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«A Kabul colpiscono già i cristiani»

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews

 

 

Da Roma l’esule che ha raccontato in un libro gli orrori dei talebani e la sua odissea descrive l’angoscia di queste ore tra chi vive di nascosto la propria fede in Gesù mentre gli islamisti avanzano senza incontrare resistenza: «A Kabul un capofamiglia cristiano è già scomparso nel nulla. Non lasciate solo questo Paese». 

Nell’Afghanistan che precipita di nuovo nelle mani dei talebani cresce l’apprensione anche per i cristiani che vivono in modo clandestino la propria fede.

 

Mentre le milizie islamiste, dopo aver conquistato ieri anche Herat e Kandahar, avanzano verso la capitale, da Roma Ali Ehsani – esule afghano che nel libro Stanotte guardiamo le stelle ha raccontato l’orrore dei talebani e la sua personale odissea – si fa voce dell’angoscia di una delle famiglie dei cristiani nascosti di Kabul che in queste ore ha visto sparire nel nulla il proprio capofamiglia.

 

«A Kabul un capofamiglia cristiano è già scomparso nel nulla. Non lasciate solo questo Paese»

Non cita nomi per non mettere in pericolo altre persone; ma in questa storia con riscontri precisi Ali Ehsani, oggi 32enne, rivede le sue sofferenze di bambino che negli anni Novanta, da un giorno all’altro, si ritrovò a otto anni con la casa distrutta e senza quei genitori che gli avevano parlato di Gesù, pur tra mille raccomandazioni di non dire nulla a nessuno.

 

«Questa famiglia di Kabul con cui sono in contatto – racconta –- da due giorni ha perso il padre: uscito di casa non vi ha più fatto ritorno. Le violenze dilagano anche nella capitale; devono aver scoperto che era cristiano e lo hanno colpito. La moglie e i cinque figli ora hanno ancora più paura, si spostano di zona in zona, vogliono lasciare il Paese ma non hanno nessuno che li aiuti. Sto cercando un canale umanitario che si mobiliti per loro, vorrei far conoscere questa storia a papa Francesco».

 

Quella dei cristiani a Kabul è da anni una presenza forzatamente solitaria.

 

«Questa famiglia è di origine turkmena – spiega Ehsani – come lo sono io. Ci siamo conosciuti su Whatsapp attraverso un altro studente afghano che vive qui a Roma. Anche lui è cristiano, ma ci è voluto molto tempo prima che trovassimo il coraggio di raccontarcelo a vicenda. A Kabul non ci sono chiese, così qualche settimana fa ho provato a collegare questa famiglia in videochiamata con una Messa qui in Italia. Erano felicissimi. Da 15 giorni, però, il clima era già cambiato, si sentivano in pericolo».

 

«Vedere quanto sta accadendo in Afghanistan – aggiunge ancora Ali Ehsani – per me significa tornare a fare i conti con le ferite della mia vita. A Kabul ricordo benissimo gli altri bambini che per mettermi paura dicevano: “Andiamo a chiamare i talebani”. Oggi li rivedo distruggere la vita di persone che non hanno nulla, tagliare le gole davanti ai parenti: che razza di umanità è questa?».

«Oggi li rivedo distruggere la vita di persone che non hanno nulla, tagliare le gole davanti ai parenti: che razza di umanità è questa?»

 

Di qui il suo appello:

 

«Non lasciate solo l’Afghanistan. Il governo centrale non è in grado di controllare la situazione e dall’altra parte i talebani hanno Paesi che li sostengono: Pakistan, Iran e la stessa Cina li aiutano economicamente, materialmente e politicamente per cancellare la presenza dell’Occidente a Kabul. Le notizie sui funerali dei pakistani uccisi combattendo in Afghanistan si trovano con facilità sui media locali. Mentre le atrocità nei confronti dei civili si moltiplicano: nelle province occupate i talebani intimano alle ragazze dai 14 anni in su di presentarsi per essere “donate” ai guerriglieri. La comunità internazionale non può rimanere indifferente, deve muoversi con sanzioni contro chi sostiene i talebani. Anche in Afghanistan ognuno deve poter vivere in pace, libero di esprimere la propria fede».

