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Mons. Viganò: Meditazione per il Tempo d’Avvento

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Renovatio 21 pubblica questa meditazione di Mons. Carlo Maria Viganò, Il testo è stato richiesto e pubblicato per la prima volta da CatholicFamilyNews.

 

 

VENI, UT FACIAS SALUTEM IN TERRIS, IN CŒLO GAUDIUM.

 

«Quaere, inquit, servum tuum, quoniam mandata tua non sum oblitus».

 

Veni ergo, Domine Jesu, quaere servum tuum, quaere lassam ovem tuam; veni, pastor, quaere sicut oves Joseph. Erravit ovis tua, dum tu moraris, dum tu versaris in montibus. Dimitte nonaginta novem oves tuas, et veni unam ovem quaerere quae erravit. Veni sine canibus, veni sine malis operariis, veni sine mercenario, qui per januam introire non noverit. Veni sine adjutore, sine nuntio, jam dudum te expecto venturum; scio enim venturum, quoniam mandata tua non sum oblitus. Veni non cum virga, sed cum caritate spirituque mansuetudinis. (1)

 

 

 

Il sacro tempo dell’Avvento è di antica istituzione e lo troviamo menzionato intorno al secolo V, come momento dell’Anno Liturgico destinato alla preparazione della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo secundum carnem.

 

L’Avvento segna anzi l’inizio dell’Anno Liturgico, permettendoci di cogliere questa opportunità di seguire la voce della Chiesa con santi propositi. 

 

La disciplina della penitenza e del digiuno quaresimale in preparazione alla Pasqua è certamente di origine apostolica, mentre quella in expectatione Domini è successiva e ispirata alla prima, ma meno rigida e passata nel corso dei secoli alla sola astinenza in alcuni giorni della settimana.

 

«È vero che san Pier Damiani, nell’XI secolo, suppone ancora che il digiuno dell’Avvento fosse di quaranta giorni e che san Luigi, due secoli dopo, continuava ad osservarlo in questa misura; ma forse questo santo re lo praticava in tal modo per un trasporto di devozione particolare» (2).

 

La mollezza delle generazioni moderne ha indotto la materna saggezza della Chiesa a mitigare i rigori del passato, senza impedire di praticarli volontariamente; ma forse la situazione presente ci induce a considerare quantomai opportune – proprio perché non imposte – le privazioni che praticavano i nostri antenati obbedendo a un precetto ecclesiastico.

 

La liturgia del tempo d’Avvento si deve in massima parte all’opera di San Gregorio Magno, non solo per i testi dell’Ufficio e della Messa, ma anche per le stesse composizioni in canto piano.

 

L’antico tropo Sanctissimus namque, che introduce l’introito Ad te levavi della Domenica I d’Avvento, ricorda l’ispirazione del Santo Pontefice da parte dello Spirito Santo, apparso in forma di colomba. (3)

 

Nate inizialmente nel numero di sei e poi divenute cinque, le settimane di preparazione al Santo Natale furono ridotte a quattro tra la fine del secolo IX e l’inizio del X, per cui l’uso attuale è almeno di mille anni. La Chiesa Ambrosiana mantiene ancora oggi sei settimane, per un totale di quarantadue giorni, sul modello della Quaresima. 

 

Tra i primi autori di omelie aventi come tema l’Avvento annoveriamo Sant’Ambrogio, Dottore e Padre della Chiesa.

 

È partendo da una preghiera che troviamo nel Commento del Salmo 118 che vorrei compiere questa meditazione. L’incipit della preghiera è Quaere, inquit, servum tuum. Come potete vedere voi stessi, l’intero testo è costellato di citazioni della Sacra Scrittura: non per sfoggio di una cultura biblica che pure il Santo Vescovo di Milano possedeva certamente, ma per quella conoscenza della Parola di Dio che è frutto di un’assiduità intima e quasi vitale per l’anima, come è indispensabile l’aria per respirare.

 

Quest’assiduità porta Sant’Ambrogio a parlare e scrivere egli stesso usando le parole dell’Autore sacro, non perché voglia plagiare la divina Sapienza, ma perché egli le ha fatte talmente sue, da ripeterle a propria volta senza quasi accorgersene. 

