Da due decenni il Pentagono applica al «Medio Oriente Allargato» la dottrina Rumsfeld/Cebrowski. Ha più volte valutato se estenderla al «Bacino dei Caraibi», ma vi ha sempre rinunciato, concentrandosi sul primo obiettivo. Il Pentagono agisce come centro decisionale autonomo che di fatto sfugge al potere del presidente. È un’amministrazione civile-militare che impone i suoi obiettivi agli altri settori militari.
Geopolitica
La dottrina Rumsfeld/Cebrowski
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21
Le cose si chiarirono solo nel 2005, quando il colonnello Ralph Peters pubblicò la famosa carta del Consiglio dei capi di stato-maggiore: la carta del «rimodellamento» del Medio Oriente Allargato
A marzo 2002, nel libro L’incredibile menzogna (1) (2) scrivevo che gli attentati dell’11 Settembre avevano l’obiettivo di far accettare agli statunitensi:
- all’interno, un sistema di sorveglianza di massa (il Patriot Act);
- all’estero, la ripresa della politica imperiale, su cui all’epoca non esistevano documenti.
Le cose si chiarirono solo nel 2005, quando il colonnello Ralph Peters − allora commentatore di Fox News − pubblicò la famosa carta del Consiglio dei capi di stato-maggiore: la carta del «rimodellamento» del Medio Oriente Allargato (3). Fu uno choc per tutte le cancellerie: il Pentagono prevedeva di ridisegnare le frontiere ereditate dalla colonizzazione franco-britannica (gli Accordi di Sykes-Picot-Sazonov del 1916) senza riguardo verso alcuno Stato, nemico o alleato che fosse.
Fu uno choc per tutte le cancellerie: il Pentagono prevedeva di ridisegnare le frontiere ereditate dalla colonizzazione franco-britannica (gli Accordi di Sykes-Picot-Sazonov del 1916) senza riguardo verso alcuno Stato, nemico o alleato che fosse
Da allora ogni Stato della regione cercò con ogni mezzo di evitare che la tempesta si abbattesse sulla propria popolazione. Invece di allearsi con i Paesi limitrofi per fronteggiare il comune nemico, ogni Paese tentò di spostare le grinfie del Pentagono sui vicini. Il caso più emblematico fu la Turchia, che più volte cambiò di spalla al fucile, dando di sé la fuorviante immagine di cane impazzito.
La carta rivelata dal colonnello Peters − che detestava il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld − non permetteva di cogliere l’insieme del progetto. Subito dopo gli attentati dell’11 Settembre, Peters pubblicò un articolo sulla rivista dell’esercito USA, Parameters (4), ove alludeva alla mappa − che tuttavia pubblicherà quattro anni più tardi − facendo intendere che il Comitato dei capi di stato-maggiore s’apprestava a realizzarla per mezzo di crimini atroci, che avrebbe appaltato per non sporcarsi le mani. Sul momento si pensò a eserciti privati, ma la storia dimostrò che nemmeno questi potevano imbarcarsi in crimini contro l’umanità.
Peters pubblicò un articolo sulla rivista dell’esercito USA, Parameters (4), ove alludeva alla mappa − che tuttavia pubblicherà quattro anni più tardi − facendo intendere che il Comitato dei capi di stato-maggiore s’apprestava a realizzarla per mezzo di crimini atroci, che avrebbe appaltato per non sporcarsi le mani. Sul momento si pensò a eserciti privati
La chiave di volta del progetto era nell’Ufficio di Trasformazione della Forza (Office of Force Transformation) del Pentagono, creato da Rumsfeld nel periodo successivo all’11 Settembre. Lo dirigeva l’ammiraglio Arthur Cebrowski, celebre stratega, ideatore dell’informatizzazione delle forze armate (5). Si pensò che questo nuovo Ufficio fosse uno strumento per portare a compimento il progetto, benché nessuno più contestasse la riorganizzazione. Ebbene no, Cebrowski era lì per trasformare la missione delle forze armate USA, come attestano alcune registrazioni delle conferenze da lui tenute nelle accademie militari.
