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Geopolitica

L’attacco spirituale all’Ucraina

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In un qualunque scontro armato è sempre difficile districarsi tra le fonti di informazione, soprattutto se ci si trova lontani dagli eventi. Una componente fondamentale della guerra è infatti la propaganda, strumento che da sempre serve ad accendere i facinorosi e trascinare gli indecisi.

 

In una guerra come quella russo ucraina entrambe le parti coinvolte fanno largo uso di questo strumento. I più attenti si saranno già abituati da qualche anno, ma la novità è che la libera e democratica società occidentale, formalmente non parte del conflitto e sempre più impegnata nel fact-checking, mette sempre il bollino verde alle notizie che arrivano dalle istituzioni e dalle agenzie di stampa ucraine e quello rosso su ciò che invece arriva da Mosca.

 

Il gioco mediatico è stato semplice: tacere della guerra civile ucraina in atto dal 2014 e dare il massimo risalto all’invasione russa del febbraio 2022. Ciò ha radicato e cementato la narrazione dell’aggredito/aggressore in cui sembra naturale prendere a priori e a tutti i costi le parti dell’aggredito.

 

Vogliamo qui però parlare di un aspetto del conflitto che riguarda direttamente la vita del popolo ucraino e cioè della fede.

 

L’Ucraina è un Paese per la maggior parte cristiano ortodosso. In Ucraina il Patriarcato di Costantinopoli ha creato uno scisma riconoscendo una compagine nazionalista autoproclamatasi e priva di ordini sacri: nel 2019 infatti, dopo un’intensa attività di lobbying di politici come l’ex presidente Poroshenko e ONG internazionali, la Chiesa Ortodossa d’Ucraina (OCU) ottiene l’autocefalia da Costantinopoli separandosi però dal Patriarcato di Mosca, ma incamerando le adesioni di molte parrocchie fino ad allora in comunione con Mosca.

 

La prima differenza tra le due Chiese maggioritarie in Ucraina riguarda il rito: se la Chiesa canonica (UOC) celebrano in antico slavo, l’equivalente del nostro latino e da cui discendono come minimo le lingue russo, bielorusso e ucraino, la Chiesa Ortodossa d’Ucraina ha invece iniziato a celebrare in «volgare», cioè in ucraino moderno.

 

Soprattutto dal 2019 in poi, il potere ucraino fa letteralmente di tutto per impedire che la Chiesa canonica possa svolgere le sue normali attività.

 

Gli esempi sono molti e spaziano dall’azione giudiziaria, al dileggio popolare fino alle operazioni militari: a mero titolo di esempio ne riportiamo solo alcuni.

 

Il 12 marzo 2022 è stato bombardato la prima volta da parte Ucraina il monastero di Svyatogorsk nella regione di Donetsk, il primo giugno successivo è stato di nuovo bombardato dall’artiglieria ucraina stavolta causando la morte di tre monaci. Il monastero ospita tra l’altro qualche centinaio di veri profughi le cui case sono state bombardate.

 

Recentemente la città di Kiev ha tentato di sequestrare la proprietà del monastero più importante dell’Ucraina, della chiesa Canonica, uno dei quattro più importanti di tutta la Russia e uno dei più antichi in assoluto: la Pechers’ka Lavra, in italiano Monastero delle Grotte di Kiev. Al momento dell’esecuzione del sequestro la ferma opposizione composta e orante di tutti i monaci e di molti fedeli hanno impedito che questo sequestro avesse effettivamente luogo.
Purtroppo questa opposizione ha esacerbato il confronto tra la Chiesa canonica e il potere laico.

 

Il primo aprile, infatti, abbiamo avuto notizia degli arresti domiciliari per il metropolita Pavel, dal 1994 superiore della Lavra. Le accuse che il tribunale di Kiev ha lanciato al prelato sono di negazionismo (sic) dell’aggressione russa e di fomentazione dell’odio religioso. Dal canto suo Pavel ha sempre chiesto di pregare per la pace e si è più volte detto in disaccordo con le parole del patriarca di Mosca Kirill che ha giustificato invece l’avvio dell’operazione militare speciale.