 

Quando ci avviciniamo, quasi come profani, agli scritti di questi Santi, possiamo in qualche modo sentirci disorientati e confusi; ma se abbiamo la grazia di unirci alla preghiera liturgica con l’assistenza alla Messa e la recitazione dell’Ufficio divino nella forma tradizionale, scopriamo che è la voce stessa della Chiesa che ci accompagna in questa meditazione delle Scritture, sin dall’Invitatorio dei Mattutini.

 

E questo vale anche per la liturgia dell’Avvento: Regem venturum Dominum, venite adoremus, canta appunto la prima preghiera che si intona nel cuore della notte aspettando il sorgere del vero Sole Invitto. A questo solenne invito all’adorazione del Re divino, segue l’inizio del libro del Profeta Isaia, che suona come un severo rimprovero al Suo popolo: 

 

«Udite, o cieli, ascolta, o terra, così parla il Signore: “Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende”. Guai, gente peccatrice, popolo carico d’iniquità! Razza di scellerati, figli corrotti! Hanno abbandonato il Signore, hanno disprezzato il Santo d’Israele, si sono voltati indietro. Perché volete ancora essere colpiti, accumulando ribellioni? Tutta la testa è malata, tutto il cuore langue. Dalla pianta dei piedi alla testa non c’è nulla di sano, ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state ripulite né fasciate né curate con olio» (Is 1, 2-6).

 

L’oracolo del Profeta mostra l’indignazione del Signore dinanzi all’infedeltà del Suo popolo, ostinato nel ribellarsi alla Sua santa Legge. Ma il senso letterale o storico (4) del passo di Isaia che riguarda gli Ebrei si accompagna al senso morale, ossia relativo a ciò che dobbiamo fare noi.

 

È quindi a noi che la Maestà di Dio si rivolge – «Così parla il Signore» (ibid., 2) – ancora una volta per ammonirci, per mostrarci i nostri tradimenti, per spronarci alla conversione. 

 

Così, mentre chiediamo al Signore di liberarci de ore leonis et de profundo lacu, ci rendiamo conto di quanto poco meritiamo la misericordia di Dio, di quanto indegni siamo della Sua pietà e di quanto meritevoli dei Suoi castighi.

 

Deus, qui culpa offenderis, pœnitentia placaris…

 

Alle prostituzioni – così le chiama la Scrittura – in cui sono caduti gli Ebrei, si affiancano nuove e ben peggiori prostituzioni non di un popolo al quale era stato promesso il Redentore, ma di quello che è nato dal Suo costato, il Corpo mistico del Redentore stesso; o meglio: di coloro che si dicono Cattolici ma che per la loro infedeltà disonorano la Sposa dell’Agnello, come membra tanto della Chiesa discente, quanto di quella docente.

 

Il novello Israele non si è mostrato meno ribelle dell’antico, e il nuovo Sinedrio romano non è meno colpevole di quanti fabbricarono il vitello d’oro offrendolo all’adorazione degli Ebrei

Il novello Israele non si è mostrato meno ribelle dell’antico, e il nuovo Sinedrio romano non è meno colpevole di quanti fabbricarono il vitello d’oro offrendolo all’adorazione degli Ebrei.

 

Se dunque il Profeta minaccia terribili flagelli su coloro che disobbedirono al Signore senza aver visto il Messia venturo; quanto maggiori dovranno essere le parole di un Profeta “degli ultimi tempi”, dinanzi alla ribellione dell’umanità redenta dal Sangue di quel Messia divino, avendo potuto vedere il compiersi delle Profezie e l’Incarnazione della Seconda Persona della Santissima Trinità? 

 

Nella drammatica crisi che da ormai sessant’anni affligge la Chiesa di Cristo, e che oggi si mostra in tutta la sua gravità, un pusillus grex chiede al suo Signore di risparmiare l’umanità traviata, quando la corruzione e l’apostasia sono penetrate anche nel sacro recinto e fin sul più alto Soglio.

