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Geopolitica

Gli USA chiudono l’ambasciata di Haiti tra le «mitragliate» mentre bande armate si impadroniscono della capitale

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Molte migliaia di haitiani hanno invaso le strade di Port-au-Prince questa settimana in protesta per la mancanza di sicurezza o qualsiasi stato di diritto nei quartieri dominati dalla criminalità in tutta la nazione caraibica impoverita.

 

Ieri tuttavia ha avuto luogo un’ulteriore escalation di violenza, quando sono esplosi rapidi colpi di arma da fuoco, provenienti dalla folla e nelle vicinanze, che hanno costretto gli Stati Uniti e altre ambasciate straniere a chiudere le operazioni.

 

«L’ambasciata è chiusa oggi. Tutto il personale è limitato ai complessi dell’ambasciata fino a nuovo avviso a causa di colpi di arma da fuoco nelle vicinanze dell’ambasciata. È vietato viaggiare tra i complessi», ha affermato l’ambasciata USA in una dichiarazione.

 

L’ambasciata degli Stati Uniti ha inoltre avvertito che chiunque cerchi di raggiungere o uscire dal complesso potrebbe avere la propria sicurezza nel percorso «compromessa a causa dei continui e rapidi colpi di arma da fuoco».

 

I media hanno descritto una situazione che va via via aggravandosi in cui «la violenza incessante per mano di bande» ha provocato folle inferocite che, al grido «vogliamo sicurezza», chiedevano una parvenza di controllo da parte di funzionari nazionali e internazionali.

 

Nelle folle in rivolta vi sono molti con i volti mascherati, tra pneumatici e veicoli in fiamme, gas lacrimogeni e devastazioni varie.

 

Secondo alcuni, è possibile stimare che le bande armate controllino fino all’80% della capitale e la polizia sia impotente a proteggere i residenti.

 

 

 

Nel frattempo, per quanto riguarda le possibili soluzioni, le Nazioni Unite hanno discusso nell’ultimo anno una proposta per l’invio di una forza di polizia internazionale, ma resta che nessuna Nazione in particolare, compresi gli Stati Uniti recentemente accusati di cercare il golpe ad Haiti, vuole essere capofila in una situazione del genere.

 

Di recente, il Kenya ha proposto di inviare le proprie truppe, ma ancora una volta, pochi funzionari delle Nazioni Unite hanno la volontà politica di farcela, dato che ci sono così tante «incognite» e modi in cui potrebbe esacerbare una situazione già gravissima.

 

«Dopo che il primo ministro Ariel Henry ha esortato il mondo in ottobre a dispiegare una forza armata per combattere le bande, le Nazioni Unite hanno lottato per convincere una Nazione a guidare gli sforzi per ripristinare l’ordine nel paese caraibico, in parte a causa delle passate polemiche sulle missioni di mantenimento della pace» scrive AP. «Ci sarebbe poco appetito per una forza guidata dagli Stati Uniti o dall’ONU, e gli Stati Uniti hanno tentato senza successo di convincere il Canada a guidare una forza».

 

 

Con queste nuove violenze e spari, è molto probabile che l’ambasciata americana possa chiudere definitivamente, dato che alla fine del mese scorso è stato già dato un ordine di evacuazione per tutto il personale «non essenziale» dell’ambasciata e le loro famiglie. A tutti gli americani è stato inoltre consigliato di lasciare immediatamente Haiti.

 

Poco più di una settimana fa, due cittadini americani sono stati ritenuti rapiti. «Un’infermiera americana e sua figlia sono state rapite ad Haiti, nell’ultimo episodio di rapimento che ha attirato l’attenzione internazionale, mentre una recrudescenza della violenza attanaglia la capitale, Port-au-Prince», ha scritto il Washington Post.

 

«In una breve dichiarazione di sabato, El Roi Haiti, un’organizzazione umanitaria religiosa, ha identificato la donna come Alix Dorsainvil, l’infermiera della comunità del gruppo e la moglie del direttore del gruppo. Lei e suo figlio sono stati prelevati dal campus di El Roi vicino al capitale giovedì, secondo la dichiarazione», scrive il WaPo.

 

Human Rights Watch afferma che oltre 1.000 persone sono state rapite da bande criminali finora solo quest’anno – e questi sono solo i casi noti. Sappiamo che casi di rapimenti ed aggressioni riguardano anche preti e suore.

