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Comico americano va avanti con le battute contro la follia transgender

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Il nuovo spettacolo del comico americano Dave Chappelle The Dreamer mette alla berlina il transgenderismo raccontando un aneddoto della vita dello stand-up comedian.

 

Chappelle, comico nero di fede musulmana definito da molti il miglior comico vivente, negli scorsi anni ha avuto tremendi problemi a causa di sue battute sui transessuali. The Closer il suo speciale su Netflix del 2021 ha attirato critiche al vetriolo e richieste da parte di cancellazione da parte dei goscisti, con proteste organizzate perfino da parte degli stessi lavoratori di Netflix. In seguito, ad un evento pubblico a Los Angeles, Chappelle era stato addirittura attaccato fisicamente sul palco.

 

Nel nuovo spettacolo il comico torna brevemente sull’argomento con leggiadra, mirabile maestria.

 

In una clip diventata virale sui social media, lo Chappelle racconta di quando il compianto collega Norm McDonald (e tutto il segmento pare come un omaggio al suo stile) lo ha portato a conoscere Jim Carrey, un comico il cui talento, dice Chappelle, non è replicabile: «Norm sapeva che io ero il più grande fan di Jim Carrey al mondo… Jim Carrey è dotato di un talento che non puoi praticare, non puoi esercitartici… che talento donato da Dio, ero affascinato da lui, e Norm lo sapeva».

 


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McDonald, che stava lavorando ad una pellicola con Carrey, organizzò quindi l’incontro. Al momento dell’incontro Carrey era sul set del film Man on the Moon (1999), un film biografico sul comedian Andy Kaufman.

 

Carrey aveva approcciato la produzione praticando quello che si chiama method acting, una tecnica attoriale che prevede l’immedesimazione totale nel personaggio recitato, al punto che, anche fuori scena, si deve parlare, pensare, agire sempre immedesimati nella storia. In quell’occasione, ricorda lo Chappelle, il Carrey voleva che tutti lo chiamassero «Andy».

 

«Jim Carrey era così immerso in quel ruolo che dal momento in cui si svegliava al momento in cui andava a letto lui viveva la sua vita come Andy Kaufman… quando dicevano “cut” [cioè in italiano “stop”, il comando del regista o del suo aiuto per far fermare le cineprese alla fine di un’inquadratura, ndr] quel nigga era ancora Andy Kaufman».

 

«Nigga» è un termine che significa letteralmente «negro», una parola che parrebbe proibito usare (è un tabù, la chiamano «N word», «parola con la N»), ma a Chappelle, come a molti altri afroamericani, pare invece sia consentito usare. Il vocabolo sembra poter essere utilizzata dal gergo dei neri americani come sinonimo di «persona»; il fenomeno non lo rende dissimile dal termine delle lingue Bantu muntu, che parimenti può significare persona (se nera: se bianca invece si tratta di muzungu) e parimenti viene considerato estremamente offensivo e razzista se pronunciata da un bianco. Ma stiamo divagando.

 

Chappelle, riferendosi a Carrey, racconta che «tutti nella troupe lo chiamavano Andy». «Quando sono entrato nella stanza dove dovevo incontrarlo ho urlato “Jim Carrey!” e tutti hanno detto “Noooo!”, chiamalo Andy».

 

«Quando è arrivato ha cominciato a comportarsi in modo strano… e io… pronto? Andy?» racconta ancora stranito il comico nero.

 

«Ora, con il senno di poi, quanto fottutamente fortunato sono stato a vedere uno dei più grandi artisti del mio tempo immerso in uno dei processi più sfidanti di tutta la sua carriera? Sono davvero fortunato ad aver visto questa cosa».

 

«Tuttavia mentre ciò stava succedendo… io sono rimasto molto deluso. Perché volevo incontrare Jim Carrey e ho dovuto fingere che questo nigga fosse Andy Kaufman per tutto il pomeriggio. Era chiaramente Jim Carrey. Potevo guardarlo e vedere chiaramente che era Jim Carrey», dice Chappelle.

 

Quindi, la battuta finale, «dico tutto questo per dire… è così che mi fanno sentire le persone trans».

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«Se voi ragazzi siete venuti qui stasera allo spettacolo pensando che avrei preso di nuovo in giro quelle persone, siete venuti allo spettacolo sbagliato» dice il comico riferendosi ai transgender. «Non sto più scherzando con quelle persone. Non ne valeva la pena. Non dico un cazzo su di loro. Forse tre o quattro volte stasera, ma questo è tutto. Sono stanco di parlare di loro. E vuoi sapere perché sono stanco di parlarne? Perché queste persone si comportavano come se avessi bisogno che fossero divertenti. Beh, è ​​ridicolo. Non ho bisogno di voi. Ho una prospettiva completamente nuova in arrivo. Ragazzi, non ve lo aspettate. Non farò più battute sui trans».

