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Sanità

Il Fallimento dei vaccini, parte I – il morbillo

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Questo è il primo di una serie di articoli che esamineranno il grave problema del fallimento dei vaccini, un problema che, scandalosamente, rimane non riconosciuto dai funzionari della sanità pubblica e dai politici che promuovono obblighi di vaccini draconiani.

A Renovatio 21 preme ricordare che, a causa della recente crisi pandemica, la battaglia per non vaccinare i nostri figli e noi stessi è alle porte e sarà molto, molto più dura di come si annunziava qualche mese fa.

 

Lo sforzo coordinato e intensificato per eliminare le esenzioni dei vaccini e imporre nuovi obblighi di vaccini è stata, senza dubbio, una delle storie più importanti del 2019, sia a livello nazionale che internazionale. Una delle armi primarie nell’arsenale è stata l’ isteria del morbillo, raccolta e pompata dai media di parte, disposti a usare falsi punti di discussione per demonizzare i non vaccinati, ignorando o sorvolando sui precedenti fallimenti della vaccinazione contro il morbillo. Nel prepararci ad una intensa campagna pubblicitaria per il morbillo nel 2020, la Children’s Health Defense ritiene che sia importante continuare a richiamare l’attenzione sui fatti reali dei fallimenti della vaccinazione di massa contro il morbillo.    

Gli studi dimostrano che i livelli di anticorpi contro il morbillo diminuiscono progressivamente con l’aumentare del tempo dalla vaccinazione. Inoltre, i richiami aggiuntivi non risolvono il problema

 

 

Fallimento n. 1: i fallimenti del vaccino contro il morbillo primario e secondario sono comuni. 

 

È tutt’altro che raro che i vaccini, compresi quelli contro morbillo-parotiterosolia (MMR) e MMR-plus-Varicella (MMRV) usati negli Stati Uniti, non riescano a mantenere le promesse dichiarate.

 

A partire dal 2019, infatti, i principali esperti del vaccino hanno ammesso che «la capacità dell’attuale vaccino contro il morbillo di sostenere l’immunità protettiva a lungo termine e  un’adeguata immunità di gregge, in ambienti senza esposizione a virus di tipo selvaggio» è « ancora oggetto di dibattito»

 

Come prima considerazione, tra il 2% e il 12% dei bambini che ricevono il loro primo vaccino contro il morbillo presentano un «fallimento primario del vaccino», definito come non reattività al vaccino.

 

Per ragioni in gran parte sconosciute, questo sottogruppo di bambini (e anche di adulti) non sviluppano la risposta anticorpale attesa dopo un vaccino iniziale o un richiamo, rispetto a quelli con immunità derivata dall’esposizione al virus del morbillo di tipo selvaggio».      

 

È tutt’altro che raro che i vaccini, compresi quelli contro morbillo-parotiterosolia (MMR) e MMR-plus-Varicella (MMRV) usati negli Stati Uniti, non riescano a mantenere le promesse dichiarate.

L’insufficienza secondaria del vaccino ( immunità calante ) è anche una caratteristica tipica dei vaccini contro il morbillo (e anche altri), con l’efficacia del vaccino riconosciuta come «inferiore e non permanente rispetto all’immunità da virus selvaggio». Gli studi dimostrano che il livello degli anticorpi  diminuisce progressivamente con l’aumentare del tempo dalla vaccinazione.

 

Inoltre, i richiami aggiuntivi non risolvono il problema. In uno studio del CDC su persone di18-28 anni alle quali è stata somministrata una terza dose di richiamo MMR, la protezione si è esaurita in meno di un anno, un fatto che ha costretto gli autori dello studio a discutere una terza dose di routine.    

 

Il fallimento dei vaccini a quanto pare ha ricevuto una certa attenzione negli anni 1970 e 1980, ma dal 1990 l’argomento è stato abbandonato dalla maggior parte dei ricercatori e rimane tristemente insufficientemente investigato .

 

Alcuni esperti del vaccino – stupiti dal «numero sorprendentemente elevato di fallimenti dei vaccini tra i riceventi di una e due dosi di vaccino contro il morbillo» – chiedono un monitoraggio a lungo termine dell’immunità indotta dal vaccino dopo la prima e la seconda dose, come anche dati più dettagliati sull’efficacia del vaccino, l’immunogenicità e l’epidemiologia del morbillo.  

