Geopolitica
L’India testa un missile balistico che può colpire quasi tutto il territorio cinese
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews
L’Agni-V ha una gittata di oltre 5mila km. Un possibile segnale a Pechino, mentre i due Paesi si fronteggiano sul confine himalayano. Cinesi e indiani molto attivi nello sviluppo missilistico. Pechino preoccupa Washington con i suoi vettori ipersonici; l’India vuole vendere missili supersonici agli avversari della Cina nel Mar Cinese meridionale.
L’India ha testato con successo un missile balistico intercontinentale con capacità nucleare. Lo ha dichiarato il ministero indiano della Difesa.
Il lancio è avvenuto ieri nel Golfo del Bengala. Secondo le autorità indiane, l’Agni-V ha una gittata di oltre 5mila km e un alto grado di precisione: significa che può colpire quasi tutta la Cina continentale.
Delhi è entrata nel club ristretto delle nazioni armate con vettori intercontinentali: gli altri sono Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Gran Bretagna.
Il dicastero indiano della Difesa ha sottolineato però che l’esperimento missilistico rientra nell’orientamento ufficiale dello Stato di avere una «deterrenza minima credibile». La politica di Delhi è quella di «non usare per prima» ordigni nucleari, ma solo in risposta a un attacco.
Per diversi osservatori e commentatori indiani, il test dell’Agni-V vuole inviare invece un forte segnale alla Cina.
Gli indiani lo hanno effettuato nel pieno di una disputa con Pechino sul confine provvisorio (Line of Actual Control) che divide i due Paesi nell’Himalaya. Dal giugno 2020 tra l’esercito indiano e quello cinese vi sono state ripetute schermaglie che hanno provocato decine di vittime. Secondo quanto appreso da AsiaNews, i militari indiani si aspettano nuove incursioni cinesi in primavera, con il miglioramento delle condizioni atmosferiche.
La tensione tra i due giganti asiatici rimane alta. Delhi ha criticato l’approvazione in Cina di una nuova legge sui territori di confine. Adottata il 24 ottobre dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, il provvedimento stabilisce che la sovranità e l’integrità territoriale della Cina sono «sacre e inviolabili». Per gli indiani, si tratta di affermazioni contrarie all’impegno cinese di trovare un accordo «giusto» e «reciprocamente accettabile» per risolvere i contrasti frontalieri.
India e Cina sono molto attive nello sviluppo missilistico. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, in controtendenza con le riduzioni operate da russi e statunitensi, nell’ultimo anno Delhi ha aggiunto sei testate nucleari al proprio arsenale (in totale ha 156 ordigni) ; la Cina 30, arrivando a 320 bombe atomiche.
Mentre i militari USA esprimono preoccupazione per i recenti test cinesi di missili ipersonici, capaci sulla carta di superare le difese di Washington, la Cina deve fronteggiare la potenziale minaccia dei Brahmos: missili da crociera supersonici sviluppati dall’India in collaborazione con la Russia.
Oltre a essere armi da poter impiegare in un possibile conflitto diretto con Pechino, le autorità indiane sono impegnate in trattative avanzate per la vendita dei Brahmos a Vietnam, Filippine e Indonesia. I tre Paesi contestano le pretese territoriali di Pechino su quasi tutto il Mar Cinese meridionale. Negli ultimi anni la crescente militarizzazione della regione da parte della Cina ha portato a ripetuti incidenti con le marine di Hanoi, Manila e Jakarta.
A ostacolare l’export del Brahmos nei Paesi del sud-est asiatico non sono tanto valutazioni riguardo all’equilibrio geopolitico regionale, ma il rischio che l’India possa incorrere nelle sanzioni USA.
Con il Countering America’s Adversaries Sanctions Act (CAATSA), votato dal Congresso Usa nel 2017, il governo degli Stati Uniti può imporre misure punitive a quei Paesi che compiono «significative transazioni» militari con Mosca.
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Immagine d’archivio di DRDO / Ministry of Defence, Government of India via Wikimedia pubblicata su licenza Government Open Data License – India (GODL)
Geopolitica
Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati
Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.
In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».
Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.
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Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.
Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.
L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.
«Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».
Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».
Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.
«Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.
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«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato
Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.
L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.
Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.
Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.
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Immagine di Al Jazeera English via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
Geopolitica
Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine
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Geopolitica
L’Iran minaccia ancora una volta di spazzare via Israele
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.
Raisi è arrivato in Pakistan lunedì per una visita di tre giorni. Martedì ha parlato delle recenti tensioni tra Teheran e Gerusalemme Ovest in un evento nel Punjab.
«Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», ha detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.
Israele non ha mai riconosciuto ufficialmente un attacco aereo del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che ha ucciso sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Teheran ha tuttavia reagito il 13 aprile, lanciando decine di droni e missili contro diversi obiettivi in Israele.
L’Iran si è scrollato di dosso una serie di esplosioni segnalate vicino alla città di Isfahan lo scorso venerdì, che si diceva fossero una risposta da parte di Israele. Lo Stato degli ebrei non ha riconosciuto l’attacco denunciato, pur criticando un ministro del governo che ne ha parlato a sproposito. Teheran ha scelto di ignorarlo piuttosto che attuare la rapida e severa rappresaglia promessa.
La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», espressione con cui spesso chiama Israele.
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Martedì, parlando a Lahore, il Raisi ha promesso di continuare a «sostenere onorevolmente la resistenza palestinese», denunciando gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo come «i più grandi violatori dei diritti umani», sottolineando il loro sostegno al «genocidio» israeliano a Gaza.
Nel suo viaggio diplomatico il Raisi ha promesso di incrementare il commercio iraniano con il Pakistan portandolo a 10 miliardi di dollari all’anno. Le relazioni tra i due vicini sono difficili da gennaio, quando Iran e Pakistan hanno scambiato attacchi aerei e droni mirati a “campi terroristici” nei rispettivi territori.
Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.
Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.
Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiaato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.
Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».
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Immagine di duma.gov.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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