Per tre anni Cebrowski tenne lezioni a tutti gli ufficiali superiori USA, dunque a tutti coloro che oggi sono generali.
L’insegnamento impartito da Cebrowski nelle accademie militari era piuttosto semplice: l’economia mondiale si stava globalizzando; per rimanere la prima potenza mondiale, gli Stati Uniti dovevano adattarsi al capitalismo finanziario
L’insegnamento impartito da Cebrowski nelle accademie militari era piuttosto semplice: l’economia mondiale si stava globalizzando; per rimanere la prima potenza mondiale, gli Stati Uniti dovevano adattarsi al capitalismo finanziario.
Il mezzo migliore era garantire ai Paesi sviluppati lo sfruttamento delle risorse naturali dei Paesi poveri, senza dover affrontare ostacoli politici. Partendo da questo presupposto, divise il mondo in due: da un lato le economie globalizzate (incluse Russia e Cina), destinate a essere mercati stabili e, dall’altro, i Paesi rimanenti, che avrebbero dovuto essere privati delle strutture statali e fatti precipitare nel caos, in modo che le multinazionali potessero sfruttarne le ricchezze senza incontrare resistenze. Per conseguire il risultato, i popoli non-globalizzati devono essere divisi secondo criteri etnici e manovrati ideologicamente.
Il primo obiettivo avrebbe dovuto essere la zona arabo-mussulmana che si estende dal Marocco al Pakistan, a eccezione di Israele, nonché di due micro-Stati contermini, la Giordania e il Libano; questi tre Stati avrebbero dovuto far da barriera alla propagazione dell’incendio. È la zona che il Pentagono ha denominato Medio Oriente Allargato. Una zona definita non in funzione delle riserve petrolifere, bensì dei comuni elementi culturali degli abitanti.
Il mezzo migliore era garantire ai Paesi sviluppati lo sfruttamento delle risorse naturali dei Paesi poveri, senza dover affrontare ostacoli politici. Partendo da questo presupposto, divise il mondo in due: da un lato le economie globalizzate (incluse Russia e Cina), destinate a essere mercati stabili e, dall’altro, i Paesi rimanenti, che avrebbero dovuto essere privati delle strutture statali e fatti precipitare nel caos, in modo che le multinazionali potessero sfruttarne le ricchezze senza incontrare resistenze
La guerra immaginata dall’ammiraglio Cebrowski avrebbe dovuto riguardare in prima battuta l’intera regione. Non si dovevano più fare i conti con le divisioni della guerra fredda. Ormai gli Stati Uniti non avevano più gli amici o i nemici di un tempo. Non era più l’ideologia (i comunisti) o la religione (scontro di civiltà) che identificava i nemici, ma solo la loro non-integrazione nell’economia globalizzata del capitalismo finanziario. Niente poteva più proteggere coloro che avevano la sfortuna di non essere pecoroni, ossia di essere indipendenti.
Questa guerra non doveva ottenere lo sfruttamento delle risorse naturali soltanto per gli Stati Uniti − com’era accaduto nelle guerre precedenti − ma per tutti gli Stati globalizzati. Del resto, gli Stati Uniti non erano più prioritariamente interessati all’appropriazione delle risorse naturali; volevano soprattutto dividere il lavoro su scala planetaria e fare lavorare gli altri per loro.
Ciò comportava cambiamenti tattici nel modo di condurre la guerra, visto che non si trattava, come in precedenza, di ottenere la vittoria, ma di portare avanti una «guerra senza fine», secondo l’espressione del presidente George W. Bush. In effetti, le guerre iniziate dopo l’11 Settembre su cinque fronti sono tutt’ora in corso: in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Yemen.
Poco importa che i governi alleati interpretino queste guerre come vuole la propaganda statunitense; la realtà è che non sono guerre civili, ma tappe di un piano prefissato del Pentagono.
La «dottrina Cebrowski» causò uno scossone nelle forze armate USA. L’assistente di Cebrowski, Thomas Barnett, fece un articolo per Esquire Magazine (5) e in seguito pubblicò un libro per meglio illustrare al grande pubblico la sua teoria: La Nuova carta del Pentagono (6).