I bambini nati da madri vaccinate avevano un «tasso di attacco contro il morbillo» quasi triplo di quello dei bambini nati da madri non vaccinate, il 33% contro il 12%

 

Fallimento n. 2: le madri vaccinate contro il morbillo non stanno trasmettendo un’adeguata immunità ai loro neonati, che rappresentano la fascia di età più vulnerabile al morbillo. 

 

Gli studi hanno confermato che gli anticorpi materni prodotti dalla vaccinazione contro il morbillo (al contrario dell’immunità permanente fornita dall’infezione naturale del morbillo) non sono in grado di fornire ai bambini un’adeguata protezione materna nel primo anno di vita. Di conseguenza, una percentuale significativa di coloro che prendono il morbillo riguarda i neonati.

 

Già nel 1999, gli esperti del vaccino sapevano già che la vaccinazione stava aumentando la vulnerabilità al morbillo dei neonati negli Stati Uniti. Uno studio pubblicato quell’anno in Pediatria , intitolato «Maggiore suscettibilità al morbillo nei neonati negli Stati Uniti», riferiva che i bambini nati da madri vaccinate avevano un «tasso di attacco contro il morbillo» quasi triplo di quello dei bambini nati da madri non vaccinate – 33% contro 12%.      

Gli studi hanno confermato che gli anticorpi materni prodotti dalla vaccinazione contro il morbillo (al contrario dell’immunità permanente fornita dall’infezione naturale del morbillo) non sono in grado di fornire ai bambini un’adeguata protezione materna nel primo anno di vita. Di conseguenza, una percentuale significativa di coloro che prendono il morbillo riguarda i neonati

 

Nei primi quattro mesi del 2019, quando circa il 70% dei casi di morbillo negli Stati Uniti per l’anno era già stato segnalato, un quarto dei casi riguardava neonati di età inferiore ai 15 mesi. Un’analisi dei casi di morbillo negli Stati Uniti dal 2001 al 2008 ha anche scoperto che il 24% era di età inferiore ai 15 mesi, e uno studio del CDC sui casi di morbillo dal 2001 al 2015 ha rilevato che l’ incidenza per milione di popolazione «era più alta nei neonati dai 6 ai 11 mesi … e bambini di età compresa tra 12 e 15 mesi».

 

Come ha spesso notato CHD, i neonati sono a maggior rischio di complicanze e morte legate al morbillo rispetto ai bambini delle scuole elementari di età superiore ai cinque anni (la fascia d’età che ha avuto principalmente e senza incidenti il morbillo nell’era pre-vaccino) 

 

 

Fallimento n. 3: le persone vaccinate prendono il morbillo probabilmente più spesso di quanto dichiarato dai conteggi ufficiali. 

 

L’insufficienza del vaccino e l’immunità calante aprono la porta al morbillo nei soggetti vaccinati, in particolare negli adulti vaccinati, un altro gruppo a maggior rischio di complicanze del morbillo.

 

  • I dati del CDC disponibili per una parte del 2019 indicano che almeno il 13% dei casi di morbillo negli Stati Uniti con stato di vaccinazione noto (76/579) avevano precedentemente ricevuto una o più dosi di vaccino contro il morbillo; lo stato di vaccinazione era sconosciuto per un ulteriore 18% dei casi (125/704). Gli adulti di età pari o superiore a 20 anni rappresentavano il 23% dei casi totali (165/704). Il CDC non ha riportato lo stato di vaccinazione per fascia d’età.     

             

  • Quando il CDC ha analizzato quindici anni di casi di morbillo (20012015), ha riportato le stesse percentuali ; i vaccinati rappresentavano circa  il 13% dei casi di morbillo e il 65% dei casi vaccinati riguardava adulti di almeno 18 anni . Nel 18% dei casi per i quali non era noto lo stato della vaccinazione, l’87% era rappresentato da adulti.

            

  • Uno studio sui casi di morbillo in California, anche dal 2000 al 2015, ha riferito che il 20% delle persone con morbillo confermato e stato di vaccinazione verificato aveva ricevuto una o più dosi di vaccino contro il morbillo.   

            

 

 

L’insufficienza del vaccino e l’immunità calante aprono la porta al morbillo nei soggetti vaccinati, in particolare negli adulti vaccinati, un altro gruppo a maggior rischio di complicanze del morbillo

I dati ufficiali sul morbillo stanno quasi sicuramente sottovalutando l’estensione del morbillo nei vaccinati. Questo perché la vaccinazione contro il morbillo a volte «modula» la presentazione clinica del morbillo, generando un quadro diverso dei sintomi.