 

Come riportato da Renovatio 21, da mesi Haiti sta sprofondando nell’inferno della violenza indiscriminata: decapitazioni, linciaggi, roghi tra gang e vigilantes. Da tempo la violenza ad Haiti è arrivata a livelli definiti dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umana Michelle Bachelet come «inimmaginabili e intollerabili».

 

Il disastro avanza da anni in quello che era definito un feudo dei Clinton (e del loro malaffare umanitario, come scrive il libro Clinton Cash), che ivi avevano avuto una certa parentesi esoterica, partecipando ad un rito del «papa del vudù» Max Beauvoir (detto anche «il re degli zombie) durante il viaggio di nozze.

 

La Fondazione Clinton è ancora molto impegnata nell’isola. Nel tremendo terremoto dello scorso decennio, i Clinton arrivarono subito a farsi fotografare mentre passano casse di viveri. Guido Bertolaso, dominus della Protezione Civile italiana, vide ciò che stava facendo la Fondazione Clinton e ebbe a polemizzare, ricevendo la risposta piccata di Hillary.

 

 

 

 

 

Immagine screenshot da Twitter

 

 

 

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Geopolitica

Orban: i nipoti degli europei pagheranno per il nuovo prestito all’Ucraina

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Il premier ungherese Viktor Orban ha criticato duramente la pressione della Commissione europea per raccogliere ulteriori 135 miliardi di euro (156 miliardi di dollari) a favore dell’Ucraina, sostenendo che ciò scaricherebbe debiti sulle generazioni future di europei. L’affermazione arriva in piena bufera per uno scandalo di corruzione a Kiev.

 

Mercoledì, in un post su X, Orban ha accusato la presidente Ursula von der Leyen di aver «ancora una volta chiesto ai Paesi membri fondi extra per finanziare l’Ucraina e la guerra». L’ammontare, ha precisato, equivarrebbe al 65% del Pil annuo ungherese e a tre quarti del bilancio UE: «una somma astronomica che semplicemente non esiste oggi».

 

Il «trucco di Bruxelles» consisterebbe in un prestito congiunto europeo, che farebbe ricadere «sui nostri nipoti i costi della guerra russo-ucraina»: un’idea «categoricamente assurda», ha tuonato l’Orban.

 


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Von der Leyen, secondo quanto trapelato, ha invitato i governi UE ad accelerare un accordo per coprire le esigenze militari e finanziarie ucraine nei prossimi due anni, proponendo opzioni come contributi bilaterali, prestiti comuni e un finanziamento basato sui beni russi congelati.

 

In risposta, l’Orbano ha paragonato la strategia di Bruxelles a «inviare un’altra cassa di vodka per aiutare un alcolizzato», definendola «ancora più sbalorditiva» in un momento in cui «una mafia di guerra sta dirottando i soldi dei contribuenti europei».

 

La scorsa settimana, l’Ufficio nazionale anticorruzione ucraino (NABU), supportato dall’Occidente, ha avviato un’inchiesta su un’«organizzazione criminale di alto livello» capeggiata da Timur Mindich, ex socio d’affari di Volodymyr Zelensky. Gli investigatori parlano di circa 100 milioni di dollari in tangenti legate all’operatore nucleare Energoatom, convogliati attraverso una rete gestita da Mindich.

 

Sebbene l’UE emetta spesso moniti generici sulla corruzione in Ucraina, i suoi funzionari tendono a evitare scandali che possano danneggiare Zelensky e il suo entourage.

 

Di recente Orban ha rivelato che l’UE ha già «bruciato» 185 miliardi di euro dall’escalation del 2022: «la guerra sta uccidendo economicamente l’UE», ha avvertito, esortando Bruxelles a privilegiare la diplomazia con Mosca anziché ulteriori aiuti.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Geopolitica

Il piano di pace degli Stati Uniti propone all’Ucraina di «rinunciare alla sovranità»

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Un piano di pace elaborato dagli Stati Uniti, apparentemente in stretta consultazione con Mosca, è stato presentato questa settimana a Kiev dall’inviato speciale di Donald Trump, Steve Witkoff. Secondo quanto rivelato da Axios e Financial Times, la bozza di 28 punti imporrebbe all’Ucraina concessioni così pesanti da essere considerate da numerose fonti una vera e propria capitolazione e una rinuncia di fatto alla sovranità nazionale.   Il documento prevede la cessione definitiva delle aree del Donbass ancora controllate da Kiev, il dimezzamento delle forze armate ucraine, la rinuncia a categorie fondamentali di armamenti e una netta riduzione dell’assistenza militare americana. Include inoltre il riconoscimento del russo come lingua ufficiale e il ripristino dello status ufficiale per la Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca, repressa dall’attuale governo Zelens’kyj.   Lo Witkoff avrebbe chiesto esplicitamente al presidente ucraino – che ieri ha incontrato un alto ufficiale statunitense – di accettare questi termini.

