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La risposta del Papa al secondo «dubium» dei cardinali

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La questione della benedizione delle unioni tra persone dello stesso sesso serpeggia nel Sinodo. Il cardinale Jean-Claude Hollerich, relatore generale, ha una posizione chiara – e negativa – sulla questione. Quanto al cardinale Mario Grech, segretario generale, sembrava voler disinnescare un possibile confronto, ma la questione è tornata sul tavolo come risulta da un rapporto.

 

Non è privo di interesse ripercorrere le tappe dell’instaurarsi di questa controversia, che non sappiamo quale piega prenderà nel corso del Sinodo.

 

Storia della «benedizione» delle coppie dello stesso sesso

Nel marzo 2019 i vescovi tedeschi hanno avviato il Cammino sinodale con 4 forum. Il secondo riguardava la morale sessuale. Incaricato della stesura di un documento, quest’ultimo chiedeva «di riconoscere incondizionatamente le unioni omosessuali e di rinunciare a squalificare moralmente la pratica sessuale che ne deriva. (…) Bisogna considerare anche la valorizzazione liturgica di questi valori».

 

Il 3 febbraio 2021, il vescovo di Magonza, mons. Peter Kohlgraf, ha rivelato di aver approvato una raccolta «che presenta degli esempi di benedizioni liturgiche offerte dai ministri alle coppie dello stesso sesso». Rivela anche che questo tipo di celebrazione ha già avuto luogo nella sua diocesi.

 

Il 15 marzo 2021, la Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) ha pubblicato una risposta a un dubium su questo argomento. Il dubbio che richiede una risposta «sì» o «no» consente una formulazione breve e decisiva. La domanda è così formulata: «La Chiesa ha il potere di benedire le unioni di persone dello stesso sesso?» La risposta è «no».

 

Una nota esplicativa precisa che la questione è stata sollevata a causa di “progetti” che vanno in questa direzione. Aggiunge che le benedizioni possono applicarsi solo a ciò che conduce l’uomo al suo bene. Ma le unioni omosessuali vanno contro la volontà di Dio. Infine, conclude la nota, esse potrebbero essere assimilati ad una sorta di matrimonio, il che sarebbe profondamente errato e pericoloso.

 

Il 10 maggio 2021, dei sacerdoti organizzano 110 cerimonie in tutta la Germania per procedere alle «benedizioni» delle coppie omosessuali. Diversi vescovi tedeschi avevano annunciato che avrebbero lasciato che ciò accadesse. Le bandiere LGBT spuntano allora sulle chiese e ai piedi degli altari.

 

Il 21 luglio 2021 il Vaticano ammonisce i vescovi tedeschi sul Cammino sinodale. Il testo mette in guardia dal pericolo per l’unità della Chiesa, a causa del progetto di introdurre «nuove strutture nelle diocesi» senza il consenso della Chiesa universale.

 

Di conseguenza, il testo ritiene «auspicabile che le proposte del Cammino della Chiesa particolare in Germania siano integrate nel processo sinodale in cui è impegnata la Chiesa universale, per contribuire al reciproco arricchimento e dare una testimonianza di unità attraverso la quale il corpo della Chiesa manifesta la sua fedeltà a Cristo Signore» – L’effetto di questo ammonimento sarà nullo.

 

Il 20 settembre 2022 i vescovi del Belgio di lingua olandese hanno pubblicato una liturgia per la celebrazione della «benedizione» delle coppie omosessuali: questa pratica esisteva ma non era regolamentata. Il quotidiano La Croix spiega che il testo è in elaborazione da un incontro dei teologi con Francesco nel maggio 2018, che ha ricevuto incoraggiamento dal pontefice.

 

Il 18 novembre 2022, il Vaticano ha proposto attraverso tre cardinali, durante la visita ad limina dei vescovi tedeschi, una moratoria sul Cammino sinodale. – Proposta che sarà respinta dall’episcopato transrenano.

 

L’11 marzo 2023, nel corso della quinta e ultima assemblea del Cammino sinodale, il testo adottato raccomanda di «sviluppare e introdurre a tempo debito celebrazioni liturgiche adeguate (…) con proposte di forme di celebrazione della benedizione per le diverse situazioni di coppia (coppie risposate, coppie dello stesso sesso, coppie dopo un matrimonio civile)».