 

Lo studio della California sui casi di morbillo 2000-2015 ha rilevato che le persone che avevano ricevuto due o più dosi di vaccino contro il morbillo erano spesso «meno malate» rispetto alle loro controparti a dose singola o non vaccinate; è importante, tuttavia,  che erano ancora in grado di trasmettere il morbillo e «richiedevano la stessa quantità di sforzo di salute pubblica per rintracciare i contatti».  Nel 2009, due medici statunitensi che erano stati completamente vaccinati con dosi di MMR, presero il morbillo ma «continuarono a vedere pazienti, perché nessuno dei due riteneva di poter avere il morbillo .

 

«Uno studio del 1990 sul morbillo, sieroconfermato e  modificato dal vaccino , ha scoperto che circa il 16% dei pazienti vaccinati non soddisfaceva la definizione clinica del CDC di morbillo o non aveva immunoglobuline specifiche del morbillo M (IgM) rilevabili».

 

«Una risposta IgM debole o assente rende più difficile diagnosticare e confermare il morbillo in laboratorio. I ricercatori hanno concluso che questi fattori possono portare alla «sottostima dei casi di morbillo e…  alla sopravvalutazione dell’efficacia del vaccino in popolazioni altamente vaccinate».

Nel 2015, il sequenziamento di 194 casi di morbillo negli Stati Uniti ha mostrato che quasi due casi su cinque (38%) erano il risultato del ceppo vaccinale piuttosto che del virus del morbillo di tipo selvaggio

 

 

Fallimento n. 4: le persone vaccinate prendono il morbillo dal vaccino e trasmettono il ceppo vaccinale ad altri. 

 

Una recente ricerca del CDC indica che i casi di morbillo in soggetti che presentano un fallimento primario del vaccino «potrebbero essere trasmissibili come i casi di morbillo in soggetti non vaccinati».

 

Inoltre, le moderne tecniche di genotipizzazione stanno dimostrando che è il ceppo vaccinale del morbillo che sta causando il morbillo in una proporzione considerevole di casi, sia negli individui vaccinati che nelle persone con cui i vaccinati vengono in contatto.

 

Il CDC sapeva del potenziale spargimento virale dei vaccinati contro il morbillo almeno dagli anni ’90, quando il morbillo da ceppo vaccinale ha danneggiato e ucciso uno studente universitario di 21 anni.

 

Nel 2015, il sequenziamento di 194 casi di morbillo negli Stati Uniti ha mostrato che quasi due casi su cinque ( 38% ) erano il risultato del ceppo vaccinale piuttosto che del virus del morbillo di tipo selvaggio.       

 

Una recente ricerca del CDC indica che i casi di morbillo in soggetti che presentano un fallimento primario del vaccino «potrebbero essere trasmissibili come i casi di morbillo in soggetti non vaccinati»

In uno studio del 2016 pubblicato sul Journal of Clinical Microbiology ,il  CDC e altri ricercatori hanno chiarito l’importanza, durante le indagini sulle epidemie, di differenziare il morbillo di tipo selvaggio dal morbillo da ceppo vaccinale (che hanno chiamato «reazioni al vaccino contro il morbillo»).

 

Nel 2019, tuttavia, il CDC ha sequenziato solo un terzo dei casi di morbillo. Questa mancanza di informazioni complete sui ceppi del morbillo in tutti i casi non solo contribuisce alla  sottovalutazione della malattia del morbillo tra i vaccinati, ma può portare a «inutili interventi di sanità pubblica».

 

I funzionari di New York che l’anno scorso hanno vietato ai bambini non vaccinati gli spazi pubblici e hanno imposto l’obbligo del vaccino contro il morbillo a interee aree postali sono rimasti in silenzio sul tema del morbillo da ceppo da vaccino.          

 

Anche se gli esperti dei vaccini detestano ammettere che gli individui vaccinati possono essere  vettori della trasmissione del morbillo ad altri, studi vari dimostrano che questo è il caso.

 

Inoltre, recenti ricerche del CDC riportate in JAMA Pediatrics indicano che i casi primari di morbillo in soggetti vaccinati hanno la stessa probabilità di infettare altri soggetti vaccinati , in quanto diffondono il morbillo a soggetti non vaccinati.

