiata apertamente da un alleato importante di Washington, la Turchia.

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Geopolitica

Zelens’kyj incolpa «il mondo intero» per l’avanzata russa a Kharkov

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Il mondo intero è responsabile del fallimento dell’Ucraina nel fermare i recenti progressi della Russia nella regione di Kharkov e ora deve aiutare Kiev a cambiare la situazione, ha detto giovedì il presidente Volodymyr Zelens’kyj ad ABC News in un’intervista.   I commenti dell’ex attore televisivo arrivano dopo che le forze russe sono riuscite a catturare diversi insediamenti vicino alla seconda città più grande dell’Ucraina la scorsa settimana.   Gli alti funzionari militari a Kiev hanno ammesso che la situazione è ora «estremamente difficile» e che le truppe ucraine stanno lottando per mantenere il terreno a causa della loro inferiorità numerica e di armi.   Alla domanda se crede che i fallimenti dell’Ucraina sul campo di battaglia siano colpa degli Stati Uniti, lo Zelens’kyj ha detto ai giornalisti della ABC che «è colpa del mondo» e ha accusato la comunità internazionale di dare «l’opportunità a Putin di occupare».

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Il leader ucraino ha detto che il Paese «non può permettersi di perdere Kharkov» e che «il mondo può aiutare» Kiev a mantenere la vitale città nel Nord-Est del Paese. «Tutto ciò di cui abbiamo bisogno sono due sistemi Patriot», ha detto Zelenskyj, suggerendo che «la Russia non sarà in grado di occupare Kharkov se li avremo».   Il presidente si è anche lamentato del fatto che i finanziamenti approvati dagli Stati Uniti per Kiev non stanno effettivamente raggiungendo il Paese e vengono invece spesi «nelle fabbriche americane, creando posti di lavoro americani».   Nel frattempo, il segretario di Stato americano Antony Blinken, che ha visitato Kiev questa settimana, ha assicurato alla leadership ucraina che Washington stava «attivamente e urgentemente» cercando di procurarsi sistemi di difesa aerea Patriot da miliardi di dollari per l’Ucraina. Il mese scorso, Zelens’kyj ha insistito sul fatto che l’Ucraina avesse bisogno di 25 batterie di questo tipo, ma in seguito ha rivisto quel numero portandolo ad «almeno sette».   Ogni batteria Patriot comprende una centrale elettrica, stazioni radar e di controllo, lanciamissili montati su camion e veicoli di supporto, e costa circa 1 miliardo di dollari. Si ritiene attualmente che l’Ucraina possieda almeno tre Patriot, uno dei quali è di stanza vicino alla capitale, scrive RT.   Mosca, nel frattempo, ha ripetutamente affermato che nessuna quantità di sistemi d’arma occidentali può cambiare l’inevitabile esito del conflitto, e ha avvertito che continuare ad armare l’Ucraina non farà altro che prolungare lo spargimento di sangue e aumentare il rischio di uno scontro diretto tra Russia e NATO.   Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato, una di queste batterie sarebbe stata danneggiata o distrutta da un attacco missilistico ipersonico russo. L’attacco russo avvenne dopo che le forze ucraine avevano dichiarato di aver intercettato un ipersonico, cosa smentita con forza dai russi.   Due anni fa gli USA mandarono Patriot in Slovacchia, con Bratislava a cedere in cambio i suoi missili terra-aria sovietici S-300 a Kiev.

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