 

La maggioranza di coloro che sono stati rigenerati nel Battesimo e hanno così meritato di essere chiamati «figli di Dio» rinnega quotidianamente le promesse di quel Battesimo, sotto la guida di mercenari e falsi pastori

Ed è pusillus perché la maggioranza di coloro che sono stati rigenerati nel Battesimo e hanno così meritato di essere chiamati «figli di Dio» rinnega quotidianamente le promesse di quel Battesimo, sotto la guida di mercenari e falsi pastori. 

 

Pensiamo a quanti fedeli, cresciuti nell’assoluta ignoranza dei rudimenti della Fede nonostante abbiano frequentato il Catechismo, sono intrisi di dottrine filosofiche e teologiche eretiche, convinti che tutte le religioni si equivalgano; che l’uomo non sia ferito dalla colpa originale ma naturalmente buono; che lo Stato debba ignorare la vera Religione e tollerare l’errore; che la missione della Chiesa non sia la salvezza eterna delle anime e la loro conversione a Cristo, ma la tutela dell’ambiente e l’accoglienza indiscriminata degli immigrati.

 

Pensate a quanti, che pure assolvono il precetto festivo, non sanno che nell’Ostia Santa vi è il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Nostro Signore, e pensano sia solo un simbolo; a quanti sono convinti che basti un pentimento tra sé e sé per potersi accostare alla Comunione, senza immaginare i tormenti che incombono su chi riceve il Corpo e il Sangue del Signore indegnamente.

 

Pensate a quanti sacerdoti, a quanti religiosi, a quante suore e monache credono che il Concilio abbia portato una ventata di rinnovamento nella Chiesa, o abbia favorito la conoscenza della Sacra Scrittura, o che abbia permesso ai laici di comprendere la liturgia, fino ad allora ignorata dalle masse e custodita gelosamente da una casta di ecclesiastici rigidi e intolleranti.

 

Pensate a ciò che pensano quanti vedevano in essa un faro indistruttibile contro le tenebre del mondo, una rocca granitica e inespugnabile dinanzi agli assalti della mentalità «moderna», dell’immoralità diffusa, della difesa della vita dal suo concepimento alla sua fine naturale.

 

Pensate infine alla incontenibile soddisfazione dei nemici di Cristo, nel vedere prostrata la Sua Chiesa dinanzi al mondo, alle sue ideologie di morte, all’idolatria dello stato, del potere, del denaro, dei miti della falsa scienza; una Chiesa disposta a rinnegare il proprio passato glorioso, ad adulterare la Fede e la Morale insegnatele da Nostro Signore, a corrompere la sua liturgia per compiacere eretici e settari: nemmeno il più delirante farneticamento del peggior massone avrebbe potuto sperare di veder compiersi il grido di Voltaire: Écrasez l’infame! 

 

Nell’Avvento noi ci troviamo simbolicamente alle porte del tempio, come il Mercoledì delle Ceneri in Quaresima, e guardiamo da lontano ciò che avviene all’altare: qui la Nascita del Re d’Israele, lì la Sua Passione, Morte e Resurrezione.

 

Immaginiamo di dover compiere un esame di coscienza prima di poter essere ammessi nel luogo santo, come singoli fedeli e come parte del corpo ecclesiale.

 

Ecco: possiamo avvicinarci ad adorare il Re dei re, il Signore dei signori solo se comprendiamo da una parte l’infinito Bene che si offre a noi in fasce nella mangiatoia; e dall’altro la nostra assoluta indegnità, alla quale si deve necessariamente accompagnare l’orrore per i nostri peccati, il dolore per aver infinitamente offeso Dio e il proposito di riparare al male compiuto con la penitenza e le buone opere.

 

E dobbiamo anche comprendere che, come membra vive della Chiesa, noi abbiamo anche una responsabilità collettiva delle colpe degli altri fedeli e dei nostri Pastori; e come cittadini, abbiamo una responsabilità delle colpe pubbliche delle Nazioni.

 

Perché la Comunione dei Santi ci consente di condividere con le anime purganti e con le anime beate del Cielo i loro meriti, per bilanciare in modo incomparabilmente più efficace quella «comunione degli empi» che fa ricadere gli effetti delle loro azioni malvage sul prossimo, in particolare su altre persone nemiche di Dio. 