 

Nel 2011, i funzionari della sanità pubblica di New York City hanno riportato cinque casi di morbillo, ognuno dei quali «aveva prove preliminari di immunità al morbillo», sia da due dosi di vaccino contro il morbillo sia da un titolo  positivo per anticorpi del morbillo.

 

Ciò che i ricercatori hanno trovato particolarmente degno di nota è stato il fatto che quel paziente  «ha dimostrato di essere in grado di trasmettere la malattia ad altri individui» nonostante avesse ricevuto due dosi di MMR e nonostante un’immunità simile negli altri quattro casi.

    

Alla fine del 2019, i ricercatori giapponesi hanno riportato la trasmissione del morbillo da un individuo vaccinato due volte a tre persone non vaccinate; la catena di trasmissione continuò poi verso altre sei persone, tutte completamente vaccinate

Alla fine del 2019, i ricercatori giapponesi hanno riportato la trasmissione del morbillo da un individuo vaccinato due volte a tre persone non vaccinate; la catena di trasmissione continuò poi verso altre sei persone, tutte completamente vaccinate. 

 

 (Il Giappone ha vietato il vaccino MMR nel 1993 e utilizza invece un vaccino combinato morbillo-rosolia.) Senza specificare come raggiungere tale obiettivo, i ricercatori hanno concluso che «Per prevenire la trasmissione e l’epidemia del morbillo, in particolare nei paesi in cui il morbillo è stato quasi eliminato, i pazienti con [ fallimento del vaccino secondario] per il morbillo dovrebbero essere attentamente monitorati».

 

I ricercatori del CDC, scrivendo anche a fine del 2019, concordano sul fatto di «garantire un monitoraggio continuo del morbillo tra le persone vaccinate».        

 

 

Fallimento n. 5: i fallimenti della vaccinazione non si limitano ai vaccini contro morbillo: il fallimento è inerente a tutti i vaccini.  

Gli scienziati sanno da anni del fallimento dei vaccini. Nel 2006, i ricercatori canadesi hanno ammesso che «l’immunità offerta dai vaccini [imperfetti] non è completa e potrebbe svanire con il tempo, portando alla rinascita e alle epidemie nonostante alti livelli di vaccinazione primaria»

 

Gli scienziati sanno da anni del fallimento dei vaccini. Nel 2006, i ricercatori canadesi hanno ammesso che «l’immunità offerta dai vaccini [imperfetti] non è completa e potrebbe svanire con il tempo, portando alla rinascita e alle epidemie nonostante alti livelli di vaccinazione primaria».

 

Riassumendo l’enigma che affronta i programmi di vaccinazione, i ricercatori canadesi hanno notato che, da un lato, «se il vaccino fornisce solo un’immunità temporanea, in genere l’infezione non può essere eliminata da una singola vaccinazione», ma dall’altro lato, «avere un programma di richiamo non garantisce necessariamente il controllo di una malattia».     

 

Le agenzie e i funzionari della sanità pubblica continuano a eludere queste informazioni decisamente consequenziali, preferendo invece accusare i cittadini per il morbillo e propagandare vaccini effettivamente inefficaci per giustificare una maggiore revoca delle esenzioni.

 

Tuttavia, un programma di vaccinazione che aumenta i rischi gravi nei soggetti più vulnerabili, produce focolai e trasmette ceppi di malattie vaccinali a vaccinati e non vaccinati allo stesso modo, non può essere considerato un successo. 

  

 

Team di Children’s Health Defense

 

 

© 7 gennaio 2020, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD

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Gender

Studio della Sanità USA conferma i pericoli dei farmaci transgender e degli interventi chirurgici sui minori

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Il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) ha reso pubblico mercoledì un atteso rapporto sottoposto a revisione paritaria, che mette in guardia contro i rischi dell’«assistenza di affermazione di genere» per i minori, scatenando l’ira delle associazioni pro-LGBTQ+.

 

Lo studio, intitolato «Trattamento della disforia di genere pediatrica: revisione delle prove e delle migliori pratiche», si basa su un’analisi preliminare diffusa a maggio sui giovani con confusione di genere. Conferma che bloccanti della pubertà, ormoni di sesso opposto e interventi chirurgici provocano «danni significativi e a lungo termine, spesso trascurati o monitorati in modo inadeguato». Tra i rischi elencati: infertilità, disfunzioni sessuali, ridotta densità ossea, effetti cognitivi negativi, problemi cardiovascolari e metabolici, disturbi psichiatrici, complicanze operatorie e rimpianti post-trattamento.