 

Nella stessa data, mons. Johan Bonny, vescovo di Anversa, intervenendo a questa Assemblea, ha spiegato che il Papa e il Vaticano hanno tacitamente accettato la benedizione delle coppie omosessuali messa in atto dall’episcopato belga, presentata durante la visita ad limina a Novembre 2022. «Tutti dicevano: “è la vostra Conferenza episcopale, è una vostra decisione”. Il Papa non ha detto né sì né no».

 

Nel luglio 2023, mons. Víctor Manuel Fernández, nominato capo del dicastero per la dottrina della fede, ha suggerito che una benedizione delle unioni omosessuali è possibile «se è data in modo tale da non indurre a confusione con il matrimonio».

 

L’8 settembre 2023 questa risposta è stata confermata in un’intervista al Register: «in questa fase è chiaro che la Chiesa intende il matrimonio solo come unione indissolubile tra un uomo e una donna» – E nella fase successiva?

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La risposta del Papa al secondo Dubium dei cardinali

Il 10 luglio 2023 cinque cardinali trasmettono a papa Francesco una serie di cinque dubia. Il secondo riguarda la benedizione delle coppie dello stesso sesso: «Può la Chiesa (…) [accettare] come “bene possibile” situazioni oggettivamente peccaminose, come le unioni di persone dello stesso sesso, senza violare la dottrina rivelata?».

 

L’11 luglio 2023 Papa Francesco risponde a questi dubia. Quanto al secondo, riconosce che solo «un’unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli» può essere chiamata «matrimonio». Ma aggiunge che altre forme di unione la realizzano solo «in modo parziale e analogico (Amoris laetitia, 292)».

 

Riconosce che questo nome deve essere riservato esclusivamente «alla realtà che chiamiamo matrimonio». Aggiunge che «la Chiesa vita qualsiasi tipo di rito o sacramentale che possa contraddire questa convinzione e far intendere che si riconosca come matrimonio qualcosa che non lo è».

 

Ma – perché c’è un ma – «nel rapporto con le persone, non si deve perdere la carità pastorale, (…) La difesa della verità oggettiva non è l’unica espressione di questa carità, che è anche fatta di gentilezza, pazienza, comprensione, tenerezza e incoraggiamento. Pertanto, non possiamo essere giudici che solo negano, respingono, escludono».

 

Francesco invoca poi «la prudenza pastorale deve discernere adeguatamente se ci sono forme di benedizione, richieste da una o più persone, che non trasmettano un concetto errato del matrimonio. Perché quando si chiede una benedizione, si sta esprimendo una richiesta di aiuto a Dio, una supplica per poter vivere meglio, una fiducia in un Padre che può aiutarci a vivere meglio».

 

Poi arriva l’eccezione: «sebbene ci siano situazioni che dal punto di vista oggettivo non sono moralmente accettabili, la stessa carità pastorale ci impone di non trattare semplicemente come “peccatori” altre persone la cui colpa o responsabilità può essere attenuata da vari fattori che influenzano l’imputabilità soggettiva».

 

Ma non si tratta di questo: c’è una differenza molto grande tra dare l’assoluzione a una persona la cui responsabilità è attenuata, e «benedire» davanti alla Chiesa e ai fedeli la situazione oggettivamente sbagliata in cui si trova, chiudendo così ogni possibilità di aprirsi alla verità e inducendo gli altri fedeli nell’errore.

 

Per mitigare il punto precedente, il Papa spiega che «le decisioni che, in determinate circostanze, possono far parte della prudenza pastorale, non devono necessariamente diventare una norma».

 

In altre parole: «Cioè, non è opportuno che una Diocesi, una Conferenza Episcopale o qualsiasi altra struttura ecclesiale abiliti costantemente e ufficialmente procedure o riti per ogni tipo di questione», poiché tutto «ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma”, perché questo “darebbe luogo a una casuistica insopportabile” (Amoris laetitia, 304)».

 

Dietro questa formulazione, che sembra escludere una sistematizzazione di un rito, resta il fatto che il Papa accetta chiaramente che, secondo la prudenza pastorale, in determinate circostanze, un sacerdote possa essere condotto – e quindi autorizzato – a benedire una coppia omosessuale. È questa accettazione che ha portato i cinque cardinali a riformulare il loro dubium:

 

«È possibile, in “determinate circostanze”, che un sacerdote benedica le unioni omosessuali suggerendo così che il comportamento omosessuale in sé non sarebbe contrario alla legge di Dio e al percorso di una persona verso Dio?»