 

«Vieni da me, che sono tormentato dall’attacco di lupi pericolosi – esclama Sant’Ambrogio. Vieni da me, che sono stato scacciato dal paradiso e le cui piaghe sono da tempo penetrate dai veleni del serpente, da me che ho errato lontano dalle tue greggi su quei monti»

«Vieni da me, che sono tormentato dall’attacco di lupi pericolosi – esclama Sant’Ambrogio. Vieni da me, che sono stato scacciato dal paradiso e le cui piaghe sono da tempo penetrate dai veleni del serpente, da me che ho errato lontano dalle tue greggi su quei monti». 

 

Stiamo iniziando a comprendere di essere assediati da lupi rapaci: da chi semina l’errore, da chi corrompe la morale, da chi propaganda la morte e la disperazione, da chi ci vuole uccidere nell’anima ancor prima che nel corpo.

 

Ci rendiamo conto di quanto siamo stati superficiali e stupidi e orgogliosi a lasciarci ingannare dalle false promesse del mondo, della carne e del diavolo; di quanto fossero menzognere le parole di chi, dalla cacciata dei nostri Progenitori, continua a replicare le stesse tentazioni, a sfruttare le nostre debolezze, a far leva sul nostro orgoglio o sui nostri vizi per farci cadere e trascinarci con sé all’Inferno.

 

Abbiamo dimenticato di essere stati cacciati dal paradiso terrestre, di portare i segni del morso velenoso del serpente, di aver peccato abbandonando il pascolo sicuro della vera Fede per lasciarci sedurre dal mondo, dalla carne, dal diavolo.

 

Perché se vivessimo con la consapevolezza della nostra colpa iniziale – anch’essa colpa collettiva e in più ereditaria – e di tutto il male che compiamo e che lasciamo compiere; se meditassimo sulla nostra incapacità di salvarci se non per l’aiuto soprannaturale che Dio ci concede con la Grazia; se non ci persuadiamo che molte nostre azioni sono delle gravi offese alla Maestà di Dio e che meriteremmo di essere cancellati dalla faccia della terra in modo ben peggiore di quello che avvenne agli abitanti di Sodoma e Gomorra, allora non avremmo nemmeno bisogno che il Buon Pastore venga a cercarci, che abbandoni le novantanove pecore al sicuro sui monti, dove «i lupi rapaci non possono attaccarle». 

 

Il Santo Vescovo aggiunge: «Vieni senza cani, vieni senza cattivi operai, vieni senza il servo mercenario, che non sa passare per la porta. Vieni senza aiutante, senza messaggero», perché i cani, i cattivi operai e il servo mercenario sono figure transeunti, destinate a perire, a disperdersi al soffio della bocca di Dio, anche se in questo momento sembra che il mondo appartenga loro.

 

«Vieni, dunque, e cerca la tua pecora non per mezzo dei servitori, non per mezzo dei mercenari, ma tu in persona»

«Vieni, dunque, e cerca la tua pecora non per mezzo dei servitori, non per mezzo dei mercenari, ma tu in persona»: i servitori infedeli ci invitano ad essere «resilienti» e «inclusivi», ad ascoltare il «grido della Madre Terra» (5), a sottoporci alla vaccinazione con un siero fatto con feti abortivi; il mercenario, «cujus non sunt oves propriæ» (…) ci disperde, ci abbandona, non allontana i lupi feroci e non punisce i cattivi operai, anzi li incoraggia. 

 

Perché dunque il Signore dovrebbe venire? Perché possiamo chiederGli «Vieni tu in persona»?

 

Sant’Ambrogio risponde nella preghiera citando il Salmista: «Poiché non ho dimenticato i tuoi comandamenti» (Sal 118, 176).

 

La nostra obbedienza alla volontà di Dio trova perfetta corrispondenza – e un esempio divino – nell’obbedienza del Figlio eterno del Padre sin dall’eternità dei tempi, accettando di incarnarSi, patire e morire per la nostra salvezza:

 

«Allora ho detto: Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà» (Ebr. 10, 7).