 

Il segretario HHS Robert F. Kennedy Jr. ha appoggiato le conclusioni, accusando l’establishment medico di «negligenza». «L’American Medical Association e l’American Academy of Pediatrics hanno diffuso la menzogna che procedure chimiche e chirurgiche di rifiuto del sesso potessero giovare ai bambini», ha dichiarato in una nota. «Hanno tradito il giuramento di non nuocere, infliggendo danni fisici e psicologici duraturi a giovani vulnerabili. Questa non è medicina, è negligenza».

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Il rapporto giunge dopo l’ordine esecutivo firmato a gennaio dal presidente Donald Trump, che limita gli interventi di «cambio di sesso» per under 19, definendoli «mutilazioni chimiche e chirurgiche» mascherate da cure mediche necessarie.

 

Sempre più ospedali e medici stanno riducendo questi trattamenti: tra gli esempi, l’Università del Michigan, Yale Medicine, Kaiser Permanente, il Children’s Hospital di Los Angeles, UChicago Medicine e il Children’s National Hospital di Washington stanno eliminando o limitando bloccanti della pubertà e farmaci analoghi per i minori.

 

Negli USA circa 2,8 milioni di persone dai 13 anni in su si identificano come transgender, con la Gen Z che raggiunge il 7,6% tra chi si dichiara LGBTQ+.

 

Oltre al rapporto HHS, un’ampia letteratura scientifica indica che «affermare» la disforia di genere espone a pericoli gravi: oltre l’80% dei bambini la supera spontaneamente entro la tarda adolescenza, e anche una «riassegnazione» completa non riduce i tassi elevati di autolesionismo e suicidio tra chi soffre di confusione di genere.

 

Inchieste come quella del 2022 sulla Vanderbilt University Medical Center hanno documentato medici che promuovevano questi interventi pur consapevoli dei rischi, ammettendo in email e video che «fanno un sacco di soldi».

 

L’HHS ha precisato di aver invitato l’American Academy of Pediatrics e l’Endocrine Society a contribuire al rapporto, ma entrambe hanno declinato.

 

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

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Salute

Malore di un CEO di Big Pharma mentre Trump annuncia tagli ai prezzi dei farmaci

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Giovedì un rappresentante del settore farmaceutico è svenuto nello Studio Ovale mentre i membri dell’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump annunciavano un nuovo accordo sui farmaci per la perdita di peso.   L’uomo si trovava in piedi dietro Trump durante l’evento quando le sue ginocchia sembrarono cedere di colpo. Secondo i media, era stato inizialmente identificato come Gordon Finlay, dirigente di Novo Nordisk.   L’azienda danese, produttrice di Ozempic, Rybelsus e Wegovy, ha però smentito in seguito che si trattasse di Finlay.  

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Stando alla giornalista di Fox News Jacqui Heinrich, testimone oculare dell’episodio, il dottor Mehmet Oz, amministratore dei Centers for Medicare and Medicaid Services, ha soccorso il dirigente mentre collassava, impedendogli di urtare la testa nella caduta. I membri del gabinetto si sono occupati dell’uomo, sollevandogli le gambe, dopo che i giornalisti sono stati accompagnati fuori dallo Studio Ovale.   La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha successivamente dichiarato: «Il signore sta bene».   In precedenza, nello Studio Ovale, Trump aveva annunciato che i prezzi dei farmaci per la perdita di peso come Ozempic sarebbero stati «molto più bassi». Alla conferenza stampa partecipavano dirigenti di Novo Nordisk e di un’altra casa farmaceutica, Eli Lilly, che hanno collaborato con l’amministrazione a un accordo per rendere più accessibili i farmaci per la perdita di peso noti come GLP-1.   Le case farmaceutiche amplieranno l’accesso a diffusissimi rimedi contro l’obesità, come Ozempic, Wegovy e Zepbound, tramite TrumpRx, un nuovo portale web governativo che sarà lanciato il prossimo anno. Una volta ottenuta l’approvazione dalla FDA, le versioni orali potrebbero partire da 149 dollari al mese.   I farmaci iniettabili a base di GLP-1 costeranno 245 dollari al mese per i pazienti afferenti ai programmi sanitari Medicare e Medicaid che li utilizzano per patologie approvate come il diabete.   Come riportato da Renovatio 21, sono stati segnalati vari problemi attorno all’uso dell’Ozempic, dalla cecità come effetto collaterale all’aumento dei pensieri suicidi.   Notiamo l’espressione del segretario alla salute Roberto F. Kennedy junior nella Casa Bianca, che pare impassibile (perché magari sa di cosa si tratta?) e se la svigna con grande gravitas. Immaginiamo sia andato a chiamare soccorsi, ma non sappiamo.   Calley Means, ex lobbista farmaceutico che con la gemella medico Casey ha rivendicato di essere stato uno degli architetti dell’unione tra Trump e Kennedy, si è espresso varie volte contro l’uso dell’Ozempic.