Per conseguire il risultato, i popoli non-globalizzati devono essere divisi secondo criteri etnici e manovrati ideologicamente
Il fatto che nel libro, pubblicato dopo la morte dell’ammiraglio Cebrowski, Barnett si sia attribuito la paternità della dottrina non deve trarre in inganno. È solo un mezzo del Pentagono per disconoscerne la paternità. Lo stesso accadde, per esempio, con lo «scontro di civiltà». All’inizio si trattava della «dottrina Lewis», uno stratagemma comunicativo studiato all’interno del Consiglio di Sicurezza Nazionale per vendere nuove guerre all’opinione pubblica. La dottrina fu poi esposta al grande pubblico dall’assistente di Bernard Lewis, Samuel Huntington, che la presentò come dissertazione universitaria su una realtà ineluttabile.
Non era più l’ideologia (i comunisti) o la religione (scontro di civiltà) che identificava i nemici, ma solo la loro non-integrazione nell’economia globalizzata del capitalismo finanziario
L’attuazione della dottrina Rumsfeld/Cebrowski è incorsa in innumerevoli disavventure, alcune esito dell’azione del Pentagono stesso, altre per merito dei popoli che il Pentagono voleva annientare.
Così le dimissioni del comandante del Central Command, ammiraglio William Fallon, furono orchestrate per punirlo, perché aveva negoziato di propria iniziativa una pace ragionata con l’Iran di Mahmud Ahmadinejad. Furono provocate da… Barnett stesso, con la pubblicazione di un articolo in cui accusava Fallon di discorsi ingiuriosi nei confronti del presidente Bush.
Oppure il fallimento della disorganizzazione della Siria, imputabile al popolo siriano e all’entrata in gioco dell’esercito russo. Il Pentagono è arrivato a incendiare i raccolti e a organizzare un embargo per affamare il Paese: azioni di ritorsione che ne dimostrano l’incapacità di distruggere le strutture statali siriane.
Durante la campagna elettorale, Donald Trump si era schierato contro la guerra senza fine e per il rientro dei GI’s in patria. Durante il mandato è riuscito a evitare di aprire nuovi fronti e a rimpatriare qualche soldato, ma non è riuscito a domare il Pentagono
Durante la campagna elettorale, Donald Trump si era schierato contro la guerra senza fine e per il rientro dei GI’s in patria. Durante il mandato è riuscito a evitare di aprire nuovi fronti e a rimpatriare qualche soldato, ma non è riuscito a domare il Pentagono. Quest’ultimo ha ampliato le Forze speciali senza «semiclandestine» ed è riuscito a distruggere lo Stato libanese senza far ricorso a uomini in uniforme. È la stessa strategia che sta mettendo in atto anche in Israele, ove organizza pogrom anti-arabi e anti-ebrei sfruttando lo scontro fra Hamas e Israele.
Il Pentagono ha più volte tentato di allargare la «dottrina Rumsfeld/Cebrowski» al Bacino dei Caraibi. Ha pianificato il rovesciamento, non già del regime di Nicolás Maduro, bensì della Repubblica bolivariana del Venezuela, ma è stato costretto alla fine a rinviarlo.
Si deve prendere atto che il Pentagono è diventato un potere autonomo. Dispone di un budget annuale gigantesco, quasi il doppio di quello dell’intero Stato francese (escluse collettività territoriali e sicurezza sociale).
In pratica, il suo potere si estende ben al di là degli Stati Uniti, dal momento che controlla l’insieme degli Stati membri dell’Alleanza Atlantica. Dovrebbe rendere conto della propria attività al presidente degli Stati Uniti, ma le esperienze dei presidenti Barack Obama e Donald Trump dimostrano il contrario. Il primo non è riuscito a imporre al generale John Allen la propria politica nei confronti di Daesh, il secondo si è lasciato trarre in inganno dal Central Command. Niente fa supporre che andrà diversamente con il presidente Joe Biden.