 

I servitori infedeli ci invitano ad essere «resilienti» e «inclusivi», ad ascoltare il «grido della Madre Terra», a sottoporci alla vaccinazione con un siero fatto con feti abortivi

Il Signore viene nell’obbedienza al Padre e noi dobbiamo attendere la Sua venuta con l’essere a nostra volta obbedienti al volere della Santissima Trinità, «poiché non ho dimenticato i tuoi comandamenti». 

 

Il motivo per cui possiamo essere certi che il Signore verrà a cercarci, liberandoci dall’assalto dei lupi e dalla nefasta influenza di cattivi operai e mercenari, è che non dobbiamo dimenticare ciò che Egli ci ha ordinato; non dobbiamo prendere il Suo posto decidendo noi cos’è bene e cos’è male; non dobbiamo seguire la moltitudine nell’abisso per rispetti umani o per pavidità o complicità, ma rimanere come le novantanove pecore nei pascoli sicuri della Santa Chiesa, «poiché i lupi rapaci non possono attaccarle finché stanno sui monti», più vicine a Dio con l’essere distaccate dalle cose terrene.

 

Parimenti, dobbiamo esercitare la santa Umiltà, riconoscendoci peccatori: «vieni a cercare la sola pecora che ha errato», perché «tu solo sei in grado di far tornare indietro la pecora errante e non rattristerai quelli da cui ti sei allontanato», ossia i Cattolici di tutti i tempi, rimasti fedeli, al sicuro dai lupi negli alti pascoli. «E anche loro si rallegreranno del ritorno del peccatore».

 

La preghiera di Sant’Ambrogio continua con un’espressione molto profonda e significativa: «Accoglimi nella carne che è caduta in Adamo. Accoglimi non da Sara, ma da Maria, perché sia non soltanto una vergine inviolata, ma una vergine immune, per effetto della grazia, da ogni macchia di peccato».

 

In Maria Santissima, Sancta Virgo virginum, noi troviamo la Mediatrice di tutte le grazie: in Lei, creatura purissima, si è incarnato il Verbo Eterno del Padre, da Lei è nato al mondo il Salvatore; per Suo tramite noi siamo presentati al Suo divin Figlio, e per i Suoi meriti possiamo essere accolti «nella carne che è caduta in Adamo», in virtù della Grazia che ci restaura nell’amicizia con Dio. Un ottimo spunto di meditazione per prepararci al Santo Natale. 

 

Ma vi è un’altra considerazione, molto importante, che Sant’Ambrogio lascia alla fine della Sua orazione:

 

«Portami sulla croce che dà la salvezza agli erranti, nella quale soltanto c’è riposo per gli affaticati, nella quale soltanto vivranno tutti quelli che muoiono».

 

Tutto orbita intorno alla Croce di Cristo, essa si innalza nel tempo e nell’eternità come segno di contraddizione, perché ci ricorda che essa è strumento di Redenzione, salvezza degli erranti, riposo degli affaticati, vita per i moribondi.

 

Una miniatura del sec. XIV di Pacino di Buonaguida (6) propone un’immagine rarissima, estremamente simbolica: il Signore che sale sulla Croce con una scala – la scala virtutum – ad enfatizzare la volontarietà del Suo Sacrificio e il «paradosso» della Sua duplice Natura.

«Vieni a compiere la salvezza sulla terra, la gioia nel cielo». Sia questa la nostra invocazione durante il sacro tempo dell’Avvento, per prepararci spiritualmente alle prove che ci attendono

 

Nell’iconografia del Seicento troviamo un’immagine ricorrente, nella quale Gesù Bambino dorme sulla Croce (7), esplicita allusione all’amore divino e al sacrificio di Cristo.

 

 

Natale e Pasqua sono intrinsecamente legati, sicché nella preparazione alla Nascita del Salvatore dobbiamo sempre contemplare come centro e fulcro proprio la Croce, su cui riposa il piccolo Gesù e sulla quale sale, tramite una mistica scala, l’Agnello immacolato.

 

È lì che dobbiamo arrivare anche noi, perché è solo sulla Croce che troviamo salvezza, nella sequela del Signore: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23). 