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Sanità

Un nuovo sindacato per le prossime pandemie. Intervista al segretario di Di.Co.Si

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Tra le tante cose portateci dalla pandemia, ce ne è una di abbastanza clamorosa: la creazione di un nuovo sindacato, che ha già un migliaio di iscritti ed è in crescita costante. Legato al gruppo ContiamoCi! – che ha ottenuto successi non indifferenti in certe elezioni comunali, lasciando sbalorditi i professionisti dei partiti tradizionali – il sindacato Di.Co.Si terrà questo sabato18 ottobre una grande manifestazione a Roma in piazza Santi Apostoli alle ore 15.

 

Renovatio 21 intervista il dottor Dario Giacomini, radiologo e presidente del sindacato Di.Co.Si, nonché suo fondatore.

 

Dottor Giacomini, perché un nuovo sindacato?

Perché non ci sono più i sindacati nel vero senso del termine. I sindacati hanno abdicato al ruolo di difesa del mondo del lavoro. Un lavoro che era espressione delle capacità e dell’intelletto umano, e che ora è fagocitato dalla finanza e dall’automazione, con il lavoratore che tende a scomparire. Se ieri il sindacato esisteva per proteggere l’uomo dallo sfruttamento, ora bisogna aiutare l’uomo a lavorare, perché il lavoro è la forma più alta di realizzazione umana. Oggi la tendenza non è quella di tutelare il lavoratore, ma quella di rendere l’uomo uno schiavo.

 

Non si tratta più di sedersi ad un tavolo per discutere di salari e fringe-benefits. Si tratta di una battaglia più grande, la guerra dei mondi tra la tecnocrazia, e i capitali dietro ad essa, e l’essere umano. Per il capitalismo terminale è più semplice avere a che fare con una massa di automi. Ecco perché sindacato serve più oggi che trenta anni fa.

 

Chi è oggi il tuo datore di lavoro? È difficile dirlo. Non c’è più solo l’Agnelli di turno, ci sono megagruppi finanziari senza volto, con cui interagire è arduo. Sul mondo del lavoro si gioca la libertà delle persone. C’è la volontà chiara di avere un popolo di schiavi. Togli il lavoro, togli la dignità delle persone.

 

La Triplice non ha nessuna forza innovatrice, di contrasto alle direttrici economiche globali. Sono degli asserviti, vanno in piazza solo per rabbonirsi i lavoratori. Quando c’era bisogno che intervenissero per difendere il mondo del lavoro non lo hanno mai fatto – come in pandemia, quando questo è diventato assolutamente evidente.

 

C’è bisogno di un nuovo sindacato perché tanti sentono il bisogno di non delegare più. Molti stanno riscoprendo lo spirito di classe: siamo lavoratori e dobbiamo metterci fisicamente contro le ingiustizie, come è successo durante il COVID. Ricordiamo: licenziavano il collega, e non potevamo fare niente. Questo non deve ripetersi.

 

Il sindacato è lotta, lotta per i propri diritti. Di.Co.Si ContiamoCi! è il nome per esteso del sindacato: Diritti Costituzionali Sindacato ContiamoCi!

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Il sindacato è nato da ContiamoCi?

Sì. ContiamoCi! è un’associazione nata a giugno 2021 a seguito dell’obbligo vaccinale per i sanitari, allargandosi poi a tutte le categorie. Il simbolo sono quattro braccia che si sorreggono in uno scudo: tutti sono indispensabili, nessuno viene lasciato indietro. Ognuno ha la propria dignità: che non dipende dal successo, ma dalla vita di ciascuno. Il medico non è migliore dell’operatore sociosanitario, e lo abbiamo visto negli ultimi anni.

