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Geopolitica

Due tipi di politica estera

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21

 

 

La politica estera mira a prevenire conflitti tra confinanti e a incrementare relazioni pacifiche. Un obiettivo che gli Occidentali hanno abbandonato per promuovere interessi collettivi peculiari, a scapito degli altri protagonisti internazionali.

 

 

In ogni secolo le relazioni internazionali sono state segnate da iniziative di personalità d’eccezione, che hanno improntato le relazioni estere del loro Paese a principi comuni. Alcuni esempi recenti: l’indiano Jawaharlal Nehru, l’egiziano Gamal Abdel Nasser, l’indonesiano Sukarno, il cinese Zhou Enlai, il francese Charles De Gaulle, il venezuelano Hugo Chávez e, ai giorni nostri, il russo Vladimir Putin e il siriano Bashar al-Assad.

 

 

Identità o geopolitica

Questi uomini hanno cercato innanzitutto di far progredire il proprio Paese, basando la politica estera non su una strategia geopolitica, ma sull’identità nazionale. Al contrario, l’Occidente odierno concepisce le relazioni internazionali come uno scacchiere ove agire con una strategia geopolitica, al fine d’imporre un Ordine Mondiale.

 

L’Occidente odierno concepisce le relazioni internazionali come uno scacchiere ove agire con una strategia geopolitica, al fine d’imporre un Ordine Mondiale

Il termine “geopolitica” fu inventato alla fine del XIX secolo dal tedesco Friedrich Ratzel, cui si deve anche il concetto di «spazio vitale», caro ai nazisti. Secondo Ratzel era legittimo dividere il mondo in grandi imperi, fra i quali Europa e Medio Oriente da porre sotto la dominazione tedesca.

 

In seguito, lo statunitense Alfred Mahan immaginò una geopolitica fondata sul controllo dei mari. La sua teoria influenzò Theodore Roosevelt, inducendolo a lanciare gli Stati Uniti in una politica di conquista di stretti e canali transoceanici.

 

Per il britannico Halford John Mackinter il pianeta era invece formato da un territorio principale (Africa, Europa e Asia) e da due grandi isole (le Americhe e l’Australia). Il controllo del territorio principale esigeva la conquista della grande pianura dell’Europa centrale e della Siberia occidentale.

 

Infine, lo studioso statunitense Nicolas Spykman cercò una sintesi delle posizioni precedenti. Influenzerà Franklin Roosevelt e la politica di arginamento dell’Unione Sovietica, ossia la guerra fredda; sarà poi ripreso da Zbigniew Brzezinski.

La geopolitica, nel senso stretto del termine, non è una scienza, ma una strategia di dominio.

 

La geopolitica, nel senso stretto del termine, non è perciò una scienza, ma una strategia di dominio.

 

 

Smart power

Se torniamo agli esempi dei grandi uomini del XX e XXI secolo − la cui politica estera era apprezzata anche fuori del territorio nazionale − non possiamo non constatare che le loro scelte internazionali non sono correlate alla potenza militare del Paese. Non hanno cercato di conquistare e annettere nuovi territori, ma di diffondere l’immagine del proprio Paese e della sua cultura. Naturalmente la voce di De Gaulle e di Putin − che alle spalle hanno un potente esercito, cioè la bomba atomica − risuona meglio. Ma non è qui, per questi statisti, che risiede l’essenziale.

 

Se torniamo agli esempi dei grandi uomini del XX e XXI secolo − la cui politica estera era apprezzata anche fuori del territorio nazionale − non possiamo non constatare che le loro scelte internazionali non sono correlate alla potenza militare del Paese. Non hanno cercato di conquistare e annettere nuovi territori, ma di diffondere l’immagine del proprio Paese e della sua cultura

Questi grandi uomini hanno cercato di espandere la cultura del proprio Paese (Charles De Gaulle con André Malraux). Per loro è importante esaltare le creazioni artistiche autoctone e unire il popolo attorno a esse, per poi proiettare la cultura nazionale a livello internazionale.