 

«Veni, ut facias salutem in terris, in cœlo gaudium», «Vieni a compiere la salvezza sulla terra, la gioia nel cielo». Sia questa la nostra invocazione durante il sacro tempo dell’Avvento, per prepararci spiritualmente alle prove che ci attendono. 

 

 

Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

 

28 Novembre 2021

Dominica I Adventus

 

 

 

NOTE

1)  «Vieni dunque, Signore Gesù, cerca il tuo servo [Sal 118,176] cerca la tua pecora stanca. Vieni, pastore, cerca, come Giuseppe cercava le pecore [Gn 37,14]. Ha errato la tua pecora, mentre tu indugi, mentre ti aggiri sui monti. Lascia andare le tue novantanove pecore e vieni a cercare la sola pecora che ha errato [Mt 18,12 ss; Lc 15,4]. Vieni senza cani, vieni senza cattivi operai, vieni senza il servo mercenario, che non sa passare per la porta [Gv 10,1-7]. Vieni senza aiutante, senza messaggero. Già da tempo aspetto la tua venuta. Infatti so che verrai, poiché non ho dimenticato i tuoi comandamenti [Sal 118,176]. Vieni non con la verga, ma con carità e in spirito di mansuetudine [lCor 4,21].» – Sancti Ambrosii Episcopi Expositio Psalmi CXVIII, 22, 28. 

2) Dom Prosper Guéranger, L’Anno liturgico, I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pagg. 21-26. 

3) «Sanctissimus namque Gregorius cum preces effunderet ad Dominum ut musicum donum ei desuper in carminibus dedisset, tunc descendit Spiritus Sanctus super eum, in specie columbæ, et illustravit cor ejus, et sic demum exortus est canere, ita dicendo: Ad te levavi…» – Tropo all’Introito della Domenica I di Avvento – Cfr. https://gregobase.selapa.net/chant.php?id=4654 

4) Littera gesta docet, quid credas allegoria, moralis quid agas, quo tendas anagogia (La lettera insegna quanto è avvenuto, l’allegoria quello che devi credere, la morale quello che devi fare, l’anagogia il fine a cui devi tendere) – Nicola di Lyre, Postilla in Gal., 4, 3.

5) Cfr. https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-10/ebook-papa-francesco-laudato-si.html e https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-grido-della-terra-e-dei-poveri

6) Cfr. https://scriptoriumdaily.com/ladder-at-the-cross/ – Un dipinto di scuola giottesca con identico soggetto si trova nel Monastero di Sant’Antonio in Polesine, a Ferrara. Vedi anche di Anna Eörsi, Haec scala significat ascensum virtutum. Remarks on the iconography of Christ Mounting the Cross on a Ladde.

7) Si veda ad esempio il dipinto di Guido Reni, Gesù Bambino addormentato sulla Croce, olio su tela, 1625 ca

 

 

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Spirito

La Dignitas Infinita di papa Francesco contraddice la dottrina della Chiesa su pena di morte e sulla guerra: parla il vescovo Eleganti

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Renovatio 21 riporta questo testo del vescovo svizzero Marian Eleganti apparso su LifeSiteNews.

 

Si intitola Dignitas infinita l’ultimo documento del Dicastero per la dottrina della fede e attribuisce «dignità infinita» all’essere umano. Preferisco il termine «dignità inviolabile». Dovremmo invece riservare a Dio la categoria «infinito», perché si applica realmente solo a Lui. Tutte le creature sono «finite» o «contingenti». La «dignità infinita» per gli esseri umani sembra grandiosa e in qualche modo irrazionale.

 

Nel Libro della Genesi la pena di morte è giustificata dal fatto che l’uomo è fatto a immagine di Dio. Secondo il primo libro delle Sacre Scritture, se qualcuno uccide un altro essere umano, merita di morire. Perché? Perché ha misconosciuto la dignità di essere immagine di Dio nel prossimo e non ha rispettato l’inviolabilità ad essa connessa. Commettendo un omicidio, perde (latae sententiae) il proprio diritto alla vita. Viene punito con la morte.

