Economia
Peter Thiel avverte che Bitcoin «potrebbe essere un’arma finanziaria cinese contro gli Stati Uniti»
Peter Thiel è probabilmente il più acuto venture capitalist del pianeta. Già socio di Elon Musk in PayPal, già primo investitore in Facebook (mise 500 mila dollari, ne uscirono un miliardo), già fondatore della misteriosa azienda software di Intelligence Palantir, già supporter contro ogni pronostico di Donald Trump alle elezioni 2016 (ma non alle 2020… ci azzecca davvero sempre), vogliamo ricordare Thiel anche per essere stato allievo del filosofo del sacrificio Réné Girard.
Tre anni fa Thiel mise in guardo nei confronti della Cina e del suo uso dell’Intelligenza Artificiale:
«Dal punto di vista della Cina, a loro non piace che abbiamo questa valuta di riserva in quanto ci dà molta leva… come sulle catene di approvvigionamento del petrolio…»
«Storicamente, i regimi comunisti come l’Unione Sovietica e la Cina maoista hanno cercato di creare economie di comando altamente centralizzate, ha osservato Thiel. Un’intelligenza artificiale sufficientemente potente potrebbe realizzare il sogno del burocrate di prevedere con precisione la resa delle patate dei contadini con mesi di anticipo da migliaia di chilometri di distanza»
L’IA, spiegava Thiel, segue una tendenza di centralizzazione, mentre le criptovalute sono l’esatto opposto: rappresentano la decentralizzazione del processo.
Quindi, riassunse il giovane miliardario, «il Partito Comunista Cinese odia le criptovalute e ama l’IA».
«L’euro potrebbe forse essere visto come una potenziale arma cinese contro il dollaro… anche se l’ultimo decennio non ha funzionato in questo modo»
Ora pare aver cambiato idea.
«Dal punto di vista della Cina, a loro non piace che abbiamo questa valuta di riserva in quanto ci dà molta leva… come sulle catene di approvvigionamento del petrolio…» ha dichiarato Thiel in un incontro alla Nixon Foundation a cui partecipava anche l’ex Segretario di Stato Mike Pompeo.
«Non vogliono che i Reminbi diventino la valuta di riserva perché allora dovrebbero aprire il loro conto capitale» e quindi perderebbero l’importantissimo controllo centralizzato che hanno a cuore.
«L’euro potrebbe forse essere visto come una potenziale arma cinese contro il dollaro… anche se l’ultimo decennio non ha funzionato in questo modo… ma alla Cina potrebbe essere piaciuto vedere due valute di riserva e sfruttare l’euro».
Mi chiedo se a questo punto, Bitcoin dovrebbe anche essere considerato in parte come un’arma finanziaria cinese contro gli Stati Uniti»
“Even though I’m a pro-crypto, pro-Bitcoin maximalist person, I do wonder whether if at this point Bitcoin should also be thought of in part as a Chinese financial weapon against the U.S.” says @Paypal co-founder Peter Thiel.
More on cryptocurrencies from The #NixonSeminar: pic.twitter.com/sIUQTQEWgr
— Richard Nixon Foundation (@nixonfoundation) April 7, 2021
Quindi Thiel ha virato improvvisamente sul discorso criptovalute: «Mi chiedo se a questo punto, Bitcoin dovrebbe anche essere considerato in parte come un’arma finanziaria cinese contro gli Stati Uniti».
«Se il Bitcoin è un investimento a lungo termine della Cina, forse da una prospettiva geopolitica, gli Stati Uniti dovrebbero porre alcune domande più difficili su come funziona esattamente».
Thiel ha quindi dato il suo pensiero anche sulla moenta elettronica di Stato che starebbe preparando la Cina: «… non è una vera criptovaluta, è solo una sorta di dispositivo di misurazione totalitario».
«Se il Bitcoin è un investimento a lungo termine della Cina, forse da una prospettiva geopolitica, gli Stati Uniti dovrebbero porre alcune domande più difficili su come funziona esattamente».
Nel gennaio 2018 emerse che un fondo di Peter Thiel fece un investimento in criptovalute di proporzioni massive.
È notizia di questo mese che il suo ex socio Elon Musk abbia con Tesla investito 1,5 miliardi di dollari in Bitcoin e procedere a istituire un pagamento in criptovaluta per le automobili elettriche che produce.
Consigliamo ai lettori di Renovatio 21 il libro di Peter Thiel Da Zero a uno, che è denso di illuminazioni uniche sull’economia digitale, sulla Cina, e su tanti altri temi.
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Immagine di Heisenberg Media via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Economia
Le Filippine approvano una nuova criptovaluta per agevolare le rimesse dall’estero
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La Banca Centrale delle Filippine ha dato l’approvazione per il lancio di PHPC, una stablecoin agganciata al peso filippino in modo da ridurne la volatilità. La piattaforma Coins.ph punta a raggiungere tra i 20 e i 30mila utenti nel primo mese. Sono circa 10 milioni i lavoratori all’estero che con la nuova moneta digitale sperano di abbattere i costi di transazione.
Le Filippine hanno approvato l’emissione di un nuovo tipo di criptovaluta, una stablecoin (letteralmente: «moneta stabile») chiamata PHPC che sarà ancorata al peso filippino. Una risorsa che potrebbe abbattere i costi di transazione nell’invio delle rimesse da parte dei filippini che vivono all’estero.
