Intelligence
Avvelenata la moglie della capo dell’Intelligence militare ucraina. Chi è stato?
La moglie del capo della direzione principale dell’Intelligence militare ucraina (GUR) è stata ricoverata in ospedale dopo essere stata presumibilmente avvelenata, ha affermato martedì il sito di notizie Babel, citando fonti dell’Intelligence.
La testata ha riferito che Marianna Budanova è stata ricoverata in ospedale dopo un «prolungato deterioramento» della sua salute e che ha già subito un ciclo di cure. Secondo quanto riferito i medici ritengono che la trentenne abbia subito un avvelenamento da metalli pesanti.
Secondo quanto comunicato, la donna è in condizioni stabili. Sarebbe inoltre stata avviata un’indagine sul possibile attentato alla vita della Budanova.
«Queste sostanze non vengono utilizzate in alcun modo nella vita di tutti i giorni e negli affari militari», hanno riferito alla testata ucraina fonti dell’Intelligence di Kiev, aggiungendo che la loro presenza nel corpo di Budanova indica «un tentativo intenzionale di avvelenare una persona specifica».
Anche altri organi di informazione ucraini, come UNIAN e Ukrainskaya Pravda, hanno confermato l’avvelenamento di Budanova. Le loro fonti affermano che molto probabilmente è successo attraverso il cibo che ha mangiato e che attualmente si trova in un ospedale in Ucraina.
L’Ukrainskaya Pravda afferma che anche a un certo numero di altri dipendenti della GUR è stato diagnosticato un avvelenamento da metalli pesanti, sottolineando che la Budanova è stata la prima a manifestare i sintomi poiché era «piccola e leggera».
Secondo quanto riferito, il rappresentante della GUR Andrey Usov ha confermato l’avvelenamento di Budanova in una dichiarazione all’emittente statale americana RFE/RL, affermando che le è stato effettivamente diagnosticato un avvelenamento da metalli pesanti ed è attualmente in cura.
Il capo della GUR Kyrylo Budanov aveva dichiarato nelle interviste che attualmente sua moglie vive con lui nel suo ufficio. «La mia felicità è sempre con me, perché mia moglie vive con me nel mio ufficio, 24 ore su 24, 7 giorni su 7», ha raccontato nei mesi scorsi Budanov
La Budanova, che è la seconda moglie del vertice dell’Intelligence ucraina laureata in psicologia, lavora dal giugno 2021 come consigliere del sindaco di Kiev Vitaliy Klitschko sulla prevenzione della corruzione. Nel 2020 era stata candidata dal partito del sindaco ex pugile, Udar.
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Non è chiaro ancora chi possa aver ordito tale attentato, anche se il dito di tanti tenderebbe a puntare verso Mosca. «Non ci sono informazioni sull’avvelenamento di Marianna Budanova. Né attualmente accuse e sospetti sui russi» scrive La Stampa, che con il Cremlino ha qualche trascorso.
Il giornale degli Agnelli tuttavia non disdegna di specificare che «l’episodio ricorda una modalità di trattamento degli oppositori, primi fra tutti l’avvelenamento di Alexander Litvinenko nel 2006, e quello di Alexei Navalny nel 2020. L’ex agente dei servizi russi dell’FSB era fuggito a Londra nel 2000 dopo aver accusato i suoi superiori di aver ordinato l’assassinio dell’oligarca Boris Berezovsky. Dalla Gran Bretagna, aveva puntato il dito contro Putin per l’assassinio della giornalista Anna Politkovskaya».
In un altro articolo del quotidiano elkanniano, si faceva avanti una teoria abissale: «è possibile che Mosca non sia riuscita a infiltrare a Kyiv uno dei suoi agenti speciali del team degli avvelenatori addestrati a maneggiare le tossine dei laboratori militari segreti. Oppure che abbia volutamente fatto ricorso a sostanze che non recano la firma dell’FSB per poter affermare – come stanno già facendo vari propagandisti russi – che Marianna Budanova sia finita vittima di un regolamento di conti interno a Kyiv, o addirittura di una guerra tra 007 britannici e americani. Ma negli ultimi anni il ricorso al veleno è diventato una firma dei servizi russi, un’arma che, oltre a colpire la vittima designata, getta nel terrore le vittime potenziali». Nello stesso articolo il Budanov, definito «genio dell’Intelligence» è indicato come forse al centro di un «depistaggio nel depistaggio, come le voci sui protocolli di segretezza che impongono la diffusione nell’ufficio del generale, 24 ore su 24, della musica classica, a beneficio degli eventuali microfoni piazzati dai russi».