 

La pena di morte viene così giustificata qui con la dignità dell’uomo come immagine di Dio, mentre nel documento del Dicastero per la Dottrina della Fede viene respinta con la stessa argomentazione. Questa è una contraddizione.

 

Papa Francesco e il suo protetto e ghostwriter, il cardinale Fernandez, con la loro posizione si allontanano dalla tradizione e si confrontano con grandi studiosi cattolici che hanno pensato diversamente al riguardo e hanno giustificato la dottrina tradizionale della guerra giusta e della pena di morte con criteri basati sulla giustizia in modo razionale vincolato dalla teologia della rivelazione.

 

Le loro argomentazioni dovrebbero essere affrontate e se ne dovrebbero fornire di migliori. Ma aspettiamo invano. Allora come può essere giustificata l’autodifesa dell’Ucraina se gli atti di guerra o le guerre non possono essere giustificate in nessun caso – nemmeno nell’autodifesa (cfr. la tradizionale dottrina della guerra giusta)? A questo scopo devono esistere criteri oggettivi e razionali. L’insegnamento tradizionale della Chiesa ce li ha forniti. Oggi riscriviamo semplicemente il catechismo.

 

Non sono un sostenitore della pena di morte, e l’esperienza di come e da chi è stata ed è praticata in tutto il mondo nel passato e nel presente dà motivo di metterla in discussione e rifiutarla in questa forma. Ma chi la mette al bando in ogni caso come ultima ratio, mette in discussione la Parola di Dio e, su questa base, la tradizione pedagogica della Chiesa. Presumono di saperne di più oggi. I dubbi sono appropriati.

 

Si ricorda (CCC [ Il Catechismo della Chiesa Cattolica ] 1997/2003):

 

2267 [sulla pena di morte] L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani.

 

Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana.

 

Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo «sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti»( Evangelium Vitae 56).

 

2309 [sulla guerra giusta]: Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre contemporaneamente:

 

— che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo;

 

— che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci;

 

— che ci siano fondate condizioni di successo;

 

— che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione.

 

Marian Eleganti

Vescovo

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Ateismo fluido e magistero liquido

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Nel 1987 è apparso il libro La soft-ideologie, scritto da François-Bernard Huygue e Pierre Barbès.   I due autori hanno presentato il loro lavoro così: «i tempi sono duri, le idee sono morbide… L’ideologia morbida è affari e diritti umani…, il mercato azionario e la tolleranza, l’individualismo e la carità -rock, Tapie e Coluche…»   «Mescolata insieme ai resti intellettuali dei decenni precedenti, l’ideologia soft mescola management conservatore e sogni del Sessantotto, idee confuse e moralismo vago, inni alla modernità e ritorno agli ideali del XVIII secolo. Assicura un consenso apatico sull’essenziale. Promuove la rassegnazione alla forza delle cose ed esalta le piccole gioie».   Esiste una teologia morbida? Lo si potrebbe credere leggendo i documenti episcopali pubblicati alla vigilia delle prossime elezioni europee. Tutto va bene: rispetto e promozione della dignità di ogni persona umana, solidarietà, uguaglianza, famiglia e sacralità della vita, democrazia, libertà, sussidiarietà, salvaguardia della nostra Casa comune…   Troviamo tutti i «sovranisti del clima», come dicono alcuni vaticanisti ironici e disillusi.   Con più serietà, il cardinale Robert Sarah preferisce parlare di «ateismo fluido e pratico». Un ateismo fluido che «scorre nelle vene della cultura contemporanea», che «non pronuncia mai il suo nome ma si infiltra ovunque anche nei discorsi ecclesiali», il cui «primo effetto è una forma di letargo della fede: anestetizza la nostra capacità di reazione, di riconoscere l’errore, il pericolo. Si è diffuso in tutta la Chiesa».   Un ateismo pratico, conclude il cardinale Sarah, che si fonda essenzialmente «sulla paura di essere in contraddizione con il mondo». Sappiamo però che Gesù Cristo è «un segno esposto alla contraddizione» (Lc 2,34).   Inutile dire che, di fronte a questo «ateismo fluido», un «magistero liquido» non solo è impotente ma, peggio ancora, complice.   Tuttavia, a Saint-Pierre a Roma, se guardiamo il fregio della traversa della cupola, possiamo leggere a grandi lettere blu su fondo oro: Tu es Petrus et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam et tibi dabo claves Regni cælorum, «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e ti darò le chiavi del Regno dei cieli» (Mt 16,18-19).   La Chiesa non è costruita sulla palude della postmodernità, ma sulla pietra. Su Pietro che è il Vicario di Cristo.   Abate Alain Lorans   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Stati Uniti, un disegno di legge dichiara antisemita il Nuovo Testamento