 

Si tratta, in un certo senso, del «potere intelligente» (Smart power) di cui parlava lo statunitense Joseph Nye. La cultura conta quanto i cannoni, a condizione che la si sappia utilizzare. Perché nessuno ipotizza di attaccare il Vaticano che non ha un esercito? Perché sconvolgerebbe il mondo intero.

 

 

Uguaglianza

Gli Stati sono come gli uomini che li formano. Auspicano la pace ma basta poco perché si facciano la guerra. Aspirano all’applicazione di certi principi, ma li rinnegano a casa propria e, a maggior ragione, in casa d’altri.

 

Quando, alla fine della Prima Guerra Mondiale, venne creata la Società delle Nazioni (SDN), fu dichiarata l’uguaglianza di tutti gli Stati membri, ma britannici e statunitensi rifiutarono di considerare tutti i Popoli uguali nel Diritto. Del resto, fu questo rifiuto a suscitare l’espansionismo giapponese.

 

L’Organizzazione delle Nazioni Unite − che alla fine della seconda guerra mondiale sostituì la SDN − certamente sostiene l’uguaglianza fra i Popoli, ma all’atto pratico gli anglosassoni la rinnegano. Oggi gli Occidentali creano istituzioni intergovernative su qualsiasi argomento, come per esempio la libertà di stampa o la lotta alla cyber-criminalità. Ma discutono tra loro e non si confrontano con altre culture, in particolare con quella russa e cinese. Si tratta di organizzazioni ideate per sostituire i forum delle Nazioni Unite, dove invece hanno voce tutti i Paesi.

 

Perché nessuno ipotizza di attaccare il Vaticano che non ha un esercito? Perché sconvolgerebbe il mondo intero

Non facciamoci ingannare. È del tutto legittimo, per esempio, riunire il G7 per confrontarsi fra amici, ma non è affatto accettabile che sette Paesi definiscano le regole dell’economia mondiale. A maggior ragion se escludono la prima economia mondiale: la Cina.

 

 

Il Diritto e le regole

L’idea di una regolamentazione giuridica delle relazioni internazionali è stata sollecitata dallo zar Nicola II, che nel 1899 convocò all’Aia (Olanda) la Conferenza Internazionale per la Pace. In quell’occasione i repubblicani radicali francesi, guidati dal futuro premio Nobel per la pace Léon Bourgeois, gettarono le basi del Diritto internazionale.

 

Sono ammissibili soltanto principi collettivamente adottati, mai quelli imposti dai più forti. Principi che devono riflettere le differenze dell’umanità. Il Diritto internazionale nacque perciò grazie a zaristi e repubblicani, ossia russi e francesi

L’idea ispiratrice è semplice: sono ammissibili soltanto principi collettivamente adottati, mai quelli imposti dai più forti. Principi che devono riflettere le differenze dell’umanità. Il Diritto internazionale nacque perciò grazie a zaristi e repubblicani, ossia russi e francesi.

 

Un’idea corrotta con l’istituzione dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord − autoproclamatosi «unico centro decisionale legittimo» − e poi del Patto di Varsavia. Queste due alleanze − la NATO sin dalla nascita, il Patto dalla dottrina Breznev − non erano che «arrangiamenti di difesa collettiva, destinati a servire gli interessi particolari delle grandi potenze», che in questo senso contravvengono formalmente alla Carta dell’ONU. Per questa ragione, nella Conferenza di Bandung del 1955, i Paesi non-allineati a ribadirono i principi dell’Aia.

 

Una dissidenza che si ripresenta oggi, ma in senso inverso. Non c’è infatti un nuovo movimento che voglia sottrarsi alla Guerra Fredda, ma ci sono gli Occidentali che vogliono farvi ritorno, stavolta contro Russia e Cina.

 

In tutti i comunicati finali, i vertici delle potenze occidentali fanno sistematicamente riferimento, non più al Diritto Internazionale, ma a «regole» che però non esplicitano. Regole contrarie al Diritto, promulgate a posteriori secondo la convenienza degli Occidentali, che s’ispirano al «multilateralismo efficace», ossia alla violazione, di fatto, dei principi democratici dell’ONU.