A Mosca vige tutt’altra versione dell’accaduto. «Le creature gialloblù», cioè gli ucraini, si stanno «divorando tra loro come i ragni messi in un barattolo». Lo ha scritto sul suo canale Telegram l’ex presidente russo Demetrio Medvedev, noto nell’ultimo anno e mezzo per le sue posizioni di falco nella politica internazionale e militare.
Secondo Medvedev, gli «entomologi americani» provano piacere nel mettere in un barattolo di vetro dei ragni e guardarli mentre si divorano tra loro. Quelli che arrivano a sopravvivere, continua l’attuale vice segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale, sono «quelli che hanno mangiato un numero maggiore di loro concorrenti e hanno rubato più cibo, dividendolo con alcuni dei loro compagni. Dopo tutto, anche loro vogliono mangiare a spese delle Stelle e Strisce».
L’ex presidente russo ne ha avute anche per l’attuale presidente ucraino Vladimiro Zelens’kyj: «E che dire del più importante ragno-attore, che si è ingrassato a spese del sangue e dei corpi dei suoi compagni di tribù? (…) Sarà schiacciato senza pietà da una pantofola quando il capo entomologo avrà giocato abbastanza con lui» e i suoi resti saranno «gettati nel water». Nel finale Medvedev sfoggiava il suo latino: «Sic transit gloria mundi».
Il riferimento qui è al possibile screzio in corso tra la presidenza e i militari guidati dal generale Zaluzhny, che, contro la narrazione del regime e la narrazione occidentale tout court, aveva parlato in una densa intervista sull’Economist di «stallo» del conflitto. La rivista americana TIME aveva invece offerto un tremendo ritratto di Zelens’kyj in cui i suoi sottoposti lo accusano di essere oramai divenuto «delirante».
Anche nella stampa mainstream italiana fa capolino il ricordo delle faide interne e gli enigmatici «incidenti» come il misterioso disastro in elicottero che ha decapitato il ministero degli Interni (uno spaventoso incidente che colpì un asilo, uccidendo e ferendo vari bambini), o la strana morte del primo assistente di Zaluzhny, il quale – secondo quanto riportato – stava giocando nel suo ufficio con una granata datagli in regalo.
Come riportato da Renovatio 21, un altro evento sismico per la situazione politica di Kiev è di certo la rimozione e sostituzione del ministro della Difesa. Lo Zelens’kyj ha impiegato almeno sei mesi per licenziare l’allora ministro della Difesa Oleksyj Reznikov dopo che il leader era stato avvisato di corruzione nel dipartimento, anche se a quel punto «era troppo tardi», ha affermato un’altra fonte. Gli alleati occidentali erano «già consapevoli» dello scandalo di corruzione che coinvolgeva l’aumento dei prezzi degli appalti, così come lo erano i soldati in prima linea.
Come riportato da Renovatio 21, il giornalista investigativo Seymour Hersh ha scritto che l’Intelligence USA ritiene il nuovo ministro della difesa ucraino ancora più corrotto del predecessore.
Da settimane si mormora che a Kiev, recentemente visitata dal capo della CIA William Burns, potrebbe esservi un colpo di Stato.
Come riportato da Renovatio 21, l’ex analista della CIA Larry Johnson ha dichiarato che l’Occidente si starebbe preparando ad un golpe militare contro Zelens’kyj. Pochi giorni prima, Johnson aveva suggerito che la recente pubblicazione sul Washington Post di rivelazioni riguardo l’assassinio di Darja Dugina, giornalista e figlia del famoso filosofo russo Alexander Dugin, da parte del regime di Kiev, andrebbe presa come «un’indicazione che la CIA si rende conto che la guerra in Ucraina è persa e che non avrà successo».