 

Quella fede da lui ricevuta proprio a Kabul:

 

«I miei genitori – ricorda – mettevano sempre un piatto in più a tavola per gli ospiti. Io dicevo loro: ‘Siamo poveri, come facciamo a ospitare?’. Mio padre rispondeva: “Gesù condivideva tutto con gli altr”‘. Allora io chiedevo: “Chi è Gesù?’. E lui diceva: ‘Noi siamo cristiani”. Senza aggiungere nulla».

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione Asianews e le sue campagne.

 

 

Renovatio 21 ripubblica questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

Spirito

Chiediamo preghiere per una fedele FSSPX di Tokyo

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Abbiamo ricevuto dalla comunità dei fedeli del priorato di Tokyo della Fraternità San Pio X, con cui siamo in contatto tramite il corrispondente di Renovatio 21 in Giappone, una richiesta di preghiera.

 

«Lei si chiama Faith Kristy Velasco Clark» ci scrive il nostro corrispondente. «Nelle foto ci sono suo marito Jacob, loro figlia Veronica e Christopher, nato due giorni fa. Kristy e Jacob si sono conosciuti alla Messa della FSSPX a Tokyo. Dopo essersi sposati si sono trasferiti negli Stati Uniti. Le è stato diagnosticato un tumore maligno e inoperabile contestualmente alla nascita del bambino. Le preghiere di chiunque sono ben accette».

 

Non si chiedono soldi qui: si chiede di pregare per questa madre e per la sua famiglia. Abbiamo prova che gruppi di preghiera si stanno attivando ovunque, anche nel seminario della FSSPX a Ecône. Domandiamo ai nostri lettori, in Italia e nel mondo, di recitare una preghiera per questa drammatica situazione.

 

Chi volesse invece aiutare economicamente, è stata messa in piedi una pagina Gofundme.

 

Grazie a tutti. Possiamo, in momenti come questo, dimostrare una vera unità spirituale globale.

 

 

 

 

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Sinodo in Italia: silenzio, stiamo affondando

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Il processo sinodale italiano, avviato nel 2021 su appello di Papa Francesco, ha appena compiuto una nuova tappa il 24 e 25 ottobre 2025, con l’approvazione a larga maggioranza di un testo che privilegia l’ideologia progressista.

 

«Il mostro, che crediamo essere l’eccezione, è la regola. Andate in fondo alla Storia: Nerone è un plurale». Questo pensiero di Victor Hugo è trasferibile sulle rive del Tevere, per chi è finalmente arrivato «in fondo al Sinodo»?

 

Avviato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il cammino sinodale transalpino ha avuto una fase preparatoria nel 2021-2023, seguita dalla redazione di un documento preparatorio – Instrumentum laboris – nel novembre 2024. Tra gennaio e febbraio 2025, tutte le diocesi e le istituzioni cattoliche hanno inviato i loro contributi, dando vita a un primo documento di sintesi.

 

Presentato nell’aprile 2025, questo testo è stato respinto per la sua palese eterodossia su temi delicati come l’inclusione delle persone LGBT, l’ordinazione delle donne e la gestione di alcuni abusi. I progressisti hanno denunciato la decisione, che l’arcivescovo Erio Castellucci, presidente del comitato sinodale nazionale, ha difeso sostenendo che i tempi stretti e i numerosi emendamenti avevano reso il testo «troppo conciso e inadeguato».

 

Il rinvio all’autunno 2025 ha consentito una revisione completa, volta a smussare le asperità scandalose del testo iniziale. A seguito di questa revisione, il 25 ottobre, nell’assemblea finale, oltre 800 partecipanti, tra laici, clero e religiosi, hanno adottato un documento. Un gruppo di vescovi è stato incaricato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) di elaborare e tradurre il testo in risoluzioni concrete per l’assemblea autunnale della Conferenza Episcopale nel novembre 2025.

 

L’impresa sembra impossibile, poiché il testo sinodale è ancora pieno di ambiguità e contraddizioni. Il documento è un miscuglio che, da un lato, sottolinea una Chiesa che è «lievito di pace e di speranza», attenta ai più vulnerabili: i poveri e le persone con disabilità.