 

Nei giorni successivi abbiamo poi assistito al dileggio dei fedeli che pregavano nella piazza antistante al monastero: uomini e donne di qualunque età ballavano e ridevano sguaiatamente attorno ai pochi cristiani silenti e oranti cui importava ancora qualcosa delle sorti della propria chiesa. Ciò ha portato all’intervento della polizia che ora, seppur passivamente per il momento, presidia gli accessi al monastero sotto le ingiurie dei fedeli privati del culto e le incitazioni all’uso della violenza da parte dei cittadini fedeli ai nuovi dettami del regime.

 

La città di Kiev e i suoi palazzi di giustizia non sono nuovi a questo tipo di gravi provocazioni: qualche mese fa il tribunale di Kiev ha emesso sentenza per la distruzione della chiesa della Natività di Maria per fare spazio nella piazza ad altre forme di cultura: una sala concerti.

 

Spostandoci ancora più a ovest, a Leopoli le ruspe hanno distrutto la chiesa intitolata al beato principe Vladimir, anch’essa appartenente alla Chiesa canonica.

 

Sulle testate italiane invece leggiamo solamente  cose come, ad esempio, «una serie di missili russi distrugge una chiesa nei dintorni di Zaporizhiya». Ne cerchiamo la fonte ed è «un corrispondente occasionale di Ukrinform».

 

La tendenza a distruggere ciò che appartiene alla tradizione Ucraina e che la lega intimamente e spiritualmente alla Russia: se da un lato un odio istituzionale verso la Russia è comprensibile stante l’attuale situazione, non si comprende invece come ciò possa riguardare gli aspetti storici e spirituali. Siamo cioè di fronte ad un momento distruttivo di ciò che profondamente costituisce l’Ucraina, cioè la sua tradizione e dunque la sua identità, per trasformarla, o meglio farla assomigliare a qualcosa d’altro.

 

Vista la prossimità temporale con il 25 Aprile è impossibile non fare un parallelo: la follia omicida dei buoni è giunta a terminare prematuramente molti sacerdoti e seminaristi cattolici verso la fine della seconda guerra mondiale e, addirittura, a pace già fatta.

 

La stessa cosa sta succedendo oggi in Ucraina: chi non si piega, chi non svende la propria fede per la tranquillità garantita al momento dal regime rischia tutto anche in zone non direttamente interessate dalla guerra

 

 

Marco Nicoloso

 

 

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

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«Li prenderemo la prossima volta» Israele non esclude un altro attacco al Qatar

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Israele è determinato a uccidere i leader di Hamas ovunque risiedano e continuerà i suoi sforzi finché non saranno tutti morti, ha dichiarato martedì a Fox News l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Yechiel Leiter.

 

In precedenza, attacchi aerei israeliani hanno colpito un edificio residenziale a Doha, in Qatar, prendendo di mira alti esponenti dell’ala politica di Hamas. Il gruppo ha affermato che i suoi funzionari sono sopravvissuti, mentre l’attacco è stato criticato dalla Casa Bianca e condannato dal Qatar.

 

«Se non li abbiamo presi questa volta, li prenderemo la prossima volta», ha detto il Leiter.

 

L’ambasciatore ha descritto Hamas come «nemico della civiltà occidentale» e ha sostenuto che le azioni di Israele stavano rimodellando il Medio Oriente in modi che gli Stati «moderati» comprendevano e apprezzavano. «In questo momento, potremmo essere oggetto di qualche critica. Se ne faranno una ragione», ha detto riferendosi ai Paesi arabi.

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che, sebbene smantellare Hamas sia un obiettivo legittimo, colpire un alleato degli Stati Uniti mina gli interessi sia americani che israeliani.

 

Leiter ha osservato che Israele «non ha mai avuto un amico migliore alla Casa Bianca» e che Washington e lo Stato Ebraico sono rimaste unite nel perseguire la distruzione del gruppo militante.

 

Il Qatar, che ospita funzionari di Hamas nell’ambito del suo ruolo di mediatore, ha dichiarato che tra le sei persone uccise nell’attacco israeliano c’era anche un agente di sicurezza del Qatar.

 

L’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani, ha denunciato l’attacco come un «crimine atroce» e un «atto di aggressione», mentre il ministero degli Esteri di Doha ha accusato Israele di «terrorismo di Stato».