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Intelligence
Il Congresso USA potrebbe costringere le agenzie di spionaggio a declassificare le prove sulle origini del COVID
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Arrivare a vedere le prove
A sei anni dai primi casi di Wuhan, le origini del COVID-19 restano incerte. Sebbene all’inizio di quest’anno l’amministrazione Trump abbia creato una pagina web accattivante sul sito della Casa Bianca intitolata Lab Leak: The True Origins of COVID-19, non ha pubblicato alcuna nuova prova sostanziale che dimostri che il virus sia emerso da un laboratorio e la posizione ufficiale della comunità dell’Intelligence rimane quella secondo cui l’origine del COVID-19 è incerta e controversa. Alcune agenzie propendono ancora per una ricaduta naturale, altre per un incidente di laboratorio, e molte si collocano a metà strada, esprimendo scarsa fiducia nelle proprie valutazioni. Ma la questione non è più solo quale ipotesi vincerà. È se il pubblico avrà mai accesso alle prove e ai dibattiti che hanno plasmato quei giudizi interni. Tali informazioni potrebbero essere utili per elaborare nuove politiche in grado di prevenire la prossima pandemia, affermano alcuni esperti. Delle oltre 200 richieste di accesso ai documenti pubblici presentate negli ultimi sei anni dall’organizzazione statunitense US Right to Know su questo argomento, decine sono ancora aperte presso le agenzie di intelligence statunitensi. Diverse richieste hanno dato luogo a cause legali contro l’FBI, la CIA, la DIA, l’ODNI e il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti. Anche quando i giudici ordinano a queste agenzie di consegnare i documenti, molti di questi arrivano sepolti sotto censura. Fino alla scorsa settimana, sette mesi dopo aver richiesto alla DIA la «valutazione più recente» sulle origini del COVID-19, l’agenzia ha prodotto solo 12 pagine. Inizialmente aveva affermato che non esistevano tali documenti. Solo dopo una causa legale ha restituito quelle 12 pagine, 11 delle quali sono così pesantemente censurate che non si riesce quasi a leggere nulla di sostanziale. Lewis Kamb Pubblicato originariamente da US Right to Know. Lewis Kamb è un giornalista investigativo specializzato nell’uso delle leggi sulla libertà di informazione e dei registri pubblici per scoprire illeciti e chiamare i potenti a risponderne.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
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Generale Flynn: valutazione strategica della rivoluzione colorata in America
Renovatio 21 pubblica questo scritto apparso su Substack del generale Michael Flynn.
Il popolo americano ha appena tirato il primo respiro dopo essere sopravvissuto a un tentativo di soffocare la Repubblica attraverso una campagna culturale di ispirazione marxista, condotta in gran parte attraverso l’amministrazione statale, i media, il mondo accademico e gli elementi politicizzati della burocrazia della sicurezza nazionale. La maggior parte dei cittadini non se ne è resa conto appieno mentre accadeva. Molti membri della comunità dell’Intelligence l’hanno accettato passivamente o l’hanno promosso attivamente. Gli architetti di questo progetto non hanno ancora finito, ma il loro impegno è stato danneggiato e ritardato. È solo per grazia di Dio che il Paese è arrivato fino a questo punto.
La versione americana della Rivoluzione Culturale è distinta dal modello maoista che devastò la Cina nel XX secolo. Non si coalizzò attorno a una singola figura rivoluzionaria carismatica. Si diffuse invece lungo le arterie della burocrazia, dell’istruzione superiore, delle strutture aziendali e delle reti di attivisti. La lunga marcia attraverso le istituzioni, come descritta da Antonio Gramsci, divenne il modello operativo. Invece di Guardie Rosse che riempivano le strade agli ordini di un leader supremo identificabile, gli Stati Uniti hanno sperimentato una convergenza coordinata di agenzie, ONG, fondazioni, organi di stampa e fronti di attivisti, tutti promotori dello stesso progetto ideologico sotto etichette diverse.
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Poiché le agenzie federali differiscono notevolmente per dimensioni, missione, cultura e resistenza interna, questa rivoluzione si è sviluppata in modo disomogeneo. Non ha mai raggiunto il dominio totale in un unico colpo decisivo. Al contrario, ha progredito con conquiste frammentarie e ha subito sconfitte frammentarie.
