Geopolitica
Buddisti russi divisi sulla guerra con l’Ucraina
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Alcuni monaci hanno benedetto volontari e mobilitati al fronte; altri condannano l’offensiva putiniana. Il buddismo ha decine di migliaia di seguaci in tutto il Paese. Il credo ammette la difesa della popolazione dalle minacce esterne.
Tra i buddisti di Russia è in corso un delicato dibattito sulla liceità della guerra, che sembra contraddire gli insegnamenti della religione, come si evince dalle contraddittorie dichiarazioni di alcuni alti esponenti delle comunità locali. Se il capo della Sangha (comunità) tradizionale dei buddisti di Buriazia, Damba Ajušeev, ha benedetto i volontari e i mobilitati al fronte con le parole «Buddha è con noi!», il capo dei buddisti della Calmucchia Telo Tulku Rinpoče ha condannato l’operazione militare in una recente intervista.
Lo storico Andrej Terent’ev, caporedattore della casa editrice buddista Nartang, ha pubblicato un articolo sulla Nezavisimaja Gazeta sul tema «se i buddisti possono andare i guerra», ricordando che lo Stato teocratico buddista del Tibet, a suo tempo, aveva in effetti un proprio esercito. «Tutti sanno però che il buddismo è una dottrina sull’amore e sulla pace, in cui la privazione della vita di un altro essere umano è considerata l’azione più negativa».
Oltre ai buriati, ai calmucchi e ai tuvini, abitanti delle tre repubbliche a maggioranza buddista della Federazione Russa, il buddismo oggi ha decine di migliaia di seguaci in tutto il Paese, anche senza legami con le origini etniche. Terent’ev ricorda gli insegnamenti dei «cinque voti» che stanno alla base della religione buddista, iniziando dal principio che «non si può giustificare la guerra come semplice risultato delle azioni passate, cioè del karma». Lo stesso Buddha fece tutto il possibile per evitare guerre e conflitti, cercando di impedire gli spargimenti di sangue.
Il karma è per i buddisti la causa principale di ogni avvenimento, ma «esso non è onnipotente, e basandoci sulla moralità nel prendere decisioni possiamo superare anche le tendenze del karma», ricorda lo specialista, perché «il karma non è un fatalismo, che è estraneo al buddismo». La disciplina etica inizia proprio con il divieto di uccidere, non soltanto evitando azioni criminali, ma anche rifiutando di spingere altri a compiere tali azioni, come del resto s’impone anche per gli altri quattro comandamenti: non rubare, non mentire, non compiere azioni impure, non bere.
Per i monaci le regole sono ancora più severe, e valgono per tutti i rami del buddismo, sia il Theravāda tradizionalista dell’Asia meridionale sia il più diffuso Mahāyāna del Sutra del Loto, la scuola predominante anche tra i buddisti russi. Quest’ultimo aggiunge anche lo sviluppo del «Bodichitta», la compassione con tutte le creature per raggiungere il livello del Buddha stesso, senza dividere le persone in proprie ed estranei, amici e nemici, e senza la quale non si può parlare veramente di fede buddista.
Terent’ev ricorda però che «il buddismo ammette la diversità di vedute, e alcuni dubitano delle affermazioni canoniche del pacifismo», ricordando un articolo del 2014 a firma dell’autorevole monaco USABhikkhu Bodhi sulla necessità per i governi di difendere la popolazione dalle minacce esterne, come durante la Seconda guerra mondiale in seguito alle invasioni hitleriane. In questi casi «la fedeltà al karma non significa rimanere passivi di fronte a una crudele aggressione, e le azioni belliche sono ammissibili».
In Russia sembra anche diffondersi l’opinione che solo i monaci avrebbero l’autorizzazione a combattere, avendo il cuore più puro dei fedeli laici, e quindi vivendo la necessaria difesa del popolo senza alimentare l’odio criminale dell’assassinio. La guerra si deve fare «conservando lo spirito della compassione, senza alimentare l’ostilità verso gli esseri viventi», e comunque, conclude lo storico del buddismo, «bisogna cercare ogni possibile soluzione alternativa alla guerra».
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Immagine da AsiaNews
Geopolitica
La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco
Il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha dovuto cancellare un viaggio previsto in Cina dopo che Pechino si sarebbe rifiutata di organizzare incontri di alto livello con lui, secondo quanto riportato venerdì da diversi organi di stampa.