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Queste nobili intenzioni, spesso distorte da una visione naturalistica, convivono con il progetto di riformare il governo delle parrocchie attraverso gruppi ministeriali misti – diaconi, laici, religiosi – e di «rinfrescare» il linguaggio liturgico per renderlo accessibile alle culture contemporanee…

 

Utilizzando il gergo progressista richiesto , il documento adottato sottolinea i processi sinodali per il clero e i laici, tra cui una riconfigurazione territoriale delle parrocchie in «comunità di comunità». I team interdiocesani, supportati da un organismo di coordinamento nazionale, dovrebbero promuovere l’educazione affettiva e sessuale dei giovani, in collaborazione con la pastorale familiare, i movimenti ecclesiali e le organizzazioni della società civile.

 

L’approvazione del 25 ottobre è stata approvata a larga maggioranza, ma con una notevole opposizione. Le mozioni riguardanti l’educazione emotiva e il genere hanno suscitato la maggiore resistenza da parte delle donne, mentre quelle sulla condivisione delle responsabilità tra laici e clero hanno offeso in larga misura gli uomini.

 

Sebbene sarebbe più corretto parlare di un naufragio totale con questo documento, il vescovo Castellucci ha presentato la fase sinodale appena conclusa nella Penisola come una «esperienza spirituale» in cui la Chiesa si lascia «turbare dallo Spirito»: a pochi giorni da Halloween, c’era effettivamente motivo di preoccupazione.

 

Il cardinale Matteo Zuppi, capo dei vescovi italiani, ha sottolineato che «l’essenziale è già stato compiuto: una Chiesa che discute e decide insieme è segno di uno Spirito che soffia dove vuole». L’affermazione potrebbe sembrare ironicamente irrilevante se non fosse in gioco la fede: il problema, infatti, non è tanto sapere che «la Chiesa sta discutendo», quanto capire di cosa sta discutendo e per quale scopo.

 

Ridurre il processo sinodale a un mero esercizio metodologico, a un rito partecipativo privo di contenuto teologico, ci limita a una mera allusione allo Spirito Santo, anziché a una vera e propria invocazione. E allora un altro Spirito, lo spirito del mondo, prende il suo posto, perché è vero che la natura aborrisce il vuoto.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Immagine di Meeting Rimini via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-SA 4.0

 

 

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Spirito

«Siamo stati creati per la gloria»: omelia nella festa di Ognissanti di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’omelia nella festa di Ognissanti dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò

Vos, purpurati martyres, Vos candidati præmio Confessionis, exsules Vocate nos in patriam.

Rabano Mauro Inno Placare, Christe

  Dopo la solenne celebrazione della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, nell’ultima Domenica di Ottobre, il primo Novembre è dedicato a coloro che con Cristo hanno combattuto il bonum certamen, meritando di trionfare con Lui nella vittoria sfolgorante sul demonio.   Il giorno seguente, 2 Novembre, viene ricordato un altro sterminato esercito di anime sante: quelle di coloro che il fuoco del Purgatorio purifica, come l’oro nel crogiuolo, per renderle degne di essere ammesse alla gloria della contemplazione della Maestà divina.