Il Pentagono ha più volte tentato di allargare la «dottrina Rumsfeld/Cebrowski» al Bacino dei Caraibi. Ha pianificato il rovesciamento, non già del regime di Nicolás Maduro, bensì della Repubblica bolivariana del Venezuela, ma è stato costretto alla fine a rinviarlo
La recente lettera aperta di ex generali USA (7) dimostra che più nessuno sa chi dirige le forze armate USA. Quel che conta non è la loro analisi politica − degna della guerra fredda − che non inficia la loro presa d’atto: amministrazione federale e generali non sono sulla stessa lunghezza d’onda.
Le analisi di William Arkin, pubblicate sullo Wasghington Post, hanno dimostrato che, dopo gli attentati dell’11 Settembre, lo Stato federale ha organizzato una nebulosa di agenzie, sottoposte alla supervisione del dipartimento per la Sicurezza della Patria (8).
Nel segreto più assoluto, esse intercettano e archiviano le comunicazioni di tutte le persone che vivono negli Stati Uniti. Arkin ha ora rivelato su Newsweek che il Dipartimento della Difesa ha creato forze speciali segrete, distinte da quelle in uniforme (9). Sono queste ad avere in carico la dottrina Rumsfeld/Cebrowski, quali che siano l’inquilino della Casa Bianca e la sua politica estera.
Si deve prendere atto che il Pentagono è diventato un potere autonomo. Dispone di un budget annuale gigantesco, quasi il doppio di quello dell’intero Stato francese
Quando nel 2001 il Pentagono attaccò l’Afghanistan e poi l’Iraq ricorse alle proprie forze armate classiche − non ne aveva altre a disposizione− e a quelle dell’alleato britannico.
Durante la «guerra senza fine» in Iraq, ha però costituito forze jihadiste irachene − sunnite e sciite − per far precipitare il Paese nella guerra civile (10). Una di queste forze, costola di Al Qaeda, fu utilizzata in Libia nel 2011; un’altra in Iraq nel 2014, sotto il nome di Daesh. Questi gruppi si sono progressivamente sostituiti alle forze armate USA per fare il lavoro sporco di cui parlava il colonnello Ralph Peters nel 2001.
Oggi nessuno vede soldati USA in uniforme in Yemen, Libano o Israele. Lo stesso Pentagono s’è fatto vanto del loro ritiro. In realtà, 60 mila uomini delle Forze speciali USA clandestine, ossia senza uniforme, attraverso la guerra civile seminano caos in questi Paesi.
La recente lettera aperta di ex generali USA (7) dimostra che più nessuno sa chi dirige le forze armate USA
Thierry Meyssan
NOTE
1) L’incredibile menzogna. Nessun aereo è caduto sul Pentagono, Thierry Meyssan, Fandango (2002).
2) Diversamente da quanto generalmente si crede, questo libro non riguarda gli attentati dell’11 Settembre. Soltanto la prima parte («Sanguinosa messinscena») dimostra l’impossibilità materiale della versione dominante. Le due parti successive riguardano la politica di controllo di massa («Morte della democrazia in America») e sul progetto imperiale futuro («L’impero attacca»)
3) «Blood borders. How a better Middle East would look», Ralph Peters, Armed Forces Journal, 1 giugno, 2006.
4) «Stability. America’s ennemy», Ralph Peters, Parameters, #31-4, Inverno 2001.
5) Transforming Military Force. The Legacy of Arthur Cebrowski and Network Centric Warfare, James R. Blaker, Praeger Security International (2007).
6) The Pentagon’s New Map: War and Peace in the Twenty-first Century, Thomas P. M. Barnett, Paw Prints (2004).
7) «Open Letter from Retired Generals and Admirals», Voltaire Network, 9 maggio 2021.
8) Top Secret America: The Rise of the New American Security State, William M. Arkin & Dana Priest, Back Bay Books (2012).
9) «Exclusive: Inside the Military’s Secret Undercover Army», William M. Arkin, Newsweek, May 17, 2021.