 

Conclusione

Anche se la risposta del Papa sembra escludere una «autorizzazione ufficiale» alla benedizione delle coppie dello stesso sesso da parte di una struttura ecclesiale, resta il fatto che egli la autorizza almeno in «determinate circostanze». Inoltre, come è avvenuto con i vescovi belgi, ha lasciato che ciò accadesse.

 

Una volta ammessa l’eccezione, tutto crolla. Qualunque cosa dica il Papa, ognuno potrà evocare «determinate circostanze» per agire come desidera. Tanto vale dire che è stata data un’autorizzazione generale. Come spesso accade, non è con un «sì» che Francesco va avanti, ma restando in silenzio e lasciando fare.

 

Ciò non gli impedisce di essere più che complice: il superiore è il primo responsabile.

 

 

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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)

 

 

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La «Dignitas infinita» promuove una dignità non ben definita

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L’8 aprile 2024 il Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) ha pubblicato la Dichiarazione Dignitas infinita sulla dignità umana, approvata da Papa Francesco il 25 marzo.   La prima parte del documento presenta la «progressiva consapevolezza della centralità della dignità umana». La seconda parte afferma che «la Chiesa annuncia, promuove e garantisce la dignità umana». La terza parte considera la dignità come «fondamento dei diritti e dei doveri umani».   Infine, l’ultima parte denuncia «alcune gravi violazioni della dignità umana»: teoria di genere, cambiamento di sesso, maternità surrogata, aborto, eutanasia e suicidio assistito…

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Una nozione squilibrata della dignità umana

Purtroppo, come rileva il sito della Fraternità San Pio X, FSSPX.Attualità del 10 aprile: «la dichiarazione riprende, e la aggrava, la nozione disallineata o squilibrata della dignità umana che era al centro del Concilio Vaticano II, affermata nella Dichiarazione sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae)».   «Il Concilio ha parlato della dignità posseduta da “tutti gli uomini, perché sono persone, cioè dotati di ragione e di libera volontà”, dignità chiamata “ontologica”. Su questa dignità ontologica il Concilio ha fondato la libertà religiosa, che porta a una relativizzazione della fede cattolica riconoscendo un “diritto all’errore” in materia religiosa. Diritto “negativo”, ma pur sempre legge».   FSSPX.Attualità rileva «l’aggravamento di questa dottrina con l’uso del termine “infinito” associato alla dignità ontologica, che non è più nemmeno una deviazione, ma un’aberrazione. Solo Dio è infinito».   E ricorda: «l’anima umana, creata direttamente da Dio, è da Lui unita ad un corpo: esercita quindi un duplice ruolo. Essa conferisce innanzitutto la natura umana all’individuo creato, che è quindi persona, secondo la celebre definizione di Boezio, citata nella nota 17 del documento. L’anima è così la fonte della dignità ontologica, che è dunque la stessa per tutti gli esseri umani».   «In secondo luogo, l’anima è il principio dell’azione umana attraverso le sue facoltà: intelligenza e volontà. Questa azione costituisce l’ambito morale. Quando gli atti umani ci permettono di far fiorire la nostra umanità, indirizzandoci verso il nostro fine che è Dio, si caratterizzano come “buoni”. Quando, al contrario, ce ne allontanano, questi sono atti “cattivi”».   «La dignità morale della persona dipende quindi dal suo agire: l’uomo che fa il bene per raggiungere il suo fine ultimo ha una dignità tanto maggiore quanto più ricerca questo fine. Ma chi si allontana dal suo fine e fa il male cade da questa dignità: se ne spoglia».