 

«Ad essere onesto con voi, ho cercato di riparare il mio rapporto con la comunità transgender perché non voglio che pensino che non mi piacciono. Sai come l’ho riparato? Ho scritto un’opera teatrale. L’ho fatto. Perché so che i gay adorano le commedie. È un’opera molto triste, ma è commovente. Parla di una donna transgender nera il cui pronome è, purtroppo, “negro”. È strappalacrime. Alla fine dello spettacolo muore di solitudine perché i progressisti bianchi non sanno come parlarle. È triste».

 

Annunciando di averne avuto abbastanza dei problemi con i trans («non ne vale la pena»), lo Chappelle dichiara di voler prendersela da ora con i portatori di handicap.

 

«Sapete cosa farò stasera? Stasera farò tutte le battute sugli handicap. Beh, non sono organizzati come i gay, e adoro colpire in basso».

 

Il particolare, il comico ha fatto battute su un ex deputato americano in sedia a rotelle, Madison Cawthorn, scherzando sul fatto che, non venendo rieletto, «ha perso la sedia». Il giovane Cawthorn ha dichiarato ai media di aver trovato divertenti le battute di Chappelle, che è il suo comico preferito.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’esclusione di Cawthorn dalla politica è arrivata dopo che questi aveva iniziato a parlare di festini orgiastici a base di droga e sesso a cui partecipano i politici di Washington. Cawthorn aveva inoltre definito il presidente ucraino Zelens’kyj come un gangster.

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Attrici giapponesi che si vestono da uomini bullizzano collega fino a spingerla al suicidio

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Dal Giappone arriva l’eco di un episodio di bullismo e violenza sistematica sfociati in un suicidio all’interno di una struttura esclusivamente femminile. Una sorta di suicidio femminicida, ma ad opera di femmine.   Teatro della vicenda è per il corpo teatrale Takarazuka, un’istituzione più che secolare nel mondo dello spettacolo giapponese. Il concetto alla base del corpo teatrale è che sono soltanto attrici a salire in scena, interpretando anche i ruoli maschili. Tale idea, di per sé spiazzante, inverte completamente la tradizione del teatro tradizionale Kabuki, dove sono gli attori maschi a ricoprire tutti i ruoli.   Gli spettacoli del Takarazuka sono tuttavia distanti anni luce dal rigido formalismo del Kabuki: qui si tratta di musical che attingono dalle fonti più disparate, da West Side Story all’Evgenij Onegin, spesso spingendo a tavoletta su elementi che qualche anno fa si definivano camp o kitsch, in italiano lo si potrebbe semplicemente chiamare «pacchianeria», benché estremamente professionale e ben fatta.    

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Il seguito che hanno questi spettacoli nel contesto nipponico è impressionante, ancora di più perché per la grandissima maggioranza femminile: lo scrivente ricorda di essersi imbattuto in una lunghissima coda in attesa di entrare nel teatro di Tokyo – in zona centralissima, vicino al palazzo imperiale – dove si esibisce la compagnia. Si poteva constatare che gli uomini tra la folla erano appena una manciata.   Un ambiente quindi quasi completamente femminile, al sicuro da patriarcato e maschilismo tossico.   E allora, come si spiegano allora vessazioni di gruppo, ustioni procurate con le piastre per i capelli, carichi di lavoro insostenibili assegnati al solo scopo di umiliare e di lasciare soltanto tre ore di sonno al giorno? È questa l’ordalia che ha portato la 25enne Aria Kii a gettarsi nel vuoto per porre fine alla sua vita nel settembre del 2023.   La vicenda era stata prontamente insabbiata dall’azienda che gestisce la compagnia teatrale ma è stata riportata a galla dall’ineffabile Shuukan Bunshun, testata con una lunga e gloriosa tradizione di caccia agli scheletri negli armadi. Nella primavera di quest’anno i dirigenti dell’azienda in questione hanno pubblicamente ammesso la loro responsabilità nel non essere stati in grado di vigilare adeguatamente l’ambiente lavorativo delle attrici.   Duole dire che per la società giapponese uno scenario così è tutto fuorché inconsueto: il proverbio «il chiodo che sporge verrà martellato» illustra ancora con una certa fedeltà le dinamiche sociali che si formano all’interno delle istituzioni giapponesi – siano esse scuole, aziende, partiti.   Negli ultimi tempi c’è un evidente cambiamento in atto soprattutto per quanto riguarda il mondo del lavoro, ma il bullismo allo scopo di creare coesione all’interno di un gruppo è una pratica a cui i giapponesi ricorrono abitualmente e che non sembra soffrire di particolare disapprovazione sociale.   Dal Giappone ci chiediamo con sincerità come un giornalista italiano – di area woke, ma anche solo attento a seguire i dettami del politicamente corretto elargiti ai corsi di deontologia dell’Ordine – potrebbe riportare la notizia della triste morte di Aria, con lo stuolo di angherie subite in un contesto esclusivamente femminile.   Taro Negishi Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo

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Lucerna annulla il concerto della Netrebko, Berlino la invita a cantare

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Il concerto in Svizzera della cantante lirica russa Anna Jur’evna Netrebko, previsto per il 1° giugno, è stato annullato su richiesta delle autorità locali, hanno riferito ai media i rappresentanti della sala da concerto della città di Lucerna.

 

In una dichiarazione al quotidiano Luzerner Zeitung, la direzione del KKL (Kultur und Kongresszentrum Luzern) ha spiegato che «la percezione pubblica del solista resta controversa», riferendosi alle accuse secondo cui Netrebko rimane vicino al presidente russo Vladimir Putin, avendo rifiutato di prendere le distanze da lui dopo l’avvio del conflitto in Ucraina.

 

La sede del KKL ha inoltre affermato che la vicinanza del concerto alla data e al luogo della prossima Conferenza di pace in Ucraina, prevista per il 15 giugno al Burgenstock, nella città di Nidvaldo, avrebbe causato «una minaccia all’ordine pubblico», secondo quanto affermato da un politico lucernese, riporta EIRN. Ci sarebbero stati «almeno un migliaio» di manifestanti all’esibizione di Netrebko.

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Anche il consigliere comunale di Lucerna, Armin Hartmann, ha dichiarato ai media che l’ufficio del sindaco ha chiesto esplicitamente al KKL di annullare l’esibizione di Netrebko, affermando che «non riteniamo appropriato che un artista russo presumibilmente fedele al regime si esibisca a Lucerna».

 

Il sindaco Beat Zusli ha anche affermato che «un artista che ha preso le distanze dalla guerra ma non ha mai rinunciato al regime russo, non dovrebbe apparire in città», per non causare «danni alla reputazione» della regione.

 

In risposta, gli uffici della Netrebko ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna l’annullamento unilaterale della sua esibizione «contrariamente agli obblighi contrattuali» degli organizzatori e sottolinea che la conferenza di pace in Ucraina si terrà due settimane dopo il concerto previsto.

 

I rappresentanti della cantante hanno sottolineato che «nessuna delle quasi 100 esibizioni di Anna Netrebko dal marzo 2022 ha portato a un disturbo dell’ordine pubblico».

 

Il management della cantante ha anche sottolineato che, dopo lo scoppio del conflitto ucraino nel 2022, Netrebko si è espressa pubblicamente contro i combattimenti e ha chiesto la pace in Ucraina. Da allora non è più tornata in Russia, poiché vive in Austria dal 2006.

 

La questione Netrebko ha portato giovedì anche il ministero degli Esteri ucraino a denunciare la decisione dell’Opera di Stato di Berlino di riportare indietro il soprano russo di fama mondiale, una grande artista che era stata precedentemente «cancellata» per essersi rifiutata di denunciare il suo Paese.

 

«La voce dell’Ucraina in Germania dovrebbe essere ascoltata più forte del soprano Anna Netrebko», ha affermato il ministero di Kiev in un post su Facebook, rivelando che il regime ucraino aveva compiuto sforzi per impedire alla cantante russa di esibirsi a Berlino, ma i suoi sforzi «non hanno avuto la risposta adeguata».

 

La Netrebko prenderà parte alla première di venerdì del Macbeth. L’Ucraina intende protestare contro la sua presenza inviando l’ambasciatore Oleksiy Makeev alla mostra anti-russa allestita accanto al teatro dell’opera, accompagnato dal senatore per la cultura di Berlino Joseph Chialo, ha detto il ministero. Makeev ha anche pubblicato un editoriale in cui denuncia Netrebko in diversi organi di stampa tedeschi.

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La Staatsoper Unter den Linden, come viene ufficialmente chiamata l’opera berlinese, ha annunciato alla fine di agosto che intende riprendere la collaborazione con la Netrebko, adducendo che non si è esibita in Russia di recente.

 

Come riportato da Renovatio 21, la battaglia dell’Ucraina contro la Netrebko in Germania è risalente, e non si tratta della sola Germania: lo scorso settembre era emerso che pure le autorità ceche, sotto pressione, hanno annullato l’esibizione programmata di Netrebko a Praga il mese scorso.