Ovunque il progetto ideologico conquistasse un dipartimento delle risorse umane, un percorso di formazione, un sistema scolastico pubblico o una piattaforma mediatica centrale, incontrava resistenza nei governi statali, nei media indipendenti, nei singoli tribunali e nelle reti di cittadini che si rifiutavano di conformarsi. Questa frammentarietà nell’attuazione ha rallentato il collasso e ha dato al popolo americano il tempo di rendersi conto di cosa stava accadendo e di reagire.
Anche mentre queste battaglie si svolgevano pubblicamente, correnti più oscure si muovevano sotto la superficie. Ora valutiamo che migliaia di dipendenti federali religiosi e conservatori siano stati identificati in modo discreto e indirizzati a un’entità federale poco nota, la Pre-Trial Services Agency. I resoconti e la documentazione iniziale indicano che questa agenzia potrebbe essere stata utilizzata per catalogare individui esclusivamente sulla base di ideologia e convinzioni religiose, con il pretesto del 6 gennaio e della non conformità alle vaccinazioni. L’intenzione sembra essere stata non solo la rimozione amministrativa, ma anche la potenziale criminalizzazione. Questa questione richiede un’indagine immediata e trasparente da parte di qualsiasi futura amministrazione che affermi di prendere sul serio lo stato di diritto.
Per comprendere il contesto più ampio, è necessario definire cosa intendiamo con il concetto di stato sociale. Non ci limitiamo a descrivere i programmi sociali tradizionali. Ci riferiamo invece a una costellazione di gruppi di attivisti professionisti completamente finanziati che si presentano come cause separate ma in realtà formano un unico blocco rivoluzionario. Nell’ultimo decennio, le organizzazioni sotto le insegne dell’antifascismo, della giustizia razziale, del femminismo radicale, dell’aborto su richiesta, di alcune fazioni LGBTQ+, dell’estremismo ambientalista e della difesa del controllo delle armi hanno mostrato una notevole coesione. Condividono donatori, personale, strutture narrative e tattiche di strada. I loro membri si sovrappongono. I loro messaggi sono sincronizzati. Si sostengono rapidamente a vicenda nelle campagne e nelle proteste.
Questi gruppi si presentano come movimenti di base. In realtà, funzionano molto più come una casta rivoluzionaria professionalizzata. Il loro nucleo non è composto da cittadini comuni, ma da attivisti qualificati che considerano l’agitazione un’occupazione a tempo pieno. Sono finanziati da un mix di fondazioni private, ricchi donatori e, in alcuni casi, risorse federali e statali. Fungono da braccio operativo e digitale di un progetto ideologico più ampio il cui obiettivo non è la riforma, ma la trasformazione. Sono uniti da una visione del mondo esplicitamente rivoluzionaria e implicitamente marxista, anche se molti dei loro militanti non usano questo linguaggio.
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All’interno di questa struttura, Diversità, Equità e Inclusione svolgono un ruolo centrale. La DEI non è una moda aziendale innocua. È un sistema di armi culturali e psicologiche. In pratica, la formazione e l’applicazione della DEI operano come un meccanismo di condizionamento comportamentale, utilizzando sensi di colpa, sessioni di lotta e la costante minaccia di punizioni sociali o professionali per riportare gli individui alla normalità. Il linguaggio delle microaggressioni, dei privilegi e dei pregiudizi sistemici funziona come una forma blanda di controllo ideologico. Costringe le persone a monitorare il proprio linguaggio, a mettere in discussione i propri istinti e a sottomettersi a un insieme in continua espansione di parole proibite e rituali obbligatori.
Questa non è inclusione. È conformismo forzato mascherato da virtù. I risultati all’interno delle istituzioni sono paura, silenzio e autocensura. Le persone imparano rapidamente che non si possono porre domande specifiche, affermare certi fatti e riconoscere certe prospettive senza mettere a repentaglio la propria carriera. Questo non è un effetto collaterale accidentale. È il punto. Se riesci a costringere le persone a mentire pubblicamente su realtà evidenti, le possiedi. La DEI è quindi meglio intesa come un’applicazione interna della rieducazione politica, in linea con gli approcci marxisti e neomarxisti al cambiamento culturale.