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Una visione naturalista dell’uomo

In uno studio pubblicato in due parti su Réinformation.tv, l’8 e il 9 aprile, Jeanne Smits denuncia «una visione naturalista dell’uomo», contenuta nel documento romano.   Così, scrive, «la Dignitas infinita, ignorando deliberatamente la natura ferita dell’uomo, basando tutto sul valore della persona, eliminando il bisogno della grazia, nonostante alcune affermazioni contrarie, si colloca generalmente nella sfera dell’utopia orizzontale. Ma questa dichiarazione piacerà senza dubbio a coloro che vi troveranno la condanna di certi eccessi dei tempi».   Più avanti, il giornalista francese cita padre Victor Berto, lui stesso citato da padre Bertrand Labouche nel bollettino del convento di Nantes, L’Hermine (n°46, giugno-luglio 2015). Il teologo privato di mons. Marcel Lefebvre al Concilio Vaticano II scrisse sulla Dignitatis humanæ, all’epoca ancora sotto forma di schema:   «La dignità umana adeguatamente considerata richiede che si tenga conto dei suoi atti. L’ignorante e l’uomo colto non hanno la stessa dignità; e soprattutto, la dignità non è uguale in chi aderisce alla verità e in chi aderisce all’errore, in chi vuole il bene e in chi vuole il male».   «I redattori, che hanno costruito tutto il loro schema su una nozione inadeguata della dignità della persona umana, hanno già presentato con questo un’opera deformata e di straordinaria irrealtà; infatti, che ci piaccia o no, esistono, tra le persone umane adeguatamente considerate, immense differenze di dignità».   «E questo è tanto più vero per quanto riguarda lo schema sulla libertà religiosa; perché evidentemente la libertà religiosa si adatta alla persona non secondo la sua dignità radicale, ma secondo la sua dignità operativa, e quindi la libertà non può essere la stessa nel bambino e nell’adulto, nello stolto e nella mente penetrante, nell’ignorante e nell’uomo colto, in uno posseduto del demonio e in quelli ispirati dallo Spirito Santo, etc.»   «Ora questa dignità, che chiamiamo operativa, non appartiene all’essere fisico, ma riguarda, è ovvio, l’ordine intenzionale. La negligenza di questo elemento intenzionale, cioè la scienza e la virtù, è nello schema un errore molto grave».   In Lo hanno detronizzato, Mons. Lefebvre afferma della dichiarazione conciliare Dignitatis humanæ: «la dignità umana radicale è sì quella di una natura intelligente, capace quindi di scelta personale, ma la sua dignità terminale consiste nell’aderire “in atto” alla verità e al bene».   «È questa dignità terminale che merita a ogni persona la libertà morale (la capacità di agire) e la libertà (la capacità di non essere impedito di agire). Ma nella misura in cui l’uomo aderisce all’errore o si lega al male, perde la sua dignità terminale o non la raggiunge, e su di essa non si può fondare nulla! […]»   «Parlando delle false libertà moderne, Leone XIII scrive nell’Immortale Dei: “se l’intelligenza aderisce a false idee, se la volontà sceglie il male e ad esso si lega, nessuna delle due raggiunge la perfezione, entrambe cadono dalla loro originaria dignità e si corrompono”».   Jeanne Smits conclude il suo studio in questi termini: «basando tutto sulla “dignità infinita dell’uomo”, essendo creato e quindi dipendente da Dio, che solo possiede dignità infinita, la dichiarazione (romana) ipertrofizza il creato in relazione al Creatore ; il culto e il servizio a Lui dovuti passano in secondo piano, impantanati da qualche parte nella palude della “libertà religiosa”».   «[Dignitas infinita] Esalta l’uomo al punto da facilitarne il culto, in attesa che il giusto stupore di fronte alla creazione conduca questo pensiero all’oblio di Dio e al panteismo, una spiritualità globale che già si delinea in modo sempre più preciso. In ogni caso essa non li contraddice, omettendo di ricordare che senza la grazia, l’uomo nella sua condizione decaduta è in uno stato di sottomissione al male».

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Dignitas infinita e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite

In modo meno teologico e più politico, il blog argentino The Wanderer dell’11 aprile rileva un’altra incongruenza nella Dignitas infinita, vale a dire «l’insistenza nel collegare la dignità dell’uomo alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Infatti, questo documento delle Nazioni Unite è menzionato 26 volte».   «La tesi del cardinale Fernández è che se la questione della dignità umana è sempre stata difesa dalla Chiesa, è proprio con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo che essa raggiunge il suo splendore […]»   «Si scopre quindi che una dichiarazione costituzionalmente atea, come la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, che non menziona mai Dio, e alla quale la Chiesa ha ufficialmente resistito, diventa con il nuovo pontificato di Francesco la pietra angolare di una parte importante del suo magistero […]»   «Dice il documento romano: “in tal orizzonte, la sua enciclica Fratelli tutti costituisce già una sorta di Magna Charta dei compiti odierni volti a salvaguardare e promuovere la dignità umana’ (n. 6). Dimenticato il De opificio hominis di san Gregorio di Nissa, e l’Agnosce, o christiane, dignitatem tuam della predica della Natività di san Leone Magno».   «La Magna Charta sulla dignità dell’uomo non è data dai Padri e dalla Tradizione della Chiesa, ma da… Fratelli tutti di Papa Bergoglio! Sembra uno scherzo».  Scherzo sinistro.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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In corso la beatificazione del missionario che fondò i cistercensi in Vietnam