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Il Re, i Suoi più valorosi compagni d’arme, i Suoi soldati, e un’infinità di Santi sconosciuti. Profeti, Apostoli, Martiri, Confessori, Vergini e Vedove; Papi, Vescovi e Abati; Re e Sovrane. E la Regina di tutti costoro, la Condottiera delle Milizie, la Beatissima Semprevergine Maria. E le schiere angeliche: Serafini, Cherubini, Troni; Dominazioni, Virtù, Potestà; Principati, Arcangeli e Angeli. Miriadi di anime illuminate come un mistico firmamento dalla luce sfolgorante del Sol Justitiæ, Nostro Signore Gesù Cristo, Re e Pontefice.    Tibi omnes angeli, tibi cœli et universae potestates: tibi cherubim et seraphim, incessabili voce proclamant: Sanctus, Sanctus, Sanctus, Dominus Deus Sabaoth. Pleni sunt cœli et terra majestatis gloriæ tuæ. Te gloriosus Apostolorum chorus, te Prophetarum laudabilis numerus, te Martyrum candidatus laudat exercitus.   A questo sterminato consesso di Santi manchiamo solo noi, che in questa valle di lacrime peregriniamo verso la Patria celeste che troppo spesso crediamo lontana.   Una Patria da cui siamo exsules, esuli cacciati dalla Giustizia divina in quanto figli di Adamo ed Eva, riammessi per Grazia alla presenza beatifica della Santissima Trinità grazie alla Redenzione del Nuovo Adamo e alla Corredenzione della Nuova Eva. Con noi abbiamo molti compagni di viaggio, altri ci hanno preceduti, altri li incontreremo per via.   I nostri genitori, una volta lasciata questa vita passeggera, continueranno a pregare per noi nell’eternità e li ritroveremo ad attenderci quando suonerà la nostra ora. I nostri figli, i nostri nipoti perderanno anche noi, un giorno, e benediremo la volta che abbiamo loro insegnato a recitare un De profundis, perché la loro preghiera allevierà le nostre sofferenze purificatrici e ci avvicinerà a quel locus refrigerii, lucis et pacis cui tanto aneliamo.   Anche noi pregheremo per loro, dal Purgatorio e dal Paradiso, affinché con l’aiuto della Grazia riescano ad espiare le loro colpe su questa terra, con la penitenza, il digiuno, la preghiera; con la Carità, che copre una moltitudine di peccati (1 Pt 4, 8). La Carità: l’unica Virtù che non verrà mai meno, perché consustanziale al Dio Uno e Trino. La Virtù il cui fuoco arde di un tale amore per Dio, da consumare le nostre infedeltà.

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Chi tra voi è ancora giovane, e pensa di aver dinanzi a sé ancora molto tempo prima del Giudizio particolare, forse non riesce a comprendere perché nelle persone più mature si renda via via più percepibile quella sorta di «nostalgia» per la gloria del Cielo che ci fa quasi desiderare la morte per prima raggiungere il Padre Celeste e i santi del Paradiso. Noi anziani sentiamo questo desiderium patriæ che ce la fa anelare più della luce del sole [Patria me major quam lucis sidera deerat, cfr. Ovidio, Tristia, I, 3].   Un desiderio che non ci viene dal ricordo di qualcosa che abbiamo lasciato – non essendo mai stati ammessi al Paradiso – quanto da quell’impronta che portiamo impressa nella nostra natura e che ci ricorda di essere opera della mano sapiente del Creatore, fatti a immagine e somiglianza della Santissima Trinità, trinitari anche noi nelle nostre facoltà – memoria, intelletto, volontà. La memoria del Padre, l’intelletto del Figlio, la volontà del Paraclito.    Potremmo dire che il ricordo ancestrale del Paradiso perduto si sia trasmesso, insieme alle conseguenze del peccato originale – la morte, la malattia, il dolore… – proprio come il figliuol prodigo prova nostalgia della casa del Padre, del quale ha dilapidato l’eredità. Quel richiamo struggente ci ricorda da dove veniamo, ma soprattutto ci indica la Patria a cui siamo destinati.   Il pellegrinaggio del popolo eletto nel deserto verso la Terra Promessa è figura del pellegrinaggio della Chiesa verso il ritorno nella gloria del proprio Capo, ma anche immagine del pellegrinaggio di ciascuno di noi verso la Nuova Gerusalemme.   Siamo stati creati per la gloria. Siamo stati voluti e quindi amati per essere partecipi della gloria del Dio Creatore, Redentore e Santificatore. Siamo stirpe di Re, figli ed eredi di Dio, coeredi di Cristo. E la nostra eredità inizia qui, cari fratelli. Inizia con la scala crucis che vediamo raffigurata in un’immagine medievale, in cui il Salvatore sale i pioli di una scala che conduce alla Croce. La nostra eredità eterna inizia con la volontaria accettazione della croce che la Provvidenza ci ha destinato, e che è l’unica che siamo in grado di portare, l’unica su cui possiamo serenamente salire, su cui possiamo con fiducia aprire le braccia.   La scala crucis è anche scala paradisi, perché nella sequela del Redentore questa via regia conduce dritto al cospetto della Maestà divina. Una suggestiva immagine di San Giovanni Climaco ci mostra le anime salire verso il Cielo, con gli Angeli che le accompagnano nella salita e i diavoli che cercano di trascinarle giù.   I Santi – quelli che veneriamo sui nostri altari, dei quali incensiamo le Reliquie, sulle spoglie dei quali celebriamo il Santo Sacrificio della Messa e che per noi intercedono in Cielo – non sono l’eccezione in una norma di mediocrità. Non è normale non essere santi. Vi furono epoche in cui la santità era tutt’uno con l’essere Cristiani, perché nella furia della persecuzione uomini e donne, giovani e anziani erano quotidianamente chiamati ad affrontare il Martirio. Molti lo subirono come catecumeni, ancor prima di essere ammessi al Battesimo. Portiamo i loro nomi proprio perché il loro esempio ci sproni ad imitarli sulla stessa via di santità. Professiamo la stessa Fede apostolica, celebriamo gli stessi Misteri, e continuiamo ad avere gli stessi nemici: il mondo, la carne, il diavolo.   Un Cattolico che non vuole essere santo, che non desidera il Paradiso, che non anela a Dio – sicut cervus ad fontes aquarum – e che non sente questa «nostalgia» del Vero e del Bene, non ha capito nulla della nostra santa Religione, né tantomeno del miracolo di infinita Carità che ha spinto la Seconda Persona della Santissima Trinità ad incarnarSi e a patire per noi, senz’altra motivazione se non l’amore divino nei nostri riguardi e la gloria della Trinità stessa. Perché essere santi è un dovere di ciascuno di noi, in obbedienza al precetto: Siate santi come Dio è santo (Lv 19,2; 1Pt 1,16); ma se solo ci lasciamo conquistare da Nostro Signore la santità non è più un obbligo, ma la necessaria, spontanea e riconoscente risposta alla chiamata del Re, sotto i vessilli del Quale è un onore militare. 