Il Wadephul sarebbe dovuto partire per Pechino domenica per discutere delle restrizioni cinesi sull’esportazione di terre rare e semiconduttori, oltre che del conflitto in Ucraina.
«Il viaggio non può essere effettuato al momento e sarà posticipato a data da destinarsi», ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Esteri tedesco, citato da Politico. Il Wadephullo avrebbe dovuto incontrare il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ma l’agenda prevedeva troppo pochi incontri di rilievo.
Secondo il tabloide germanico Bild, i due diplomatici terranno presto una conversazione telefonica.
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Questo intoppo diplomatico si inserisce in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. Nell’ultimo anno, Bruxelles e Pechino si sono scontrate sulla presunta sovrapproduzione industriale cinese, mentre la Cina accusa l’UE di protezionismo.
All’inizio di questo mese, Pechino ha rafforzato le restrizioni sull’esportazione di minerali strategici con applicazioni militari, una mossa che potrebbe aggravare le difficoltà del settore automobilistico europeo.
La Germania è stata particolarmente colpita dal deterioramento del clima commerciale.
Come riportato da Renovatio 21, la Volkswagen sospenderà la produzione in alcuni stabilimenti chiave la prossima settimana a causa della carenza di semiconduttori, dovuta al sequestro da parte dei Paesi Bassi del produttore cinese di chip Nexperia, motivato da rischi per la sicurezza tecnologica dell’UE. In risposta, Pechino ha bloccato le esportazioni di chip Nexperia dalla Cina, causando una riduzione delle scorte che potrebbe portare a ulteriori chiusure temporanee di stabilimenti Volkswagen e colpire altre case automobilistiche, secondo il quotidiano.
Venerdì, il ministro dell’economia Katherina Reiche ha annunciato che Berlino presenterà una protesta diplomatica contro Pechino per il blocco delle spedizioni di semiconduttori, sottolineando la forte dipendenza della Germania dai componenti cinesi.
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Immagine di UK Government via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Geopolitica
Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset
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Geopolitica
Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania
Israele «perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti» in caso di annessione della Giudea e della Samaria, nome con cui lo Stato Ebraico chiama la Cisgiordania, ha detto il presidente USA Donald Trump.
Trump ha replicato a un disegno di legge controverso presentato da esponenti dell’opposizione di destra alla Knesset, il parlamento israeliano, che prevede l’annessione del territorio conteso come reazione al terrorismo palestinese.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu, sostenitore degli insediamenti ebraici in quell’area, si oppone al provvedimento, poiché rischierebbe di allontanare gli Stati arabi e musulmani aderenti agli Accordi di Abramo e al cessate il fuoco di Gaza.
Netanyahu ha criticato aspramente il disegno di legge, accusando i promotori di opposizione di una «provocazione» deliberata in concomitanza con la visita del vicepresidente statunitense J.D. Vance. (Lo stesso Vance ha qualificato il disegno di legge come un «insulto» personale)
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«I commenti pubblicati giovedì dalla rivista TIME sono stati espressi da Trump durante un’intervista del 15 ottobre, prima dell’approvazione preliminare alla Knesset di mercoledì – contro il volere del primo ministro – di un disegno di legge che estenderebbe la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti della Cisgiordania» ha scritto il quotidiano israeliano Times of Israel.
Evidenziando l’impazienza dell’amministrazione verso tali iniziative, il vicepresidente di Trump, J.D. Vance, ha dichiarato giovedì, lasciando Israele, che il voto del giorno precedente lo aveva «offeso» ed era stato «molto stupido».
«Non accadrà. Non accadrà», ha affermato Trump a TIME, in riferimento all’annessione. «Non accadrà perché ho dato la mia parola ai Paesi arabi. E non potete farlo ora. Abbiamo avuto un grande sostegno arabo. Non accadrà perché ho dato la mia parola ai paesi arabi. Non accadrà. Israele perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti se ciò accadesse».
Vance ha precisato che gli era stato descritto come una «trovata politica» e «puramente simbolica», ma ha aggiunto: «Si tratta di una trovata politica molto stupida, e personalmente la considero un insulto».
Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno guidato i Paesi arabi e musulmani negli Accordi di Abramo, si oppongono da tempo all’annessione della Cisgiordania, sostenendo che renderebbe vani i futuri negoziati di pace nella regione.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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