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Chiusa a Roma la fase diocesana del processo di beatificazione del sacerdote francese che nella diocesi di Hue diede vita nel 1918 al monastero di Nostra Signora di Phuoc Son. Un’esperienza che oggi conta centinaia di monaci in Vietnam.

 

«Un momento di festa per tutta la Chiesa», a Roma come in Vietnam. Così oggi nel Palazzo Lateranense il vicegerente della diocesi di Roma, mons. Baldassare Reina, ha definito la sessione di chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione di padre Benoit Thuan, al secolo Henri François Denis (1880-1933), missionario francese in Vietnam dal 1903 e fondatore nel 1918 della prima comunità monastica maschile del Paese, il monastero di Nostra Signora di Annam a Phuoc Son, nell’arcidiocesi di Hue.

 

Come prevedono le procedure canoniche gli atti dell’inchiesta sulla santità di questo servo di Dio tuttora veneratissimo in Vietnam sono stati sigillati per essere trasmessi al dicastero per le Cause dei santi, in una cerimonia a cui erano presenti anche dom Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’ordine cistercense, e don Giovanni XXIII, l’abate presidente della Congregazione cistercense della Sacra Famiglia, il ramo fondato in Vietnam da padre Benoit Thuan.

 

Nativo di Boulogne-sur-Mere, in Francia, padre Henri François Denis fu ordinato sacerdote per le Mission Etrangeres de Paris il 7 marzo 1903. Partito pochi mesi dopo per il Vietnam fu destinato alla missione di Hue, dove assunse il nome «Thuan», che in vietnamita significa obbedienza. Si nella cultura locale ponendosi davanti alle persone che incontrava non con uno stile di superiorità ma di servizio. Finché in questo suo apostolato missionario avvertì forte però la chiamata a testimoniare il Vangelo con uno stile monastico. Così nel 1918 – in accordo con il suo vescovo e ottenuta il permesso da Propaganda Fide – diede vita in estrema povertà e inizialmente con un solo compagno al monastero di Nostra Signora di Annam.

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«Al tempo – ha ricordato mons. Reina – in Vietnam vi erano solo i due monasteri femminili che il Carmelo di Lisieux aveva fondato a Saigon e Hanoi. Ed è significativa una lettera che il 2 dicembre 1922, madre Agnese di Gesù – la sorella di santa Teresa di Lisieux che appena l’anno prima era stata dichiarata venerabile dalla Chiesa – scrisse a padre Benoit, ricordando il desiderio della grande carmelitana di partire per il Vietnam e indicandola come l’”angelo custode” di quella nuova comunità monastica maschile».

 

I monaci iniziarono subito a coltivare il riso come i contadini poveri del Vietnam. E nonostante la durezza di quella vita (uno dei primi novizi morì sbranato da una tigre), quell’ideale attrasse subito decine di giovani. Ed è un seme che – nonostante la storia estremamente dolora vissuta dal Vietnam nel Novecento – continua a fiorire ancora oggi, con centinaia di monaci in cinque comunità cistercensi in diverse zone del Paese.

 

Padre Benoit Thuan morì il 25 luglio 1933. Due anni dopo il suo grande desiderio di vedere accogliere la sua comunità religiosa nella famiglia cistercense sarebbe stato accolto.

 

A quasi un secolo di distanza l’abate Lepori ha sottolineato nella cerimonia di oggi la forza tuttora «profetica di questo missionario fattosi monaco per andare al fondo della sua missione». «Padre Benoit – ha aggiunto – aveva capito che non basta portare l’annuncio di Cristo redentore fino ai confini geografici della terra; è necessario spingerlo fino agli estremi confini dei cuori. Là dove ogni uomo giace abbandonato in una vita senza senso se non incontra Gesù Cristo».