 

L’idea era anche quella di difendere la scienza medica. Nel nostro motto è detto che la libertà è scelta, la libertà è ricerca, la libertà è responsabilità. Vogliamo tutelare non una libertà anarchica, ma una libertà del dovere, della responsabilità.

 

ContiamoCi! non è nata esattamente come un’associazione di scopo. Le associazioni di solito hanno obbiettivi più definiti, noi abbiamo solo l’idea di riprenderci lo spazio che ci è stato sottratto in questi anni: nell’economia, nella Salute, nella scuola, nel lavoro, nella difesa dei minori. Abbiamo creato un’architettura programmatica e una base organizzativa per poterlo fare.

 

Crediamo che è solo con la partecipazione attiva, nella sfera pubblica, che possiamo tutelare la vita privata. ContiamoCi! vuole porre la lente sulla polis, sulla res publica, lo spazio che ci è stato portato via. Per farlo bisogna fare una battaglia.

 

Quando è nata l’idea di fare un sindacato?

L’idea è nata tra settembre e ottobre 2021 quando mi sono reso conto che pandemia e vaccini erano un attacco al lavoro. Ho pensato che la pandemia vera che doveva venire era la pandemia del lavoro. Intelligenza Artificiale, Robotica, umanoidi: per la prima volta la produzione avviene senza l’essere umano, ridotto a consumatore, lo avevamo capito subito, lo abbiamo profetizzato, ed eccoci qui.

 

La digitalizzazione può distruggere il mondo del lavoro rendendolo transnazionale. Con la telemedicina, ad esempio, posso assumere medici in qualsiasi parte del mondo, senza nemmeno farli spostare da casa. Nessuna contrattazione di categoria è più possibile. Diventiamo pezzi di carta intercambiabili. La pandemia è servita a questo: ha forzato il passaggio da un mondo analogico ad un mondo digitale, con la sparizione di classi intere di figure professionali. Se mancano i medici in alcuni aree, ti dicono che ci mettono i sensori, la consulenza remota di qualcuno che ti controlla

 

Siamo all’inizio di questa trasformazione, ma per i giovani è più facile, perché si interfacciano già alla realtà con strumenti digitali.

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Chi si iscrive a Di.Co.Si?

Nella gran parte sono sanitari, ma anche nel mondo della scuola. Sicuramente chi ha subito l’ingiustizia di questi anni, come il greenpass. Si avvicinano a noi quanti vedono che non ci siamo piegati alle minacce di quegli anni, e mettiamo davanti, come un vero sindacato, non interessi personali ma collettivi. Il nostro sindacato promette lotta e sofferenza e non avanzamenti di carriera e lauti stipendi. Nel nostro sindacato non c’è un sindacalista di professione: siamo tutti lavoratori che vogliono tutelare se stessi e gli altri lavoratori.

 

Quanti sono ad oggi gli iscritti?

Stiamo arrivando al migliaio, ma tra tante categorie professionali.

 

Che servizi offre?

Servizi assicurativi, di CAF, patronato, formazione professionale, consulenza legale. E il servizio più grande, quello culturale: ridare consapevolezza al lavoratore del suo valore, del suo ruolo indispensabile, per far sì che non vi siano prevaricazioni da parte del datore di lavoro e dello Stato. Si tratta di ridare una coscienza collettiva al lavoratore.

 

Cosa hanno passato i vostri iscritti durante la pandemia?

Hanno subito la più grande pressione psicologica della storia repubblicana: per la prima volta si è visto uno Stato che perseguitava cittadini onesti, violentati psicologicamente. Lo Stato ti mentiva e ti perseguitava. Una situazione drammatica in cui non potevi fidarti neanche del collega, che poteva essere un delatore o uno che voleva ghettizzarti. La situazione era di stress emotivo estremo, ma non solo. Alcuni, sospesi, hanno sofferto anche la fame. Conosco infermieri che hanno venduto la casa, per dire che la propria dignità non è in vendita. Si tratta di un atto rivoluzionario.

 

Ha patito anche lei gli effetti delle leggi pandemiche?