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I Santi sono coloro che hanno acclamato e continuano ad acclamare: Regnare Christum volumus! contro il grido blasfemo della scelesta turba. Sono coloro che fanno regnare il loro Signore anzitutto nella propria anima, rendendola degna dimora della Santissima Trinità mediante la vita della Grazia e l’unione con Dio. Sono coloro che nell’umiltà si lasciano guidare dalla mano sapiente del Signore, docili come una penna tra le Sue dita, perché sia chiaro che l’opera che ne esce è interamente divina. Quoniam tu solus Sanctus.   A noi esuli è però concesso uno spiraglio di Paradiso, su questa terra. Uno spiraglio della gloria della Maestà divina che anticipa ciò che ci attende e che rende disponibili le Grazie soprannaturali per affrontare il viaggio fino alla meta finale. Questo angolo di Paradiso lo troviamo nelle nostre chiese, nei nostri Tabernacoli, attorno a ciascuno dei quali si raccolgono adoranti tutti gli Angeli.   Lo troviamo nella Santa Messa, quando il sacerdote fa scendere dal Cielo il Re dei Re, ripetendo in forma incruenta il Sacrificio della Croce. E in questo Paradiso in terra, delimitato dalle colonne e dalle volte di una chiesa come dalle travi di un granaio, noi possiamo comunicarci al Corpo e Sangue di Cristo, presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità esattamente come Egli siede sul Trono dell’Agnello nella gloria del Cielo.    Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia, Patrem immensæ maiestatis; venerandum tuum verum et unicum Filium; Sanctum quoque Paraclitum Spiritum.    Forse è proprio dalla sacralità della Messa, dalla solennità dei gesti arcani, dalla profondità dei testi liturgici, dal torrente impetuoso di Grazie che il Santo Sacrificio riversa su di noi, che ci viene quella «nostalgia» per il Cielo, per la presenza dei nostri cari, per la luce della Verità somma, per il calore della perfetta Carità, per la gloria di Dio e dei Suoi Santi. Tu rex gloriæ, Christe. Cum sanctis tuis in æternum, quia pius es.   E così sia.    + Carlo Maria Viganò Arcivescovo   1 Novembre MMXXV In festo Omnium Sanctorum

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Immagine: Fra Angelico (circa 1395–1455), Giudizio finale (circa 1450), Gemäldegalerie, Berlino Immagine di Dosseman via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
   
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