Alimentazione
State notando anche voi i campi incolti?
Chiediamo l’aiuto dei lettori, perché potrebbe essere solo una nostra impressione, e di numeri forniti da qualche ente per questo 2022 non abbiamo trovato traccia.
Si chiamano tecnicamente «campi a riposo», normalmente li chiamiamo «campi incolti». Quando li noti non fa un bell’effetto: erbacce, piante inutili che crescono in modo disordinato, indiscriminato, laddove prima invece c’era la regolarità di una coltivazione agricola.
Non più spighe dorate: erbacce verdastri, fiori indefinibili, gramigna.
Ci sta capitando spesso: quelli che eravamo abituati a vedere come campi coltivati, sono ora lasciati incolti. Possiamo dire che in tutti i casi non era mai successo nella vita. In questo 2022, sì.
Si tratterebbe di un segno inquietante, molto anche. Siamo abituati a vedere i centri storici dove chiudono negozi e cinema, e non riaprono più: rimane lo spazio vuoto, coltri drammatiche di polvere sulle vetrine dietro la serranda abbassata ad aeternum.
Ora, questo segno di chiusura biologica non lo avevamo ancora visto – e sono tanti anni che annotiamo i dettagli che mostrano sempre meno sommessamente la decadenza di questo Paese.
Chiediamo ai lettori: capita anche a voi? Vedete anche voi i campi incolti?
Se sì, ditecelo, mostratecelo. Scrivetecelo.
Noi non sappiamo che pensare. O meglio, abbiamo paura di pensarlo: siamo il sito che più di ogni altro vi ha parlato del ritorno della fame, che tanti enti oramai ritengono inevitabile.
Vi abbiamo parlato della sempre più bizzarra storia dei fertilizzanti, dell’aumento folle del loro e del fatto che in larga parte hanno ingredienti che vengono da Russia e Bielorussia). L’incremento di prezzo vertiginoso del fertilizzante un qualcosa che precede la guerra in Ucraina e che potrebbe essere un vero disegno di Morte programmato dal nemico: vi abbiamo parlato di «attacco organizzato alle forniture globali» 10 mesi fa.
Se il contadino non può comprare i fertilizzanti, non coltiva il terreno. È questo? È quello che stiamo vedendo anche nel campo vicino casa?
Quale effetto avrà questo non ora, ma tra qualche mese, nei supermercati, sulle nostre tavole, nell’alimentazione dei nostri bambini?
Abbiamo paura anche di questa domanda. Potete, come abbiamo fatto noi e come fanno tanti nostri lettori che seguono i nostri consigli, aver messo via un po’ di cibo, ma nessuno è davvero preparato per una cosa del genere.
Un crollo della quantità di cibo distribuita, cosa provocherebbe nella società?
Come la prenderebbero, per esempio, i milioni di immigrati attualmente da noi mantenuti con ogni benefit per non si sa quale motivo?
Come agirebbe, dinanzi ad una carestia, la criminalità organizzata che regna in alcuni territori del Sud e non solo del Sud?
Come si comporterebbero le forze dell’ordine dinanzi a proteste massive per il cibo?
Domande che abbiamo già fatto, ma che ci intimoriscono sempre di più.
Diteci cosa ne pensate. Anche perché oramai è ora di aver idee chiare sul da farsi.
Perché se vi aspettate che il potere che dovrebbe proteggervi abbia intenzione davvero di farlo, state freschi: c’è, con estrema probabilità, una missione contraria. Non difendervi, ma liberarsi di voi.
Ve lo ripetiamo: il problema dell’ora presente è la Cultura della Morte, è una struttura affondata nello Stato moderno, nella società e nelle sue élite che spinge alla vostra eliminazione.
Vi cancelleranno attraverso la fame? Possibile. La fame mette in piede uno spettacolo sanguinario che fa godere il sadico signore del Male. La carestia mette l’uno contro l’altro. Egoismo, violenza, disperazione. Cioè, la negazione della vita, resa condizione di esistenza quotidiana, resa unità di base del collasso della società.