A differenza delle criptovalute «tradizionali», infatti, il valore delle stablecoin è legato a quello di un asset di riserva stabile. In questo modo la volatilità è ridotta, o meglio, è più prevedibile e misurabile. (…)
Dopo aver ricevuto il via libera dalla Bangko Sentral ng Pilipinas – la Banca centrale – la principale piattaforma di blockchain del sud-est asiatico, Coins.ph, ha annunciato di essere pronta a emettere la criptovaluta PHPC entro l’inizio di giugno per provare a raggiungere, nel primo mese, dai 20 ai 30mila utenti.
Uno degli utilizzi principali per cui è stata pensata la nuova moneta digitale è l’invio di rimesse da parte dei filippini che vivono all’estero, pari a circa 10 milioni in tutto il mondo. Rispetto agli altri canali, come le banche o i cosiddetti «pera padala», enti finanziari locali, l’invio di rimesse tramite criptovalute è più economico e disponibile 24 ore su 24.
La diaspora filippina ha finora utilizzato le stablecoin agganciate al dollaro statunitense, dovendo quindi pagare una serie di tariffe per la conversione in pesos. Con la PHPC questi costi di transazione verrebbero eliminati: «il parente che riceve il denaro non dovrà più convertire i dollari in pesos», ha commentato Wei Zhou, amministratore delegato di Coins.ph, spiegando che da circa un anno il progetto era in discussione con la Banca centrale delle Filippine.
Zhou ha aggiunto che la nuova stablecoin delle Filippine verrà resa disponibile anche in altri exchange di criptovalute (le piattaforme online per il trading), in modo che diventi accessibili anche su altri mercati e permetta l’invio di rimesse da tutto il mondo.
«Si può immaginare che se la PHPC è quotata sui nostri exchange di criptovalute partner, ad esempio in Australia, o a Singapore, o negli Stati Uniti, allora i nostri familiari e possono acquistare la PHPC e inviarla direttamente ai portafogli di Coins.ph», ha commentato Zhou.
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Immagine di jopetsy via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Alimentazione
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Economia
La Turchia sospende ogni commercio con Israele
Il governo turco ha sospeso tutti gli scambi con Israele in risposta alla guerra di Gaza, ha dichiarato il Ministero del Commercio di Ankara in una dichiarazione pubblicata giovedì sui social media.
La Turchia è stato uno dei critici più feroci di Israele da quando è scoppiato il conflitto con Hamas in ottobre. La sospensione di tutte le operazioni di esportazione e importazione è stata introdotta in risposta all’«aggressione dello Stato ebraico contro la Palestina in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani», si legge nella dichiarazione.
Ankara attuerà rigorosamente le nuove misure finché Israele non consentirà un flusso ininterrotto e sufficiente di aiuti umanitari a Gaza, aggiunge il documento.
Israele è stato accusato dalle Nazioni Unite e dai gruppi per i diritti umani di ostacolare la consegna degli aiuti nell’enclave. I funzionari turchi si coordineranno con l’Autorità Palestinese per garantire che i palestinesi non siano colpiti dalla sospensione del commercio, ha affermato il ministero.
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La sospensione totale fa seguito alle restrizioni imposte il mese scorso da Ankara sulle esportazioni verso Israele di 54 categorie di prodotti tra cui materiali da costruzione, macchinari e vari prodotti chimici. La Turchia aveva precedentemente smesso di inviare a Israele qualsiasi merce che potesse essere utilizzata per scopi militari.
Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il governo turco ha imposto restrizioni alle esportazioni verso Israele per 54 categorie di prodotti.
In risposta alle ultime restrizioni, il ministero degli Esteri israeliano ha accusato la leadership turca di «ignorare gli accordi commerciali internazionali». Giovedì il ministro degli Esteri Israel Katz ha scritto su X che «bloccando i porti per le importazioni e le esportazioni israeliane», il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si stava comportando come un «dittatore». Israele cercherà di «creare alternative» per il commercio con la Turchia, concentrandosi sulla «produzione locale e sulle importazioni da altri Paesi», ha aggiunto il Katz.
.@RTErdogan is breaking agreements by blocking ports for Israeli imports and exports. This is how a dictator behaves, disregarding the interests of the Turkish people and businessmen, and ignoring international trade agreements. I have instructed the Director General of the…
— ישראל כ”ץ Israel Katz (@Israel_katz) May 2, 2024
Come riportato da Renovatio 21 il leader turco ha effettuato in questi mesi molteplici attacchi con «reductio ad Hitlerum» dei vertici israeliani, paragonando più volte il primo ministro Beniamino Netanyahu ad Adolfo Hitler e ha condannato l’operazione militare a Gaza, arrivando a dichiarare che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza, apostrofando il Netanyahu come «il macellaio di Gaza».
Il presidente lo scorso novembre aveva accusato lo Stato Ebraico di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UE) a Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».
Un ulteriore nodo arrivato al pettine di Erdogan è quello relativo alle bombe atomiche dello Stato Ebraico. Parlando ai giornalisti durante il suo volo di ritorno dalla Germania, il vertice dello Stato turco ha osservato che Israele è tra i pochi Paesi che non hanno aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968.
Il mese scorso Erdogan ha accusato lo Stato Ebraico di aver superato il leader nazista uccidendo 14.000 bambini a Gaza.
Israele, nel frattempo, ha affermato che il presidente turco è tra i peggiori antisemiti della storia, a causa della sua posizione sul conflitto e del suo sostegno a Hamas.
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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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