Non c’è infatti un nuovo movimento che voglia sottrarsi alla Guerra Fredda, ma ci sono gli Occidentali che vogliono farvi ritorno, stavolta contro Russia e Cina

 

Infatti, mentre il Diritto Internazionale riconosce il diritto dei popoli a disporre di sé stessi, gli Occidentali hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, imposta senza referendum e in violazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza; non hanno invece riconosciuto l’indipendenza della Crimea, benché approvata con referendum. Le regole occidentali sono «Diritto à la carte».

 

Gli Occidentali pretendono che ogni Pase rispetti l’uguaglianza dei propri cittadini di fronte alla legge, ma si oppongono ferocemente all’uguaglianza tra Stati.

 

 

Gli Occidentali pretendono che ogni Pase rispetti l’uguaglianza dei propri cittadini di fronte alla legge, ma si oppongono ferocemente all’uguaglianza tra Stati.

Imperialismo o patriottismo

Gli Occidentali − autoproclamati «campo della democrazia liberale» e «comunità internazionale», − accusano tutti quelli che fanno resistenza di essere «nazionalisti autoritari».

 

Ne conseguono distinguo artificiali e amalgama grotteschi, al solo scopo di legittimare l’imperialismo. Perché opporre democrazia a nazionalismo, dal momento che la democrazia può esistere solo in ambito nazionale? E perché associare nazionalismo ad autoritarismo? Solo per screditare le nazioni.

 

Nessuno dei grandi uomini politici citati era statunitense o pecorone. È innanzitutto qui che sta la chiave.

Perché opporre democrazia a nazionalismo, dal momento che la democrazia può esistere solo in ambito nazionale? E perché associare nazionalismo ad autoritarismo? Solo per screditare le nazioni

 

 

Thierry Meyssan

 

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

Immagine di Richard Mortel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0). Immagine modificata.

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Geopolitica

Trump non esclude il taglio degli aiuti a Israele, attacca Netanyahu e rivela dettagli sull’assassinio di Soleimani

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L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha rifiutato di escludere il ritiro degli aiuti militari a Israele per forzare la fine della guerra a Gaza se verrà rieletto. Un tempo strenuo difensore del primo ministro Benjamin Netanyahu, Trump ha sostenuto che il leader israeliano e il suo esercito hanno «pasticciato» la guerra con Hamas.

 

In un’intervista con la rivista Time pubblicata questa settimana, il candidato alla Casa Bianca ha confermato la sua insistenza del mese scorso sul fatto che Israele dovrebbe «porre fine alla guerra» prima di perdere ulteriore sostegno internazionale.

 

«Penso che Israele abbia fatto molto male una cosa: le pubbliche relazioni», ha detto Trump al quotidiano, aggiungendo che secondo lui l’esercito israeliano non dovrebbe «inviare ogni notte immagini di edifici che crollano e vengono bombardati».

 

Alla domanda se escluderebbe di negare o applicare condizioni agli aiuti militari statunitensi a Israele per portare la guerra a una conclusione, Trump ha risposto «no», prima di lanciarsi in una feroce critica a Netanyahu.

 

«Ho avuto una brutta esperienza con Bibi», ha detto, riferendosi a Netanyahu con il suo soprannome. Trump ha ricordato come Netanyahu avrebbe promesso di prendere parte all’attacco aereo statunitense che ha ucciso il comandante militare iraniano Qassem Soleimani nel gennaio 2020, prima di ritirarsi all’ultimo minuto.

 

«È stato qualcosa che non ho mai dimenticato», ha detto Trump al Time, aggiungendo che l’incidente «mi ha mostrato qualcosa».

 

Come riportato da Renovatio 21, secondo rivelazioni dello scorso anno dell’ex capo dell’Intelligence israeliana, sarebbe stato lo Stato Ebraico a convincere la Casa Bianca ad uccidere il generale iraniano.

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Netanayhu, ha detto The Donald, «è stato giustamente criticato per ciò che è accaduto il 7 ottobre», riferendosi all’attacco di Hamas contro Israele. «E penso che abbia avuto un profondo impatto su di lui, nonostante tutto. Perché la gente diceva che non sarebbe dovuto succedere».