 

La musica classica – settore di eccellenza di tanti artisti russi, dall’opera al balletto e oltre – è sempre più teatro della guerra della russofobia, con le pretese allucinanti del regime di Kiev spesso assecondate dai Paesi occidentali, nonché episodi al limite del tollerabile come quello della nona di Beethoven, cioè L’Inno alla gioia, dove viene ora inserita la parola «Slava», che ricorda ovviamente da vicino lo slogan banderista, cioè neonazista, «Slava Ukraini».

 

Come riportato da Renovatio 21, la furia russofoba era tracimata anche in Italia, facendo saltare in provincia di Vicenza il balletto Il lago dei cigni di Tchaikovskij, compositore che ha la colpa di essere russo.

 

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Immagine di Manfred Werner via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

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La nona di Beethoven trasformata nel canto banderista «Slava Ukraini»

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La direttrice Keri-Lynn Wilson, moglie del direttore generale del Metropolitan Opera di Nuova York Peter Gelb, ha annunciato che la sua «Ukrainian Freedom Orchestra» eseguirà la famosa nona sinfonia di Beethoven, quella ispirata all’ode Inno alla gioia (An die Freude) del drammaturgo tedesco Friedrich Schiller. Lo riporta EIRN.   Tuttavia, secondo quanto si apprende, la Wilson starebbe sostituendo la parola «Freude» nel testo con «Slava». «Slava ukraini» o «Gloria all’Ucraina» era il famigerato canto delle coorti ucraine di Hitler guidate dal collaborazionista Stepan Bandera durante la Seconda Guerra Mondiale. Da allora è stato conservato come canto di segnalazione dalle successive generazioni di seguaci di Bandera, i cosiddetti «nazionalisti integrali», chiamati più semplicemente da alcuni neonazisti ucraini o ucronazisti.   A causa di quanto accaduto nella prima metà del secolo, in Germania non si può cantare «Heil!» in tedesco senza invocare «Heil Hitler!», né si può dichiarare ad alta voce «Slava!» in Ucraina senza invocare lo «Slava Ukraini» canto dei sanguinari collaboratori locali del Terzo Reich, in particolare il Bandera.   La Wilson, che si vanta delle sue origini ucraine via nonna materna e della sua comunità ucraina di Winnipeg, Canada (Paese, come è emerso scandalosamente con il caso Trudeau-Zelens’kyj, pieno di rifugiati ucronazisti), ha rilasciato ieri il suo comunicato stampa.

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«La decisione di cantare il grande testo di Schiller per la Nona Sinfonia di Beethoven in ucraino è stata per noi un’importante dichiarazione artistica e culturale più ampia» ha dichiarato il direttore. «Putin sta letteralmente cercando di mettere a tacere una nazione. Non saremo messi a tacere. Il nostro unico emendamento a Schiller è che invece di cantare “Freude” (Gioia) canteremo “Slava” (Gloria), dal grido della resistenza ucraina di fronte alla spietata aggressione russa, Slava Ukraini! (Gloria all’Ucraina!)».   Notiamo l’interessante inversione in corso presso la sinistra e l’establishment: la «resistenza», oggi, la fanno i nazisti…       «Mentre l’Ucraina continua la sua lotta a nome del mondo libero, ha bisogno più che mai del nostro sostegno e porteremo con orgoglio il nostro messaggio in tutta Europa e negli Stati Uniti» ha continuato la Wilsona, che ha eseguito per la prima volta la sua versione banderizzata di Beethoven il 9 nel dicembre 2022 a Leopoli con la sua Ukraine Freedom Orchestra.   Nel 2023, l’importante casa discografica della classica Deutsche Grammophon ha registrato l’esecuzione del suo primo tour europeo a Varsavia, e quest’anno vi sarà la pubblicazione, proprio nel bicentenario dell’opera di Beethoven. Vi sarà quindi una tournée quest’estate che toccherà Parigi, Varsavia, Londra, Nuova York e Washington.   Secondo quanto riporta EIRN, «si dice inoltre che il prossimo progetto della Wilson coinvolga la sostituzione della parola “agape”» (cioè, in greco, amore disinteressato, infinito, universale), termine contenuto nella lettera di San Paolo ai Corinzi (capitolo 13), «con «agon» o «eris» (cioè, contesa, lotta, conflitto)».   Se fosse vero, sarebbe un altro tassello del quadro che si sta dipanando dinanzi ai nostri occhi. Dalla gioia alla guerra. Da Cristo a Nietzsche.   Va così, perfino nella musica classica.

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