Redwashing è il termine che usiamo per la cancellazione sistematica di materiale che espone la storia, le tattiche e le conseguenze del marxismo. Quando l’educazione civica e la storia tradizionale americana vengono rimosse dai programmi scolastici e sostituite da narrazioni di risentimento, si prepara il terreno per una nuova ideologia. Quando la storia delle atrocità socialiste viene sepolta o ignorata, intere generazioni perdono la capacità di riconoscere modelli che i loro nonni avrebbero visto immediatamente. Questo non è accaduto per caso. L’istruzione superiore, i media e l’intrattenimento sono diventati i principali obiettivi di questa riscrittura della memoria.
Nel 2020, gli Stati Uniti erano stati sottoposti a decenni di questo rimodellamento culturale. Il Paese era arrivato quell’anno già indebolito e diviso. L’impatto combinato di una pandemia globale, di una campagna d’informazione del Partito Comunista Cinese e di disordini civili senza precedenti aveva portato il Paese a uno stato di esaurimento. Le forze dell’ordine erano sotto organico e demoralizzate. Il sistema sanitario era al limite delle sue capacità. Le scuole di ogni ordine e grado erano chiuse o ridotte a schermi. Le funzioni basilari che contraddistinguono una nazione del primo mondo erano state messe sotto assedio.
Queste condizioni erano ideali per gli attori rivoluzionari che comprendevano il concetto bolscevico della scintilla. Nella Cina di Mao, le brigate giovanili divennero strumenti di caos una volta che l’autorità della polizia fu smantellata e le strutture tradizionali indebolite. Negli Stati Uniti, le politiche che prevedevano il definanziamento e la delegittimazione della polizia, combinate con la protezione politica dei rivoltosi, produssero qualcosa di simile nello spirito. Le rivolte a catena del 2020 non furono un’eruzione spontanea. Furono una fase di condizionamento, progettata per minare la fiducia dell’opinione pubblica, normalizzare la violenza politica da sinistra e preparare il terreno emotivo per una crisi più mirata.
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Quella crisi è scoppiata il 6 gennaio. In questo caso, è essenziale comprendere la dottrina della violenza moderata. Questa tattica cerca di provocare un avversario in un atto disperato o imprudente che può poi essere utilizzato come arma per giustificare una repressione. Per un anno, gli americani hanno visto le loro città bruciare e si sono sentiti dire che si trattava di un evento per lo più pacifico. Poi, in un solo giorno, una protesta sul terreno del Campidoglio è stata presentata come un’insurrezione, una minaccia esistenziale alla «democrazia» e il fondamento morale per una campagna di arresti, sorveglianza e persecuzioni durata anni. Le rivolte della sinistra si sono fermate all’istante. La narrazione è cambiata da un giorno all’altro. Questo brusco cambiamento rivela un disegno, non una coincidenza.
Il 6 gennaio fu il punto di svolta pianificato che permise all’alleanza tra burocrazia e attivisti di dichiarare aperta la caccia agli americani conservatori e religiosi. Divenne la lente attraverso cui ogni dissenso poteva essere etichettato come pericoloso e sleale. Le persone che entrarono al Campidoglio quel giorno, molte delle quali pacifiche e sconcertate, divennero il pretesto per un progetto più ampio volto a rimodellare l’apparato di sicurezza nazionale dall’interno.
Ciò che accadde in seguito andò oltre l’attivismo di strada o la cattura culturale. Entrò nel flusso sanguigno dello Stato di sicurezza nazionale. Le conseguenze del 6 gennaio, il crollo dell’Afghanistan e gli obblighi federali sui vaccini si combinarono in un tentativo senza precedenti di rimodellare la forza lavoro federale attraverso la coercizione, l’intimidazione e la purificazione ideologica. All’interno della CIA e in tutto l’apparato di sicurezza nazionale, la rivoluzione interna raggiunse il suo apice, per poi iniziare a frantumarsi a causa delle sue stesse contraddizioni.
Il collasso sociale non è mai un evento isolato. È un processo.
Michael T. Flynn
Ex generale statunitense, già consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente degli Stati Uniti
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Immagine di Mike Shaheen via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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La CIA, il KGB e il mistero di Igor Orlov detto Sasha
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