 

«Per promuovere un rinnovamento monastico e missionario nella Chiesa – ha concluso – più che di parole abbiamo bisogno di queste figure che hanno saputo affrontare il bisogno di Cristo del loro tempo con fedeltà creatrice».

 

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La storia epica della cristianità in Giappone: una mostra

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Dal 15 marzo al 13 luglio 2024, le Missioni Estere di Parigi (MEP) organizzano una mostra dal titolo: «Da Samurai a Manga: l’epica cristiana in Giappone». Un’occasione per scoprire questo capitolo delle missioni cattoliche e per conoscere meglio le Missioni Estere di Parigi. Questo articolo riassume la presentazione fatta sul suo sito web.   La storia dell’evangelizzazione del Giappone presenta inizialmente due aspetti: a volte una rapida espansione, a volte una serie di battute d’arresto e disastri sfociati in tragedie.  

Il «secolo cristiano»

San Francesco Saverio sbarcò in Giappone a Kagoshima (Satsuma) nel 1549, durante i primi tentativi di unificazione del Paese. L’espansione del cattolicesimo fu notevole e portò alla conversione di numerosi governatori (daimyo). Grazie al permesso di evangelizzare, i missionari gesuiti aumentarono gradualmente il numero dei battezzati.   Il gesuita Alessandro Valignano arrivò nel 1579 come visitatore delle missioni. Nel 1582 organizza la prima ambasciata in Europa, che incontra papa Gregorio XIII nel 1585. Ma una prima messa al bando del cristianesimo fu imposta dallo shogun Toyotomi Hideyoshi nel 1587 con l’esilio dei missionari. Il 5 febbraio 1597 furono crocifissi a Nagasaki 26 martiri.

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Segretezza

A partire dal 1614 gli shogun cercarono di eliminare il cattolicesimo: a partire da questa data ogni famiglia doveva essere registrata presso un tempio buddista. Poi, a partire dal 1619, nelle città e nei villaggi di tutto il Paese furono affissi cartelli che ricordavano la messa al bando del cristianesimo, offrendo cospicue ricompense per la denuncia dei cristiani.   Scene di martirio furono testimoniate a Kyoto nel 1619, a Nagasaki nel 1622 e a Edo (Tokyo) nel 1623. La tortura sistematica apparve intorno al 1630 per promuovere l’apostasia. Fu in questo contesto che nel 1613 il daimyo di Sendai inviò un’ambasciata presso il viceré del Messico per ottenere l’apertura di una via commerciale transpacifica. In cambio, la religione cristiana sarebbe tollerata.   L’ambasciata fu affidata al samurai Hasekura Tsunenaga, accompagnato dal francescano spagnolo Luis Sotelo. Il viceré inviò messaggeri al re di Spagna, Filippo III. Il re inviò infine gli ambasciatori a papa Paolo V, che li ricevette nel novembre 1615. Ma Paolo V restituì la decisione finale al monarca spagnolo, che rifiutò di rivedere gli inviati del daimyo di Sendai.   Il fallimento dell’ambasciata provocò la messa al bando del cristianesimo e la caccia ai cristiani. Riuscito a tornare segretamente in Giappone, Luis Sotelo fu bruciato vivo a Tokyo nel 1623. Iniziava il periodo delle grandi persecuzioni. La popolazione cristiana, stimata in 650.000 persone, fu decimata. Furono inflitte terribili torture.   La ribellione di Shimabara (1637-1638), organizzata dai contadini cristiani sotto lo shogunato Tokugawa, fu repressa ferocemente, con l’appoggio della marina olandese, che sparò con i suoi cannoni sul castello di Hara, dove si erano rifugiati i ribelli, per sostenere la rivolta. truppe lealiste. Il massacro di 30.000 cristiani durò tre giorni.

