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Spirito

Rischio di scisma nel clero indiano

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Tutto va male nella Chiesa siro-malabarese. La maggioranza dei sacerdoti appartenenti a questa parte della Chiesa cattolica, molto presente nel Sud-Ovest dell’India, hanno rifiutato ancora una volta le direttive di Roma per risolvere una crisi che mette in pericolo il futuro del cattolicesimo in quella zona. Nel frattempo, i nazionalisti indù al potere si strofinano le mani.

 

Il 7 novembre 2023, la Chiesa siro-malabarese, unita a Roma, che riunisce la maggior parte dei cattolici del Kerala (India), ha fatto un ulteriore passo verso la dissidenza: duecento sacerdoti dell’eparchia (diocesi) di Ernakulam-Angamaly, si sono riuniti a Cochin, hanno ribadito la loro contrarietà a qualsiasi compromesso nella disputa liturgica che rischia di trascinare nello scisma molti cattolici della regione.

 

Dietro questa crisi c’è la dichiarata volontà di rifiutare il ritorno a un rito che tuttavia corregge le deviazioni manifestatesi nei decenni precedenti. Nonostante l’appello diretto rivolto loro da papa Francesco, una parte notevole dei sacerdoti e dei laici dell’arcidiocesi chiedono di utilizzare un rito che presenti una rottura con la tradizione siro-malabarese.

 

Ad eccezione dell’arcidiocesi di Ernakulam-Angamaly, le 34 diocesi di questa Chiesa di rito orientale hanno rispettato la decisione dell’agosto 2021 del Sinodo, l’organo decisionale supremo, di adottare una modalità uniforme di celebrazione della messa.

 

Una situazione segnata nel corso dei mesi dal decadimento: mons. Andrews Thazhath, amministratore apostolico della diocesi, e mons. Cyril Vasil – inviato speciale del Sommo Pontefice sul posto – cristallizzano l’opposizione.

 

«Il modo di fare dell’amministratore nuoce all’immagine del Papa» scrivono i sacerdoti in un comunicato in cui cercano di sfondare la breccia aperta in Europa dal sinodo: «il principio di sinodalità significa che tutti devono essere ascoltati», affermano felicemente.

 

Quanto a mons. Vasil, è accusato di «faziosità» e di voler «sabotare» il processo volto a riconciliare le parti coinvolte nella risoluzione della crisi.

 

Qualsiasi compromesso al momento sembra impossibile: alla fine dello scorso agosto, un gruppo di lavoro informale composto da nove vescovi e sacerdoti in rappresentanza del clero di Ernakulam-Angamaly ha formulato una serie di proposte per trovare una soluzione.

 

FSSPX.Attualità aveva menzionato a suo tempo questo protocollo che prevedeva che la Messa riformata secondo le direttive di Roma fosse celebrata ogni domenica nella cattedrale, nel seminario e nei luoghi di pellegrinaggio, mentre altrove i sacerdoti restavano liberi di celebrare la messa rivolta verso i fedeli. Un compromesso che non ha ricevuto il benestare della Santa Sede.

 

«Se l’amministratore vuole sfidare il sinodo e ricorrere ai vecchi metodi della Grande Inquisizione, dovrà assumerne personalmente le conseguenze, perché non c’è dubbio che lasceremo l’arcidiocesi in una situazione pastorale caotica», avverte uno dei rappresentanti del clero locale che chiede soprattutto la dimissione di mons. Andrews Thazhath.

 

La palla ora passa al Dicastero per le Chiese Orientali, sotto la cui giurisdizione è posta direttamente l’Eparchia di Ernakulam. Resta sempre la possibilità di trovare una via d’uscita mettendo da parte l’attuale amministratore, ma non è detto che l’accordo con il clero dissidente faciliti l’applicazione di una riforma liturgica espressamente difesa dal Romano Pontefice.

 

Sapendo che la Santa Sede non può permettersi il lusso di uno scisma in India che indebolirebbe notevolmente il peso della Chiesa cattolica: un vantaggio per il partito nazionalista al potere che ha fatto dello sradicamento di ogni religione non indù la sua priorità.

