Geopolitica
Protesta populista in Nepal, migliaia in piazza per il ritorno della monarchia
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La polizia ha duramente represso le manifestazioni non autorizzate guidate dall’imprenditore Durga Pasai, attivista anti-sistema che vuole ripristinare uno Stato indù «per la protezione della nazione, della religione e della cultura» cavalcando la povertà in un cui versa il Paese. Deposto nel 2008 l’ultimo re Gyanendra vive nella capitale come un comune cittadino.
A Kathmandu la polizia nepalese è intervenuta duramente ieri per disperdere migliaia di manifestanti scesi in piazza per chiedere il ripristino della monarchia abolita 15 anni fa.
La «Campagna dei cittadini per la protezione della nazione, della religione e della cultura» – come si fa chiamare questo movimento – sostiene che i governi in carica da quando la monarchia è stata abolita, come parte dell’accordo che nel 2008 ha posto fine all’insurrezione maoista, non hanno mantenuto gli impegni presi per lo sviluppo di uno dei Paesi più poveri del mondo.
Ieri i manifestanti hanno sfidato il divieto della polizia a manifestare nel centro della capitale, subendo la reazione violenta delle forze dell’ordine: una decina di manifestanti sono rimasti feriti.
A ispirare il movimento per il ritorno della monarchia è Durga Pasai, un discusso imprenditore noto per i suoi interventi anti-sistema su TikTok, prima che le autorità nepalesi imponessero il blocco del social network lo scorso 13 novembre. Il suo obiettivo dichiarato è ripristinare la monarchia e lo Stato indù, in aperta contrapposizione rispetto ai maoisti. Ha dichiarato che continuerà a lottare per questo obiettivo e ha indetto lo sciopero generale nella capitale. Anche oggi decine di suoi sostenitori sono stati arrestati.
La monarchia – durata 239 anni – è stata abolita nel 2008 secondo i termini di un accordo che ha posto fine all’insurrezione maoista, che ha ucciso 17.000 persone tra il 1996 e il 2006, e ha istituito una repubblica federale. Ma l’instabilità politica ha afflitto il Nepal dalla fine della monarchia con oltre 10 cambi di governo, frenando lo sviluppo economico e costringendo milioni di giovani a cercare lavoro soprattutto in Malesia, Corea del Sud e Medio Oriente.
L’ex capo dei ribelli maoisti Pushpa Kamal Dahal, che si fa ancora chiamare Prachanda («Feroce»), è l’attuale primo ministro del Nepal a capo di una coalizione con il partito centrista Nepali Congress.
Gyanendra, l’ultimo re del Paese, vive come un comune cittadino con la sua famiglia a Kathmandu.
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Geopolitica
L’operazione israeliana a Rafah si espande. Con conseguenze disastrose
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato ieri che l’esercito invierà più truppe per «intensificare» l’invasione. Gallant si è ventato che «stiamo logorando Hamas». Israele sostiene che ci sono sei battaglioni di Hamas ora a Rafah insieme agli ostaggi presi il 7 ottobre, e altri due battaglioni sarebbero nel centro di Gaza.
Nel suo ultimo articolo intitolato «Bibi va a Rafah», il reporter indipendente premio Pulitzer Seymour Hersh riferisce che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno allagato 5 dei 12 tunnel di Hamas sotto Rafah, e «alcuni battaglioni israeliani agguerriti, i cui ranghi includono molti ingegneri di combattimento esperti in demolizione, si stanno facendo strada nei tunnel bui e pieni di trappole esplosive verso Yahya Sinwar, il leader di Hamas che è l’obiettivo finale di Netanyahu».
Secondo un informato funzionario americano citato da Hersh, Netanyahu ha promesso che «moriranno tutti nei tunnel».
Si stima che circa 730.000 palestinesi siano fuggiti da Rafah. L’Ufficio del Coordinatore degli Affari Umanitari (OCHA) delle Nazioni Unite riferisce che un totale di 285 kmq, ovvero circa il 78% della Striscia di Gaza, sono ora soggetti agli ordini di evacuazione dell’IDF. Viene riferito di continui bombardamenti «dall’aria, dalla terra e dal mare… su gran parte della Striscia di Gaza».
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Nel Nord ci sono state incursioni di terra dell’IDF e pesanti combattimenti nel campo profughi di Jabalia e anche a Deir al Balah, nel centro di Gaza. I carri armati israeliani si sono spinti nel centro stesso di Jabalia, affrontando i razzi anticarro e i colpi di mortaio dei militanti di Hamas. Al Jazeera riferisce che ci sono vittime da entrambe le parti e che i carri armati e gli aerei israeliani hanno spazzato via «quasi tutto» a Jabalia.
Secondo il Times of Israel, l’IDF riferisce di aver ucciso qui 200 uomini armati di Hamas. Anche se Jabalia era stata precedentemente «autorizzata» dall’IDF, a quanto pare non era andata abbastanza in profondità nel campo per trovare i militanti di Hamas che vi avevano sede.
Il valico di Rafah resta chiuso. Israele chiede che l’Egitto si unisca a lui nella supervisione del valico di Rafah, ma l’Egitto rifiuta, insistendo sul fatto che solo i palestinesi dovrebbero farlo.
Il Programma Alimentare Mondiale, nel frattempo, avverte che «sono necessari più punti di ingresso per gli aiuti per invertire sei mesi di condizioni di quasi fame ed evitare una carestia». È necessario un flusso costante di scorte di cibo ogni giorno, ogni settimana, avverte. «La minaccia della carestia a Gaza non è mai stata così grande».
Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir aveva minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non fosse entrato a Rafah.
I carrarmati entrati a Rafah, dove hanno distrutto perfino le scritte «I LOVE GAZA», avrebbero la benedizione degli USA. Atroci filmati sono usciti già nelle prime ore dell’invasione di Rafah da parte dei soldati dello Stato degli ebrei.
L’Egitto ha avvertito Israele che l’invasione di Rafah potrebbe porre fine al trattato di pace siglato nel 1979. Il Cairo ha inoltre segnalato di voler partecipare al processo per «genocidio» della Corte Internazionale di Giustizia.
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