 

Israele ha promesso di dare la caccia ai leader di Hamas, ritenuti responsabili del mortale attacco dell’ottobre 2023, lanciato da Gaza verso il sud di Israele. L’ambasciatore ha giurato che i responsabili «non sopravviveranno», ovunque si trovino.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Attacco israeliano in Qatar. La condanna di Trump

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Israele ha condotto un «attacco di precisione» contro «i vertici di Hamas», hanno annunciato martedì le Forze di difesa israeliane (IDF), poco dopo che numerose esplosioni hanno scosso il quartier generale del gruppo militante palestinese a Doha, in Qatar.   Da parte delle forze dello Stato Ebraico, si tratta di una violazione territoriale inedita, perché – a differenza di casi analoghi in Libano e Iran – condotta in uno Stato «alleato» di Washington e dell’Occidente, cui fornisce capitale e gas. L’attacco pare essere stato diretto ai negoziatori di Hamas, i quali avevano ricevuto dal presidente americano Trump un invito al tavolo della pace poco prima.   L’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto l’operazione in coordinamento con l’agenzia di sicurezza Shin Bet (ISA). Le IDF non hanno indicato il luogo esatto preso di mira dall’attacco.   «L’IDF e l’ISA hanno condotto un attacco mirato contro i vertici dell’organizzazione terroristica Hamas», ha dichiarato l’IDF in una nota. «Prima dell’attacco, sono state adottate misure per mitigare i danni ai civili, tra cui l’uso di munizioni di precisione e di intelligence aggiuntiva».   L’annuncio è arrivato dopo che almeno dieci esplosioni avrebbero scosso il quartier generale di Hamas a Doha. I filmati che circolano online mostrano che l’edificio è stato gravemente danneggiato. Secondo diversi resoconti dei media che citano fonti di Hamas, l’attacco ha preso di mira il team negoziale del gruppo, che stava discutendo l’ultima proposta statunitense sulla cessazione delle ostilità con Israele.   Il Qatar ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas».    

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  L’attacco israeliano a Doha è stato un «momento cruciale» per l’intera regione, ha affermato il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, condannando l’attacco come «terrorismo di Stato».   L’attacco a sorpresa non sarà «ignorato» e il Qatar «si riserva il diritto di rispondere a questo attacco palese», ha dichiarato il primo ministro in una conferenza stampa. «Oggi abbiamo raggiunto un punto di svolta affinché l’intera regione dia una risposta a una condotta così barbara».  

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Al-Thani ha attaccato duramente il suo omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, accusandolo di compromettere la stabilità regionale in nome di «deliri narcisistici» e interessi personali. Il Qatar continuerà il suo impegno di mediazione per risolvere le persistenti ostilità con Hamas, ha affermato.   Il primo ministro quatarino ha ammesso che lo spazio per la diplomazia è ormai diventato molto ristretto e che l’attacco ha probabilmente fatto deragliare il ciclo di negoziati dedicato all’ultima proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.   «Per quanto riguarda i colloqui in corso, non credo che ci sia nulla di valido dopo aver assistito a un attacco del genere», ha affermato.   L’attacco israeliano è avvenuto due giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti aveva lanciato un altro «ultimo avvertimento» ad Hamas, sostenendo che Israele aveva già accettato termini non specificati di un accordo da lui proposto e chiedendo al gruppo di rilasciare gli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza. Poco dopo, anche il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dato al gruppo un “ultimo avvertimento”, minacciando Hamas di annientamento e intimando ai militanti di deporre le armi. In seguito alle minacce, Hamas aveva dichiarato di essere pronta a «sedersi immediatamente al tavolo delle trattative» dopo aver ascoltato quelle che ha descritto come «alcune idee da parte americana volte a raggiungere un accordo di cessate il fuoco».   Tuttavia nelle ultime ore è emersa la condanna del presidente statunitense contro l’attacco israeliano. In una dichiarazione pubblicata martedì su Truth Social, Trump ha criticato l’attacco aereo di Israele contro un complesso di Hamas a Doha, sottolineando che la decisione di portare a termine l’operazione all’interno del Qatar è stata presa unilateralmente dal primo ministro Benjamin Netanyahu e non da Washington.   Nel suo post Trump ha affermato che il bombardamento israeliano all’interno di «una nazione sovrana e stretto alleato degli Stati Uniti» non ha «favorito gli obiettivi di Israele o dell’America».   «Considero il Qatar un forte alleato e amico degli Stati Uniti e mi dispiace molto per il luogo dell’attacco», ha scritto, sottolineando che l’attacco è stato «una decisione presa dal primo ministro Netanyahu, non una decisione presa da me».   Trump ha affermato che, non appena informato dell’operazione, ha incaricato l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff di avvertire i funzionari del Qatar, ma ha osservato che l’allerta è arrivata «troppo tardi per fermare l’attacco». Il presidente ha affermato che eliminare Hamas era un «obiettivo degno», ma ha espresso la speranza che «questo sfortunato incidente possa servire come un’opportunità per la PACE».   Da allora Trump ha parlato con Netanyahu, che gli ha detto di voler fare la pace, e con i leader del Qatar, che ha ringraziato per il loro sostegno e ha assicurato che «una cosa del genere non accadrà più sul loro territorio».   La Casa Bianca ha definito l’attacco un incidente «sfortunato». Trump ha dichiarato di aver incaricato il Segretario di Stato Marco Rubio di finalizzare un accordo di cooperazione per la difesa con il Qatar, designato come «importante alleato non NATO».  