 

Resta la possibilità di formare un’altra «commissione amministrativa», un’opzione molto sinodale che fa risparmiare tempo e logora l’opposizione. Ma la sua efficacia rimane dubbia nel contesto del Kerala.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

 

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Immagine di Haribhagirath via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

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Spirito

Mons. Viganò: «chi aderisce al Concilio si rende responsabile della demolizione della Chiesa»

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In occasione dell’anniversario dell’inizio dell’infausto evento, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha pubblicato su X una breve riflessione sul Concilio Vaticano II e sulla catastrofe che da esso è discesa.   «Sessantatre anni fa, in questo giorno, venne solennemente aperto il Concilio Ecumenico Vaticano II, il primo “concilio” della chiesa che da esso prende il nome – la “chiesa conciliare” appunto».   «Esso fu “concilio” perché volle “conciliare” Dio e mondo, Cristo e Belial, vero e falso, bene e male» scrive il prelato lombardo.   «Fu “ecumenico” perché volle legittimare il dialogo interreligioso che la Chiesa Cattolica Apostolica Romana aveva solennemente condannato».     «Si definì “secondo” per far credere che si ponesse in continuità con il perenne Magistero Cattolico, così da poterlo adulterare usurpando l’Autorità della Chiesa e del Romano Pontefice» continua monsignore.   «Pose le basi pseudo-dottrinali della odierna “chiesa sinodale” che intende sovvertire la costituzione gerarchica della Chiesa e il Papato».   «Chi aderisce consapevolmente a questo “concilio” si rende responsabile della demolizione della Chiesa Cattolica e ratifica con la propria complicità il golpe conciliare e sinodale».

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Come sa il lettore, in molteplici altre occasioni monsignor Viganò si era scagliato contro il Concilio.   Ancora quattro anni fa l’arcivescovo disse che «tutto ciò che il Concilio ha portato di nuovo si è rivelato dannoso, ha svuotato chiese, seminari e conventi, ha distrutto le vocazioni ecclesiastiche e religiose, ha prosciugato ogni slancio spirituale, culturale e civile dei Cattolici, ha umiliato la Chiesa di Cristo e l’ha confinata ai margini della società, rendendola patetica nel suo tentativo maldestro di piacere al mondo».   Come riportato da Renovatio 21, in un’omelia dello scorso novembre Viganò dichiarò che i papi e i vescovi del Concilio Vaticano II «usarono il loro «concilio» non per combattere i nuovi errori, ma per introdurli nel sacro recinto; non per restaurare la sacra Liturgia, ma per demolirla; non per raccogliere il gregge cattolico intorno ai Pastori, ma per disperderlo e abbandonarlo ai lupi».   In un testo di due settimane fa Sua Eccellenza ha scritto dell’«unico dogma irrinunciabile: riconoscere il Concilio Vaticano II, la sua ecclesiologia, la sua morale, la sua liturgia, i suoi santi e martiri e soprattutto i suoi scomunicati e i suoi eretici, ossia i «tradizionalisti radicali» non addomesticabili alle nuove istanze sinodali».   La catastrofe non solo religiosa causata dal Concilio è stata spiegata in un’intervista ad una testata francese dello scorso anno: «La chiesa del Vaticano II, che ci tiene tanto a definirsi così in antitesi alla “chiesa preconciliare”, ha posto le basi teologiche alla dissoluzione della società. Tutti gli errori dottrinali del Concilio si sono tradotti in errori filosofici, politici e sociali dagli esiti disastrosi per le Nazioni cattoliche».

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Spirito

Scontri tra Pakistan e Afghanistan

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Sabato si sono verificati intensi scontri lungo il confine tra Afghanistan e Pakistan, confermati da entrambe le parti, a seguito di accuse reciproche di violazioni dello spazio aereo e attacchi.

 

Il ministero della Difesa afghano ha dichiarato che le sue forze hanno condotto «operazioni di ritorsione efficaci» contro postazioni di sicurezza pakistane lungo la Linea Durand, in risposta a quelli che ha definito ripetuti attacchi aerei pakistani. La dichiarazione, condivisa su X dal portavoce Enayat Khowarazm, ha precisato che l’operazione si è conclusa intorno a mezzanotte.