 

Israele ha, proseguito «le attrezzature più sofisticate», ha continuato. «Tutto era lì per fermarlo. E molte persone lo sapevano, migliaia e migliaia di persone lo sapevano, ma Israele non lo sapeva, e penso che sia stato fortemente incolpato per questo».

 

Trump non è la prima persona ad affermare che l’esercito e il governo israeliani non hanno risposto agli avvertimenti di un imminente attacco di Hamas. Secondo quanto riportato dai media israeliani, diversi membri del personale militare e dell’Intelligence hanno cercato di avvertire i loro superiori che era in corso un attacco, mentre i funzionari egiziani hanno riferito all’Associated Press di aver trasmesso avvertimenti alle loro controparti israeliane nelle settimane precedenti il ​​7 ottobre.

 

Trump è stato uno stretto alleato di Netanyahu durante il suo mandato alla Casa Bianca e si è descritto come «il presidente degli Stati Uniti più filo-israeliano della storia». Ha imposto sanzioni all’Iran su richiesta di Netanyahu, ha spostato l’ambasciata americana in Israele a Gerusalemme ovest e ha mediato gli accordi di Abramo, che hanno visto Israele normalizzare le relazioni con il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti, il Marocco e il Sudan.

 

Alla domanda se potrebbe lavorare meglio con il principale rivale politico di Netanyahu, Benny Gantz, se dovesse tornare alla Casa Bianca dopo le elezioni presidenziali di novembre, Trump non ha dato una risposta diretta. Tuttavia, ha osservato che «Gantz è bravo» e che ci sono «alcune persone molto brave che ho conosciuto in Israele che potrebbero fare un buon lavoro».

 

Benjamin Netanyahu è stato sostenuto negli anni dalla famiglia del genero di Trump Jared Kushner, il cui padre – controverso immobiliarista ebreo ortodosso finito in galera per una squallida storia di ricatti perfino a famigliari – era uno dei primi finanziatori di Bibi, il quale, si dice, quando era a Nuova York dormisse nella cameretta del Jared.

 

Il personaggio si è fatto notare di recente per aver detto che «è un peccato» che l’Europa non accolta più profughi palestinesi in fuga da Gaza, per poi fare dichiarazioni entusiastiche sul valore delle proprietà immobiliari future sul lungomare della Striscia.

 

Il Jared – che è sospettato da molti di essere una «talpa» contro Donald, perfino nel caso del raid FBI a Mar-a-Lago – e la moglie, l’adorata figlia di Trump Ivanka, sarebbero stati lasciati fuori dalla nuova campagna per esplicita richiesta dell’ex presidente.

 

Trump, in uno degli ultimissimi atti della sua presidenza, diede la grazia al traditore (e spia israeliana) Jonathan Pollard, analista dell’Intelligence USA artefice di una delle più grandi falla di segreti militari della storia degli apparati statunitensi.

 

Nei primi giorni del 2021, agli sgoccioli della presenza di Trump alla Casa Bianca, Pollard arrivò in Israele, dove lo attendevano ali di folla a festeggiarlo come un eroe (per aver tradito il loro principale alleato: incomprensibile fino al grottesco, a pensarci), tramite un jet privato messo a disposizione dal controverso magnate dei casino di Las Vegas – e finanziatore di quasi tutto il Partito Repubblicano USA come del Likud israeliano – Sheldon Adelson, morto poche ore dopo.

 

Come riportato da Renovatio 21, Trump il mese scorso ha dichiarato che il comportamento di Israele a Gaza ha causato un danno enorme alla percezione dello Stato ebraico nel mondo, mettendoli «nei guai» e incoraggiando l’antisemitismo.

 

Attacchi pubblici di Trump a Netanyahu si sono registrati già a fine 2021, mossa che gli valse uno screzio con i fondamentalisti protestanti americani, cioè i cristiano-sionisti che sostengono Israele per la profezia apocalittica secondo cui gli ebrei, ricostruendo il Terzo Tempio, genereranno il loro messia che sarà l’anticristo dei cristiani, accelerando la venuta di Cristo.