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La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato un disegno di legge volto ad adottare una definizione di antisemitismo che include l’affermazione secondo cui gli ebrei sarebbero stati coinvolti nell’esecuzione di Gesù Cristo. Pertanto, il Nuovo Testamento diventerebbe legalmente un testo antisemita.

 

La guerra di Gaza e la posizione degli Stati Uniti rischiano di avere un impatto formidabile sul Nuovo Testamento. Il disegno di legge arriva in un momento in cui le università americane sono state teatro di manifestazioni filo-palestinesi che, secondo i loro detrattori, sono talvolta sfociate nell’antisemitismo. Per molti politici, criticare l’invasione equivale ad antisemitismo.

 

Il Congresso ha approvato questo disegno di legge il 1° maggio 2024, che imporrebbe al Dipartimento dell’Istruzione di utilizzare la definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) nell’applicazione delle leggi antidiscriminazione. Molti membri del Congresso, sia democratici che repubblicani, che affermano di essere cristiani hanno votato a favore.

 

«L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei, che può essere espressa attraverso l’odio verso gli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette contro individui ebrei e non ebrei e/o le loro proprietà, contro le istituzioni della comunità ebraica e le strutture religiose», si legge in questa definizione.

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Il disegno di legge ha ricevuto il sostegno di 320 membri del Congresso, mentre 91 hanno votato contro. Va notato che la definizione implica che l’antisemitismo si esprime attraverso l’uso di simboli e immagini associati all’antisemitismo classico – ad esempio, l’affermazione che gli ebrei hanno ucciso Gesù o l’accusa di omicidio rituale per caratterizzare Israele o gli israeliani.

 

Il testo del disegno di legge afferma che richiederà al Dipartimento dell’Istruzione di “considerare la definizione di antisemitismo come parte della valutazione del Dipartimento per stabilire se la pratica sia motivata da intenti antisemiti” quando indaga sulla presunta discriminazione antisemita negli istituti scolastici superiori.

 

Gli oppositori della misura hanno messo in guardia. La rappresentante Marjorie Taylor Greene ha scritto: «L’antisemitismo è un male, ma oggi non voterò per l’Anti-Semitism Awareness Act del 2023 (HR 6090) che potrebbe condannare i cristiani di antisemitismo per aver creduto al Vangelo che dice che Gesù fu consegnato a Erode perché fosse crocifisso dai Giudei».

 

«Se sostenete questo disegno di legge sull’incitamento all’antisemitismo, non solo state sputando sul Primo Emendamento, ma state anche palesemente negando la Bibbia», ha scritto la conduttrice televisiva Blaze Lauren Chen.

 

Oltre alla questione biblica, i critici sostengono che il disegno di legge minacci la libertà di parola e potrebbe portare a restrizioni ingiustificate sull’espressione politica. La fattibilità del disegno di legge nel Senato controllato dai democratici è incerta e la sua interpretazione è oggetto di un acceso dibattito, che riflette profonde divisioni nella politica degli Stati Uniti nei confronti di Israele.

 

La proposta ha anche diviso la comunità ebraica, con alcuni gruppi ebraici liberali che si oppongono alla misura in quanto troppo ampia.

 

Sembra che i repubblicani stiano cercando di sfruttare le divisioni interne su come gestire altre politiche di sicurezza nazionale, come la guerra in Ucraina. Questa legge e le misure di sorveglianza universitaria consentono ai conservatori di mostrare una posizione chiara a favore di Israele, evidenziando al contempo le divisioni tra i democratici.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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