 

Un funzionario provinciale pakistano, Jan Achakzai, ha confermato gli scontri, scrivendo su X che le forze pakistane hanno risposto con decisione all’«aggressione afghana», affermando che le forze afghane hanno compiuto attacchi non provocati in cinque o sei località lungo il confine, colpendo avamposti pakistani.

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La risposta dell’esercito pakistano è stata così intensa da costringere gli aggressori afghani a ritirarsi, lasciando vittime sul campo. Achakzai ha aggiunto che «i confini del Pakistan sono sicuri» e che il governo afghano non dovrebbe scambiare il desiderio di pace del Pakistan per debolezza.

 

Nessuna delle due parti ha fornito dettagli sulle vittime, e le affermazioni non possono essere verificate indipendentemente al momento.

 

L’episodio segue le esplosioni di giovedì a Kabul, che le autorità afghane hanno attribuito ad attacchi aerei pakistani, non confermati da Islamabad.

 

L’aumento delle tensioni tra i due Paesi è legato a questioni di sicurezza dei confini e alle attività dei militanti. Islamabad accusa Kabul di offrire rifugio ai combattenti del Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP), accuse respinte dall’amministrazione talebana.

 

Gli scontri avvengono mentre il Ministro degli Esteri afghano Amir Khan Muttaqi è in visita in India per colloqui volti a rafforzare le relazioni diplomatiche ed economiche con Nuova Delhi. I funzionari afghani hanno dichiarato che il viaggio rientra negli sforzi per ampliare la cooperazione regionale.

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Scuola

Mostri nei loro barattoli e nella loro formaldeide

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Lo splendore della fede professata nel pellegrinaggio giubilare nella Città Eterna, la bellezza luminosa dei dipinti di Georges de La Tour, i sontuosi ricami delle Orsoline di Amiens, l’importanza di una cultura che non trasgredisce la natura ma la trascende, sono questi i temi di Nouvelles de Chrétienté per il nuovo anno scolastico.   Sotto un’apparente diversità, questi temi sono profondamente uniti in un’intenzione comune espressa con «vigore e chiarezza» da Padre Calmel, quando chiede agli insegnanti cristiani di aprire «i loro studenti ai valori dell’arte nelle sue diverse forme», rendendoli al contempo «capaci di una fiera indipendenza e di un bel disprezzo per tutte le anomalie, infezioni, purulenze e mostruosità, che hanno l’audacia di esigere da loro un’ammirazione complice adornandosi della realtà dell’arte e più spesso della sua apparenza».   Il frate domenicano esprime un desiderio preciso: «I mostri torneranno ai loro barattoli e alla loro formaldeide, gli scorpioni artistici reintegrano i loro buchi artistici, il giorno in cui un certo numero di esseri giovani e determinati, non certo per barbarie ma per sovrano rispetto della cultura, tratteranno con disprezzo i prodotti immondi della cultura. La cultura non ha alcun diritto contro i diritti della decenza e dell’onore».   Aggiunge: «non deve essere lontano il tempo in cui l’insidioso sofisma “onestà significa stupidità” sarà privo di ogni credibilità, perché sarà diventata chiara la prova che ciò che è normale è bello e che, in una civiltà degna di questo nome, l’intelligenza, la sottigliezza, la leggerezza, la finezza e l’arte marciano di concerto con l’onestà, la santità, il rifiuto inflessibile dei veleni e delle ignominie. La scuola cristiana deve affrettare l’arrivo di questi tempi di libertà». (Ecole chrétienne renouvelée, cap. XXIX, tre sensible en chrétien aux valeurs d’art, pp. 188-189, ed. Téqui)   Padre Calmel scrisse queste potenti righe alla fine degli anni ’50, lontano dal wokismo, dalla cultura della cancellazione, dello sradicamento e dell’incoscienza… E si aspettava che le suore, autentiche insegnanti, avessero «idee non solo corrette, ma idee che cantano dentro [di loro] e che incantano [i loro] piccoli alunni», per «comunicare loro una verità canterina e germinante». (Ibid., pp. 129 e 131).   È una bella frase da scrivere in cima a un quaderno, in questi giorni di ritorno a scuola!   Abate Alain Lorans   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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