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Il cristianesimo emerge dall’ombra

Nel XIX secolo la Francia voleva recuperare il tempo perduto nella corsa per l’Asia. La Santa Sede non aveva rinunciato a rifondare una missione in Giappone. Infine, le Missioni Estere di Parigi aspiravano a riconquistare il prestigioso campo missionario del Giappone. Il primo trattato franco-giapponese fu firmato nel 1858, ma la presenza dei ministri religiosi era consentita solo agli occidentali; il cristianesimo rimase proibito ai giapponesi. I missionari si stabilirono in concessioni riservate agli stranieri a Hakodate, Kanagawa e Nagasaki.   Il 17 marzo 1865 un gruppo di giapponesi si presentò come cristiano a padre Bernard Petitjean (1829-1884) delle Missioni Estere di Parigi, che si erano stabilite a Nagasaki e vi avevano costruito una chiesa, consacrata nel 1865. I missionari scoprirono organizzazione, riti ed elementi dottrinali trasmessi segretamente per 250 anni, senza sacerdoti e con pochissimi scritti. Ma la persecuzione, con arresti ed esecuzioni, era ancora in corso, soprattutto nel 1856 a Urakami, vicino a Nagasaki.   La persecuzione più lunga e più dura ebbe luogo tra il 1867 e il 1873, anni che videro il crollo del regime Tokugawa e la restaurazione del regime imperiale. Il regime instauratosi con il periodo Meiji (1868) portò avanti un’opera trasformativa: la modernizzazione delle strutture politiche ed economiche. Ma nei confronti dei cristiani è stata adottata una linea dura.   Fu promossa una teocrazia imperiale fondata sullo shintoismo. I leader erano a disagio riguardo alle vere intenzioni degli occidentali e il sentimento anticristiano era al suo culmine. La nomina di padre Petitjean come vescovo nel 1866 scatenò la persecuzione: nel 1868 si decise di deportare i cristiani di Urakami in 60 diversi feudi in tutto il Giappone.   Nel 1872 iniziò una distensione: la politica anticristiana fu finalmente sepolta. I cartelli che vietavano il cristianesimo, in vigore dal XVII secolo, furono rimossi nel febbraio 1873. I cristiani di Urakami poterono tornare a casa e fu loro concessa la libertà religiosa.  

Libertà sotto sorveglianza

Le missioni itineranti venivano organizzate grazie ad una certa libertà di movimento. Il passaporto interno, limitando la permanenza nello stesso luogo a tre giorni, spingeva i missionari a percorrere vaste regioni. Dal punto di vista politico, emerse uno Stato shintoista, nazionalista e guidato dall’imperatore: prese le distanze dal buddismo e rimase diffidente nei confronti del cristianesimo o addirittura ostile ad esso.   La prima Costituzione del Giappone, nel 1889, concedeva la libertà religiosa, anche se molto limitata. Alla fine era solo ciò che il governo aveva effettivamente consentito dal 1873. Ciò consentiva la creazione di diocesi e l’istituzione della Chiesa al di fuori delle enclavi in ​​cui era stata relegata. Le Missioni Estere di Parigi chiesero quindi alle suore di prendersi cura di orfanotrofi, scuole e dispensari.

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Altre congregazioni si ristabilirono sul suolo giapponese: domenicani, francescani e gesuiti, che erano stati espulsi due secoli e mezzo prima. Ma con il Rescritto Imperiale del 30 ottobre 1890 la fedeltà all’Imperatore divenne fondamentale. Si riteneva che ciò presentasse l’urgente necessità di formare un clero autoctono nel caso in cui i missionari fossero stati nuovamente scacciati.   L’aumento della potenza militare dell’arcipelago – le vittorie contro Cina, Taiwan e Russia, l’annessione della Corea, l’invasione della Manciuria – spinsero il regime verso l’esercito. La Chiesa si adattò al Giappone e si raggiunse un accordo sulla questione dei riti dovuti all’Imperatore. Con la seconda guerra mondiale la situazione degli stranieri all’interno della Chiesa in Giappone divenne sempre più difficile.   Dopo la sconfitta, la Costituzione del 1946, ancora in vigore, consentiva la totale libertà del cattolicesimo.  

La Chiesa in Giappone dal 1945 ad oggi

Secondo le statistiche del 2023, i cattolici sono 431.100, tra cui 6.200 seminaristi, sacerdoti e religiosi, che costituiscono lo 0,34% della popolazione giapponese. Ma questo numero tiene conto solo dei cattolici «registrati», un sistema ereditato dal tempo della persecuzione. Tra i migranti – soprattutto persone provenienti dall’America Latina, dalle Filippine e dal Vietnam – la popolazione cattolica è stimata all’1%.   Tuttavia, la Chiesa ha molte istituzioni – ospedali, scuole, centri assistenziali e persino università – che danno al cattolicesimo una presenza significativa nella società giapponese.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.  

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