10) Sotto i nostri occhi, Capitolo «La fusione dei due Gladio e la preparazione di Daesh», Thierry Meyssan, edizioni La Vela (2018).
Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND
Fonte: «La dottrina Rumsfeld/Cebrowski», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 25maggio 2021
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Geopolitica
Partita l’operazione dell’esercito israeliano a Rafah. Video atroci emergono dalla zona
L’esercito di Israele hanno lanciato un’operazione antiterrorismo mirata nella parte orientale della città di Rafah, a Gaza, hanno detto martedì le Forze di difesa israeliane (IDF).
Le truppe dell’IDF hanno preso il controllo operativo del lato di Gaza del valico di frontiera di Rafah, l’unico punto di passaggio tra l’Egitto e la Striscia di Gaza. Sia le truppe di terra dell’IDF che gli aerei da combattimento dell’IAF hanno effettuato attacchi su obiettivi di Hamas nell’area di Rafah come parte dell’operazione.
«Nella notte, le truppe di terra dell’IDF hanno iniziato una precisa operazione antiterrorismo basata sull’intelligence dell’IDF e dell’ISA per eliminare i terroristi di Hamas e smantellare le infrastrutture terroristiche di Hamas in aree specifiche della parte orientale di Rafah» ha scritto l’IDF su Telegram.
🚨🇮🇱 ISRAEL just bombed another refugee camp in Rafah. pic.twitter.com/mD55S1x74x
— Jackson Hinkle 🇺🇸 (@jacksonhinklle) May 7, 2024
BREAKING: Israel is still intensely bombing Rafah right now, targeting residential homes and killing civilians.
Bodies of children are being found under the rubble.
Read that again.
Israel is not defending itself. Israel is committing genocide.pic.twitter.com/6LpSE4el8P
— sarah (@sahouraxo) May 7, 2024
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Prima di iniziare l’operazione, l’IDF aveva esortato i residenti nell’area orientale di Rafah a evacuare temporaneamente nell’area umanitaria di Al-Mawasi. Il luogo in questione è stato ampliato per ospitare più tende, ospedali da campo, tende e rifornito con ulteriori scorte di acqua, cibo e forniture mediche, scrive il sito governativo russo Sputnik.
Tutte le spedizioni di aiuti umanitari a Gaza dall’Egitto attraverso il valico di Rafah sono state sospese, ha riferito il quotidiano israeliano Haaretz .
Oltre un milione di civili palestinesi hanno cercato rifugio a Rafah, e rapporti indicano che quasi 100.000 persone potrebbero trovarsi nella zona in cui le forze di difesa israeliane hanno sollecitato l’evacuazione. Il governo dello Stato Ebraico è stata ripetutamente avvertito che un’operazione di terra scatenerebbe una catastrofe umanitaria a Rafah.
Nel frattempo, immagini semplicemente atroci stanno emergendo dalla zona degli attacchi.
Here’s what Israel did today in Rafah
This is what its road to “total victory” looks like pic.twitter.com/oRczIfzM7n
— Max Blumenthal (@MaxBlumenthal) May 7, 2024
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant aveva dichiarato domenica che le truppe israeliane si stavano preparando per un’offensiva di terra contro la città di Rafah, nel sud di Gaza, dopo aver accusato Hamas di respingere le proposte israeliane di cessate il fuoco.
«Vediamo segnali che Hamas non intende attuare alcun piano. Ciò rende chiaro che nel prossimo futuro inizieranno azioni intensive a Rafah e in altre zone della Striscia di Gaza», aveva detto Gallant alle truppe israeliane secondo il giornale Israel Hayom.
Ieri l’ufficio stampa del governo ha annunciato che il gabinetto di guerra israeliano ha deciso all’unanimità di continuare l’operazione a Rafah per fare pressione su Hamas sulla questione del rilascio degli ostaggi.
L’operazione a Rafah arriva dopo che il movimento palestinese Hamas ha accettato di rilasciare 33 ostaggi israeliani in cambio di un certo numero di prigionieri palestinesi come parte della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco, secondo un documento ottenuto da Sputnik.