Fin qui, pochi lo avevano capito. Fin qui, anche chi lo aveva capito, lo ha concesso – non ha fatto nulla per combattere il processo alla radice.
Non siamo sicuri che potrà continuare così.
O combatteremo la Necrocultura, o essa ci ucciderà. E nel frattempo, renderà deformi i nostri figli con la denutrizione, o ucciderà anche loro.
Cosa avete intenzione di fare, quindi?
Roberto Dal Bosco
Alimentazione
Un leader agricolo messicano assassinato in seguito allo sciopero nazionale
Bernardo Bravo Manríquez, presidente della principale associazione di agrumicoltori di Michoacán e membro del Fronte Nazionale per il Salvataggio della Campagna Messicana (FNRCM), il gruppo agricolo più attivo del Messico, è stato assassinato la mattina del 20 ottobre.
Bravo, alla guida degli Agrumicoltori della Valle di Apatzingán, aveva partecipato allo sciopero nazionale degli agricoltori del 14 ottobre, organizzato con successo dal FNRCM per sollecitare il governo a introdurre politiche a sostegno dell’agricoltura nazionale, minacciata da speculatori finanziari internazionali e dai loro cartelli.
Gli agrumicoltori avevano guadagnato l’attenzione nazionale gettando in strada circa due tonnellate di lime di alta qualità durante lo sciopero, permettendo alla gente di raccoglierli, per evidenziare che il prezzo pagato ai produttori per ogni chilo di lime è nettamente inferiore al costo di produzione.
Secondo Aristegui News, l’associazione di Bravo ha spiegato la partecipazione allo sciopero con la richiesta di istituire una banca per lo sviluppo agricolo con crediti agevolati e tassi bassi, per rilanciare le campagne. I coltivatori di lime hanno anche proposto concessioni idriche, protezione della filiera produttiva e prezzi equi.
Gli agricoltori hanno chiarito ai legislatori di non volere sussidi, ma misure per affrontare «le cause strutturali» della crisi che colpisce il settore, chiedendo «un solido quadro giuridico che ci protegga da speculazioni e abusi». L’articolo ha inoltre riportato che Bravo, come leader del settore, aveva denunciato estorsioni da parte di gruppi criminali organizzati e l’assenza di sicurezza per i coltivatori di lime.
A febbraio, Bravo aveva segnalato di aver ricevuto minacce, annunciando la chiusura degli uffici amministrativi della sua azienda. Nella dichiarazione rilasciata il giorno del suo assassinio, il FNRCM ha chiesto al governo di indagare sull’omicidio, ma ha anche criticato «l’indifferenza» del governo alle richieste di dialogo, che crea «condizioni di vulnerabilità per i produttori». La dichiarazione ha evidenziato l’esclusione, da parte del Segretario dell’Agricoltura Julio Berdegué, di due leader del FNRCM, Baltazar Valdez Armentía di Sinaloa e Yako Rodríguez di Chihuahua, da un incontro del 17 ottobre con i leader agricoli, nonostante l’approvazione del Ministero del Governo.
Il FNRCM ha avvertito che il governo dovrebbe collaborare con il movimento per «costruire un’alleanza con lo Stato per salvare le campagne e l’economia nazionale». Ha inoltre denunciato le pressioni del governo statunitense e delle sue entità, che cercano di «aggravare la polarizzazione sociale e l’ingovernabilità per giustificare interventi». In questo contesto, il governo non dovrebbe adottare «gesti divisivi e discriminatori contro i produttori nazionali», ha concluso il FNRCM.
È noto che i cartelli della droga abbiano anche interessi agricoli, soprattutto nel campo dell’avocado, frutto divenuto particolarmente popolare negli USA con le ultime generazioni per le sue proprietà nutritizie.
Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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