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  Nell’operazione circa 15 aerei da guerra israeliani hanno sparato almeno dieci munizioni durante l’operazione di martedì, uccidendo diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya. Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti all’attacco, descritto come un tentativo di assassinare i negoziatori impegnati a raggiungere un possibile accordo. L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha insistito sul fatto che l’attacco ad Hamas in Qatar è stato un’azione unilaterale e che nessun altro paese è stato coinvolto nell’operazione.   «L’azione odierna contro i principali capi terroristi di Hamas è stata un’operazione israeliana del tutto indipendente. Israele l’ha avviata, Israele l’ha condotta e Israele si assume la piena responsabilità», si legge in una nota.   Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato l’attacco israeliano definendolo una «flagrante violazione della sovranità e dell’integrità territoriale del Qatar». «Tutte le parti devono impegnarsi per raggiungere un cessate il fuoco permanente, non per distruggerlo», ha detto ai giornalisti.  

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Geopolitica

Lavrov: la Russia non ha voglia di vendetta

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La Russia non ha intenzione di vendicarsi dei paesi occidentali che hanno interrotto i rapporti e fatto pressioni su Mosca a causa del conflitto in Ucraina, ha affermato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.

 

Intervenendo lunedì all’Istituto statale di relazioni internazionali di Mosca, Lavrov ha sottolineato che la Russia non intende «vendicarsi o sfogare la propria rabbia» sulle aziende che hanno deciso di sostenere i governi occidentali nel loro tentativo di sostenere Kiev e imporre sanzioni economiche a Mosca, aggiungendo che l’ostilità è generalmente «una cattiva consigliera».

 

«Quando i nostri ex partner occidentali torneranno in sé… non li respingeremo. Ma… terremo conto che, essendo fuggiti su ordine dei loro leader politici, si sono dimostrati inaffidabili», ha affermato il ministro.

 

Secondo Lavrov, qualsiasi futuro accesso al mercato dipenderà anche dalla possibilità che le aziende rappresentino un rischio per i settori vitali per l’economia e la sicurezza della Russia.

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Il ministro ha sottolineato che la Russia è aperta alla cooperazione e non ha alcuna intenzione di isolarsi. «Viviamo su un piccolo pianeta. Costruire i muri di Berlino è stato in stile occidentale… Non vogliamo costruire alcun muro», ha affermato, riferendosi al simbolo della Guerra Fredda che ha diviso la capitale tedesca dal 1961 al 1989.

 

«Vogliamo lavorare onestamente e se i nostri partner sono pronti a fare lo stesso sulla base dell’uguaglianza e del rispetto reciproco, siamo aperti al dialogo con tutti», ha affermato, indicando il vertice in Alaska tra il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo statunitense, Donald Trump, come esempio di impegno costruttivo.

 

Il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha dichiarato sabato che le aziende occidentali sarebbero state benvenute se non avessero sostenuto l’esercito ucraino e avessero rispettato gli obblighi nei confronti dello Stato e del personale russo, tra cui il pagamento degli stipendi dovuti.

 

Questo mese Putin ha anche respinto l’isolazionismo, sottolineando che la Russia vorrebbe evitare di chiudersi in un «guscio nazionale», poiché ciò danneggerebbe la competitività. «Non abbiamo mai respinto o espulso nessuno. Chi vuole rientrare è il benvenuto», ha aggiunto.

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