 

Tale teologia escatologica è in azione anche in questi giorni, come visibile nel caso della giovenca rossa, e di altri animali da sacrificio che hanno tentato di trafugare sul Monte del Tempio di Gerusalemme.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Geopolitica

Israele colpisce ancora in Siria

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Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno colpito un edificio utilizzato dalle forze di sicurezza siriane fuori Damasco, ha riferito Reuters giovedì sera, citando una fonte della sicurezza allineata con il governo siriano.   L’agenzia di stampa statale siriana SANA ha citato una propria fonte di sicurezza che ha affermato che otto soldati sono stati uccisi. Ha segnalato “danni materiali” a terra, senza specificare l’obiettivo. Secondo SANA, i missili sono stati lanciati dalle alture di Golan occupate da Israele.   Le autorità israeliane non si sono ancora pronunciate sulla questione. Gerusalemme Ovest raramente ha riconosciuto gli attacchi al di fuori del suo territorio.    

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L’attacco segnalato ha avuto luogo nel contesto delle continue tensioni tra Israele e Iran, nonché della guerra di Israele con Hamas a Gaza, che entrerà nel suo settimo mese la prossima settimana. Israele ha accusato l’Iran di armare e guidare Hamas e le milizie filo-palestinesi con sede in Siria, Iraq e Libano. Teheran, tuttavia, sostiene che Hamas e i gruppi allineati agiscono in modo indipendente.   Il 1° aprile, Israele aveva bombardato un complesso diplomatico iraniano a Damasco, uccidendo diversi ufficiali militari, tra cui due generali del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica.   Poco più di una settimana dopo, l’Iran ha risposto con una raffica di droni e missili lanciati contro Israele. Secondo l’IDF, la maggior parte dei proiettili sono stati intercettati e l’attacco non ha causato vittime.   Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi due anni oltre a Damasco (bombardata anche in raid diurni) gli aeroporti della capitale e di Aleppo sono ripetutamente colpiti. Nel 2022, la Russia, che ha truppe presenti sul territorio siriano, dopo l’ennesimo raid emise una rara, molto inusuale condanna pubblica degli attacchi israeliani all’aviosuperficie della capitale.   È emerso negli scorsi giorni che le forze armate israeliane utilizzerebbero l’Intelligenza Artificiale negli attacchi aerei.

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Immagine di Clemens Vasters via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Geopolitica

Ancora botte dentro e fuori il Parlamento della Georgia. Ma la legge sugli «agenti stranieri» passa

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Mercoledì i deputati georgiani si sono scontrati in parlamento in vista della sessione plenaria in cui verrà deciso il destino di un controverso disegno di legge sugli «agenti stranieri» che ha scatenato violente proteste.

 

La legislazione, ufficialmente nota come disegno di legge «Sulla trasparenza dell’influenza straniera», è una nuova versione di un disegno di legge simile proposto lo scorso anno dal partito al potere K’art’uli Ots’neba, «Sogno Georgiano», che richiede alle organizzazioni e agli individui con più del 20% di finanziamenti esteri di registrarsi come «agenti stranieri» e rivelare i propri donatori.

 

Il disegno di legge è stato ripresentato in parlamento con piccole modifiche all’inizio del mese scorso, e da allora è stato approvato in due letture. L’opposizione considera la legislazione autoritaria e si oppone fermamente ad essa.

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Mercoledì un video pubblicato online dalla deputata dell’opposizione Salome Samadashvili mostrava diversi suoi colleghi che si afferravano e urlavano nella sala conferenze principale del parlamento. Non è chiaro cosa si sia detto esattamente durante l’alterco, ma si può sentire una voce che grida «istigatore!», secondo quanto riportato da RT.

 

La stessa Samadashvili non sembra aver preso parte all’alterco ma, secondo quanto riportato dai media, le è stato successivamente chiesto di lasciare la sessione plenaria.