Sabato la delegazione di Hamas era arrivata al Cairo per negoziare, attraverso i mediatori egiziani, un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio dei prigionieri.
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Il presidente dell’ufficio politico del movimento palestinese Hamas, Ismail Haniyeh, ha informato il primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani e Abbas Kamel, capo dell’intelligence egiziana, dell’accettazione di una proposta per raggiungere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, ha detto Hamas lunedì.
Tuttavia, l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato che la proposta di Hamas è «lontana dalle richieste essenziali di Israele», ma invierà i negoziatori a colloqui «per esaurire il potenziale per arrivare ad un accordo».
Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir ha minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non fosse entrato a Rafah.
«Il Primo Ministro ha ascoltato le parole, ha promesso che Israele entrerà a Rafah, ha promesso che la guerra non sarebbe finita e ha promesso che non ci sarebbero stati accordi dissoluti» ha dichiarato il ministro sionista il ministro sionista a seguito di un incontro chiesto ed ottenuto con il premier, avvenuto peraltro dopo un mostruoso incidente d’auto che ha coinvolto in Ben Gvir.
«Penso che il primo ministro capisca molto bene cosa significherebbe se queste cose non si verificassero», ha detto il ministro.
Il ritorno al potere Netanyahu è dovuto al boom del partito sionista Otzma Yehudit. Il ministro del patrimonio culturale Amichai Eliyahu, che appartiene al partito sionista, ha dichiarato la disponibilità di nuclearizzare la Striscia di Gaza.
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Geopolitica
Hamas accetta l’accordo di cessate il fuoco
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Geopolitica
Zelens’kyj: gli ucraini sono il popolo eletto di Dio. Mosca: «overdose di droga»
Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha proclamato che Dio è un «alleato» dell’Ucraina nel conflitto con la Russia. Mentre i cristiani ortodossi celebravano la Pasqua domenica, Zelens’kyj ha rilasciato un video discorso dalla cattedrale di Santa Sofia a Kiev, in cui accusava la Russia di «infrangere tutti i comandamenti». Lo riporta il sito governativo russo RT.
«Il mondo lo vede, Dio lo sa», ha detto. «E noi crediamo che Dio abbia sulla spalla un gallone con la bandiera ucraina. Quindi, con un simile alleato, la vita vincerà sicuramente sulla morte».
L’appello di Zelens’kyj ai cristiani è arrivato mentre il Parlamento ucraino esamina la legislazione che chiuderebbe la più grande chiesa cristiana del Paese, la Chiesa ortodossa ucraina (UOC). Mentre la legge è in parlamento da mesi, il governo di Zelens’kyj si è mosso per limitare l’attività della Chiesa dall’inizio del conflitto nel 2022.
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A stretto giro è arrivata anche la risposta di Mosca, che ha preso in giro ancora una volta il presidente ucraino.
Il presidente ucraino Zelens’kyj ha apparentemente perso il contatto con la realtà, ha suggerito la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, che ha ridicolizzato la dichiarazione, suggerendo che fosse il risultato di una «overdose di droga».
«Un gallone sulla manica di Dio è la stessa storia dei rituali degli antichi ucraini eseguiti da loro da qualche parte in Mesopotamia nel momento in cui scoprirono l’America», ha detto la portavoce, riferendosi apparentemente ad alcuni meme circolanti su internet che si fanno beffe delle narrazioni di Kiev sulle origini della nazione.
Le dichiarazioni di Zelenskyj sono arrivate nel contesto della continua ritirata dell’esercito ucraino nel Donbass, nel mezzo dell’offensiva russa in corso. Domenica scorsa, il ministero della Difesa russo ha confermato che le forze di Mosca avevano preso il controllo del villaggio di Ocheretino, nel nord della Repubblica popolare di Donetsk, un importante centro logistico per le truppe di Kiev.