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Mosca non ha né confermato né smentito l’esistenza del piano. Il portavoce Dmitrij Peskov ha dichiarato che non c’è «nulla di nuovo» rispetto ai colloqui già intercorsi tra Putin e Trump in Alaska, mentre il negoziatore russo Kirill Dmitriev ha sottolineato ad Axios che la posizione russa «è stata davvero ascoltata» e che l’intesa va ben oltre un semplice cessate il fuoco.   Un funzionario della Casa Bianca ha riferito a Politico che l’accordo potrebbe essere finalizzato entro la fine del mese, o addirittura già nel corso di questa settimana.   I dirigenti russi continuano a ribadire che qualsiasi soluzione duratura dovrà garantire la neutralità permanente dell’Ucraina, la sua esclusione definitiva dalla NATO, la smilitarizzazione, la denazificazione e il riconoscimento dell’attuale realtà territoriale.  

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Immagine di Le Commissaire via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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Gli USA stanno segretamente elaborando con la Russia un nuovo piano di pace per l’Ucraina

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Gli Stati Uniti starebbero elaborando in gran segreto una proposta inedita per risolvere il conflitto ucraino, secondo quanto rivelato martedì da Axios. La bozza, articolata in 28 punti, sarebbe stata redatta in coordinamento ravvicinato con Mosca e già condivisa con Kiev e i suoi alleati europei. Lo riporta la testa americana Axios.

 

Il piano trae ispirazione dai principi emersi dal colloquio tra il presidente statunitense Donald Trump e il leader russo Vladimir Putin in Alaska lo scorso agosto. Il negoziatore moscovita Kirill Dmitriev ha confidato ad Axios di aver dedicato tre giorni, durante la sua visita negli USA alla fine di ottobre, a sviscerare l’iniziativa con l’inviato di Trump, Steve Witkoff.

 

«Siamo convinti che questo schema arrivi nel momento propizio», ha commentato un alto esponente americano a conoscenza dei dettagli, aggiungendo: «Tuttavia, entrambe le controparti dovranno mostrarsi pragmatiche e ancorare le aspettative alla realtà».

 

Mercoledì, il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha minimizzato lo scoop, precisando che nei dialoghi tra Washington e Mosca non è emerso «nulla di innovativo» oltre a quanto già discusso ad Anchorage.

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Lo Witkoff ha visionato la bozza questa settimana con Rustem Umerov, segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale ucraino, in un incontro tenutosi a Miami. Umerov, la cui famiglia vive negli Stati Uniti, ha lasciato Kiev in piena bufera per uno scandalo corruttivo che coinvolge Timur Mindych, fedelissimo di lunga data di Volodymyr Zelens’kyj, accusato di orchestrare un meccanismo di tangenti per 100 milioni di dollari legato all’operatore nucleare statale Energoatom.

 

I media ucraini sostengono che Umerov, durante il suo ruolo di ministro della Difesa, abbia ceduto alle pressioni di Mindych per approvare forniture di giubbotti antiproiettile non conformi, e ora si starebbe sottraendo al rientro in patria per timore di ritorsioni legate a presunte influenze del businessman.

 

L’inviato americano è atteso in Turchia mercoledì per un faccia a faccia con lo Zelens’kyj. Secondo l’Economist, lo Witkoff avrebbe cancellato un appuntamento con il capo di gabinetto presidenziale Andriy Yermak, sospettato di intrecci con la rete di Mindych, per evitare di incappare in ulteriori tensioni politiche che potrebbero accelerare un possibile licenziamento dello Yermak.

 

«Witkoff potrebbe non aver colto appieno lo scandalo in cui rischiava di ficcarsi concordando quell’incontro», ha osservato il giornalista dell’Economist Oliver Carroll su X.

 

 

Mosca ha ribadito che un accordo stabile deve salvaguardare le sue priorità in termini di sicurezza. Dmitriev si è detto «moderatamente fiducioso» sulla bozza americana, notando: «Abbiamo l’impressione che la prospettiva russa sia stata finalmente presa in considerazione».

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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