Assolutamente sì. Io, che dirigevo il reparto di tutte le radiologie dell’Ovest vicentino, ho avuto un demansionamento e mesi di sospensione. Ho avuto delle pressioni molto forti per non proseguire nel mio percorso. Ho subìto la situazione di tanti altri, forse con pressioni maggiori, ma non mi sento diverso da tanti altri lavoratori a cui sono state inflitte le stesse cose. Poi, essendo medico, facile pensare che la mia voce dissenziente poteva mettere in crisi la credibilità del sistema agli occhi dei cittadini.

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Quali vantaggi ha un sindacato rispetto ad altri enti nell’ordinamento italiano?

Un sindacato può parlare a nome dei lavoratori ed è un’istituzione che può parlare con le altre, come riconosciuto dalla Costituzione italiana. In un ordinamento che è ancora democratico, un sindacato è la voce del popolo, del popolo produttivo. Il numero degli iscritti fa la differenza: con un milione di persone in piazza, le politiche dello Stato possono essere cambiate. Lo sciopero può essere usato non per far avanzare ideologie politiche, ma per proteggere il lavoro garantito dalla Costituzione, in una nazione che magari smette di dare lavoro.

 

E la politica? Avete rapporto con qualche figura parlamentare?

Sì, sulle nostre posizioni, negli anni abbiamo incontrato spezzoni dell’attuale maggioranza. Ciò ci dà speranza per il futuro, e speriamo che si possa continuare. Noi però non siamo subalterni alla politica. Possiamo condividere solo se è a vantaggio dei lavoratori, cioè di tutti i cittadini italiani. Vogliamo, possiamo stimolare leggi in questo senso.

 

I sindacati tradizionali hanno cercato di cooptarvi?

Qualche sindacato minore, sì. Perché comunque ragionano ancora per bacini di tessere, numeri di iscritti per raggiungere la soglia per sedersi alla contrattazione nazionale. Noi non vogliamo trafficare pacchetti di tessere e stipendi da delegato sindacale. Per cui non abbiamo avuto interlocuzioni positive con chi ci ha contattato. Certo, non abbiamo sentito la Triplice, che non ha bisogno di noi, e che ci è stata ostile. Ancora oggi quando ci sono le elezioni nelle aziende e negli ospedali lo scontro con chi ha avallato le politiche di Draghi è massimo.

 

Possiamo dire che i sindacati hanno smesso di proteggere i lavoratori? È quello che pensano i vostri iscritti?

Sì. È quello che pensano, perché in larga parte provengono da altri sindacati da cui si sono distanziati. Del resto i loro sindacati erano stati i primi a chiedere che i lavoratori fossero espulsi come «pericolosi». È la prima volta nella storia che un sindacato chiedeva che il lavoro non fosse dato o mantenuto, ma tolto.

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I sindacati hanno smesso di fare cultura, di essere un riferimento non solo amministrativo, ma anche morale, creativo?

I vecchi sindacati vogliono diventare un riferimento politico, non interessa a loro di essere un riferimento culturale. Non ricordo, negli ultimi anni, battaglie che non fossero di tipo politico. Penso alle ultime manifestazioni… Il potere dei vecchi sindacati non è solo politico e amministrativo, ma anche produttivo: controllano l’industria di intere regioni italiane. Sicuramente non fanno cultura, no.

 

Qual è l’obiettivo ultimo di Di.Co.Si?

Rimettere al centro l’uomo, tutta la sua creatività, le sue compentenze. Invece, quello che sta avvenendo è la trasformazione da lavoratore a consumatore. Questo non lo accettiamo. Oggi le persone sono viste solo come numeri, rubricati ad utenti e consumatori, e non più cittadini con i propri diritti.

 

Cosa accadrà alla manifestazione di Roma di sabato?

Ci saranno 59 associazioni e comitati, una quarantina circa di relatori a parlare in Piazza Santi Apostoli dalle 15 alle 19. Non sarà una manifestazione come le tante di questi anni, che chiusa la giornata ognuno è a casa e non succede nulla. Qui abbiamo un progetto, per far convergere chi partecipa, e chi vorrà farlo anche da casa, sui punti programmatici.

 

La base è ampia, dalle forze dell’ordine alla Sanità, alla scuola, i pensionati, gli agricoltori, le partite IVA… cercheremo di trovare una bandiera unitaria, al di là delle tribù. Per parlare con le istituzioni, ci vuole un interlocutore unico: vogliamo costruire a partire da qui.

 

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