Secondo l’agenzia di stampa TASS, il Servizio di sicurezza dell’Ucraina (SBU) ha aperto dozzine di procedimenti penali contro i sacerdoti della Chiesa ortodossa ucraina, ha sanzionato i religiosi e ha privato della cittadinanza ucraina almeno 19 vescovi. Le proprietà della chiesa sono state sequestrate e i monaci sono stati sfrattati dal monastero della Lavra di Kiev, il più importante sito ortodosso in Ucraina.
La Chiesa ortodossa ucraina (UOC) ha profondi legami storici con la Chiesa ortodossa russa (ROC), alla quale tuttavia la prima ha rinunciato dopo che la Russia ha lanciato la sua operazione militare in Ucraina nel febbraio 2022.
Nonostante abbia dichiarato l’autonomia dalla Chiesa ortodossa russa (ROC), lo Zelens’kyj ha accusato la Chiesa ortodossa ucraina di agire come un «agente di Mosca», e ha promosso la Chiesa Ortodossa dell’Ucraina (OCU) creata dal governo in sua sostituzione. Organizzazione non canonica, l’OCU è stata istituita dal governo del presidente Petro Poroshenko dopo il colpo di Stato di Maidan del 2014, sostenuto dagli Stati Uniti.
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All’inizio di quest’anno, un gruppo di avvocati ha scritto al primo ministro britannico Rishi Sunak, avvertendolo che la messa al bando della UOC potrebbe causare «gravi danni agli ucraini ortodossi» e avere «terribili conseguenze per l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea e il suo posto nel mondo occidentale».
Come riportato da Renovatio 21, Zelens’kyj a inizio anno aveva tolto la cittadinanza a sacerdoti dellaUOC. Vi era stato quindi un ordine di cacciata dalla cattedrale della Dormizione dell’Abbazia delle Grotte di Kiev proprio per il Natale ortodosso. Una tregua di Natale sul campo di battaglia proposta da Putin era stata sdegnosamente rifiutata da Kiev.
Il regime di Kiev si è spinto a vietare le preghiere in russo.
Il regime Zelens’kyj da mesi sostiene la repressione religiosa, annunciando nuove misure volte a vietare le istituzioni religiose ritenute avere legami con la Russia nel tentativo di salvaguardare «l’indipendenza spirituale» della nazione.
La repressione dalla chiesa ortodossa potrebbe essersi spostata a quella cattolica: come riporta Renovatio 21, un sacerdote greco-cattolico (cioè in comunione con il papa, ma di rito bizantino) della diocesi della città dell’Ucraina occidentale Uzhgorod è stato costretto a scusarsi dopo un’omelia in cui invocava il Signore per avere la pace tra il popolo russo e quello ucraino.
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Il credere che Dio sia schierato con il proprio Paese accomuna molte realtà nazionali coinvolte in qualche modo nella situazione. Gli americani hanno talvolta addotto il pensiero di essere «il Paese di Dio», e di qui quello che si chiama l’eccezionalismo americano, che se volete è il motivo per cui nessuno degli indagati americani per crimini commessi in Italia, dal Cermis a Meredith Kercher passando per gli stupri dei soldati USA nelle basi sul nostro territorio, passa il tempo qui in prigione.
Poi c’è Israele, che è una nazione messianica per definizione, lo Stato del popolo eletto, dove peraltro lo Zelens’kyj ha comperato casa per i genitori – il presidente ha notorie origini ebraiche – e dove andava a trovare spesse volte il suo mentore, l’oligarca ebreo-ucraino (con ulteriore passaporto cipriota) Igor Kolomojskij, ora caduto in disgrazia.
Nonostante il governo della Stella di David abbia talvolta rimbalzato lo Zelens’kyj, Israele è apertis verbis un modello di riferimento per Kiev, come Paese difeso e foraggiato ad oltranza dagli USA. Al contempo, come Paese monoetnico, è stato definito ideale anche dal battaglione Azov, i cui membri vi hanno compiuto viaggi «diplomatici».
Infine, un altro Paese, nel recente passato, anche quello amante di mostrine con rune e svastiche, diceva «Gott mit uns», «Dio è con noi». Di chi si tratterà mai? Chiedere a Giustino Trudeau, o a Marco Zuckerberg.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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