 


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Si tratta del secondo incidente questa settimana in cui le discussioni parlamentari sulla nuova legislazione sono diventate violente. Lunedì la deputata dell’opposizione Khatia Dekanoidze ha colpito con una bottiglia d’acqua Guram Macharashvili, un deputato del partito al governo.

 

Due settimane prima, in un’altra sessione dedicata al disegno di legge era scoppiata una rissa dopo che il deputato dell’opposizione Aleko Elisashvili aveva dato un pugno in faccia a Mamuka Mdinaradze, un forte sostenitore della legislazione.

 

La proposta di legge ha scatenato proteste di massa anche fuori dal parlamento. I filmati girati negli ultimi giorni mostrano manifestanti dell’opposizione che si scontrano con agenti di polizia, che vengono visti usare spray al peperoncino, gas lacrimogeni e idranti per disperdere la folla.

 

Gli stati occidentali, inclusi Stati Uniti e Unione Europea, hanno criticato la proposta di legge, sostenendo che complicherebbe il lavoro di molte ONG straniere nel paese. Bruxelles ha persino avvertito la Georgia, alla quale è stato recentemente concesso lo status di candidata all’UE, che l’adozione della legislazione potrebbe mettere a repentaglio la candidatura del paese all’adesione.

 

Tuttavia, la scorsa settimana il primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze ha insistito sul fatto che il disegno di legge è una «condizione necessaria per andare avanti» nel percorso verso l’adesione all’UE perché renderebbe la Georgia più trasparente.

 

Ieri il Parlamento georgiano ha approvato la seconda lettura del disegno di legge. Il ministero della Sanità georgiano, in un bollettino citato dai media georgiani, ha detto che 11 persone, tra cui sei agenti di polizia, hanno ricevuto cure ospedaliere dopo gli scontri seguiti all’approvazione del disegno di legge.

 


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Il vice ministro dell’Interno Aleksandre Darakhvelidze, citato dai media georgiani, ha affermato che i manifestanti hanno tentato di entrare in parlamento utilizzando vari oggetti e hanno attaccato i poliziotti. Darakhvelidze ha detto che l’azione della polizia martedì ha provocato 63 arresti e il ferimento di sei agenti di polizia.

 

La Georgia ad inizio degli anni 2000 è stata teatro di una «rivoluzione colorata», la cosiddetta «rivoluzione delle rose», guidata da Mikheil Saakashvili, personaggio politico ora in carcere, dopo essere fuggito in Ucraina dove il presidente Poroshenko lo aveva fatto governatore dell‘oblast’ di Odessa.

 

Secondo quanto riportato, all’epoca l’Open Society Institute (OSI), finanziato da George Soros, sosteneva Mikheil Saakashvili e una rete di organizzazioni filo-democratiche. L’OSI ha inoltre pagato un certo numero di studenti attivisti affinché andassero in Serbia e imparassero dai serbi che avevano contribuito a rovesciare Slobodan Milosevic nel 2000.I promotori della democrazia occidentale hanno anche diffuso sondaggi di opinione pubblica e analizzato i dati elettorali in tutta la Georgia.

 

Una significativa fonte di finanziamento per la Rivoluzione delle Rose fu quindi la rete di fondazioni e ONG associate al finanziere miliardario ungherese-americano George Soros. La Fondazione per la Difesa delle Democrazie riporta il caso di un ex parlamentare georgiano che ha sostenuto che nei tre mesi precedenti la Rivoluzione delle Rose, «Soros ha speso 42 milioni di dollari per rovesciare Shevardnadze».

 

«Queste istituzioni sono state la culla della democratizzazione, in particolare la Fondazione Soros… tutte le ONG che gravitano attorno alla Fondazione Soros hanno innegabilmente portato avanti la rivoluzione. Tuttavia, non si può concludere la propria analisi solo con la rivoluzione e si vede chiaramente che, in seguito, la Fondazione Soros e le ONG sono state integrate al potere» ha dichiarato alla rivista dell’Istituto Francese per la Geopolitica Herodote l’ex ministro degli Esteri Salomé Zourabichvili, ora presidente della Georgia.

 

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Immagine screenshot da Twitter

 

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